VIII - Aprile 2022

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ETCETERA Il g io r n a lin o d e g li s t u d e n t i

R i fl e t t i a m o , M a j o r a n i !

C in a : le o r ig in i d e l co lo s s o m ille n a r io

Co rn u to p er d av vero

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IN D IC E L’E D I T O R I A L E 4

In t e r v is t a a S im o n e G a rg iu lo , s in d a c o d i D e s io

d i L u c a S a r a c h o , 4 F ; R e b e c c a M a r a s c o , 5 b b ; (G io e le C a p r ile , 3 c c )

SCUO LA

1 2 L e t t e r a a l M a jo r a n a : C o s c ie n z a P u lit a d i A n o n im o

1 7 E s s e re q u e e r a l M a jo r a n a d i M a jo r is o t t o

P O S TA D E L C U O R E 2 0 A p r ile m it e e b e llo d i A n o n im i

P O L IT IC A

2 4 R u s s o fo b ia : il s o n n o d e ll’in t e llig e n z a d i S o fi a M a rc a n t o n i, 3 H ; G io rg ia T ir a lo n g o , 3 b b

C U LT U R A

2 6 In c a n t a (u )t o r i: Il m a re è p ie n o d i p e s c i d i P ie t ro C a t t a n e o , 3 b b

3 0 C o m ’e r a la C in a a n t ic a ? d i A le s s a n d ro B a lo s s i, 4 A

3 4 Q u e lli d e l G ig a C h a d d i S a m u e le N a v a , 3 C

3 7 H is t o r ia p ro d ig io s a d e Q u o d a m C o r n u t o d i O liv e r Z o c c o , 4 H ; S ilv ia V io la t o , 4 a a

4 0 Il S ig n ifi c a t o d e i F io r i d i L e t iz ia Z a b a d n e h , 3 b b

4 4 T a n g a n y ik a L a u g h t e r E p id e m ic d i V e ro n ic a G u a r is c o , 2 D

E t C e t e r a M a jo r a n a

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IN D IC E M A N IF E S T O

4 6 C o n t ro l’Id e n t it à d i B e lis a r io C a w l

O G G I, N E L L A S T O R IA 4 8 L’1 a p r ile

d i T u c id id e , 4 B

A N IM A L E D E L M E S E 49 Em ù

d i A n g e lic a P e lle g r in o , 1 A

N A R R A T IV A

5 1 D a r k P ills : C a t r a m e d i Ila r ia M a r t u c c i, 2 D

5 4 Il c lu b in v e s t ig a t iv o e il C a s o d e lla D a m a R o s s a d i Ila r ia S o r re n t in o , 1 c c

P O E S IA

5 9 S c r iv e re

d i E lis a Z a c c a g n i, 2 c c

6 1 S e ra

d i A n o n im o

6 2 G io c a t t o lo d i A n o n im o

6 3 P o e s ia

d e l N o n n o V ig ile , 4 b b

E t C e t e r a M a jo r a n a

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L ’E D I T O R I A L E

IN T E R V IS T A A

S IM O N E G A R G IU L O , S IN D A C O D I D E S IO L U C A S A R A C H O , 4 F ; R E B E C C A M A R A S C O 5 b b ; (G I O E L E C A P R I L E , 3 c c )

clostile. È dunque con profondo rammarico che vi devo informare che, al fine di rispettare il suddetto contratto (della cui esistenza noi eravamo completamente ignari fino a quando non si è rivelato troppo tardi), da questo momento fino alla fine dell’anno potremo stampare solamente una sola copia dei nostri numeri per classe. Ma non lasciatevi andare alla disperazione! Avrete modo di gustarvi ognuno dei nostri articoli attraverso il link che potete trovare nella bio della nostra pagina Instagram! Oppure scaricando il PDF che i rappresentanti gireranno sui vari gruppi classe, o che il leggendario Elio (la ringraziamo davvero prof) manderà a tutti voi,

UNA QUESTIONE DI PRINCIPIO Ebbene eccoci qua Majorani, il vostro amatissimo EtCetera arriva nelle vostre classi persino il 1° di Aprile [scroscio interminabile di applausi in sottofondo]! Sicuramente avrete sentito la nostra mancanza di prima mattina, il venerdì, fuori da scuola; avrete pur visto come nella vostra classe sia giunta una sola copia del vostro giornalino preferito. Vorrei potervi dire che si tratta di una simpaticissima burla, di un immancabile Pesce d’Aprile, eppure è la spietata verità. Si dà infatti il caso che la scuola stia per raggiungere il limite massimo di fotocopie accordato con la fantomatica ditta che concede al nostro liceo il ciE t C e t e r a M a jo r a n a

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L ’E D I T O R I A L E studenti e non, sull’indirizzo e-mail d’Istituto. Come avrete avuto modo di appurare, questo non è uno dei miei classici editoriali. Dov’è l’immancabile citazione di Shakespeare all’inizio dell’articolo; dov’è la frase ad effetto tratta spudoratamente, senza alcun riguardo da Attack on Titan; dov’è l’analisi, la particolare e personale lettura che ormai son solito offrire a voi, miei venticinque lettori, di una diversa opera fondamentale per la letteratura mondiale d’ogni tempo, italiana, inglese e non solo? Si tratta, e questa volta davvero, del celeberrimo scherzo che si suole escogitare per il primo giorno del quarto mese dell’anno? Ebbene, anche in questo caso, purtroppo, la risposta è negativa: non è un Pesce d’Aprile questo, bensì una questione di principio. Mi spiego meglio. Tutto iniziò nel lontano Ottobre 2021. Era una giornata fredda, buia; il già di per sé flebile sole autunnale era schermato da una spessa coltre di nubi non tanto tetre da premonire l’imminente arrivo di future intemperie, quanto più, banalmente, fastidiose, insulse, abiette. Si erano da poco conclusi i ballottaggi per le comunali che proprio l’anno scorso si E t C e t e r a M a jo r a n a

erano tenute a Desio ed io, col cuore leggermente oppresso dall’ansia per la verifica di Fisica che avrei dovuto affrontare il giorno dopo, mi stavo avviando ad intervistare il nuovo sindaco della nostra beneamata città, Simone Gargiulo. Il Primo Cittadino si rivelò sin da subito una persona solare e disponibilissima, tantoché fui da subito entusiasta per l’intervista che era venuta fuori dal nostro lungo colloquio. Fu proprio in quel momento, proprio dopo aver fatto il primo passo fuori dal Comune cittadino, che compii il più grande errore in cui potessi mai cadere: affidare la trascrizione dell’intervista a Gioele Caprile. Da quel momento in poi, infatti, ebbe inizio una serie di brutture inenarrabili, al limite dello spregevole e del grottesco. Per il numero di Novembre, ovvero l’occasione in cui l’intervista doveva essere pubblicata, l’articolo mi arrivò non solo in estremo ritardo rispetto alla scadenza fissata, ma anche in uno stato che definire deplorevole sarebbe ricorrere ad un eclatante eufemismo (per di più Gioele aveva scritto il tutto su un messaggio WhatsApp). Non potendo accettare l’elaborato in quelle condizioni, gli intimai di trascriverlo ex 5

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L ’E D I T O R I A L E rispondere ai nostri quesiti. Gioele non si è rivelato meramente inaffidabile, Gioele si è rivelato l’epitome dell’inaffidabilità. A tutto c’è un limite, e adesso rimedierò alla vergogna che Gioele Caprile ha portato a tutti noi. Di seguito potete finalmente trovare l’originaria trascrizione dell’intervista (quella che mi era stata inviata su WhatsApp), ristrutturata dalle fondamenta e messa in piedi dal paziente lavoro della nostra eccezionale Rebecca Marasco. Buona lettura a tutti!

novo in modo dignitoso, di mostrare la minima serietà verso l’incarico che si era assunto la responsabilità di portare a termine. L’intervista non mi arrivò mai. Non mi arrivò per il numero di Dicembre. Non mi arrivò per lo speciale di Natale. Non mi arrivò per il numero di Gennaio, per quello di Febbraio né tantomeno per quello di Marzo. Siamo ormai ad Aprile e, al giorno d’oggi, quella revisione che ogni volta mi era stata sempre promessa con fermezza dal rappresentante non ha mai visto la luce. A tutto c’è un limite, e il nostro caro rappresentante d’Istituto l’ha oltrepassato da tempo immemore. Fosse anche stato che il tempo che non dedicò alla trascrizione dell’intervista gli fosse servito a rendere il Majorana un luogo veramente migliore; eppure non ho riscontrato alcun passo avanti minimamente apprezzabile dall’inizio di quest’anno scolastico. Noi in quanto redazione di EtCetera, noi tutti in quanto studenti del nostro liceo siamo stati semplicemente presi in giro per tutto questo tempo. Per non contare poi l’improponibile figura che abbiamo fatto davanti al sindaco che così gentilmente ci aveva concesso parte della sua giornata per E t C e t e r a M a jo r a n a

L’INTERVISTA I: “Buongiorno Signor Gargiulo. Complimenti per la sua elezione a sindaco di Desio. La ringraziamo per averci concesso questa seconda intervista!” G: “Buongiorno, grazie a voi!” I: “Qual è il messaggio che vorrebbe trasmettere a tutti i desiani e tutte le desiane che sono andati e andate a votarla e a coloro che sono andati a votare per la Moro? Cosa ne pensa del problema della grande astensione a livello sia locale che nazionale?” 6

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L ’E D I T O R I A L E G: “Innanzitutto – ovviamente - porto rispetto per chi è andato a votare per la mia avversaria, ovvero la signora Moro, poiché, essendo in una democrazia, ha votato in base ai propri sentimenti e alle proprie linee di pensiero. Il problema è stato l’alto numero di astenuti, che non è stato solamente un dato desiano, bensì comune a livello nazionale. Bisogna analizzare il perché di questo astensionismo. A Desio al primo turno sono andate a votare il 49% delle persone, che era il dato del ballottaggio di 5 anni fa, mentre al secondo turno sono andate il 45%. Il dato positivo è che stavolta c’è stata una minor riduzione nella percentuale di gente che è andata a votare al secondo turno rispetto a 5 anni fa: 5 anni fa si passò dal 57% del primo turno al 49% del secondo, quest’anno invece siamo passati dal 49% del primo al 45% del secondo. Purtroppo però resta un astensionismo alto e preoccupante. Forse una delle cause è riconducibile all’appiattimento della politica locale rispetto a quella nazionale, cioè i temi toccati sono molto spesso gli stessi, così le persone, soprattutto in virtù della situazione che stiamo vivendo, magari si son “disinteressate” un po’ di più. E t C e t e r a M a jo r a n a

Magari un’altra delle cause possono essere i vari governi misti, che non creano quell’attaccamento ad un singolo partito che era presente tempo fa. Infatti prima c’era un forte radicamento territoriale poiché si doveva eleggere il sindaco della propria città, mentre adesso sta un po’ venendo meno, sia a livello nazionale che a livello locale, quindi magari l’astensionismo presente a livello nazionale ora si riflette anche a livello locale.” I: “Si potrebbe citare una frase, per buttarla sull’ironico, di Crozza, ovvero: - A queste elezioni in Italia ha vinto il sindaco che non c’è -” G: “Diciamo che questa è un po’ un’analisi volta a sminuire. Tanti dicono “eh, hai vinto col 53% del 45% delle persone che è andata a votare”. Questo è vero, però si tratta della democrazia: chi non è andato a votare ha consapevolmente scelto che gli altri avrebbero deciso anche per lui. La democrazia porta con sé anche il diritto di non andare a votare, oltre che il dovere di non lamentarsi se gli altri decidono di eleggere una figura di un partito di cui non condividiamo le idee, perché poi diventa un controsenso criticare le scelte di chi invece è 7

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L ’E D I T O R I A L E andato a votare.”

soft, cosa che quindi fa venire meno quella “grinta” che c’era anni fa.” I: “E questo attestarsi su posizioni più soft lei lo considera come un diluirsi oppure come un effetto di quello che vediamo sempre più spesso in politica, ovverosia della demonizzazione dell’avversario politico?” G: “Gli estremismi non vanno mai bene e non sono mai accettabili. Purtroppo è vero che la politica ultimamente si basa molto sull’odio e sul disprezzo verso le altre fazioni politiche e magari manca di veri argomenti politici, avvalendosi così più di temi personali e di critiche soggettive che di temi politici e di critiche oggettive. Questa non è solamente una critica mia verso gli avversari, bensì è anche - e soprattutto - un’autocritica, poiché c’è questa tendenza a vivere la politica in questo modo molto più soggettivo che fa perdere attenzioni e che ad un esterno potrebbe sembrare più una litigata che un dibattito, e ciò crea allontanamento e disaffezione da parte della gente verso la politica.”

I: “A proposito dell’astensionismo, in seguito al ballottaggio e alla fine del ciclo elettorale, alcuni commentatori politici avevano segnalato il fatto che comunque qualche decennio fa l’astensionismo era diventato simbolo di una maturazione dell’elettorato. Per lei, questo dato dell’astensionismo è conseguenza di che cosa? Di un sistema che ormai ha raggiunto la sua maturità oppure di evidenti problemi come la disaffezione verso la classe politica? G: “Penso sia disaffezione. Penso sia disaffezione poiché in Italia un tempo c’erano forti divisioni ideologiche tra i vari partiti, le quali però creavano legami tra gli elettori ed i partiti stessi, poiché la gente davvero s’identificava in una parte o nell’altra. Il bipolarismo italiano non ha mai funzionato, infatti si è sempre parlato di centrodestra e centrosinistra, cosa che ci fa capire che siamo sempre andati più verso il centro che verso poli estremi opposti. La destra vera e la sinistra vera infatti non esistono quasi più ed hanno I: “Anche nel contesto di Desio, sempre meno gradimento. La gente si potremmo dire che ciò si è tradotto attesta sempre di più su posizioni più nella sua querela nei confronti di E t C e t e r a M a jo r a n a

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L ’E D I T O R I A L E G: “Questo è un dato generale da sempre: Milano è da sempre “radical-chic” nelle zone più centrali e più conservatrice nelle parti più periferiche. Tant’è vero che dove prevale l’astensionismo di solito il centrosinistra prevale. Una delle nostre preoccupazioni è proprio questa: alle scorse elezioni il centrosinistra vinse, seppur di poco, al ballottaggio, poiché aumentò l’astensionismo. L’astensionismo ha sempre aiutato maggiormente la sinistra, poiché l’elettorato di sinistra è sempre andato a votare, a differenza di quello di destra. Devo dire la verità però, qui a Desio non ho mai avuto questa preoccupazione, ho sempre creduto nel nostro programma e i cittadini hanno creduto anch’essi in noi. Infatti, quando tu porti un programma, serio non ti tocca la serietà degli avversari, poiché il popolo sa che tu rappresenti un’alternativa buona e seria. Magari nelle grandi città sono stati scelti i candidati sbagliati, chi lo sa?”

Jennifer Moro.” G: “Precisiamo una cosa: io non ho fatto una querela, che è un atto dove viene indicata una determinata persona per un determinato reato. Io ho esposto all’autorità giudiziaria dei determinati scritti che sono stati pubblicati chiedendo ed evidenziando che secondo me in quegli scritti si ravvisavano degli estremi di reato, però non ho fatto nomi. Quindi io personalmente non ho querelato nessuno, ho semplicemente chiesto all’autorità di controllare quegli scritti, dove, secondo me, erano presenti gli estremi per una diffamazione, poi starà all’autorità giudiziaria decretare se ci sono gli estremi e soprattutto verso chi. Questo per chiarire, poiché sono state dette cose molto sbagliate.” I: “Ritornando alla questione delle comunali nelle grandi città, abbiamo visto che nelle grandi città c’è stato un prevalere del centrosinistra. Alla luce dei risultati elettorali, ritiene che ci siano le premesse per una polarizzazione della politica come negli Stati Uniti? Quindi grandi città di centrosinistra ed aree rurali più conservatrici e di centrodestra?” E t C e t e r a M a jo r a n a

I: “A tal proposito volevo chiederle cosa, secondo lei, ha sbagliato il centrodestra nelle grandi città.” G: “Ad essere sincero ho seguito soltanto le elezioni di Milano. Qui Sala era un candidato serio e forte, quin9

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L ’E D I T O R I A L E di la scelta di Bernardo come suo avversario è stata, a mio avviso, errata, infatti non c’è stata neanche partita. La rinuncia di Albertini è sicuramente stata un brutto colpo per il centrodestra, però molto probabilmente avrebbe vinto lo stesso il centrosinistra, anche se magari con uno scarto meno importante. La scelta del candidato infatti è molto importante. Escludendo me - poiché abbiamo vinto non per merito mio, bensì per merito del gruppo - la scelta del candidato è quasi vitale. Cinque anni fa il centrodestra a Desio fu imputato di aver scelto un candidato non desiano e ciò pesò molto su di lui. Infatti egli, a mio avviso, è un politico molto più bravo di me, però è stato penalizzato dal fatto che non fosse di Desio.” I: “Passando dalla politica nazionale alla politica desiana, si immagini un giovane del nostro liceo che decide di entrare in politica e passa dall’informarsi dai giornali e da mamma e papà al provare un vero interesse per l’amministrazione: lei che dritta gli darebbe?” G: “Innanzitutto gli darei sicuramente la mia email, così possiamo fissare un incontro e parlare (ride). E t C e t e r a M a jo r a n a

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Scherzi a parte, magari si interessassero, uno dei dati più preoccupanti che è uscito dalle elezioni è che i giovani in pratica non hanno votato: gran parte dell’astensionismo infatti proviene dai giovani. Magari il ripristino del consiglio comunale dei ragazzi potrebbe essere un’idea per riavvicinare i ragazzi alla politica cittadina. Chiaro che la politica è sicuramente diversa da come la vedi nel giornale della sera. Anche se entri in un partito la cosa cambia molto, cominci a capire come funziona una macchina amministrativa e capisci il peso che grava sui politici, cogli le responsabilità che i governanti hanno e comprendi che le città non si governano da sole. Quindi magari potremmo far capire ai ragazzi come funziona la politica, la quale non è solo il parlamentare che viene intervistato fuori dal Parlamento, che riceve un posto gratis allo stadio per vedere le partite di calcio e prende un sacco di soldi. Un parlamentare infatti, se fa il suo lavoro seriamente, deve portare avanti la nazione ed ha in carico le sorti della stessa. Nel suo piccolo, anche un consigliere comunale fa una cosa simile, infatti lui ha in carico le sorti del comune. Quello che ti posso dire è che, quando hai A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


L ’E D I T O R I A L E la fascia tricolore da sindaco addosso, provi una sensazione indescrivibile e ti senti addosso tutta la città, poiché rappresenti la città nel suo insieme e non solo il tuo partito. La politica non è solo amministrazione ma è anche preoccupazione verso le cose di tutti i giorni, come l’illuminazione, la sicurezza e queste cose qua. Noi parliamo di questioni concrete, non di questioni ideologiche, come, a mio modesto avviso, è avvenuto a Desio con la questione della viabilità.”

E t C e t e r a M a jo r a n a

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SC U O LA

LET T ER A A L M A JO R A N A :

C O S C IE N Z A P U L IT A A N O N IM O

Tutti siamo al corrente del fatto che nella nostra Europa sia in corso una guerra (per chi non è aggiornato mi scuso per lo spoiler). Leggiamo i giornali (LI LEGGIAMO VERO?), guardiamo la tv, sappiamo degli orrori che da settimane i nostri fratelli in Ucraina subiscono. Si presume chiaramente che chi fra noi con un cuore nel petto, e che non sia quindi un mostro il quale si nutre di lacrime di orfani e anime di gattini morti, si sia chiesto cosa si possa fare per aiutare profughi e fuggitivi costretti a lasciare indietro la propria casa, i propri ricordi e un pezzo della loro vita. Con questa presunzione ero partita quando ho contattato per la prima volta uno dei rappresentati d’istituto per E t C e t e r a M a jo r a n a

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proporre un’idea che sarebbe potuta essere utile: in poche parole avremmo raccolto come scuola beni di prima necessità, farmaci, coperte, cibo che avremmo inviato al Consolato Ucraino e al Charity Fund “International Association for Support of Ukraine” per mostrare in modo concreto il nostro sostegno a persone che ne hanno bisogno. Insomma carino no? A quanto pare no. Già alla fase 1 del mio piano di conquista delle sedi del nostro liceo, che avrei occupato e messo a soqquadro coi miei scatoloni del male, con il solo scopo di dar fastidio alle collaboratrici scolastiche, ho riscontrato un piccolo -come dire- inciampo: io, studente qualunque e membro della plebe del A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


SC U O LA Majorana, presento un’iniziativa a parte del corpo rappresentante degli studenti e questo, invece che prendere le redini della situazione e condurre me e il mio disegno di sovversione assoluta degli ordini scolastici al successo, mi risponde -liberandosi elegantemente di ogni responsabilità- di consultare da me il prof Mori (salve prof). Qui aggiungo perciò la mia prima lamentela: a cosa serve avere dei rappresentanti di istituto? Nel senso (e qui mi prendo delle libertà stilistiche, tipo romanesco dei poveri) a me me piacciono ‘nsacco er copertina day, ‘e rose a San Valentino, vestisse da boscaioli e le foto di classe, ma se quando tu studente proponi ad un rappresentante - il cui lavoro sarebbe quello di fare da mediatore fra il corpo studentesco e il temutissimo consiglio d’istituto (*effetti speciali con cambi di luce e musica classica barocca molto drammatica) - un’iniziativa e questo invece che attivarsi si dice d’accordo e ti indica sostanzialmente d’arrangiatte (altra libertà stilistica romanesca), che fai? Io me ne lamento per esempio. E PUBBLICAMENTE ME NE LAMENTO. Fatto sta che, imperterrita, ho proseguito secondo i consigli del rappresentante e ho contattato il prof Mori. E t C e t e r a M a jo r a n a

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Qui nulla da dire, la fase 2 del piano è andata liscia; semplicemente il prof si è dimostrato molto disponibile, ma il verdetto sarebbe stato dettato dalla scelta della preside. Non restava che mettere in atto la fase 3, fase che ha segnato il mio fallimento. Lesta lesta (non molto a dire la verità, ma chi mi conosce sa che vivo la mia vita come un vecchietto al ricovero che sa che non deve correre da nessuna parte perché tanto ha l’artrosi e non può) ho scritto una mail alla nostra dirigente: “Gentile preside bla bla bla… aiutare Ucraina bla bla bla… letteralmente avere CONTATTI DIRETTI CON IL CONSOLATO UCRAINO E NON CON UN TALE A CASO NELL’EST bla bla bla… lista di cose utili, nome dell’organizzazione, indirizzo del punto di raccolta bla bla bla… grazie dell’attenzione le auguro una buona giornata”. La risposta è iniziata positivamente, tanto che mi sono illusa di aver adempito al mio compito di studente informato, volenteroso, pronto ad alzare il proprio gentil deretano dalla comodissima sedia di legno che sta in piedi per miracolo della mia classe per aiutare chi sta peggio di me; tuttavia il proA p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


SC U O LA cedimento è andato pian piano sviluppandosi verso il disastro come una mia qualunque interrogazione. Fatto sta che per quanto lodevole fosse la mia proposta, la risposta è stato un figurativo schiaffo di una figurativa mano che si era scritta “eh eh eh no” sul palmo con la vernice fresca. Infatti, sono stata messa al corrente del fatto che la scuola è già impegnata in una raccolta fondi a supporto dell’Ucraina. Al che vi chiedo, miei lettori e colleghi: ma chi la sapeva ‘sta cosa? Cioè voglio dire, se vuoi coinvolgere gli studenti a donare soldi (cosa che già non stimola l’adesione di molti -vi vedo cari spilorci-) almeno abbi la decenza di pubblicizzare e promuovere la cosa, se no che effetto ha? Rispondo io, nessuno. Come non ha alcun effetto pratico leggere tre poesie per un quarto d’ora, perdere tempo a parlare, postare sulle storie di Instagram che sei contro la guerra o organizzare una conferenza da remoto alla quale, dopo anni di esperienza nella scuola, il 99% degli studenti non darà un’unghia della propria attenzione. Davvero pensiamo che agli ucraini che muoiono schiacciati dalle bombe e si vedono la propria essenza strappata E t C e t e r a M a jo r a n a

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via importi qualcosa delle nostre parole e dei nostri momenti di silenzio? Che se ne facciano qualcosa del nostro “supporto morale”, come scritto sulla circolare che presenta l’iniziativa già organizzata dalla nostra scuola? Le persone non hanno da mangiare, gli ospedali non hanno nulla con cui fasciare le ferite della gente aperta in due dallo scoppio delle bombe, le persone aspettano nei centri d’accoglienza al freddo con gli occhi vuoti e disillusi, abbandonata ogni speranza. Ma noi certo parliamo. Comodi nella nostra routine, protetti dalla sicurezza che tanto la guerra non è affar nostro, we spread awareness discutendo e dibattendo, per poi lavarcene bellamente le mani come Ponzio Pilato. Ma non è solo questo che ha scatenato la mia rabbia repressa di adolescente che non ha nulla di meglio da fare che cercare di rendere l’attivismo davvero attivo e non solo un insieme di vane parole. Si dà infatti il caso che la raccolta fondi, lanciata dall’hashtag “#HelpUkraine”, sia curata da AVSI. Chi sarà mai questo AVSI ci chiediamo in molti; o almeno io me lo sono chiesta essendo del tipo anarchico-poco-informato. A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


SC U O LA Dopo approfondite ricerche nei meandri più oscuri del web ho potuto scoprire che la campagna #HelpUkraine di AVSI è sostenuta da un’ulteriore associazione, Compagnia delle Opere, citata dal sito stesso dell’AVSI. Letteralmente, punto a capo, cioè chi sono questi? Sempre il nostro carissimo Google mi ha portata ad un’ulteriore scoperta, che cito scopiazzando spudoratamente: “La CdO è un’associazione imprenditoriale d’ispirazione cattolica legata a Comunione e Liberazione […] fu ispirata dal fondatore della stessa (Comunione e Liberazione), don Luigi Giussani”. Un bel sospiro. Mi chiedo se in una situazione di emergenza internazionale sia quindi la soluzione migliore scegliere un’organizzazione con tale struttura e tale identità ben precisa, o se sia meglio affidare gli aiuti direttamente a un fondo di carità ucraino che opera nello stato in cui la guerra è in corso e che soprattutto è supervisionato dal Consolato stesso. Cosa insegna una scuola laica (almeno sulla carta), che cerca di mantenere un’immagine di decorosa e assolutamente corretta neutralità in ambito E t C e t e r a M a jo r a n a

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politico e religioso, affidando la raccolta dei soldi dei propri studenti ad un’associazione che, diciamocelo chiaramente, è di parte? E che cosa gli insegna quando, vedendo gli studenti prendere a cuore una causa e attivarsi al riguardo, rifiuta di far partire la loro iniziativa perché ce n’è già una in corso? Non insegna nulla; ci fa capire che la nostra scuola è pronta a far vedere la propria bella faccia, ma non a sporcarsi le mani; ci fa capire che la parola degli studenti non ha un peso, che l’uso delle loro menti per fare altro che consumarsi fino all’esaurimento per uscire con un bel voto alla maturità non è preso in considerazione; che la scuola vuole mantenere alto il proprio nome, a costo di allontanarsi dalla propria natura originaria e accomodarsi sugli allori. Tanto le nostre conferenze le abbiamo fatte, le nostre discussioni pure, abbiamo la coscienza pulita. Comodamente, dalla poltrona nel nostro ufficio, abbiamo compilato un assegno, abbiamo fatto un bonifico all’associazione scelta da tutti fuorché dal popolo del nostro istituto e possiamo tornare alla nostra routine. Tanto la guerra è lontana. A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


SC U O LA Majorani, o almeno quelli che non hanno ancora fatto gli aeroplanini di carta con queste pagine, il mio è un appello per spingervi a riflettere: la vogliamo una scuola che si fa entrare le nostre parole da un orecchio e se le fa uscire dall’altro? La vogliamo una scuola che davanti alla voglia di fare dei suoi studenti si gira dall’altra parte? Siamo d’accordo con le idee di questo luogo che non solo è dove studiamo, ma anche dove cresciamo e diventiamo adulti, e col fatto che esso non sia interessato in alcun modo a farci effettivamente decollare verso una crescita non solo accademica, ma soprattutto personale? Riflettiamo, Majorani!

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SC U O LA

ESSERE Q UEER A L M A JO R A N A M A J O R IS O T T O

Era quasi un mese fa, quando abbiamo fatto un minisondaggio per sapere di come si trovano le persone trans al Majo. Era quasi un mese fa, quando abbiamo ricevuto molte più risposte di quante potessimo mai aspettarci. Era quasi un mese fa, quando abbiamo scoperto che la situazione è molto più tragica di quello che credessimo. Erano quasi due settimane fa quando, sconcertati, ci siamo sentiti in dovere di fare un breve post su Instagram per commentare quello che abbiamo ricevuto. Erano quasi due settimane fa quando le risposte sono diventate quasi il doppio. Erano quasi due settimane fa quando siamo stati ringraziati da più persone per quel post. Ma ora, è difficile pensare. È difficile crederci, ancora di più di prima. Per E t C e t e r a M a jo r a n a

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scrivere questo articolo abbiamo riletto tutte le risposte. La situazione è ancora peggiore di quanto avevamo pensato originariamente. Ciò detto, penso sia importante dire che non c’è rancore, né da parte nostra, né da quella di chi ci ha scritto. Cito (ancora) una frase che ci è stata mandata, forse una delle prime: “C’è tanta ignoranza, e l’ignoranza fa male. Fa male a noi, che la subiamo, che ci ferisce. Ma fa male anche a loro, ai transfobici accidentali. Non hanno colpe. Sono solo stati cresciuti così.” Quando ho chiesto agli studenti di parlarmi del Majorana, prima di venire, mi è stato descritto come un ambiente inclusivo. Ed effettivamente lo sto vivendo come un ambiente inclusivo. Ma chiaramente per molti non A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


SC U O LA è così. Anche la semplice tolleranza, per molti, è un sogno. Una delle prime risposte è di un’ex-studentessa, che ha cambiato scuola tre mesi dopo l’inizio del suo primo anno scolastico. Cita come ragione principale l’essere bullizzata “solo perché volevo che i [suoi] compagni non [la] riempissero inutilmente di disforia” (per chi non lo sapesse, in contesto queer “disforia” si riferisce di solito alla disforia di genere, letteralmente lo sconforto conseguente ad un’incongruenza tra la propria identità di genere e il proprio sesso biologico alla nascita) chiedendo che fosse usato il femminile. Qualcuno ci ha detto che, nonostante il bullismo, la violenza, gli insulti, è rimasto in questa scuola sperando che succedesse qualcosa che facesse cambiare idea ai perpetratori. Diverse persone ci hanno raccontato come le persone che credevano amiche le hanno rifiutate, sapendo del genere dell’amico. Una ragazza ha deciso di provare a rimanere vicina alla sua migliore amica, nonostante questa la schifasse, e ha nascosto la sua identità a tutta la scuola. Ora ne parla solo online, dove i compagni non sanno che è lei. Abbiamo ricevuto anche i messaggi di quelli che in inglese si chiamano E t C e t e r a M a jo r a n a

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allies, gli “alleati”, insomma chi non è direttamente queer ma supporta la causa (o semplicemente ne è indifferente, che spesso basta). Messaggi che denunciano, con molta più freddezza di quelli vissuti direttamente, di aver assistito a molteplici episodi di violenza, di rifiuto dei compagni che non sono cishet. Messaggi che ammettono di non aver mai avuto il coraggio di denunciare. Messaggi che chiedono un aiuto per segnalare. Messaggi di offerta di sostegno, di supporto. Forse per nostra mancanza, non abbiamo considerato di chiedere le storie di chi è cis, ma non etero. Abbiamo comunque ricevuto messaggi da parte loro, (grazie ragazzi che avete provveduto a colmare la nostra lacuna) altrettanto terrificanti. Le modalità sono pressoché le stesse, e in fondo anche le ragioni, dalla transfobia all’omofobia non passa tanto. Potrei andare avanti scrivendo un paragrafo per ogni messaggio ricevuto, ma diventerebbe o un video di reaction in formato testuale, o una grande ripetizione degli stessi concetti. La prima domanda che ci è venuta è, banalmente, cosa si può fare? Banale è solo la domanda, quasi conseguenza degli orrori letti, ma la risposta è A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


SC U O LA tutt’altro che semplice. Non possiamo certo pretendere che la tolleranza sia innata. L’istinto animale ci porta a temere il diverso. Ma la tolleranza va cresciuta, va coltivata, va insegnata. Non pensiamo sia troppo tardi. Forse non è mai troppo tardi, ma decisamente le scuole superiori non sono tardi. La tolleranza non serve solo a scuola, la tolleranza serve nella vita. L’educazione alla tolleranza è educazione civica. Sarebbe stato meglio cominciare prima, certo, ma siamo ancora in tempo. Educare alla tolleranza non sradica certo il seme della queerfobia, ma può aiutare a ridurre il numero di seguaci della malsana idea che il diverso è pericoloso in principio. È un sogno, perché non si può non definirlo che sogno, ma è anche una speranza, è anche un invito, è soprattutto una necessità. Per una scuola più tollerante, più inclusiva (che alla fine significa che non supporta silenziosamente le violenze per la propria identità di genere, romantica o sessuale). All’articolo 1, comma 2 dello Statuto delle Studentesse e degli Studenti della Scuola Secondaria (DPR 249 1998), si dice che “La vita della comunità scolastica si basa sulla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione, E t C e t e r a M a jo r a n a

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sul rispetto reciproco di tutte le persone che la compongono, quale che sia la loro età e condizione, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale.” Nei doveri troviamo “Gli studenti condividono la responsabilità di rendere accogliente l’ambiente scolastico e averne cura come importante fattore di qualità della vita della scuola.” Per concludere, un po’ di dati. Abbiamo ricevuto 90 risposte. Di queste, 68 persone non si definiscono cis. 39 si definiscono uomini, 47 donne, 2 persone non binarie, 2 preferiscono non rispondere. 30 persone si definiscono non etero. 76 persone dichiarano di aver subito episodi di bullismo, violenza o molestie, collegate alla propria identità. 11 persone dicono di essersi trovate bene nella propria classe. 27 dicono che almeno uno studente nella propria classe li ha sostenuti nella loro ricerca di un’identità. In 22 non hanno mai detto alla propria classe di non essere cishet, in 48 non hanno detto di non essere cis ai professori. 87 persone chiedono che la scuola faccia qualcosa per ridurre gli episodi di rifiuto di chi è diverso. Le altre 3 preferiscono non rispondere. A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


P O S TA D E L C U O R E

A P R IL E M IT E E B E L L O A N O N IM I

INTRODUZIONE Rieccoci lettori con un nuovo articolo della posta del cuore. Per questo mese abbiamo risposto a poche domande, ma decisamente interessanti (o almeno spero lo siano per voi). Se anche voi desiderate ricevere un consiglio o proporre riflessioni sull’ammmmore, scrivete su https://tellonym.me/etceteramajorana. Buona lettura amici :) [RAGAZZO] “Penso di avere una cotta ma ogni volta che sono con l*i divento timidissim* e non so cosa dire, aiuto?!” La timidezza o l’imbarazzo possono essere normali quando ci troviamo con persone a cui vogliamo piacere, in contesti in cui non vogliamo assolutamente fare un passo falso. Ritengo che bisogni progressivamente acquisire sicurezza nel parlare con l’altra E t C e t e r a M a jo r a n a

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persona se si è di per sé già particolarmente timidi. Si può, per esempio, trovare una serie di argomenti di cui parlare con leggerezza, che stimolino entrambe le persone ad un dialogo piacevole, magari in un luogo in cui siamo a nostro agio, preferibilmente da soli (quindi senza l’impressione di avere occhi puntati su di sé, percezione che può incrementare la timidezza). So che per una persona timida può sembrare impossibile, ma questo sacrificio può davvero valerne la pena e sono sicuro che in ogni caso non te ne pentirai. Inoltre, nel caso tu non sappia proprio da dove incominciare il discorso, ci sono una serie di domande che possono sempre essere d’aiuto, che ti permetteranno di continuare con il dialogo o, ancora meglio, di capire gli interessi, hobby e particolari dell’altro individuo. Anche molto banalmente chiedere cosa si A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


P O S TA D E L C U O R E è fatto durante la giornata ti permette di avere una visione a 360 gradi di un frammento di quotidianità dell’altro: gruppo di amici, sport, cosa si fa nel tempo libero, scuola…ecc. Spero vivamente che questo consiglio possa esserti d’aiuto e che tu riesca a superare questo piccolo ostacolo. Aggiornaci! [RAGAZZA] “Proporre friends with benefits ad un’amica?” Secondo la mia personale opinione non credo ci sia alcun problema nel chiederlo, ma solo se tu e la tua amica avete abbastanza confidenza e attrazione fisica “evidente” da entrambe le parti, altrimenti potrebbe risultare un po’ strano e imbarazzante, o senza volerlo, potresti metterla a disagio. Nel caso iniziaste una relazione di questo tipo, ritengo sia importante definire prima ciò che c’è tra di voi e che entrambi siate d’accordo su ciò che state facendo e che,, quindi, vogliate le stesse cose: infatti prima di proporgli ciò dovresti essere sicur* che non ci sia nient’altro da parte sua nei tuoi E t C e t e r a M a jo r a n a

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confronti, oltre a semplice amicizia; talvolta i rapporti di questo tipo portano a un avvicinamento sentimentale e non solo fisico, almeno da una delle due parti; quindi, se tu sei sicur* di volere soltanto una relazione focalizzata su rapporti fisici e non consideri dunque una possibile evoluzione di questo rapporto, dovresti anche assicurarti che per l’altra persona sia la stessa cosa, per evitare di illuderla o che ci rimanga male se un giorno dovesse finire tutto da un momento all’altro, se volessi uscire con qualcun’altra o non rispondere più al telefono per molti giorni e così via. Detto ciò, ti consiglierei di prendere coraggio e “farti avanti”, ma in maniera semplice e spontanea, non proporlo come se dovesse firmare un contratto ;) Buona fortuna! [RAGAZZO] “Quando inizi a vederti con qualcuno, dopo quanto tempo è giusto interrompere altre storie?” Mi stavo chiedendo se rispondere a questa domanda articolando ampiamente oppure in modo conciso. Nel dubbio, adotterò entrambe le opzioni. Quindi, SUBITO. Ma perché subito? A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


P O S TA D E L C U O R E I motivi sono molteplici. Innanzitutto, se inizi a vederti con qualcuno molto probabilmente sei un minimo interessat* e magari lo è anche l’altra persona; quindi per rispetto e per non far perdere interesse e tempo a tale individuo, è decisamente corretto interrompere le storie con le altre persone. Altrimenti finiresti per essere vist* come un* ragazz* poco seria, che magari non vuole avere una relazione. Se appunto il tuo scopo non è avere una relazione, rendilo noto perché magari volete assaggiare entrambi senza impegno. Ritornando un minimo seri, dipende, dunque, tutto dai tuoi scopi: se sei realmente interessat*, che senso ha sentirti con molteplici persone (non in amicizia)? Spero di esserti stat* d’aiuto :) [RAGAZZO] “Analizzate questa questione. Di chi è la colpa del tradimento? Il traditore ha solo seguito la sua natura di cercare un’accoppiamento mentre la persona tradita è lei a non aver coltivato l’amore e ad aver fatto perdere l’interesse dell’amante nei suoi confronti. La conclusione della vostra riflessione dovrà rispondere a questa domanda: l’amore è E t C e t e r a M a jo r a n a

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qualcosa che si costruisce o si mantiene in modo disinteressato da qualsiasi cosa? O forse l’unico che deve sforzarsi di mantenere l’amore è chi ama e non chi è amato? P.S L’amore sappiamo tutti che sicuramente nasce indipendentemente da qualsiasi cosa, ma nel mantenerlo chi ha la responsabilità? (contando che noi non siamo animali che tendiamo a stare per tutta la vita con una stessa persona, perché se fosse così non si spiegherebbero i tradimenti). Se vi piace l’argomento buon lavoro. Vi stimo un sacco filosofi dell’amore <3” Wow, splendida riflessione e domanda. Vorrei soffermarmi velocemente sulla prima parte, quella sul tradimento. Il traditore può anche aver seguito la propria natura, ma ognuno di noi dovrebbe essere consapevole di cosa vuole e di come è. È vero, l’uomo nonostante tutto è un animale, ma ritengo che, in confronto ad altri essere viventi o all’uomo dello stato di natura, siamo caratterizzati dalla capacità di scegliere perseguendo ciò che desideriamo: nulla ci impone di essere legati ad una sola persona. Se la propria natura ci spinge ad amaA p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


P O S TA D E L C U O R E re o ad accoppiarsi con più persone, nella società d’oggi è possibile e non è neanche visto in malomodo. Se desideri una relazione aperta, troverai sicuramente qualcun* dispost* e in questo modo eviti quello che è il formale tradimento, non ferisci i sentimenti di nessuno. Ritengo, inoltre, che nulla giustifichi un tradimento: se perdi l’interesse o l’altra persona non coltiva l’amore, lasciala, segui i tuoi interessi, ma ferire una persona non è mai giustificato. Per quanto riguarda la seconda parte, l’amore nasce spontaneamente, ma deve essere curato continuamente (un po’ come la rosa ne “Il Piccolo Principe”) da ENTRAMBE le persone. Diciamo che i concetti “amante” e “amato” da Simposio a me non attirano particolarmente, non rispecchiano la mia visione. È possibile ci sia chi ami di più in una coppia, ma il rapporto non può dipendere o essere retto da una sola persona, altrimenti non parliamo di amore, ma di egoismo. Spero di aver compreso bene la traccia e ti ringrazio per questo spunto di riflessione <3

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P O L IT IC A

R U S S O F O B IA : IL S O N N O D E L L’IN T E L L IG E N Z A S O F IA M A R C A N T O N I, 3 H ; G IO R G IA T IR A L O N G O , 3 b b

In una celebre massima, Lenin, per descrivere la Rivoluzione Russa, dice: “Ci sono dei decenni in cui non accade nulla. E poi delle settimane in cui accadono decenni”. Una frase che è possibile adattare anche a ciò che sta accadendo al giorno d’oggi. Il conflitto russo-ucraino ha risvegliato l’attenzione di tutti i media sulle atrocità della guerra: oltre alle vittime ucraine, anche la popolazione russa ha subito molte discriminazioni, soprattutto sul web, ma anche da parte di istituzioni internazionali, a tal punto da scatenare comportamenti russofobi a livello culturale. La crescita del sentimento di sfiducia nei loro confronti ha portato a gesti spesso discriminatori e ingiustificati, derivati da una riduzione semplicistica della popolazione russa alle decisioni del governo russo, che E t C e t e r a M a jo r a n a

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invece in molti casi non rispecchia la volontà del popolo. Risulta quindi ingiusto biasimare i russi delle aggressioni di Putin ai danni dell’Ucraina. Le mire nazionaliste e imperialiste, che in parte hanno spinto Putin ad avviare questa guerra, non infiammano gli animi di tutti i russi, che anzi hanno manifestato in numerosissimi ai cortei per la pace sin dall’inizio della guerra, anche rischiando l’arresto. Nonostante ciò, il sentimento russofobo si è rivelato anche in quei contesti che dovrebbero insegnarci ad apprezzare e rispettare ogni cultura, a partire dal mondo della musica, dello sport, dell’arte e della letteratura. L’Eurovision Song Contest ha deciso di escludere il cantante russo in gara e lo stesso ha fatto la UEFA con le squadre russe. Una sorte analoga è toccata al A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


P O L IT IC A fotografo Alexander Gronsky, che non ha potuto partecipare al festival della Fotografia Europea. Ma il caso che ha maggiormente fatto scalpore è stato quello di Paolo Nori, docente del dipartimento di studi umanistici IULM, che ha visto il proprio corso su Dostoevskij all’università Bicocca di Milano cancellato, onde “evitare polemiche” in merito alla situazione Ucraina, sollevando ulteriori polemiche. L’università è poi tornata sui suoi passi, riabilitando il corso. Lo stesso Nori, indignato, commenta: “Essere un russo è una colpa, anche essere un russo morto. Quello che sta succedendo in Ucraina è orribile, e mi viene da piangere solo a pensarci. Ma queste cose qua sono ridicole: un’Università italiana che proibisce un corso su Dostoevskij, non ci volevo credere. Bisognerebbe parlare di più di Dostoevskij. O di Tolstoj, primo ispiratore dei movimenti non violenti, molto ammirato da Gandhi che poi ha perfezionato la pratica. Questa cosa che l’Università italiana proibisca un corso su Dostoevskij per evitare ogni forma di polemica è incredibile”. A questo punto ci chiediamo se sia lecito condannare queste persone - sia vive che morte - e tutto il popolo russo E t C e t e r a M a jo r a n a

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in nome di dinamiche più grandi di noi e di loro. Si tratta, a parer nostro, di un grande errore che appiattisce ed esemplifica una situazione che merita invece di essere osservata a trecentosessanta gradi: è la dimostrazione di un annichilimento delle nostre facoltà di giudizio, di un “sonno dell’intelligenza” sempre più diffuso, causa dei comportamenti ingiustificati delle ultime settimane nei confronti della cultura russa e dei suoi esponenti. Che sia adatto o meno parlare di cancel culture - ossia la moderna damnatio memoriae - resta il fatto che queste decisioni non sono sicuramente il modo più corretto di esprimere il dissenso nei confronti della guerra, ma è invece il più indicato per fomentare sentimenti d’odio e discriminazioni nei confronti del popolo russo. La storia ci insegna sempre che il modo migliore per opporsi a questo tipo di situazioni sia quello di progredire invece che di arretrare culturalmente, in definitiva di imparare a conoscere profondamente chi ci stia davanti senza abbandonarci a superficiali critiche infondate.

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C U LT U R A I N C A N T A (U )T O R I

IL M A R E È P IE N O D I PESCI P IE T R O C A T T A N E O , 3 b b

Buon pesce d’Aprile! Sì, ma che pesce è il pesce d’Aprile? Il mare non è pieno di pesci, dopotutto? Non tutti i pesci sono uguali: c’è l’aringa, la sarda, lo sgombro. C’è il tonno, l’acciuga e lo spada. E poi, cosa rappresenta, questo pesce d’Aprile? Ci sono pesci e pesci: c’è l’ cristiano e chi nuota come un pesce, chi come un pesce è muto e chi è sano come un pesce. E poi ci sono anche gli indecisi, che non sono né carne né pesce. Nella nostra lingua, il pesce può simboleggiare innumerevoli cose, e tuttora ha la sua valenza emblematica anche nel nostro cantautorato: c’è chi ha scritto “Le acciughe fanno il pallone”, E t C e t e r a M a jo r a n a

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chi è Nata sotto il segno dei Pesci. E poi c’è chi Mangia pasta col tonno. E infine, c’è Gianmaria Testa con la sua “20 mila leghe (in fondo al mare)”. Gianmaria Testa, scomparso nel vicino 2016 all’età di 57 anni, è stato un ineccepibile cantautore italiano, nonostante - dacché nessuno è profeta in patria - abbia avuto molto più seguito all’estero, specialmente in Francia e Svizzera. Nella propria produzione artistica, ha però sempre seguito con profonda sensibilità i dilemmi sociali della Penisola, interessandosi con fervore agli ultimi e in particolare ai migranti. La sua discografia conta il modesto numero di 10 album, che si distinguono A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


C U LT U R A per l’inimitabile effetto prodotto dalla sua voce, ora dolce ora decisa, sempre profonda, insieme a strumentali limpide e semplici. 20 mila leghe (in fondo al mare) è una ballata pubblicata nel 2011 con l’album “Vitamia”. Coi suoi sussurri malinconici, racconta la “febbre secessionista” che invade prima gli oceani e poi i mari, i golfi e così via: ciascuno vuol veder riconosciuto se stesso, finché gli atomi della molecola H2O vorran distinguersi tra loro, decretando la scomparsa dell’acqua stessa. (Testo a seguito dell’articolo) La canzone, è vero, si oppone esplicitamente alle tendenze secessioniste padane, che solo pochi anni fa eran ben più popolari che ora; eppure, ha un messaggio di gran lunga più universale, su cui credo sia il caso di soffermarsi con più attenzione. È infatti chi ha chiaro in testa un paradigma orientato al bene che riesce a declinarlo di conseguenza, e non è un caso che Testa non faccia un solo passo nella direzione di spiegare cosa rappresentino “con precisione” le onde del suo mare: sta a noi sceglierlo volta per volta. Nella sua premura, Testa non ha voluto spiegarci la soluzione, bensì la regola. E t C e t e r a M a jo r a n a

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Difatti, al di là delle sue motivazioni economiche, alla radice un ideale secessionista è frutto di un pensiero tanto di moda al giorno d’oggi: quello di correre al riparo per definire se stessi ad ogni costo. E va da sé che, nella foga di darsi un nome, si scelga la via più semplice: chiarire la propria identità non per se stessi, ma in opposizione agli altri; non associandosi, ma dissociandosi. «Non sono B, sono non-A». Corollario di questa scelta ragionativa è il motto “Amicus meus, inimicus inimici mei”. È corollario di questa scelta ragionativa anche la “febbre secessionista”. Il secessionismo asseconda infatti la nostra sempre più gravosa urgenza di fare posto all’individualità nella comunità: cominceremo separando gli oceani e forse alla fine arriveremo a separare atomi tra loro. Questo speriamo. Speriamo questo dimenticando il valore che uno , un animale sociale come l’uomo, fonda la propria stessa individualità sulla società. Speriamo questo dimenticando soprattutto che se il primo passo che cerchiamo è affermare “io sono diverso A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


C U LT U R A dagli altri”, l’immediata conseguenza che ne deriverà sarà un “gli altri sono diversi da me”. E quindi? E quindi, ricordiamoci che il mare non è pieno di aringhe, sarde e sgombri. Il mare è pieno di pesci. E quindi teniamo duro. C’è una guerra fratricida alle porte d’Europa, ma altrettanto fratricida è il rifiuto alla richiesta di aiuto di chi ne scappa, di chi scappa da qualsiasi altra guerra, di chi scappa e basta. Non solo ora, ma anche tra un mese, quando la guerra fratricida non sarà più una novità. Non solo ora, ma anche quando la guerra fratricida sarà un brutto ricordo. Et nunc, et semper, et in saecula saeculorum. E qui non si scherza. Buon pesce d’Aprile.

E t C e t e r a M a jo r a n a

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C U LT U R A Il primo fu Capo di Buona Speranza Chiuso per legge e decreto speciale Che la smettessero le onde pacifiche D’imbastardire quell’altro mare

Era solo l’inizio, come già si diceva Perché? Ora la febbre secessionista Andava ammalando ogni singola riva E niente e nessuno riusciva a dir basta

Poi fu la volta di Panama e Suez E quindi del Bosforo e di Gibilterra Ogni maroso pretese il rispetto Della sovrana indipendenza

Così da Trieste alla punta pugliese E dalla Sicilia alla Costa del Sole Ogni più piccola cala pretese L’indipendenza e non solo a parole

Niente più scambi di acque e di pesci Niente più giri del mondo in veliero Tutti i canali rimasero chiusi A qualunque passaggio di flutto straniero

Ma la questione divenne barbina Quando si presero goccia con goccia E ognuna guardando la propria vicina Diceva vai via o ti rompo la faccia

Così per un poco tornarono chete Le acque dei mari di tutto il pianeta Ma non durò molto che un’onda riprese A dir ch’era tempo di farla finita

Il mare fu presto una grande rugiada Inutile ai pesci e a qualunque creatura Morirono il tonno, l’acciuga, lo spada Restarono in secca le barche d’altura

Successe che un giorno nel mare nostrano Lo Jonio pretese di stare da solo E così vollero pure il Tirreno Il mar di Sardegna e l’Adriatico al volo

E poi un giorno, o una notte, non so Accadde qualcosa di ancora più strano Conoscete la formula H2O Sì quella dell’acqua, che tutti sappiamo

Insomma nessuno si mischi a nessuno Tuonavan le acque dei bassi fondali Ognuna rimanga ancorata ai suoi porti E bagni soltanto le sabbie natali

Ebbene l’idrogeno trovo da ridire Sostenne di avere la maggioranza E quindi il diritto sovrano di ambire All’ormai sacrosanta indipendenza

Sembrava finita ma era solo l’ inizio E anche così fu ben brutto vedere In quel che era stata la grande distesa Lo strazio dei fossi a dividere il mare

Ci fu come un vento, un soffio infinito E l’acqua dei mari s’invaporo in cielo Rimase un deserto di sale e granito Ma buio e profondo più nero del nero

E t C e t e r a M a jo r a n a

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C U LT U R A

C O M ’E R A L A C IN A A N T IC A ? A L E S S A N D R O B A L O S S I, 4 A

Tutti noi ci ricordiamo della storia antica che ci hanno insegnato qui a scuola: Mesopotamia, Assiri, Babilonesi, Fenici, póleis greche e l’Impero Romano costituiscono nella memoria degli studenti un mantra paragonabile alla ben nota fotosintesi clorofilliana. Ma purtroppo il programma scolastico, con una visione un po’ eurocentrica, tralascia grandi parti della storia di Asia, Africa e America. In particolare, tenendo conto del peso politico ed economico che oggi la Repubblica Popolare di Cina esercita sul globo, è strano che non si studi nulla riguardo le origini del Catai (così la Cina chiamata da Marco Polo). Bisogna quindi partire dal periodo della Cina antica, a sua volta diviso in cinque: Dinastia E t C e t e r a M a jo r a n a

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Xia, Dinastia Shang, Dinastia Zhou, Periodo delle primavere e degli autunni, Periodo degli Stati combattenti. Un concetto importante da tenere in mente è che nella storia antica cinese spesso mito e storia si sovrappongono, con molte fonti scritte posteriori al periodo di cui trattano. Le stesse fonti trascurano anche alcuni interregni, per cui le date delle periodizzazioni (come in tutta la storia d’altronde) non sono del tutto affidabili. Da non trascurare, ovviamente, che è anche piena di nomi impronunciabili per noi europei (tipo Zhongnanhai) Dinastia Xia (c. 2100-c. 1600 a.C.) La dinastia Xia è la prima dinastia nella storiografia tradizionale cinese, A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


C U LT U R A anche se alcuni studiosi considerano la dinastia Xia mitica o comunque appartenente alla preistoria. Infatti, non ci sono fonti contemporanee degli Xia, poiché le prime testimonianze scritte cinesi furono le iscrizioni su ossa animali, principalmente oggetti utilizzati in riti di tipo oracolare, risalenti al tardo periodo Shang (13 ° secolo a.C.), cioè la dinastia successiva che detronizzò gli Xia. Le prime menzioni si trovano nei capitoli più antichi del Libro dei Documenti di Confucio, considerato il più illustre filosofo della storia della Cina ed elaboratore del Confucianesimo. Secondo la tradizione, la dinastia Xia fu fondata dal leggendario Yu il Grande, dopo che Shun, l’ultimo dei Cinque Imperatori (figure mitologiche della preistoria cinese), gli diede il trono.

che mise in ombra tutte le precedenti. C’è un’importante precisazione da fare, cioè che né gli Shang né i Zhou (la dinastia successiva) furono Cina: di fatto governarono su un piccolo territorio di Cina settentrionale e il concetto di civiltà o di società “cinese” era a loro del tutto estraneo. Nella società degli Shang il sacro era presente ovunque: avevano un’innumerevole lista di dèi legati alla Natura e soprattutto veneravano i propri antenati. Buffo è l’esempio del re Wu Ding che domandò più di mille volte agli antenati se sarebbe piovuto. Tutto questo tramite riti sacrificali, anche umani, uccidendo per lo scopo oltre 13 mila prigionieri di guerra. In questa dinastia il sistema con il quale il Re poteva garantirsi la fiducia dei suoi vassalli era quello di parentela: il sovrano, infatti, sposava le principesse dei principi locali, tanto Dinastia Shang (c. 1600-c. 1046 a.C) che lo stesso re Wu Ding citato prima Considerata come la prima vera dinasaveva ben 64 mogli! tia cinese, dato che al 1250 a.C. risalgono le prima fonti scritte: per l’ap- Dinastia Zhou (c. 1045-771 a.C.) punto più di 200 mila ossi oracolari Verso il 1050 a.C. fu combattuta la (come spalle di bovini) e oltre 10 mila più famosa battaglia dell’antica Cina: vasi di bronzo (la cui tecnica superava il re dei Zhou, radunati circa 50 mila la controparte europea), che ci parlano soldati attaccò l’enorme esercito di oldi divinità, guerre, cacce, agricoltura e tre 700 mila soldati che il dispotico altre attività di una cultura progredita sovrano degli Shang Zhouxin, aveva a E t C e t e r a M a jo r a n a

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C U LT U R A disposizione. Le demoralizzate truppe Shang, che non volevano combattere per un re beone, lascivo e bestialmente crudele, disertarono unendosi agli Zhou, facendo morire il tiranno tra le fiamme del suo palazzo. Il mattino seguente, il vincitore, per non farsi mancare nulla, decapitò di propria mano tutte le mogli di Zhouxin ed espose le loro teste. Pare che le qualità morali, la saggezza e la bontà dei Zhou li abbiano distinti dagli scellerati sovrani Shang e siano stati il fondamento del loro dominio. Periodo delle Primavere e Autunni (722-481 a.C)

Chiamato “Chunqiu”, cioè Primavere ed Autunni, prende il nome dalle cronache di quel tempo, gli “Annali delle primavere e degli autunni”, ed è da sempre descritta come l’epoca dei traditori, degli intrighi e dei più perfidi omicidi, ma anche quella dove si sviluppò solidamente la società cinese, con la nascita di prosperosi ed estesi Stati (sostituendo le precedenti città-stato) e anche le cosiddette “Cento Scuole di Pensiero”, tra cui alcuni fra i più influenti movimenti cinesi (il confucianesimo, il taoismo, il legismo e il moismo). Personalmente trovo facile E t C e t e r a M a jo r a n a

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attribuire gli autunni agli scontri sanguinari dell’epoca, e le primavere allo sviluppo e il progresso civile raggiunto. Pare che all’epoca ci fossero più di 1500 principati, dei quali però soltanto pochi grandi, dodici (Jin, Qi, Chu, Qin, Lu, Song, Wei, Chen, Cai, Cao, Zheng e Yan), furono politicamente determinanti. Periodo degli Stati combattenti (453 a.C. al 221 a.C.)

Nel 453 a.C. lo stato di Jin, il più potente di tutta la Cina, si dissolve, dividendosi in tre parti: lo Stato di Wei, lo Stato di Zhao e lo Stato di Han. Il nome di quest’epoca non è di certo casuale: per lunghi tratti, la sua storia si può leggere come una sanguinosa carneficina. Anche l’epoca Chunqiu (Primavere ed Autunni) era stata ricca di guerre, ma ora gli scontri assumono una realtà significativamente diversa. Con la venuta del ferro, si idearono nuove armi: la balestra sostituì l’arco, la cavalleria sostituì i maestosi (ma lenti) carri da guerra, le spade e le alabarde sostituirono le precedenti armi di bronzo. Le cronache del tempo parlano di città ridotte alla fame al punto che i genitori divoravano i figli, di prigionieri di guerra mutilati A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


C U LT U R A o massacrati in massa, di comandanti che bevevano dalla calotta cronica del nemico. Emblema della crudeltà è la guerra tra Qin e Zhao: le fonti raccontano dopo aver fatto annegare nello Huanghe 20 mila soldati nemici, poi, quando l’esercito nemico (di 450 mila soldati) si arrese, decise di inviare alla loro città, Zhao, solo 240 dei più giovani, i restanti 449 mila e 760 furono massacrati uno ad uno. Anche se i numeri sono evidentemente esagerati, resta simbolica la crudeltà e la ferocia col quale venivano condotte queste guerre. I massacri avranno fine con la creazione dell’Impero sotto la dinastia Qin nel 221 a.C.

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Queste sono le origini antiche della Cina, ma data la loro descrizione sintetica e breve, consiglio a tutti di approfondire l’affascinante storia di un Paese a noi esotico come la Cina, piena di aneddoti e misteriosi eventi. Dopotutto, chi non sarebbe curioso di conoscere la “rivolta dei Sopraccigli Rossi”, “l’Esercito del Bosco Verde”, “l’Insurrezione dei Turbanti Gialli” o altri eventi dal nome così ridicolo?

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C U LT U R A

Q U ELLI D EL G IG A C H A D SA M U ELE N AVA , 3C

Negli ultimi giorni mi sono accorto di quanto famosa sia diventata Can You Feel My Heart resa popolare grazie a moltissimi meme che girano su Instagram e Tik Tok, dimostrando la potenza dei social nel dare vita nuova ad una canzone di ormai 9 anni fa. Ma non sono qui per parlare di questo o della canzone in sé, bensì di chi l’ha composta: i “Bring Me The Horizon”. Questo gruppo nel corso degli anni si è trasformato parecchie volte, sia perdendo ed acquisendo nuovi membri, sia spaziando da generi come il deathcore fino al rockpop; per i loro repentini cambi di stile hanno perso parecchi fans ma in cambio hanno reso la loro musica sempre più interessante ed accessibile a tutti. E t C e t e r a M a jo r a n a

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Per gli appassionati di cinema il nome deve aver richiamato i Pirati Dei Caraibi perché si tratta semplicemente dell’ultima battuta di Jack Sparrow alla fine de “La maledizione della prima luna”, che non ha alcun significato per i ragazzi, però sottolinea come a loro interessasse solo divertirsi. Nel 2004 Oliver Sykes, il cantante, si ritrovò con l’amico batterista Matt Nicholls ed il chitarrista Lee Malia deciso a creare un gruppo con cui suonare ciò che gli piaceva. A questo primo nucleo si unirono la chitarra di Curtis Ward ed il basso di Matt Kean. Inizialmente si concentrarono sul deathcore e metalcore, componendo canzoni aggressive e violente caratterizzate dal “growl” di Oliver (il growl A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


C U LT U R A è una forma di canto col diaframma che crea una voce agghiacciante). Nel primo periodo composero tre canzoni che dopo prove e concerti attirarono l’attenzione dei talent scout grazie a cui firmarono un contratto con la casa discografica Thirty Days of Night Records, con la quale realizzarono il primo EP (piccolo album), “This Is What the Edge of Your Seat Was Made For”. La loro popolarità crebbe grazie a Myspace dove postavano alcune delle canzoni che componevano e ad un brand di abbigliamento chiamato Drop Dead Clothing, creato dal frontman dopo aver lasciato l’università. Nel 2006 la band comincia a farsi conoscere in giro per il mondo vincendo a luglio il “Best British Newcomer” ai Kerrang! Awards e pubblicando il loro primo album “Count your blessings” promosso con un tour personale e molti altri di supporto. Agli inizi del 2008 rilasciarono il secondo album, Suicide Season, un po’ diverso dal precedente sia per le prime influenza di elettronica sia soprattutto per la voce di Oliver che in mezzo a grida e growl comincia a farsi sentire; in generale si distaccarono dal deathcore per avvicinarsi al metalcore. L’anno successivo Curtis Ward lasciò il gruppo ma dopo appena due mesi E t C e t e r a M a jo r a n a

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si unì a loro Jona Weinhofen, ex chitarrista dei Bleeding Through, che infuse nella band nuovo entusiasmo. Con lui il gruppo compose il terzo album “There Is a Hell, Believe Me I’ve Seen It. There Is a Heaven, Let’s Keep It a Secret” (nome decisamente lunghino ) che riprende gli stessi argomenti di Suicide Season ma approfondendoli maggiormente e con toni più leggeri. Arriviamo quindi al 2013, anno denso di avvenimenti per i BMTH: dopo l’uscita del primo singolo di Sempiternal, il quarto album, fu annunciata l’uscita di Jona e l’entrata di Jordan Fish, tastierista, che fu fondamentale per la stesura dell’album; contemporaneamente Oliver dovette affrontare complicazioni dovute alla tossicodipendenza. “Can you feel my heart” nasce proprio dall’ammissione di avere un problema e forse perché deriva da un’esperienza reale che riesce a coinvolgere chiunque. CYFMH e il largo impiego di elettronica hanno reso Sempiternal il disco dei BMTH col miglior debutto. Nulla poteva più fermarli; passarono quasi tutto il 2014 in tour e ad ottobre rilasciarono Drown, un nuovo singolo seguito da Happy Song e Throne contenuti in That’s the Spirit pubblicato nel settembre 2015; l’album conA p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


C U LT U R A ferma l’allontanamento dal metalcore ma non dal nu metal tant’è che molti brani ricordano i Linkin Park non solo per le sonorità ma anche per i testi. Oltre alle tracce sopracitate consiglio di ascoltare Run che per molti aspetti richiama, e a mio parere supera, Can You Feel My Heart e True friends. L’ultimo album, Amo, cambia ancora i toni della band; con esso infatti il gruppo prende le distanze dall’hard Rock e si avvicina al pop rock trattando temi molto vari come l’amore e la religione. Tra I brani rimangono impresse specialmente Mantra e Wonderful Life che consiglio caldamente (soprattutto Mantra). Nel 2020, in piena pandemia, I Bring Me The Horizon rilasciarono un altro EP chiamato “Post Human: Survival horror” anticipato dal singolo Parasite Eve che riflette proprio sul momento di reclusione a cui si era costretti. Tra i brani spiccano appunto Parasite Eve, Teardrops, che richiama lo stile e i temi dei Linkin Park, e One Day the Only Butterflies Left Will Be in Your Chest as You March Towards Your Death, canzone decisamente strana come si intuisce dal titolo ma piuttosto coinvolgente. Anche se magari non vi piace ascolE t C e t e r a M a jo r a n a

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tare nuova musica o non siete soliti ad ascoltare musica rock spero che darete una chance a questa band, non solo perché credo siano tra i migliori gruppi degli ultimi anni, ma anche per il significato di alcuni brani, che tocca direttamente certi nervi scoperti dell’animo.

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C U LT U R A

H IS T O R IA P R O D IG IO S A D E Q U O D AM CO RN U TO O L IV E R Z O C C O , 4 H ; S IL V IA V IO L A T O , 4 a a

Al contrario di quanto molti protrebbero pensare, la “prodigiosa storia di un tale cornuto” non è la vicenda di un uomo che è stato tradito, ma di un individuo con una caratteristica davvero peculiare. Noto come monsieur Frantz Trouilli, egli era un “uomo di altezza media, dal corpo piuttosto robusto e in carne, calvo, (eccetto la nuca, che era rivestita da una discreta quantità di capelli), molto scontroso verso gli altri, certamente dotato di modi e di gesti rozzi. In generale, a tal punto il suo aspetto era orrendo”. Nacque nel 1563 a Mézières e alcune fonti affermano che, all’età di sette anni, gli spuntò in mezzo alla fronte un corno “aguzzo e ricurvo come quello di un ariete”. Questo corno gli valse un E t C e t e r a M a jo r a n a

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periodo di fama nel 1598, durante il quale si spostò dalla sua cittadina natale di Mezières a Parigi per partecipare ad un’udienza con il re. Ricevette inoltre una nomina in una lettera di M. Emanuel Urstius, poi inclusa in

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C U LT U R A ‘Opera observationum et curationum medico-chirurgicarum, quae exstant omnia’ di Fabry von Hilden a partire dal 1611, dove il suo caso fu discusso da un punto di vista medico. Infatti, per quanto possa sembrare fittizio o bizzarro che spunti un corno in testa ad una persona, si tratta di un fenomeno ben documentato sin dall’antichitá e conosciuto anche ai giorni nostri. La condizione che lo afflisse più di 400 anni fa è quasi sicuramente quella del corno cutaneo, un tumore cheratinoso della pelle di rara incidenza, che consiste nella formazione di una proiezione conica di pelle dura, solitamente di piccole dimensioni, sopra la superficie dell’epidermide, e che può assumere l’apparenza di corna o, più raramente, di corallo o legno. Monsieur Trouilli, come ai suoi tempi, tutt’ora costituisce un esempio sorprendente di questo fenomeno, data la forma e la dimensione particolarmente pronunciata del suo corno. Ebbe perfino bisogno di tagliarlo con un coltello di tanto in tanto per evitare che si conficcasse nella pelle del cranio. Grazie a questo diventò relativamente famoso come fenomeno da baraccone e oggetto di E t C e t e r a M a jo r a n a

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studi medici, tanto che fu portato al cospetto del re di Francia. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la notorietá dell’homo cornutus non terminò con l’inclusione in un solo libro ed con un’udienza reale. In verità, giá dal 1642, fu citato in un’altro libro, stavolta di stampo più sensazionalistico: si tratta della ‘Monstrorum historia’ del 1642 di Ulisse Aldrovandi, in cui è presente una descrizione di questo individuo assieme ad altre incisioni che lo raffigurano. E la Historia Prodigiosa del nostro Homo Cornutus non si ferma qui: verrá menzionato nel 1774, con la pubblicazione de ‘The Wonders of the Little World’ di Wanley. Dopo questo vennero fatte delle stampe nel XIX secolo, e fu inserito nel ‘The Book of Wonderful Characters’ di Hotten del 1869. In seguito, non fu più nominato per più di 100 anni, fino al 2006, quando fu inserito nel libro ‘Unicorns’ di Suckling. Successivamente iniziò a comparire in Internet, anche se principalmente sotto la forma di traduzioni di fonti antiche, prima fra tutte quella riportata sul sito summagallicana.it. Potremmo quasi definire questo stesso articolo la fonte ad oggi A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


C U LT U R A più completa su Monsieur Franciscus Trovillou, essendo un resoconto di tutte quelle precedenti. La storia dell’homo cornutus è misteriosa, infatti esistono pochi testi che ne parlano, ma nonostante questo è stato interessante recuperarla: abbiamo cercato fonti primarie, all’interno di esse (di cui non tutte “cum indice copiosissimo”), abbiamo tradotto e cercato di capire quale versione fosse quella corretta. Alla stessa maniera, consigliamo a qualunque lettore, che abbia tempo e voglia, di svolgere una ricerca propria su argomenti astrusi o di poca notorietá. Quella di fare ricerca su fonti primarie è un’esperienza totalmente diversa e molto più stimolante che leggere un articolo di Wikipedia o un libro sull’argomento.

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IL S IG N IF IC A T O D E I F IO R I L E T IZ IA Z A B A D N E H , 3 b b

“Felice la ragazza che ignora le folli gioie del mondo, e non desidera altra dol¬ce occupazione che lo studio delle piante! Semplice e ingenua, chiede alle pra¬terie i più leggiadri manti; ogni primavera le offre gioie mai provate, e ogni mat¬tina un mazzo di fiori ripaga di gioia la sua dedizione. Un giardino è per lei una fonte inesauribile di sapere e felicità. Talvolta con un’arte che incanta, i fiori le si trasformano fra le dita in liquori profumati, in essenze preziose, o in conserve benefiche…” - Charlotte de La Tour, “Il linguaggio dei fiori”. Ultimamente, tornando a casa da scuola, non posso fare a meno di buttare l’occhio sulle migliaia di fiori che incontro per strada, nei giardini dei E t C e t e r a M a jo r a n a

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condomini, in quelli delle ville o su quelli che si intravedono dietro al vetro di una piccola finestra. I fiori risultano una sorta di consolazione, una fonte di felicità. Oggi tutto potrebbe andare storto, ma tra un caffè e l’altro mi fermerei a guardare le orchidee, frutto della cura di anni, sul davanzale della mia cucina e tutto si farebbe più leggero e insignificante. Spesso consideriamo i fiori solamente come un dono d’amore o un simbolo di femminilità, ma quasi tutti hanno un significato preciso, una storia alle spalle. Colgo dunque l’occasione per raccontarvi qualche curiosità riguardo alcuni dei miei fiori preferiti. D’altronde, quale momento migliore per parlare di un argomento simile, A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


C U LT U R A se non l’arrivo di un mese primaverile rimane simbolo di bellezza ed erotiscome quello di aprile? mo. L’ORCHIDEA Il nome deriva dal greco “ ”, il cui significato è “testicolo”: il suo aspetto ne ricorda infatti la forma. Nella Signatura Rerorum, dottrina elaborata da medici e botanici del Medioevo per cui la forma degli elementi naturali ne rivelava la funzione terapeutica, il fiore veniva erroneamente considerato un potente afrodisiaco, oltre che un medicinale contro la sterilità femminile. L’origine di questo fiore è antichissima, tant’è che la mitologia greca, forse per prima, cercò una spiegazione alla sua nascita. Secondo il mito, Orchis era un giovane greco, figlio di una ninfa e di un satiro dei boschi, che, invaghitosi di una sacerdotessa di Dioniso, aveva tentato di violentarla. Il dio del vino e dell’ebbrezza allora, considerando il misfatto come un atto sacrilego, diede Orchis in pasto a delle belve feroci. Gli dei dell’Olimpo, dispiaciuti per l’accaduto, crearono dai resti del ragazzo un fiore che ne riproduceva l’incredibile bellezza e che richiamava il suo apparato riproduttivo, “causa” della sua morte. Tutt’oggi l’orchidea E t C e t e r a M a jo r a n a

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LA CAMELIA La camelia è un arbusto ornamentale, in passato diffuso in Cina e Giappone. Fu proprio il famoso naturalista Linneo ad attribuirle questo nome in onore di Joseph Kamel, missionario e botanico che aveva a lungo studiato la flora orientale e che per primo aveva importato il fiore in Europa. Benché fosse già da tempo conosciuta in Oriente, la camelia si diffuse in Francia e negli altri paesi occidentali solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, grazie alla pubblicazione del celebre romanzo di Alexandre Dumas figlio “La Signora delle camelie”. Il titolo dell’opera allude A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


C U LT U R A all’abitudine della protagonista, Marguerite, di portare con sé durante le uscite pubbliche delle camelie rosse o bianche. Questa, essendo una cortigiana, si serviva di quel simbolo floreale per indicare ai clienti i giorni in cui fosse “disponibile” e quelli in cui fosse “indisposta”. La scelta di questo fiore per il romanzo di Dumas non fu affatto frutto del caso: per i Giapponesi infatti la camelia era simbolo di una vita stroncata, poiché durante la sua sfioritura i petali non cadono uno dopo l’altro, ma il fiore si stacca intero dallo stelo. La nascita e il significato della camelia vengono spiegati dalla mitologia giapponese attraverso la storia di Susanowo, dio del vento, delle piogge e degli uragani. Susanowo era costretto a vivere in un regno governato da un terribile serpente, il quale pretendeva che ogni anno gli venisse offerta in sacrificio la giovane più bella del paese. Il dio, non potendo più sopportare la tirannia del serpente, creò una spada, all’interno della quale imprigionò un raggio di sole, e si recò alla grotta del mostro con l’intenzione di ucciderlo. Una giovane ragazza stava per essere sacrificata, quand’ecco che Susanowo cominciò a combattere il serpente fino a E t C e t e r a M a jo r a n a

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colpirlo mortalmente. Il dio del vento allora chiese alla giovane di sposarlo, poggiando a terra la spada insanguinata. Da quelle gocce di sangue nacque l’arbusto della camelia, simbolo del sacrificio di ogni giovane vita, in ricordo di tutte le ragazze uccise dalla terribile creatura.

IL PAPAVERO La parola “papavero” potrebbe aver avuto origine dal sanscrito e il suo significato letterale sarebbe, in tal caso, “fiore dal succo cattivo”. Si pensa che anticamente gli sia stato attribuito questo nome a causa degli effetti provocati dalla sua consumazione. Il papavero è un fiore la cui storia affonda le radici in un passato molto lontano, A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


C U LT U R A infatti già le civiltà mesopotamiche e quella egizia erano solite utilizzarlo come sedativo. Per gli antichi greci questo fiore era il simbolo dell’oblio e del sonno, tant’è che Morfeo, il dio dei sogni, veniva talvolta rappresentato con un mazzo di papaveri fra le mani. Sempre nella mitologia greca, era associato a Demetra, dea della terra e delle messi, e simboleggiava, insieme alle spighe di grano, la rinascita e la fertilità della terra. I papaveri sono inoltre da sempre associati, per il colore rosso, al sangue e alle guerre. Nella tradizione mongola si narra che Gengis Khan portasse con sé semi di papavero da spargere sui campi di battaglia dopo le vittorie, in modo da ricordare i caduti. Ancora oggi il papavero è un simbolo delle catastrofi legate alla guerra: in Inghilterra, per esempio, è tradizionalmente associato alla prima e alla seconda guerra mondiale e tutti gli anni, durante il Remembrance Day, le vittime sono ricordate portando all’occhiello un papavero rosso.

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T A N G A N Y IK A LAU G H TER E P ID E M IC V E R O N IC A G U A R IS C O , 2 D

Over the course of history, it hasn’t always been viruses and pathogens which have caused epidemics, but also uncontrollable laughter. Although 1962 was a year known for events such as the beginning of the Second Vatican Council, the death of Marilyn Monroe and the nationalization of electricity, another episode dates back to that same period that the most common yearbooks don’t contemplate, known as the “Tanganyika laughter epidemic”. On January 30, in a girls’ school in Tanzania, three students began to laugh at the utterance of a joke, of E t C e t e r a M a jo r a n a

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which we will probably never know the content. In just a few minutes, the pervasive giggle had already taken 95 damsels, infecting everyone present with joy. Incredibly, the laughing wouldn’t stop. In the following hours, the number of students crying with laughter had risen to 159, so many that the institute was forced to close to block the contagion. Despite the apparent joviality of the situation, it was accompanied by potentially-severe symptoms: itching, pain, fainting, shortness of breath. The measures adopted to hold back the situation hadn’t been enough, since A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


C U LT U R A it continued to spread to the nearby village of Kashasha, on Lake Victoria. The school building only reopened 4 months later, in June, however, it had to close its doors again after 30 days, when a middle school near Bukoba became the hotbed of a new laughter epidemic. The origin of the “virus of happiness” has never been discovered, but several luminaries have tried to investigate its less obvious causes. One of the most accredited theories belongs to Mr. Charles Hempelmann of Purdue University, Indiana, who connected the event with the stress that developing countries are often subjected to. In his opinion, the weight of responsibility the youth was invested with that year, when Tanganyika obtained independence from the United Kingdom, has exponentially increased the already persistent mental fatigue. So, should we deduce that nervousness equals hilarity? Whatever the case may be, do not be afraid to be infected by a bit of healthy humor because, in the vast majority of cases, it doesn’t manifest itself to vent to a condition of repressed hysteria, but because of an impetuous desire to live caused by the perilous E t C e t e r a M a jo r a n a

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viral pandemic load. Renowned scientists support the healing power of laughter: it would be the panacea to all evil and among other things it would have the ability to counteract depression, strengthen the immune system and prevent cardiovascular diseases. And, as Phyllis Diller said, remember that a smile is a curve that sets everything right.

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M A N IF E S T O

C O N T R O L’ID E N T IT À B E L IS A R IO C A W L

L’identità è un’idea che ha accompagnato l’uomo fin dalla sua genesi. Essa è il cardine di molti dei nostri ideali, persino dell’ideale di “stato-nazione” su cui si basa tutta la cultura occidentale a partire dall’Ottocento. Eppure, nonostante l’evidente importanza di questo concetto, la sua definizione è sempre restata decisamente nebulosa: c’è chi la attribuiva ai legami di sangue, discriminando biologicamente i vari membri di una collettività; chi alla tradizione e alla cultura, gli ipotetici collanti alla base di una nazione. Tuttavia è possibile notare come tutte tali definizioni dimentichino un aspetto fondamentale, un aspetto che deve essere preso in considerazione: l’individuo. Cosa è l’identità, se non il tentativo dell’ego di reclamare la propria indipendenza? Essa non è altro che la proiezione E t C e t e r a M a jo r a n a

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dell’egoismo sulle interazioni sociali, un appiglio che l’individuo istintivamente genera per sé stesso atto ad evitare l’orrore dell’omogeneità. Tutte le definizioni precedenti non sono altro che il camuffamento della dimensione personale dell’identità per poterla accettare in buona coscienza: solo negando come essa non sia altro che una pulsione egoistica, attribuendole dunque una valenza collettiva, è possibile accettarla totalmente. L’identità non è un concetto nobile, un fattore comune che lega gli uomini, bensì una discriminante tra di essi che genera odio. Odio che germina non solo tra un gruppo identitario e il successivo, ma tra l’Io e l’altro, determinando una frattura insanabile. L’idea di identità è antitetica a quella di società. La spinta ad entrare in una collettività organizzata deve derivare dal A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


M A N IF E S T O desiderio di bene reciproco, completo e fondamentalmente altruista nei confronti di ogni singolo essere umano, un fine messo a rischio fin dalle fondamenta dal totale egoismo della pulsione identitaria. Solo la comprensione del germe autodistruttivo intrinseco a questa idea e il suo radicale rifiuto può permettere all’umanità di raggiungere lo stato di pace assoluta che tanto anela, considerando questo periodo storico in cui, più che in passato, l’appello all’identità ha mostrato il proprio volto in-

sanguinato. È infine necessario scardinare il valore che viene naturalmente attribuito alla identità e alla diversità che da essa deriva: il valore dell’uomo non deriva da chi egli sia o da che cosa lo renda “unico”, ma da come egli investe il proprio tempo, la propria fatica e le proprie capacità. Il vero metro di giudizio attraverso cui analizzare l’uomo è il bene di tutti, indipendentemente da chi lo abbia compiuto.

“Perchè essere come moltitudini di deboli pesci quando si può abbracciare l’unica mente incorruttibile del kraken?”

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O G G I, N E L L A S T O R IA

L’1 A P R IL E T U C ID ID E , 4 B

1748

L’antica città di Pompei torna alla luce grazie all’intervento miracoloso dell’arcangelo Gabriele di Borbone.

1789

Viene pubblicato per la prima volta EtCetera, il giornalino degli studenti.

1888

Adamo mangia la mela, senza il permesso del papà.

1924

Adolf Hitler è condannato a centosei anni di prigione per la sua partecipazione al Putsch della Birreria.

1938

La svizzera Nestlé commercializza schiavi.

1976

Michail Gorbačëv fonda la Apple Computer.

1985

Steve Jobs diventa leader dell’Unione Sovietica.

2002

Nei Paesi Bassi entra in vigore la legge che consente l’eutanasia.

2004

Google pubblica il servizio adware di posta elettronica Liberomail.

2022

Nasce Marco Panesale, nuovo sindaco di Desio.

2027

Muore Silvio Berlusconi, detto il Cavaliere .

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A N IM A L E D E L M E S E

EM Ù A N G E L IC A P E L L E G R IN O , 1 A

L’essere che per questa edizione rappresenterà l“Animale del Mese” è l’emù. Questo uccello non è il solito animale che vi presento, infatti questo uccello non è una creatura sconosciuta, che alberga in luoghi ancora più ignoti di lui. Al contrario: è abbastanza noto. Gli enormi occhi vitrei e il corpo che ricorda uno Swiffer E t C e t e r a M a jo r a n a

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sporco non lo rendono l’animale più amato nel mondo, tuttavia vi illustrerò in dettaglio la sua vita. L’emù, secondo uccello per altezza, è un animale dai comportamenti particolari. Questa creatura australiana è infatti caratterizzata da una personalità difficile; infatti numerosi sono i casi in cui si sia rivelato aggressivo e A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


A N IM A L E D E L M E S E poco disponibile a contatti con l’uomo. Un esempio può essere il comportamento di un esemplare maschio nei confronti dei suoi piccoli: l’emù, se minacciato, non esiterà ad utilizzare come arma il becco appuntito. Un’altra prova inconfutabile della sua impetuosità e asocialità, è un evento storico che ha segnato l’Australia: La Guerra degli Emù. Questo conflitto non vede solo come protagonista il nostro Animale del Mese, ma riconosce la partecipazione di militari e contadini. Nella “Guerra degli emù” si narra di numerose spedizioni, agguati e l’utilizzo di mitragliatori dal fronte umano; da parte dello schieramento piumato, invece, si vede la distruzione dei raccolti australiani e l’uso delle potenti zampe, capaci di rendere gelose le più alte modelle di Victoria secret. Nonostante la massiccia distribuzione di armamenti nelle zone rurali dell’Australia, la vittoria fu degli emù, che, continuando a seminare gli assalti umani, sottomisero il fronte nemico e tormentarono i sogni di tutti i contadini australiani. Questa guerra ci insegna molto a propE t C e t e r a M a jo r a n a

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osito del comportamento di questi uccelli, ma soprattutto ci spinge a far tesoro di una lezione fondamentale: non fare mai arrabbiare un pennuto di 1,7 metri di altezza con lo stesso sguardo arrabbiato di tua nonna quando le dici di essere pieno. LO SAPEVI CHE: esiste una pagina wikiHow su come difendersi da un lontano cugino dell’emù: lo struzzo LO SAPEVI CHE: l’emù emette delle vocalizzazioni percepibili da 2 km di distanza LO SAPEVI CHE: Il totale di emù esistenti in Australia è di 75 000 esemplari A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


N A R R A T IV A

D A R K P IL L S :

C AT R A M E IL A R IA M A R T U C C I, 2 D

Un uomo sulla trentina percorreva a passo spedito una stradina d’asfalto in mezzo al bosco. Abitava in un piccolo paese che nasceva sopra ed intorno ad una piccola collina, immersa nei boschi e attraversata soltanto da quel viottolo poco affidabile che collegava quasi tutte le casette, dalla chiesa sulla cima fino al piccolo supermercato che si trovava lontano dal centro. Sui versanti e ai piedi della collina, c’erano decine di casette addossate l’una sull’altra che risplendevano alla luce perlacea della luna. Era un paese di pochi abitanti, la maggior parte in su con l’età, quindi non era strano che, a quell’ora della notte, tutto fosse immerso nel silenzio: gli unici rumori erano lo scricchiolio delle foglie a causa del venticello e il suono E t C e t e r a M a jo r a n a

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dei tacchi delle scarpe dell’uomo che sbattevano contro l’asfalto ad ogni suo passo. L’uomo era alto e magro. Sebbene avesse spalle abbastanza robuste e larghe, in quel momento le teneva incassate. Il suo viso affilato era profondamente preoccupato e i suoi occhi, di un azzurro turbolento, saettavano da una parte all’altra del sentiero. La sua pelle era estremamente pallida, dalla sfumatura quasi grigia: sembrava malato, poiché il suo viso, soprattutto sotto gli occhi, sulle palpebre e sulle guance, era solcato da sottili capillari scuri, nei quali passa il sangue, e che, a causa della strana trasparenza della sua pelle, si intravedevano più del normale. Si stringeva nel cappotto, non per il freddo ma per il timore. Era un uomo abbastanA p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


N A R R A T IV A za impressionabile e aveva paura delle ombre degli alberi, che creavano figure mostruose. Da giorni era malato. O almeno così dicevano i suoi concittadini. Da giorni aveva paura. Si era addormentato e svegliato con un peso sulla spalla, un alito gelido sul collo, un avvertimento invisibile, che solo lui aveva potuto cogliere. Dapprima sentì solo un fruscio, che lo seguì per diversi minuti. Un ramo si spezzò e il suo rumore risuonò eccessivamente forte nel silenzio notturno: una condanna di morte. L’uomo si fermò, paralizzato dalla paura, e chiuse con forza gli occhi. Lo sapeva? Come faceva ad esserne così certo? Eppure sapeva che non c’era più modo di tornare indietro. Si sentì afferrare un piede, in una potentissima morsa, che gli spezzò istantaneamente le ossa della caviglia: sentì le schegge trapassargli la carne e la pelle squarciarsi. Cadde a terra con un tonfo, sbattendo le scapole sull’asfalto. Aprì la bocca per urlare. Ma non ne uscì alcun suono, sembrava esserne totalmente incapace: ormai non aveva più il potere né il diritto di emettere alcun suono, di dare voce alla sua sofferenza. Il dolore si propagava dalla caviglia e risaliva la gamba, insinuandosi nel suo venE t C e t e r a M a jo r a n a

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tre fino al petto. I polmoni sembravano appesantiti dal catrame: veniva assorbito dalla carne. Il liquido gli si infilava tra le fibre muscolari e gli faceva scoppiare capillari su tutto il corpo, riempiendo la pelle di orribili segni, simili a gocce di sangue che si dilatavano sottopelle. Non c’era niente di più orribile dell’impossibilità di urlare. Piangeva. I rumori del bosco non erano cessati. Ma era stato deciso che lui non potesse chiedere aiuto. Qualcosa sembrava stringergli la gola: non riusciva quasi più a respirare nel tentativo di urlare. E lo sapeva che era inutile, ma si sarebbe lacerato gola per cercare di farlo. Un corpo pesante e lungo strisciò sul suo addome, rischiando di spezzargli la cassa toracica, e un’ombra gli oscurò la visuale della luna. Due occhi gialli luccicavano nell’oscurità. E le pupille sottili come aghi lo osservavano con ferocia. Qualcosa di estremamente appuntito gli lacerò il petto, strappando vestiti e carne. Il mostro abbassò la testa sulle ferite e, fatta sibilare la lingua biforcuta, leccò il sangue lentamente, contorcendo il corpo dalla gioia. L’uomo roteò gli occhi all’indietro per il dolore che le ferite aperte gli provocavano: ormai non mancava molto. A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


N A R R A T IV A Sotto la sua pelle, sul viso e sul collo, la carne sembrava putrefatta. Spalancò la bocca un’ultima volta, poi il catrame gli bloccò completamente la gola. Dagli occhi, scendevano lacrime nere come la pece e dalla bocca, un rivolo di veleno percorse il mento ed il collo: il liquido riluceva al bagliore tenue della luna. Possibile che anche quella stesse morendo? Il cadavere fu trascinato tra le ombre degli alberi, dove scomparve.

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N A R R A T IV A

IL C L U B IN V E S T IG A T IV O E

IL C A S O D E L L A D AM A RO SSA IL A R IA S O R R E N T IN O , 1 c c

Capitolo 7 Giocando con un assassino 2 giugno 2018, ore 17:00 -Dobbiamo andare Jim!-Jane, questa mi sembra una pessima idea. Se rapisci una persona, poi non mandi una lettera con scritto il posto dove l’hai nascosta, non trovi?! Se andiamo lì faremo esattamente ciò che vuole-Ma ha rapito Tom e Beth, noi dobbiamo andare! Nonostante cercasse disperatamente un’altra soluzione, Jim si convinceva sempre più che fare ciò che la lettera diceva era la loro unica opzione. E t C e t e r a M a jo r a n a

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-Va bene. Ci rivediamo ai margini del bosco tra un’ora. Porta delle torce. Presto farà buio e avremmo bisogno di una luce per attraversare il bosco. Annabeth stava uscendo. Erano appena le sette di mattina. Stava andando a prendere dei pasticcini per la colazione, quando accadde l’impensabile. Stava girando la chiave nella serratura per chiudere la porta di casa. Sentì solo un dolore lancinante alla testa, poi il buio. Cosa le era accaduto? Sentiva il rumore di ruote sull’asfalto, voci lontane e il cinguettio dei passerotti. Poi più nulla. La macchina si fermò. Dove? Cosa sarebbe successo poi? Beth A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


N A R R A T IV A non osava immaginarlo. Si risvegliò in uno scantinato. Le pareti erano ricoperte dalle macchie dell’umidità. Il locale era illuminato solo da una piccola lampadina, che ogni tanto tremolava, facendo assumere al luogo un aspetto più inquietante di quanto non lo fosse già. La testa le faceva ancora male e le orecchie le fischiavano terribilmente. I polsi e le caviglie erano legati a una sedia con una spessa corda che le segnava la pelle. Lo schienale della sua sedia era appoggiato a un altro. C’era qualcun’altro con lei, che lei non poteva vedere. -Stai bene Beth?Riconobbe subito la voce: era Tom. Beth annuì: - Ti ricordi come ci sei finito qui?-No, ricordo solo di essere uscito di casa e poi essermi svegliato qui-Non importa. Ora dobbiamo capire come uscirne -Se solo avessimo qualcosa per tagliare queste corde... Beth fu colta da un’improvvisa illuminazione: -Le chiavi! Ho le chiavi nella tasca della felpa, se solo riuscissi...Beth piegò il polso, e nonostante il dolore, riuscì a sfilare dalla tasca le chiavi. E t C e t e r a M a jo r a n a

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-Eccole! Ora te le passo, tu prova a vedere se riesci a sfilacciare le corde, ok? Cercò di passargliele, ma fece un movimento troppo brusco e le chiavi caddero sul pavimento. Una lacrima scese sulla guancia di Beth. La loro unica speranza di liberarsi...avrebbe dovuto fare più attenzione. -Beth... non è colpa tua. Ascoltami, ti prometto che usciremo da quiCome concordato, un’ora dopo Jane e Jim si ritrovarono ai margini del bosco. Erano appena le sei di sera, e già il cielo si tingeva dei colori del tramonto e il sole si preparava a lasciar posto alla luna e alle stelle. La lettera che avevano ricevuto diceva chiaramente che i loro due amici si trovavano in uno scantinato di un piccolo rudere nel bosco. Se volevano ritrovarli, dovevano seguire attentamente tutte le istruzioni. C’era anche scritto che avrebbero trovato un indizio nella cavità di un albero. -Come faremo a trovare questo indizio? Siamo in un bosco: ci sono centinaia di alberi!Jane stava per concordare con il suo amico, ma poi vide un nastro rosso sventolare attaccato a un ramo. Corse A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


N A R R A T IV A in quella direzione e quando arrivò vicina all’albero, si accorse di una piccola cavità nel tronco: all’interno spiccava una busta color rosso vivo. L’aprì velocemente e ci trovò una mappa con una serie di X rosse segnate. Intanto Jim l’aveva raggiunta e ora osservava con lei la cartina: - Quindi stiamo giocando a una caccia al tesoro con un assassino?!- Sì Jim, e questo assassino ha i nostri amici. Quindi vedi di leggere bene questa mappa. Perché non voglio pensare cosa potrebbe accadere a Beth e Tom se non arriviamo in tempo. Gli passò la mappa e cominciarono a incamminarsi verso la nuova meta. Una figura alta e magra entrò dalla porta e si diresse verso i due ragazzi. Annabeth non poté vederla in faccia, poiché indossava una maschera, ma la riconobbe: era una donna bionda, con gli occhi azzurro ghiaccio, gli stessi occhi che l’avevano guardata alla casa abbandonata quel giorno. Era la stessa donna. Con tutto il coraggio che le era rimasto, chiese la cosa più inutile possibile: -Chi sei? La donna la squadrò dalla testa ai piedi, e cominciò a ridere. I suoi occhi brillavano di una strana luce, che fece E t C e t e r a M a jo r a n a

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venire i brividi a Beth. -Cara ragazzina, temo che per rispondere a questa domanda ci vorrà molto tempo. Ma non temere, risponderò, a tempo debito. Mancano ancora due ospiti. La donna si chinò e prese le chiavi. Poi uscì dalla porta. -Tom i due ospiti di cui stava parlando...-Jane e Jim...Stavano camminando ormai da ore. Gli ultimi raggi avevano lasciato il posto alle tenebre e le prime stelle iniziavano a comparire. Il cammino dei due ragazzi era illuminato solo dalla fioca luce delle loro torce. In lontananza videro un altro nastro rosso mosso dal vento e cominciarono a correre in quella direzione. Jane era molto più veloce e non ci mise molto a superare Jim. Poi qualcosa brillò alla luce. Erano dei fili. L’albero era una trappola. Jim cercò di avvertire la sua amica, ma era già troppo tardi. Jane penzolava a testa in giù, legata a una caviglia con una corda saldamente intrecciata su un ramo. -Jane stai bene? -Secondo te? Prova te a stare appeso a testa in giù...-Ora ti tirò giù. A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


N A R R A T IV A Jim prese dalla tasca il coltellino di suo padre e cominciò a sfilacciare la corda. -Jim così cadremo entrambi giù lungo la collina, devi tagliare nell’altra direzione-Tranquilla, fidati di meLa corda si spezzò e, come previsto, si ritrovarono a rotolare lungo il pendio della collina. Alla fine la loro corsa si arrestò e si ritrovarono uno accanto all’altra con gli sguardi rivolti al cielo punteggiato di stelle. -Io ti avevo detto che sarebbe andata a finire così-La prossima volta ricordami di ascoltartiJim le diede una mano a rialzarsi e si incamminarono su per il pendio. Quando arrivarono di nuovo sul sentiero era ormai passata un’ora. Fortunatamente prima della caduta, Jane era riuscita a recuperare la seconda busta e ora si dirigevano verso quella che sembrava, almeno secondo la mappa, essere la loro meta finale. I primi raggi dell’alba cominciarono a squarciare il velo delle tenebre della notte. Jim e Jane camminavano facendosi largo tra i rami degli arbusti. -Jim posso farti una domanda? E t C e t e r a M a jo r a n a

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-Certo-Provi qualcosa per Beth? -E tu... Tu come fai a saperlo? -Sai non sono cieca. Te lo si legge negli occhi-Perché questa domanda? -Perché... niente lascia stareTra i due ragazzi calò il silenzio. Il sole ormai era sorto. Erano le sei del mattino. Probabilmente i loro genitori erano preoccupati, ma a loro interessava solo salvare i loro amici. -Jane perché mi hai fatto quella domanda poco fa? -Non l’hai ancora capito vero? Ti ho detto di lasciar stare -Jane aspetta...Jim le afferrò un polso e si ritrovarono faccia a faccia. -Ti ho fatto quella domanda...perché mi piaci Jim. Ma ora abbiamo perso già tanto tempo e Tom e Beth non ne hanno molto. Muoviamoci. Erano ormai le sette passate quando in lontananza comparve un piccolo rudere abbandonato. Corsero lungo la stradina e si ritrovarono davanti alla porticina di legno. Piante rampicanti ricoprivano le pareti esterne che cadevano a pezzi. La porta era socchiusa. Jane mise la mano sulla maniglia A p r ile 2 0 2 2 - N ° 8


N A R R A T IV A arrugginita e l’aprì. Si ritrovò faccia a faccia con due occhi glaciali, con una luce di cattiveria che la fece rabbrividire. E lì, davanti a quello sguardo di ghiaccio, si chiese se non fosse stato meglio ascoltare Jim e chiedere aiuto. Ma ora erano lì, e dovevano affrontarne le conseguenze.

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P O E S IA

S C R IV E R E E L IS A Z A C C A G N I, 2 c c

Per molte persone, proprio come per me, la scrittura è una fonte di sfogo e di ispirazione. Soltanto con delle frasi si riescono a racchiudere musicalità e parole. Ho voluto scrivere, sotto forma di poesia, che cos’è per me la scrittura. Mettendo come sfondo un paesaggio nero, che è la notte, come metafora delle persone che non capiscono il talento e la passione. Mentre tutti dormono, io scrivo, sto sveglia, come se il mondo fosse al contrario, tutti sono in prigione dentro ai loro sogni e io sono libera nella realtà. È notte: Il buio oscura la mia anima. Sto scrivendo. Il trucco cade delicatamente sui fogli. Il respiro mi trasmette ciò che penso. Una penna disegna Il rumore dei miei pensieri. Le mani afferrano la similitudine perfetta. L’inchiostro dimentica le lacrime E t C e t e r a M a jo r a n a

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P O E S IA versate da un’apparenza perdonata. Quella notte, Il silenzio parla. Il rumore tace. La vita si dispera. L’arte si libera. Sulle note di un amore mai provato. La realtà nasconde la finzione di un palcoscenico. L’immaginazione sprigiona le ali della Libertà. Un foglio di carta trascrive gli addii che le parole non riescono a dire.

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P O E S IA

SERA A N O N IM O

Una poesia non ha bisogno di essere contestualizzata: ogni lettore deve farla propria e adattarla alla proprio contesto. Una poesia deve innescare riflessioni personali, produrre interpretazioni differenti. Spero che la mia poesia riesca a perseguire questo scopo. Buona lettura :)

Passeggio Solo In una cascata di dubbi

Passeggio Solo In una cascata di dubbi

I pensieri vagano La natura dorme tempestosa I sospiri parlano A loro nessuno rispondere osa

L’amaro paesaggio costringe al sonno Ed io non so più chi sono E muoio nell’amalgama dei miei incubi Di cui tutti gli uomini sono succubi

Le tristi case sbuffano I cani bisbigliano L’ anima mia vaga silenziosa A lei nessuno rispondere osa

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Il buio investe delicatamente i tetti Tristo il viso Dalla sorte deriso E così da solo stetti

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P O E S IA

G IO C A T T O L O A N O N IM O

Io grido, urlo e piango ma non mi sentite; non mi udite quando parlo, non mi ascoltate, v’imploro ma m’ignorate; non mi vedete e se parlo ridete. Mi chiamate amico ma per voi non sono altro che un gioco.

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P O E S IA

P O E S IA IL N O N N O V IG IL E , 4 b b

Jolifanto bambla o falli bambla großiga m’pfa habla horem egiga goramen higo bloiko russula huju hollaka hollala/anlogo bung blago bung blago bung bosso fataka ü üü ü schampa wulla wussa olobo hej tatta gorem eschige zunbada wulubu ssubudu uluwu ssubudu tumba ba-umf kusa gauma ba – umf

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IN IZ IA T IV E

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E N T R A N E L L A R E D A Z IO N E ! M a n d a il t u o a r t ic o lo a e t c e t e r a m a j o r a n a @ g m a i l .c o m L e g g i la v e r s io n e d ig it a le s u i s s u u .c o m /e t c e t e r a m a j o r a n a

L A R E D A Z IO N E C A PO RED AT TO RE Luca Saracho

RED AT TO RI E C O LLA BO R ATO RI

Rebecca Marasco, Gioele Caprile, Majorisotto, Sofia Marcantoni, Giorgia Tiralongo, Pietro Cattaneo, Alessandro Balossi, Samuele Nava, Oliver Zocco, Silvia Violato, Letizia Zabadneh, Veronica Guarisco, Belisario Cawl, Tucidide, Angelica Pellegrino, Ilaria Martucci, Ilaria Sorrentino, Elisa Zaccagni, Nonno Vigile, Viola Oliverio, Giovanni Chinnici


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