3 minute read

Russofobia: il sonno dell’intelligenza

RUSSOFOBIA:

IL SONNO DELL’INTELLIGENZA

Advertisement

SOFIA MARCANTONI, 3H; GIORGIA TIRALONGO, 3bb

In una celebre massima, Lenin, per descrivere la Rivoluzione Russa, dice: “Ci sono dei decenni in cui non accade nulla. E poi delle settimane in cui accadono decenni”. Una frase che è possibile adattare anche a ciò che sta accadendo al giorno d’oggi. Il conflitto russo-ucraino ha risvegliato l’attenzione di tutti i media sulle atrocità della guerra: oltre alle vittime ucraine, anche la popolazione russa ha subito molte discriminazioni, soprattutto sul web, ma anche da parte di istituzioni internazionali, a tal punto da scatenare comportamenti russofobi a livello culturale. La crescita del sentimento di sfiducia nei loro confronti ha portato a gesti spesso discriminatori e ingiustificati, derivati da una riduzione semplicistica della popolazione russa alle decisioni del governo russo, che invece in molti casi non rispecchia la volontà del popolo. Risulta quindi ingiusto biasimare i russi delle aggressioni di Putin ai danni dell’Ucraina. Le mire nazionaliste e imperialiste, che in parte hanno spinto Putin ad avviare questa guerra, non infiammano gli animi di tutti i russi, che anzi hanno manifestato in numerosissimi ai cortei per la pace sin dall’inizio della guerra, anche rischiando l’arresto. Nonostante ciò, il sentimento russofobo si è rivelato anche in quei contesti che dovrebbero insegnarci ad apprezzare e rispettare ogni cultura, a partire dal mondo della musica, dello sport, dell’arte e della letteratura. L’Eurovision Song Contest ha deciso di escludere il cantante russo in gara e lo stesso ha fatto la UEFA con le squadre russe. Una sorte analoga è toccata al

fotografo Alexander Gronsky, che non ha potuto partecipare al festival della Fotografia Europea. Ma il caso che ha maggiormente fatto scalpore è stato quello di Paolo Nori, docente del dipartimento di studi umanistici IULM, che ha visto il proprio corso su Dostoevskij all’università Bicocca di Milano cancellato, onde “evitare polemiche” in merito alla situazione Ucraina, sollevando ulteriori polemiche. L’università è poi tornata sui suoi passi, riabilitando il corso. Lo stesso Nori, indignato, commenta: “Essere un russo è una colpa, anche essere un russo morto. Quello che sta succedendo in Ucraina è orribile, e mi viene da piangere solo a pensarci. Ma queste cose qua sono ridicole: un’Università italiana che proibisce un corso su Dostoevskij, non ci volevo credere. Bisognerebbe parlare di più di Dostoevskij. O di Tolstoj, primo ispiratore dei movimenti non violenti, molto ammirato da Gandhi che poi ha perfezionato la pratica. Questa cosa che l’Università italiana proibisca un corso su Dostoevskij per evitare ogni forma di polemica è incredibile”. A questo punto ci chiediamo se sia lecito condannare queste persone - sia vive che morte - e tutto il popolo russo in nome di dinamiche più grandi di noi e di loro. Si tratta, a parer nostro, di un grande errore che appiattisce ed esemplifica una situazione che merita invece di essere osservata a trecentosessanta gradi: è la dimostrazione di un annichilimento delle nostre facoltà di giudizio, di un “sonno dell’intelligenza” sempre più diffuso, causa dei comportamenti ingiustificati delle ultime settimane nei confronti della cultura russa e dei suoi esponenti. Che sia adatto o meno parlare di cancel culture - ossia la moderna damnatio memoriae - resta il fatto che queste decisioni non sono sicuramente il modo più corretto di esprimere il dissenso nei confronti della guerra, ma è invece il più indicato per fomentare sentimenti d’odio e discriminazioni nei confronti del popolo russo. La storia ci insegna sempre che il modo migliore per opporsi a questo tipo di situazioni sia quello di progredire invece che di arretrare culturalmente, in definitiva di imparare a conoscere profondamente chi ci stia davanti senza abbandonarci a superficiali critiche infondate.