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Contro l’Identità

BELISARIO CAWL

L’identità è un’idea che ha accompagnato l’uomo fin dalla sua genesi. Essa è il cardine di molti dei nostri ideali, persino dell’ideale di “stato-nazione” su cui si basa tutta la cultura occidentale a partire dall’Ottocento. Eppure, nonostante l’evidente importanza di questo concetto, la sua definizione è sempre restata decisamente nebulosa: c’è chi la attribuiva ai legami di sangue, discriminando biologicamente i vari membri di una collettività; chi alla tradizione e alla cultura, gli ipotetici collanti alla base di una nazione. Tuttavia è possibile notare come tutte tali definizioni dimentichino un aspetto fondamentale, un aspetto che deve essere preso in considerazione: l’individuo. Cosa è l’identità, se non il tentativo dell’ego di reclamare la propria indipendenza? Essa non è altro che la proiezione dell’egoismo sulle interazioni sociali, un appiglio che l’individuo istintivamente genera per sé stesso atto ad evitare l’orrore dell’omogeneità. Tutte le definizioni precedenti non sono altro che il camuffamento della dimensione personale dell’identità per poterla accettare in buona coscienza: solo negando come essa non sia altro che una pulsione egoistica, attribuendole dunque una valenza collettiva, è possibile accettarla totalmente. L’identità non è un concetto nobile, un fattore comune che lega gli uomini, bensì una discriminante tra di essi che genera odio. Odio che germina non solo tra un gruppo identitario e il successivo, ma tra l’Io e l’altro, determinando una frattura insanabile. L’idea di identità è antitetica a quella di società. La spinta ad entrare in una collettività organizzata deve derivare dal

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desiderio di bene reciproco, completo e fondamentalmente altruista nei confronti di ogni singolo essere umano, un fine messo a rischio fin dalle fondamenta dal totale egoismo della pulsione identitaria. Solo la comprensione del germe autodistruttivo intrinseco a questa idea e il suo radicale rifiuto può permettere all’umanità di raggiungere lo stato di pace assoluta che tanto anela, considerando questo periodo storico in cui, più che in passato, l’appello all’identità ha mostrato il proprio volto insanguinato. È infine necessario scardinare il valore che viene naturalmente attribuito alla identità e alla diversità che da essa deriva: il valore dell’uomo non deriva da chi egli sia o da che cosa lo renda

“unico”, ma da come egli investe il proprio tempo, la propria fatica e le proprie capacità. Il vero metro di giudizio attraverso cui analizzare l’uomo è il bene di tutti, indipendentemente da chi lo abbia compiuto.

“Perchè essere come moltitudini di deboli pesci quando si può abbracciare l’unica mente incorruttibile del kraken?”