7 minute read

Lettera al Majorana: Coscienza Pulita

ANONIMO

Tutti siamo al corrente del fatto che nella nostra Europa sia in corso una guerra (per chi non è aggiornato mi scuso per lo spoiler). Leggiamo i giornali (LI LEGGIAMO VERO?), guardiamo la tv, sappiamo degli orrori che da settimane i nostri fratelli in Ucraina subiscono. Si presume chiaramente che chi fra noi con un cuore nel petto, e che non sia quindi un mostro il quale si nutre di lacrime di orfani e anime di gattini morti, si sia chiesto cosa si possa fare per aiutare profughi e fuggitivi costretti a lasciare indietro la propria casa, i propri ricordi e un pezzo della loro vita. Con questa presunzione ero partita quando ho contattato per la prima volta uno dei rappresentati d’istituto per proporre un’idea che sarebbe potuta essere utile: in poche parole avremmo raccolto come scuola beni di prima necessità, farmaci, coperte, cibo che avremmo inviato al Consolato Ucraino e al Charity Fund “International Association for Support of Ukraine” per mostrare in modo concreto il nostro sostegno a persone che ne hanno bisogno. Insomma carino no? A quanto pare no. Già alla fase 1 del mio piano di conquista delle sedi del nostro liceo, che avrei occupato e messo a soqquadro coi miei scatoloni del male, con il solo scopo di dar fastidio alle collaboratrici scolastiche, ho riscontrato un piccolo -come dire- inciampo: io, studente qualunque e membro della plebe del

Advertisement

Majorana, presento un’iniziativa a parte del corpo rappresentante degli studenti e questo, invece che prendere le redini della situazione e condurre me e il mio disegno di sovversione assoluta degli ordini scolastici al successo, mi risponde -liberandosi elegantemente di ogni responsabilità- di consultare da me il prof Mori (salve prof). Qui aggiungo perciò la mia prima lamentela: a cosa serve avere dei rappresentanti di istituto? Nel senso (e qui mi prendo delle libertà stilistiche, tipo romanesco dei poveri) a me me piacciono ‘nsacco er copertina day, ‘e rose a San Valentino, vestisse da boscaioli e le foto di classe, ma se quando tu studente proponi ad un rappresentante - il cui lavoro sarebbe quello di fare da mediatore fra il corpo studentesco e il temutissimo consiglio d’istituto (*effetti speciali con cambi di luce e musica classica barocca molto drammatica) - un’iniziativa e questo invece che attivarsi si dice d’accordo e ti indica sostanzialmente d’arrangiatte (altra libertà stilistica romanesca), che fai? Io me ne lamento per esempio. E PUBBLICAMENTE ME NE LAMENTO. Fatto sta che, imperterrita, ho proseguito secondo i consigli del rappresentante e ho contattato il prof Mori. Qui nulla da dire, la fase 2 del piano è andata liscia; semplicemente il prof si è dimostrato molto disponibile, ma il verdetto sarebbe stato dettato dalla scelta della preside. Non restava che mettere in atto la fase 3, fase che ha segnato il mio fallimento. Lesta lesta (non molto a dire la verità, ma chi mi conosce sa che vivo la mia vita come un vecchietto al ricovero che sa che non deve correre da nessuna parte perché tanto ha l’artrosi e non può) ho scritto una mail alla nostra dirigente: “Gentile preside bla bla bla… aiutare Ucraina bla bla bla… letteralmente avere CONTATTI DIRETTI CON IL CONSOLATO UCRAINO E NON CON UN TALE A CASO NELL’EST bla bla bla… lista di cose utili, nome dell’organizzazione, indirizzo del punto di raccolta bla bla bla… grazie dell’attenzione le auguro una buona giornata”. La risposta è iniziata positivamente, tanto che mi sono illusa di aver adempito al mio compito di studente informato, volenteroso, pronto ad alzare il proprio gentil deretano dalla comodissima sedia di legno che sta in piedi per miracolo della mia classe per aiutare chi sta peggio di me; tuttavia il pro-

cedimento è andato pian piano sviluppandosi verso il disastro come una mia qualunque interrogazione. Fatto sta che per quanto lodevole fosse la mia proposta, la risposta è stato un figurativo schiaffo di una figurativa mano che si era scritta “eh eh eh no” sul palmo con la vernice fresca. Infatti, sono stata messa al corrente del fatto che la scuola è già impegnata in una raccolta fondi a supporto dell’Ucraina. Al che vi chiedo, miei lettori e colleghi: ma chi la sapeva ‘sta cosa? Cioè voglio dire, se vuoi coinvolgere gli studenti a donare soldi (cosa che già non stimola l’adesione di molti -vi vedo cari spilorci-) almeno abbi la decenza di pubblicizzare e promuovere la cosa, se no che effetto ha? Rispondo io, nessuno. Come non ha alcun effetto pratico leggere tre poesie per un quarto d’ora, perdere tempo a parlare, postare sulle storie di Instagram che sei contro la guerra o organizzare una conferenza da remoto alla quale, dopo anni di esperienza nella scuola, il 99% degli studenti non darà un’unghia della propria attenzione. Davvero pensiamo che agli ucraini che muoiono schiacciati dalle bombe e si vedono la propria essenza strappata via importi qualcosa delle nostre parole e dei nostri momenti di silenzio? Che se ne facciano qualcosa del nostro “supporto morale”, come scritto sulla circolare che presenta l’iniziativa già organizzata dalla nostra scuola? Le persone non hanno da mangiare, gli ospedali non hanno nulla con cui fasciare le ferite della gente aperta in due dallo scoppio delle bombe, le persone aspettano nei centri d’accoglienza al freddo con gli occhi vuoti e disillusi, abbandonata ogni speranza. Ma noi certo parliamo. Comodi nella nostra routine, protetti dalla sicurezza che tanto la guerra non è affar nostro, we spread awareness discutendo e dibattendo, per poi lavarcene bellamente le mani come Ponzio Pilato. Ma non è solo questo che ha scatenato la mia rabbia repressa di adolescente che non ha nulla di meglio da fare che cercare di rendere l’attivismo davvero attivo e non solo un insieme di vane parole. Si dà infatti il caso che la raccolta fondi, lanciata dall’hashtag “#HelpUkraine”, sia curata da AVSI. Chi sarà mai questo AVSI ci chiediamo in molti; o almeno io me lo sono chiesta essendo del tipo anarchico-poco-informato.

Dopo approfondite ricerche nei meandri più oscuri del web ho potuto scoprire che la campagna #HelpUkraine di AVSI è sostenuta da un’ulteriore associazione, Compagnia delle Opere, citata dal sito stesso dell’AVSI. Letteralmente, punto a capo, cioè chi sono questi? Sempre il nostro carissimo Google mi ha portata ad un’ulteriore scoperta, che cito scopiazzando spudoratamente: “La CdO è un’associazione imprenditoriale d’ispirazione cattolica legata a Comunione e Liberazione […] fu ispirata dal fondatore della stessa (Comunione e Liberazione), don Luigi Giussani”. Un bel sospiro. Mi chiedo se in una situazione di emergenza internazionale sia quindi la soluzione migliore scegliere un’organizzazione con tale struttura e tale identità ben precisa, o se sia meglio affidare gli aiuti direttamente a un fondo di carità ucraino che opera nello stato in cui la guerra è in corso e che soprattutto è supervisionato dal Consolato stesso. Cosa insegna una scuola laica (almeno sulla carta), che cerca di mantenere un’immagine di decorosa e assolutamente corretta neutralità in ambito politico e religioso, affidando la raccolta dei soldi dei propri studenti ad un’associazione che, diciamocelo chiaramente, è di parte? E che cosa gli insegna quando, vedendo gli studenti prendere a cuore una causa e attivarsi al riguardo, rifiuta di far partire la loro iniziativa perché ce n’è già una in corso? Non insegna nulla; ci fa capire che la nostra scuola è pronta a far vedere la propria bella faccia, ma non a sporcarsi le mani; ci fa capire che la parola degli studenti non ha un peso, che l’uso delle loro menti per fare altro che consumarsi fino all’esaurimento per uscire con un bel voto alla maturità non è preso in considerazione; che la scuola vuole mantenere alto il proprio nome, a costo di allontanarsi dalla propria natura originaria e accomodarsi sugli allori. Tanto le nostre conferenze le abbiamo fatte, le nostre discussioni pure, abbiamo la coscienza pulita. Comodamente, dalla poltrona nel nostro ufficio, abbiamo compilato un assegno, abbiamo fatto un bonifico all’associazione scelta da tutti fuorché dal popolo del nostro istituto e possiamo tornare alla nostra routine. Tanto la guerra è lontana.

Majorani, o almeno quelli che non hanno ancora fatto gli aeroplanini di carta con queste pagine, il mio è un appello per spingervi a riflettere: la vogliamo una scuola che si fa entrare le nostre parole da un orecchio e se le fa uscire dall’altro? La vogliamo una scuola che davanti alla voglia di fare dei suoi studenti si gira dall’altra parte? Siamo d’accordo con le idee di questo luogo che non solo è dove studiamo, ma anche dove cresciamo e diventiamo adulti, e col fatto che esso non sia interessato in alcun modo a farci effettivamente decollare verso una crescita non solo accademica, ma soprattutto personale?

Riflettiamo, Majorani!