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Essere queer al Majorana

MAJORISOTTO

Era quasi un mese fa, quando abbiamo fatto un minisondaggio per sapere di come si trovano le persone trans al Majo. Era quasi un mese fa, quando abbiamo ricevuto molte più risposte di quante potessimo mai aspettarci. Era quasi un mese fa, quando abbiamo scoperto che la situazione è molto più tragica di quello che credessimo. Erano quasi due settimane fa quando, sconcertati, ci siamo sentiti in dovere di fare un breve post su Instagram per commentare quello che abbiamo ricevuto. Erano quasi due settimane fa quando le risposte sono diventate quasi il doppio. Erano quasi due settimane fa quando siamo stati ringraziati da più persone per quel post. Ma ora, è difficile pensare. È difficile crederci, ancora di più di prima. Per scrivere questo articolo abbiamo riletto tutte le risposte. La situazione è ancora peggiore di quanto avevamo pensato originariamente. Ciò detto, penso sia importante dire che non c’è rancore, né da parte nostra, né da quella di chi ci ha scritto. Cito (ancora) una frase che ci è stata mandata, forse una delle prime: “C’è tanta ignoranza, e l’ignoranza fa male. Fa male a noi, che la subiamo, che ci ferisce. Ma fa male anche a loro, ai transfobici accidentali. Non hanno colpe. Sono solo stati cresciuti così.” Quando ho chiesto agli studenti di parlarmi del Majorana, prima di venire, mi è stato descritto come un ambiente inclusivo. Ed effettivamente lo sto vivendo come un ambiente inclusivo. Ma chiaramente per molti non

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è così. Anche la semplice tolleranza, per molti, è un sogno. Una delle prime risposte è di un’ex-studentessa, che ha cambiato scuola tre mesi dopo l’inizio del suo primo anno scolastico. Cita come ragione principale l’essere bullizzata “solo perché volevo che i [suoi] compagni non [la] riempissero inutilmente di disforia” (per chi non lo sapesse, in contesto queer “disforia” si riferisce di solito alla disforia di genere, letteralmente lo sconforto conseguente ad un’incongruenza tra la propria identità di genere e il proprio sesso biologico alla nascita) chiedendo che fosse usato il femminile. Qualcuno ci ha detto che, nonostante il bullismo, la violenza, gli insulti, è rimasto in questa scuola sperando che succedesse qualcosa che facesse cambiare idea ai perpetratori. Diverse persone ci hanno raccontato come le persone che credevano amiche le hanno rifiutate, sapendo del genere dell’amico. Una ragazza ha deciso di provare a rimanere vicina alla sua migliore amica, nonostante questa la schifasse, e ha nascosto la sua identità a tutta la scuola. Ora ne parla solo online, dove i compagni non sanno che è lei. Abbiamo ricevuto anche i messaggi di quelli che in inglese si chiamano allies, gli “alleati”, insomma chi non è direttamente queer ma supporta la causa (o semplicemente ne è indifferente, che spesso basta). Messaggi che denunciano, con molta più freddezza di quelli vissuti direttamente, di aver assistito a molteplici episodi di violenza, di rifiuto dei compagni che non sono cishet. Messaggi che ammettono di non aver mai avuto il coraggio di denunciare. Messaggi che chiedono un aiuto per segnalare. Messaggi di offerta di sostegno, di supporto. Forse per nostra mancanza, non abbiamo considerato di chiedere le storie di chi è cis, ma non etero. Abbiamo comunque ricevuto messaggi da parte loro, (grazie ragazzi che avete provveduto a colmare la nostra lacuna) altrettanto terrificanti. Le modalità sono pressoché le stesse, e in fondo anche le ragioni, dalla transfobia all’omofobia non passa tanto. Potrei andare avanti scrivendo un paragrafo per ogni messaggio ricevuto, ma diventerebbe o un video di reaction in formato testuale, o una grande ripetizione degli stessi concetti. La prima domanda che ci è venuta è, banalmente, cosa si può fare? Banale è solo la domanda, quasi conseguenza degli orrori letti, ma la risposta è

tutt’altro che semplice. Non possiamo certo pretendere che la tolleranza sia innata. L’istinto animale ci porta a temere il diverso. Ma la tolleranza va cresciuta, va coltivata, va insegnata. Non pensiamo sia troppo tardi. Forse non è mai troppo tardi, ma decisamente le scuole superiori non sono tardi. La tolleranza non serve solo a scuola, la tolleranza serve nella vita. L’educazione alla tolleranza è educazione civica. Sarebbe stato meglio cominciare prima, certo, ma siamo ancora in tempo. Educare alla tolleranza non sradica certo il seme della queerfobia, ma può aiutare a ridurre il numero di seguaci della malsana idea che il diverso è pericoloso in principio. È un sogno, perché non si può non definirlo che sogno, ma è anche una speranza, è anche un invito, è soprattutto una necessità. Per una scuola più tollerante, più inclusiva (che alla fine significa che non supporta silenziosamente le violenze per la propria identità di genere, romantica o sessuale). All’articolo 1, comma 2 dello Statuto delle Studentesse e degli Studenti della Scuola Secondaria (DPR 249 1998), si dice che “La vita della comunità scolastica si basa sulla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione, sul rispetto reciproco di tutte le persone che la compongono, quale che sia la loro età e condizione, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale.” Nei doveri troviamo “Gli studenti condividono la responsabilità di rendere accogliente l’ambiente scolastico e averne cura come importante fattore di qualità della vita della scuola.” Per concludere, un po’ di dati. Abbiamo ricevuto 90 risposte. Di queste, 68 persone non si definiscono cis. 39 si definiscono uomini, 47 donne, 2 persone non binarie, 2 preferiscono non rispondere. 30 persone si definiscono non etero. 76 persone dichiarano di aver subito episodi di bullismo, violenza o molestie, collegate alla propria identità. 11 persone dicono di essersi trovate bene nella propria classe. 27 dicono che almeno uno studente nella propria classe li ha sostenuti nella loro ricerca di un’identità. In 22 non hanno mai detto alla propria classe di non essere cishet, in 48 non hanno detto di non essere cis ai professori. 87 persone chiedono che la scuola faccia qualcosa per ridurre gli episodi di rifiuto di chi è diverso. Le altre 3 preferiscono non rispondere.

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