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Dark Pills: Catrame
ILARIA MARTUCCI, 2D
Un uomo sulla trentina percorreva a passo spedito una stradina d’asfalto in mezzo al bosco. Abitava in un piccolo paese che nasceva sopra ed intorno ad una piccola collina, immersa nei boschi e attraversata soltanto da quel viottolo poco affidabile che collegava quasi tutte le casette, dalla chiesa sulla cima fino al piccolo supermercato che si trovava lontano dal centro. Sui versanti e ai piedi della collina, c’erano decine di casette addossate l’una sull’altra che risplendevano alla luce perlacea della luna. Era un paese di pochi abitanti, la maggior parte in su con l’età, quindi non era strano che, a quell’ora della notte, tutto fosse immerso nel silenzio: gli unici rumori erano lo scricchiolio delle foglie a causa del venticello e il suono dei tacchi delle scarpe dell’uomo che sbattevano contro l’asfalto ad ogni suo passo. L’uomo era alto e magro. Sebbene avesse spalle abbastanza robuste e larghe, in quel momento le teneva incassate. Il suo viso affilato era profondamente preoccupato e i suoi occhi, di un azzurro turbolento, saettavano da una parte all’altra del sentiero. La sua pelle era estremamente pallida, dalla sfumatura quasi grigia: sembrava malato, poiché il suo viso, soprattutto sotto gli occhi, sulle palpebre e sulle guance, era solcato da sottili capillari scuri, nei quali passa il sangue, e che, a causa della strana trasparenza della sua pelle, si intravedevano più del normale. Si stringeva nel cappotto, non per il freddo ma per il timore. Era un uomo abbastan-
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za impressionabile e aveva paura delle ombre degli alberi, che creavano figure mostruose. Da giorni era malato. O almeno così dicevano i suoi concittadini. Da giorni aveva paura. Si era addormentato e svegliato con un peso sulla spalla, un alito gelido sul collo, un avvertimento invisibile, che solo lui aveva potuto cogliere. Dapprima sentì solo un fruscio, che lo seguì per diversi minuti. Un ramo si spezzò e il suo rumore risuonò eccessivamente forte nel silenzio notturno: una condanna di morte. L’uomo si fermò, paralizzato dalla paura, e chiuse con forza gli occhi. Lo sapeva? Come faceva ad esserne così certo? Eppure sapeva che non c’era più modo di tornare indietro. Si sentì afferrare un piede, in una potentissima morsa, che gli spezzò istantaneamente le ossa della caviglia: sentì le schegge trapassargli la carne e la pelle squarciarsi. Cadde a terra con un tonfo, sbattendo le scapole sull’asfalto. Aprì la bocca per urlare. Ma non ne uscì alcun suono, sembrava esserne totalmente incapace: ormai non aveva più il potere né il diritto di emettere alcun suono, di dare voce alla sua sofferenza. Il dolore si propagava dalla caviglia e risaliva la gamba, insinuandosi nel suo ventre fino al petto. I polmoni sembravano appesantiti dal catrame: veniva assorbito dalla carne. Il liquido gli si infilava tra le fibre muscolari e gli faceva scoppiare capillari su tutto il corpo, riempiendo la pelle di orribili segni, simili a gocce di sangue che si dilatavano sottopelle. Non c’era niente di più orribile dell’impossibilità di urlare. Piangeva. I rumori del bosco non erano cessati. Ma era stato deciso che lui non potesse chiedere aiuto. Qualcosa sembrava stringergli la gola: non riusciva quasi più a respirare nel tentativo di urlare. E lo sapeva che era inutile, ma si sarebbe lacerato gola per cercare di farlo. Un corpo pesante e lungo strisciò sul suo addome, rischiando di spezzargli la cassa toracica, e un’ombra gli oscurò la visuale della luna. Due occhi gialli luccicavano nell’oscurità. E le pupille sottili come aghi lo osservavano con ferocia. Qualcosa di estremamente appuntito gli lacerò il petto, strappando vestiti e carne. Il mostro abbassò la testa sulle ferite e, fatta sibilare la lingua biforcuta, leccò il sangue lentamente, contorcendo il corpo dalla gioia. L’uomo roteò gli occhi all’indietro per il dolore che le ferite aperte gli provocavano: ormai non mancava molto.
Sotto la sua pelle, sul viso e sul collo, la carne sembrava putrefatta. Spalancò la bocca un’ultima volta, poi il catrame gli bloccò completamente la gola. Dagli occhi, scendevano lacrime nere come la pece e dalla bocca, un rivolo di veleno percorse il mento ed il collo: il liquido riluceva al bagliore tenue della luna. Possibile che anche quella stesse morendo? Il cadavere fu trascinato tra le ombre degli alberi, dove scomparve.