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Incanta(u)tori: Il mare è pieno di pesci

PIETRO CATTANEO, 3bb

Buon pesce d’Aprile! Sì, ma che pesce è il pesce d’Aprile? Il mare non è pieno di pesci, dopotutto? Non tutti i pesci sono uguali: c’è l’aringa, la sarda, lo sgombro. C’è il tonno, l’acciuga e lo spada. E poi, cosa rappresenta, questo pesce d’Aprile? Ci sono pesci e pesci: c’è l’ cristiano e chi nuota come un pesce, chi come un pesce è muto e chi è sano come un pesce. E poi ci sono anche gli indecisi, che non sono né carne né pesce. Nella nostra lingua, il pesce può simboleggiare innumerevoli cose, e tuttora ha la sua valenza emblematica anche nel nostro cantautorato: c’è chi ha scritto “Le acciughe fanno il pallone”, chi è Nata sotto il segno dei Pesci. E poi c’è chi Mangia pasta col tonno. E infine, c’è Gianmaria Testa con la sua “20 mila leghe (in fondo al mare)”. Gianmaria Testa, scomparso nel vicino 2016 all’età di 57 anni, è stato un ineccepibile cantautore italiano, nonostante - dacché nessuno è profeta in patria - abbia avuto molto più seguito all’estero, specialmente in Francia e Svizzera. Nella propria produzione artistica, ha però sempre seguito con profonda sensibilità i dilemmi sociali della Penisola, interessandosi con fervore agli ultimi e in particolare ai migranti. La sua discografia conta il modesto numero di 10 album, che si distinguono

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per l’inimitabile effetto prodotto dalla sua voce, ora dolce ora decisa, sempre profonda, insieme a strumentali limpide e semplici. 20 mila leghe (in fondo al mare) è una ballata pubblicata nel 2011 con l’album “Vitamia”. Coi suoi sussurri malinconici, racconta la “febbre secessionista” che invade prima gli oceani e poi i mari, i golfi e così via: ciascuno vuol veder riconosciuto se stesso, finché gli atomi della molecola H2O vorran distinguersi tra loro, decretando la scomparsa dell’acqua stessa. (Testo a seguito dell’articolo) La canzone, è vero, si oppone esplicitamente alle tendenze secessioniste padane, che solo pochi anni fa eran ben più popolari che ora; eppure, ha un messaggio di gran lunga più universale, su cui credo sia il caso di soffermarsi con più attenzione. È infatti chi ha chiaro in testa un paradigma orientato al bene che riesce a declinarlo di conseguenza, e non è un caso che Testa non faccia un solo passo nella direzione di spiegare cosa rappresentino “con precisione” le onde del suo mare: sta a noi sceglierlo volta per volta. Nella sua premura, Testa non ha voluto spiegarci la soluzione, bensì la regola. Difatti, al di là delle sue motivazioni economiche, alla radice un ideale secessionista è frutto di un pensiero tanto di moda al giorno d’oggi: quello di correre al riparo per definire se stessi ad ogni costo. E va da sé che, nella foga di darsi un nome, si scelga la via più semplice: chiarire la propria identità non per se stessi, ma in opposizione agli altri; non associandosi, ma dissociandosi. «Non sono B, sono non-A». Corollario di questa scelta ragionativa è il motto “Amicus meus, inimicus inimici mei”.

È corollario di questa scelta ragionativa anche la “febbre secessionista”. Il secessionismo asseconda infatti la nostra sempre più gravosa urgenza di fare posto all’individualità nella comunità: cominceremo separando gli oceani e forse alla fine arriveremo a separare atomi tra loro. Questo speriamo. Speriamo questo dimenticando il valore che uno , un animale sociale come l’uomo, fonda la propria stessa individualità sulla società. Speriamo questo dimenticando soprattutto che se il primo passo che cerchiamo è affermare “io sono diverso

dagli altri”, l’immediata conseguenza che ne deriverà sarà un “gli altri sono diversi da me”. E quindi? E quindi, ricordiamoci che il mare non è pieno di aringhe, sarde e sgombri. Il mare è pieno di pesci. E quindi teniamo duro. C’è una guerra fratricida alle porte d’Europa, ma altrettanto fratricida è il rifiuto alla richiesta di aiuto di chi ne scappa, di chi scappa da qualsiasi altra guerra, di chi scappa e basta. Non solo ora, ma anche tra un mese, quando la guerra fratricida non sarà più una novità. Non solo ora, ma anche quando la guerra fratricida sarà un brutto ricordo. Et nunc, et semper, et in saecula saeculorum. E qui non si scherza. Buon pesce d’Aprile.

Il primo fu Capo di Buona Speranza Chiuso per legge e decreto speciale Che la smettessero le onde pacifiche D’imbastardire quell’altro mare

Poi fu la volta di Panama e Suez E quindi del Bosforo e di Gibilterra Ogni maroso pretese il rispetto Della sovrana indipendenza

Niente più scambi di acque e di pesci Niente più giri del mondo in veliero Tutti i canali rimasero chiusi A qualunque passaggio di flutto straniero

Così per un poco tornarono chete Le acque dei mari di tutto il pianeta Ma non durò molto che un’onda riprese A dir ch’era tempo di farla finita

Successe che un giorno nel mare nostrano Lo Jonio pretese di stare da solo E così vollero pure il Tirreno Il mar di Sardegna e l’Adriatico al volo

Insomma nessuno si mischi a nessuno Tuonavan le acque dei bassi fondali Ognuna rimanga ancorata ai suoi porti E bagni soltanto le sabbie natali

Sembrava finita ma era solo l’ inizio E anche così fu ben brutto vedere In quel che era stata la grande distesa Lo strazio dei fossi a dividere il mare Era solo l’inizio, come già si diceva Perché? Ora la febbre secessionista Andava ammalando ogni singola riva E niente e nessuno riusciva a dir basta

Così da Trieste alla punta pugliese E dalla Sicilia alla Costa del Sole Ogni più piccola cala pretese L’indipendenza e non solo a parole

Ma la questione divenne barbina Quando si presero goccia con goccia E ognuna guardando la propria vicina Diceva vai via o ti rompo la faccia

Il mare fu presto una grande rugiada Inutile ai pesci e a qualunque creatura Morirono il tonno, l’acciuga, lo spada Restarono in secca le barche d’altura

E poi un giorno, o una notte, non so Accadde qualcosa di ancora più strano Conoscete la formula H2O Sì quella dell’acqua, che tutti sappiamo

Ebbene l’idrogeno trovo da ridire Sostenne di avere la maggioranza E quindi il diritto sovrano di ambire All’ormai sacrosanta indipendenza

Ci fu come un vento, un soffio infinito E l’acqua dei mari s’invaporo in cielo Rimase un deserto di sale e granito Ma buio e profondo più nero del nero

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