UniCamillus Magazine - Estate 2023

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UNI

U N I C A M I L L U S M a g a z i n eE s t a t e 2 0 2 3 Estate 2023 2023 Primavera 2022
Primav 22
Magazine
CAMILLUS

CONTENUTI SOMMARIO

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AL - INFORMA STUDENTI: CERIMONIA DI CONSEGNA DEI DIPLOMI

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INTERVISTA CON IL PROF. VAIA: COME AFFRONTARE IL FUTURO POST-PANDEMICO

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IL COVID DOPO 3 ANNI: EVOLUZIONE, RISCHI, E PROSPETTIVE FUTURE di Carlo Federico Perno

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COVID E MANCATA DIAGNOSI DI ALTRE MALATTIE: L’IMPATTO SUI PAZIENTI CON DISTURBI CARDIOVASCOLARI di Luca Paolo Weltert

INTERVISTA AL PROF. VETTA: LONG COVID E PREVENZIONE

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COVID-19: PANDEMIA, VACCINI, MIOCARDITI E ATTUALE STATO DELL’ARTE di Andrea Vitali

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LA PANDEMIA COVID-19 E LE SUE CONSEGUENZE NEI PROFESSIONISTI SANITARI di Sondra Badolamenti

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AL - INFORMA STUDENTI: BILANCIO DI GENERE 2023

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ALLUVIONE IN EMILIA-ROMAGNA: LE IMMAGINI DEL DISASTRO (Foto CRI e Protezione Civile)

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NEWS/NOTES, MUTILARE LA CIVILTÀ di Gian Stefano Spoto 49

RESOCONTO II EDIZIONE DEL PROGETTO DI ODONTOIATIRA NELLE SCUOLE 57

UMA, TERZA MISSIONE DELL’UNIVERSITÀ: LA RESPONSABILITÀ SOCIALE ACCADEMICA di Donatella Padua 66

AL - INFORMA STUDENTI: UNICA- MILLUS SI ALLARGA ANCORA

EDITORIALE

C’È VITA DOPO IL COVID: COSA CI HA LASCIATO E COSA ABBIAMO IMPARATO DALLA PANDEMIA di Gianni Profita

Rettore

La pandemia sembra aver esaurito la sua fase distruttiva. Prima o poi affronteremo un’altra emergenza. Nei giorni scorsi nel corso dell’Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della sanità a Ginevra il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus ha detto che “Il mondo deve prepararsi ad una possibile pandemia più letale del Covid”. Ma ora è il momento di guardare avanti, facendo appunto tesoro della tragica esperienza vissuta. E per farlo occorre approfondire ancora diversi aspetti relativi alle conseguenze fisiche e sociali del Covid-19 sulle persone, ma anche sugli operatori sanitari che hanno vissuto un lungo periodo di forte pressione. Le ripercussioni del virus sulle persone più fragili, in particolare su coloro che presentano problematiche cardiache, meritano studi e analisi accurate, anche in chiave di strategie di prevenzione futura. In questo numero del Magazine abbiamo voluto approfondire tutti questi temi per sottolineare l’importanza di un generale ripensamento del concetto di monitoraggio continuo della salute personale e generale. Come sottolineato in varie parti, sul piano nazionale le basi su cui rifondare il sistema sanitario sono gli investimenti sulla prevenzione e la riconfigurazione dell’integrazione tra ospedali e medicina sul territorio. Occorre inoltre ridare smalto alle professioni sanitarie perché i medici non possono essere considerati solo eroi nelle emergenze. Bisogna rendere certo e meglio remunerato il lavoro di coloro che prestano servizio nelle criticità, per convincere i giovani ad abbracciare le professioni sanitarie. Già adesso in molti corsi di laurea in infermieristica mancano iscritti. Dobbiamo investire molto per le nuove generazioni di medici, infermieri e professionisti della salute. A maggio qui in UniCamillus abbiamo festeggiato molti nuovi laureati, consegnando loro i diplomi di laurea. Una cerimonia impreziosita anche dalla presenza di importanti ospiti dal mondo dell’informazione e dello spettacolo che hanno voluto testimoniare il loro apprezzamento per il nostro lavoro di formatori.

ALLUVIONE IN EMILIA-ROMAGNA

Mentre questo numero era in lavorazione abbiamo assistito, seppur da lontano, al disastro idrogeologico che ha colpito l’Emilia-Romagna. Il dramma, del quale abbiamo voluto mostrare alcune eloquenti immagini, ha coinvolto migliaia di famiglie e aziende. A loro va la nostra più sincera solidarietà.

EDITORIAL

THERE IS LIFE AFTER COVID: WHAT IT LEFT BEHIND AND WHAT WE LEARNED FROM THE PANDEMIC

The pandemic seems to have limited its destructive power. Sooner or later, we will face another emergency. In recent days, during the World Health Organization Assembly in Geneva, DirectorGeneral Tedros Adhanom Ghebreyesus stated:

“The world must be prepared for a possible pandemic which could be even deadlier than Covid”. But now is the time to look ahead, learning from the tragic experience we have been through. In order to do so, it is necessary to further explore various aspects related to the physical and social consequences of Covid-19 on individuals, as well as on healthcare workers who have experienced a prolonged period of intense pressure. The impact of the virus on the most vulnerable, in particular those suffering from cardiac diseases, deserves a thorough analysis, also in terms of future prevention strategies. In this issue we want to focus on this topic, highlighting the importance of a general rethinking of the concept of continuous personal and general health monitoring. As is highlighted at different points throughout our magazine, the basis on which we must reorganize the future National Health System lie in investments in prevention and the reconfiguration of the integration between hospitals and community medicine. It is also important to restore prominence to healthcare professionals, as doctors cannot be seen as heroes only during emergencies. We must ensure that the work of those who serve in critical situations is secure and better paid to persuade young people to embark on the mission of becoming healthcare professionals. Overall, student enrolments in nursing programmes have been falling. We must therefore invest heavily in the new generations of doctors, nurses, and healthcare professionals. In May, we celebrated 110 of them at our Awards ceremony, which was “embellished” by the presence of distinguished guests from the world of media and entertainment, who expressed their appreciation for our work as educators.

EMILIA-ROMAGNA FLOODS

While this issue was being prepared, we heard of the major catastrophe that struck Emilia-Romagna, which has affected thousands of families and businesses and of which we want toshow some pictures. We express our solidarity with everyone involved.

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70 RICERCHE/ABSTRACT

ACADEMIC LIFE

Informa Studenti

La cerimonia di consegna delle pergamene di Laurea: emozioni e sorrisi tra gli studenti, insieme agli ospiti speciali di UniCamillus

Mercoledì 10 maggio, nell’Aula Magna di UniCamillus, dentro la nuovissima struttura di UniLabs inaugurata a fine 2022, si è tenuta la cerimonia di consegna delle pergamene di Laurea dell’anno accademico 2021/22. Oltre 200 i presenti in sala. Il Magnifico Rettore Gianni Profita ha consegnato a 82 studenti i titoli accademici conseguiti nei rispettivi corsi di studio di Fisioterapia, Infermieristica, Ostetricia, Tecniche di Laboratorio Biomedico e Tecniche di Radiologia Medica. Protagonisti della cerimonia anche gli ospiti speciali dell’Università Medica Internazionale di Roma: le giornaliste Emma D’Aquino e Vira Carbone e il cantante e musicista Red Canzian, membro della nota band dei Pooh. “Le università sono virtualmente eterne”, ha esordito il Rettore, in apertura dell’evento, “basti pensare alle esistenze quasi millenarie di atenei come Bologna, Salamanca, Oxford, Cambridge e Padova. La vitalità reale di ciascuno di essi però si misura in termini di quanti laureatisi riescano

poi a trasformare in materiale umano, che possa fare la differenza. Nel nostro caso, giovani professionisti che andranno in corsia e che salveranno vite”. Poi, sottolineando la vocazione internazionale di UniCamillus, lo stesso Rettore ha aggiunto: “Nella nostra Università puntiamo a creare non solo medici, ma cittadini del mondo, che guardino oltre le divisioni politiche e le distinzioni di razza o sesso per poter svolgere al meglio la loro missione”. La parola è passata poi a cinque rappresentanti degli studenti: Cristina Argentieri (Fisioterapista), Rita Fuseni (Infermiera), Giada Perez (Ostetrica), Aurora Tocci (Tecnico Biomedico) e Joseph Rebecca (Tecnico Radiologo). In un breve discorso, oltre ai ringraziamenti per i docenti e l’intero staff universitario, hanno sottolineato con entusiasmo che “UniCamillus ha rappresentato molto più di una semplice università. Ha permesso a tutti di entrare in contatto con culture diverse, arricchendo reciprocamente amicizie che resteranno vive per sempre”. Per i tanti ragazzi non italiani UniCamillus ha rappresentato nel loro percorso di studi “uno spicchio di mondo in cui sentirsi a casa”. Prima della consegna

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vera e propria delle pergamene i tre ospiti, rispondendo alle domande poste dal Rettore, hanno lasciato ciascuno il proprio messaggio di buon auspicio per i neolaureati: “Noi abbiamo il compito importante di informare le persone, cercando di trasmettere i nostri valori”, ha dichiarato Emma D’Aquino, riprendendo i principi fondativi proprio di UniCamillus e riferendosi all’informazione sanitaria, “Come diceva Weber, ciascuno di noi ha dei valori, quindi chiunque di noi non potrà mai dare un’informazione totalmente asettica, ma per amalgamare e far coesistere personalità e coscienze diverse, bisogna essere meno propensi agli stereotipi, ai pregiudizi e non bisogna mai cadere nella mancanza di rispetto per gli altri. Dall’università, al lavoro, in qualunque posto, la prima regola è il rispetto della diversità, che è la cosa più bella del mondo. Un dono, per il quale dobbiamo

dire solo grazie”. Le ha fatto eco Vira Carbone: “Ho provato una grande emozione, come donna e come giornalista, ad entrare in questa Aula Magna oggi. Vedere tanta passione e tanta motivazione da parte delle nuove generazioni di medici, mi rende sicura guardando al futuro. Il segreto del non aver paura è dentro quest’aula. Significa credere in ciò che si fa, nonostante gli eventi e avversi. Puntare un obiettivo ed essere certi di poterlo raggiungere”. Red Canzian ha invece portato una testimonianza personale, che lo lega proprio a UniCamillus: “Io sono qua oggi non perché faccio il cantante, ma perché uno dei vostri professori, Ruggero De Paulis, mi ha invitato. Sono quello che gli è riuscito meglio, mi ha detto. Lui è un cardiochirurgo bravissimo e io nel 2015 ho avuto una disseccazione aortica. Una cosa abbastanza fastidiosa, perché ci si muore. Quando mi hanno portato in ospedale, lui aveva finito il turno dopo aver già fatto 5 operazioni. Sarebbe dovuto andar via, invece

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ACADEMIC LIFE

Informa Studenti

è rientrato in sala e mi ha operato. Il mio è un lavoro di passione. Ma se il professor Ruggero De Paolis non avesse fatto il suo lavoro con altrettanta enorme passione, forse io non sarei qui o comunque avrei una vita probabilmente peggiore. Forse altri mi avrebbero salvato la vita ugualmente, ma la dedizione con cui lui si è speso per applicare alla mia valvola aortica un sofisticato strumento, che ha richiesto oltre 100 punti di sutura, è pura passione. Altri si sarebbero potuti limitare a una semplice protesi, facendo comunque bene il loro lavoro. Ma avrei probabilmente dovuto vivere seguendo terapie e svolgendo monitoraggi continui. Invece, grazie alla sua dedizione al lavoro, oggi non ho bisogno di alcun trattamento particolare,

né di farmaci”. Seduti in platea, in rappresentanza delle diverse nazionalità degli studenti, c’erano anche Emmanuel Charles, delegato diplomatico di Haiti, Neena Malhotra, ambasciatrice dell’India e Connie Nkatha Maina, ambasciatrice del Kenya.

Tutti e tre si sono congratulati con gli studenti, con particolare riguardo per quelli provenienti dai rispettivi paesi, ma hanno rivolto il loro messaggio di auguri a tutta la comunità accademica di UniCamillus. Con Haiti in particolare esiste una collaborazione che va avanti dal 2010, l’anno del terribile terremoto che devastò l’intero paese caraibico.“Da anni molti studenti di Haiti vengono a studiare in Italia anche grazie alla nostra Università”, ha ricordato ancora il Professor Profita, “Al-

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cuni sono rimasti, altri sono andati altrove, altri ancora invece sono tornati per portare nel loro paese la loro esperienza professionale. E questo vuol dire che anche noi abbiamo fatto la nostra parte per aiutare Haiti”. L’ambasciatrice Malhotra ha tenuto a sottolineare che: “L’India è uno dei paesi più giovani del mondo e quindi uno dei più grandi consumatori di educazione e formazione. I numeri della presenza di giovani studenti indiani in Italia si è decuplicata negli ultimi 10 anni. Passando da circa 500 studenti nel 2013 a oltre 5000 oggi”. E tanto dal grande paese asiatico, quanto dal Kenya è arrivata la speranza che questi scambi culturali e collaborazioni internazionali in ambito educativo universitario possano rinforzarsi sempre di più: “Ci sono giovani studenti del Kenya in tante università italiane. Crediamo che la presenza in questo campo possa essere ulteriormente incentivata, per permettere al nostro paese di riportare a casa giovani professionisti pronti per

spendere il loro sapere acquisito e consentire al Kenya di crescere ancora”. Poco prima della sfilata degli studenti c’è stato anche il tempo per un commosso ricordo di Suor Grace, una suora venuta dal Ghana per studiare infermieristica in UniCamillus e deceduta nel 2020 a causa del Covid-19. Un attestato commemorativo a suo nome è stato consegnato alla Madre superiora della Congregazione delle Povere Figlie della Visitazione di Maria, Suor Maria Mazzilli. A conclusione della giornata, il tradizionale lancio del tocco degli studenti, anticipato però da un simpatico fuoriprogramma. Red Canzian, Emma D’Aquino e Vira Carbone hanno voluto scattare un selfie di gruppo in mezzo agli studenti, tutti vestiti con la toga in tinta rossa. D’altronde “Il rosso è il colore della nostra università, è il colore della medicina, dell’amore” ha sottolineato il rettore, cui è seguita la chiosa di Canzian: “Non a caso mi chiamo Red... Mi fossi chiamato Green sarei rimasto a casa!”

Da sinistra: gli ambasciatori di Haiti, India e Kenia

Emma D’Aquino a colloquio con il Rettore di UniCamillus Red Canzian e Vira Carbone

VAIA: “BISOGNA TORNARE A DARE MAGGIORE APPEAL ALLE

PROFESSIONI SANITARIE”

Intervista al Professor Francesco Vaia, docente di Economia Sanitaria presso UniCamillus a cura di Tommaso Fefè

La pandemia da Covid-19 è finita. La paura per quello che è stato e per gli stravolgimenti che ha comportato invece c’è ancora, anche se diffusa in maniera più o meno latente nella società. Dubbi e preoccupazioni su come affrontare il futuro post-pandemico affiorano costantemente nel dibattito pubblico. In molti si chiedono se veramente questa esperienza ci abbia cambiati e come.

Professor Vaia, domanda secca, a bruciapelo. Siamo davvero fuori dal Covid? È finita la fase della tragedia o rischiamo ricadute?

Nei mesi dell’imperversare del virus e della quarantena in molti, spesso anche medici assurti al ruolo di guru novax per poi essere radiati dall’Ordine, hanno messo in dubbio la validità dei vaccini adducendo di volta in volta motivazioni diverse. Qual è la sua opinione riguardo questo fenomeno di negazionismo? Come crede che possa essere arginato?

“La fase acuta della pandemia è definitivamente alle nostre spalle, siamo in piena primavera di rinascita”

“Lo ripeto ormai da diverso tempo: la fase acuta della pandemia è definitivamente alle nostre spalle, siamo in piena primavera di rinascita. Adesso dobbiamo pensare a ciò che la pandemia ci ha lasciato e insegnato: l’importanza della prevenzione; la necessità di una comunicazione corretta; il ricorso a stili alimentari e di vita salutari; il potenziamento del nostro Servizio Sanitario Nazionale e l’integrazione ospedale-territorio.

Inoltre dobbiamo ripartire dai giovanidopo gli anziani i più colpiti e danneggiati dalla pandemia - che hanno sofferto più di altri i prolungati lockdown. Dobbiamo ascoltarli senza pretendere di guidarli, ma comprendere la loro inquietudine e dialogare con loro”.

“Se ci sono persone che hanno scelto di non vaccinarsi, nonostante l’evidente rischio che questo comporta, dobbiamo chiederci il perché. Fatta eccezione per chi sposa tesi ideologiche e irremovibili, molte persone erano semplicemente spaventate perché hanno ricevuto informazioni fuorvianti e spesso contraddittorie. A queste persone bisogna parlare con gli argomenti dell’onestà e della chiarezza, in un’ottica di persuasione e mai di giudizio. A riprova della bontà di questo approccio, faccio presente che nell’Istituto che dirigo non ci sono stati casi di operatori non vaccinati. Il fatto che altrove alcuni professionisti sanitari abbiano scelto di sposare tesi prive di alcun fondamento scientifico è preoccupante: mi chiedo che tipo di servizio possano fornire medici che rifiutano i principi stessi della propria professione”.

Il suo è stato un osservatorio privilegiato: da fuori, la sensazione generale durante

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il Covid è stata quella di un sistema sanitario nazionale impreparato ad affrontare un’emergenza sanitaria di massa. Dalle storie che i mezzi di informazione raccontavano, emergeva una doppia carenza: umana, con medici, infermieri e personale ausiliario in misura assolutamente insufficiente, e infrastrutturale, con una errata distribuzione sul territorio dei posti letto, una grande carenza di posti nelle terapie intensive, pochi macchinari e un enorme divario fra una regione e l’altra. Come affrontare tutto questo?

“La pandemia è stata sicuramente un banco di prova e uno spartiacque per il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Il sistema complessivamente ha retto, e

anche bene, ma il disvelamento di alcune criticità, note da tempo, pone l’esigenza improcrastinabile di porvi subito rimedio.

Prevenzione e integrazione ospedaleterritorio dovranno essere le basi su cui fondare il SSN del futuro, mettendo in pratica gli insegnamenti della pandemia: ospedali sempre più specializzati, come lo Spallanzani, che lavorano di concerto con un territorio performante e capace della migliore prevenzione e assistenza Il territorio è lo snodo per la risoluzione di molte problematiche che purtroppo si sono spesso riversate sugli ospedali nonostante il grande impegno e le ottime professionalità dei MMG, molti dei quali

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“Prevenzione e integrazione ospedaleterritorio dovranno essere le basi su cui fondare il SSN del futuro”
Prof. Francesco Vaia, Direttore Generale dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive “L. Spallanzani”. Medico chirurgo e specialista in statistica medica

sono rimasti vittima del Covid. Rinforzare il territorio vuol dire fornire presidi, farmaci innovativi e servizi diagnostici performanti, colmando anche quel vuoto che c’è tra MMG e ospedale: oggi occorre anche una struttura intermedia per la bassa e media intensita assistenziale. A proposito di integrazione ospedale–territorio, nel corso della pandemia allo Spallanzani abbiamo dimostrato come, attraverso le USCAR, sia stato possibile esportare rapidamente, fino al domicilio del paziente, strumenti e strategie di intervento fortemente innovativi messi a punto nelle strutture ospedaliere ad alta specializzazione.Telemedicina e teleconsulti poi, rivelatisi essenziali nel portare al paziente le consulenze al di fuori dei centri specialistici, dovranno svolgere un ruolo decisivo nel rendere ancora più efficace questa integrazione”.

Il Covid, appunto, ha rivelato un problema strutturale di difficile soluzione, quello della carenza di personale sanitario, dai medici agli infermieri, dagli ausiliari ai tecnici. Qualcuno propone semplicemente di abolire il numero chiuso nelle università per le facoltà sanitarie. Ma, a parte che il sistema universitario non è in grado di assorbire

l’enorme numero di domande di iscrizione che annualmente vengono presentate, senza effettuare massicci investimenti in termini di spazi come aule e laboratori e di docenti, c’è un ulteriore problema economico che va considerato. La formazione universitaria di un medico generico costa ai contribuenti 150mila euro. Il doppio per uno specialista. Togliere il numero chiuso nelle facoltà sanitarie avrebbe, solo per questo aspetto, costi insostenibili. Secondo lei, come si risolve questo problema?

“Prima di immaginare soluzioni alternative, credo sia opportuna una programmazione analitica del fabbisogno che tenga conto dei servizi che intendiamo offrire nel futuro e della curva dei pensionamenti previsti, che dovrebbe raggiungere il picco nel 2026 e poi tornare a scendere.

E questo anche per non creare bolle dannose sia per l’efficienza del sistema che per i futuri operatori che si troverebbero, dopo anni di studio, senza alcuna prospettiva di adeguata realizzazione professionale. Un ampliamento dei posti disponibili è sicuramente necessario in questo momento e mi sembra che il Governo si stia muovendo nella giusta direzione.

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“Bisogna rendere certo e meglio remunerato il lavoro di coloro che prestano servizio nei luoghi dell’emergenza e delle criticità.”

Oltre all’aumento dei posti nel percorso magistrale, occorrerà poi garantire un adeguato e speculare ampliamento anche del percorso di formazione post-lauream, per evitare di creare un secondo imbuto formativo all’ingresso nelle scuole di specializzazione”.

Altro aspetto. Assistiamo progressivamente all’aumento di studenti che scelgono di specializzarsi in settori della medicina che offrono alte remunerazioni e basso impegno lavorativo. E lo stesso può dirsi per una professione fondamentale per il sistema sanitario come l’infermiere. Qual è la strada per invertire questa tendenza?

“Bisogna tornare a dare maggiore appeal alla professione di medici e infermieri, anche in termini di retribuzione, soprattutto per chi lavora in pronto soccorso e in condizioni difficili e ad alto rischio. Bisogna rendere certo e meglio remunerato il lavoro di coloro che prestano il loro servizio a partire dai luoghi dell’emergenza e delle criticità. In definitiva si tratta di puntare molto sulla stabilizzazione, retribuzione e valorizzazione

del capitale umano per uscire da una visione ragionieristica della sanità e favorire la persona, sia il malato che l’operatore”.

Ultima domanda: durante il Covid un altro dato drammatico che è emerso è quello della diversità non solo nella gestione dell’emergenza ma proprio della disparità fra i sistemi sanitari e diverse strutture regionali. Ha ancora senso tenere la rete dell’assistenza sanitaria a livello regionale?

“Come ho detto prima, va rivisto e potenziato il nostro Servizio Sanitario Nazionale. È un obiettivo improcrastinabile. Credo che sia doveroso garantire omogeneità delle prestazioni in tutto il territorio. È inaccettabile che ci siano cittadini che ricevono ottime prestazioni e cittadini che ne ricevono di scarse. Qualsiasi cittadino, al Nord al Centro o al Sud, deve avere la stessa risposta in termini di salute. Allora dico: andiamo verso un rafforzamento del coordinamento nazionale che renda concreta la possibilità che ciascun cittadino fruisca di prestazioni di eccellenza”.

PROFESSOR VAIA: “WE NEED TO GIVE AGAIN GREATER APPEAL TO THE HEALTHCARE PROFESSIONS”

Interview with Dr. Francesco Vaia, Director General of the National Institute of Infectious Diseases “L.

Professor of Health Economics at UniCamillus

“The acute phase of the Covid pandemic is over. We are currently in the midst of a spring of rebirth. Now we need to focus on what Covid has taught us: from prevention to the need for more accurate communication and the strengthening of our National Health Service. Also, we need to be honest and clear with those who chose not to get vaccinated, embracing misleading and contradictory ideologies, and we should try to persuade them rather than judge them. The pandemic has undoubtedly been a test for our National Health Service. Overall, it has withstood the pressure well, but long-standing issues have been revealed. The integration of hospitals in the region must be the first step on which we have to build the healthcare system of the future. The territory is the key to solving many problems that are often burdening hospitals, despite the great commitment and excellent professionalism of GPs, many of whom have also fallen victim to Covid. The pandemic has revealed the structural problem of healthcare staff shortages, but before considering alternative solutions, it is necessary to analytically plan the needs of each region. An expansion of available job positions is certainly necessary together with an increase in places in medical schools. It will also be extremely important to ensure an adequate and proportional increase in post-graduate training. At the same time, we must make the medical and nursing professions more appealing and focus on the value of human capital by improving remuneration, especially for those working in emergency departments or under difficult and high-risk conditions. I also believe it is essential to ensure uniformity of healthcare services: every citizen, from North to South, should have access to excellent care”.

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IL COVID DOPO 3 ANNI: EVOLUZIONE, RISCHI, E PROSPETTIVE FUTURE

Nel dicembre 2019 le avvisaglie di un uragano si affacciarono in Cina, e rapidamente si diffusero in tutti gli angoli del pianeta. In quel periodo fu per la prima volta identificato il virus che aveva cominciato ad invadere la città cinese di Wuhan, e chiamata COVID-19 la malattia. Il virus fu definito SARS-CoV-2, in linea con le caratteristiche dell’altro virus

che, nei primi anni del millennio, si era diffuso in Asia orientale (SARS-CoV) senza peraltro riuscire ad uscire da quegli spazi relativamente angusti (rispetto alla superficie della Terra), causando alcune migliaia di morti, ma estinguendosi nell’arco di un periodo relativamente breve (2003). Da allora, tante cose sono successe. L’OMS ha dichiarato “pandemia” l’infezione da SARS-CoV-2.

Tale definizione è utilizzata in modo molto parco dall’OMS, in quanto indica una situazione di diffusione di una malattia in tutto il mondo (pan-demos, dal greco), con tutte le ovvie conseguenze che tale definizione comporta a livello dei singoli paesi e a livello globale. Il virus si è diffuso rapidamente a tutte le latitudini e longitudini. Ha invaso tutti i continenti, utilizzando una tecnica a “ondate”, in modo simile a quel che fanno le onde del mare abbattendosi sulle spiagge. Si è riversato sulla popolazione inzialmente in una forma, poi si è ritratto e ha generato una nuova variante, che si è riversata nuovamente sulla popolazione mondiale. Il numero di infezioni nell’arco di 3 anni non sarà mai realmente quantificato, ma sicuramente superiore al miliardo di persone infettate, con una mortalità non particolarmente alta (rispetto al cugino MERS, virus di cammelli e dromedari, che infetta poco l’uomo, ma con una mortalità vicina al 30%), ma che, moltiplicata per il numero di persone infettate, raggiunge cifre impressionanti, sicuramente superiori ai 7 milioni di morti, ma si teme ancor maggiori tenendo presente la difficoltà a monitorare in tutta la Terra la diffusione del virus. Proviamo a ragionare insieme su ciò che abbiamo disponibile, per tracciare un percorso che possa aiutare nella comprensione di dove il virus andrà nel prossimo futuro.

John Hopkins University di Baltimora, ha riportato circa 680 milioni di casi accertati, con circa 6.900.000 decessi, al 10 marzo 2023, giorno in cui ha interrotto il monitoraggio capillare dei casi. Tuttavia, i numeri sono sicuramente molto ma molto più ampi, sia in termini di infezione, sia in termini di mortalità, per una serie di ragioni:

Molte infezioni sono state diagnosticate a casa, ma per molteplici ragioni non sono state poi registrate.

1. Non va dimenticato che sono pochi i paesi al mondo che hanno effettuato screening a tappeto della popolazione, in modo da valutare la circolazione globale del virus. Nella stragrande maggioranza dei casi, i numeri riportati nelle statistiche internazionali si riferiscono ai tamponi positivi, effettuati su persone sintomatiche, o, addirittura, solo in persone sintomatiche che hanno avuto bisogno di ricovero ospedaliero. Molti paesi del mondo, soprattutto i più poveri, ricadono in queste ultime categorie, per mancanza di mezzi tali da poter effettuare un’adeguata diagnosi, sicuramente senza possibilità di monitorare la circolazione. In aggiunta, alcuni paesi, o perché molto poveri, o perché non in grado di fornire numeri attendibili per varie ragioni, non hanno fornito dati reali della presenza del virus, neanche in persone ammalate di COVID.

INUMERI

Le statistiche, come detto, ci comunicano dei numeri impressionanti. Il più quotato istituto, l’Osservatorio americano della

2. Il test molecolare è l’unico che, per la sua alta sensibilità, è in grado di definire con precisione se una persona sia infettata o meno. La sostituzione del test molecolare, avvenuta negli screening della popolazione, anche nei paesi più avanzati, a cavallo del 20212022, ha drasticamente ridotto la ca-

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Prof. Carlo Federico Perno

pacità diagnostica di popolazione, in quanto il test antigenico – il più comunente utilizzato, praticamente in tutti i paesi - ha un’alta specificità (ossia è in grado di garantire, con un ragionevole grado di sicurezza, che una persona sia infettata da SARS-CoV-2), ma ha una bassa sensibilità, ossia non è in grado di riconoscere l’infezione virale in caso di carica virale bassa. Va da sé che tanti, tantissimi, che hanno utilizzato il test antigenico, in farmacia, a casa, in ospedale, ecc, con un test positivo sono sicuramente positivi, ma con un test negativo non si può escludere che l’infezione sia presente, soprattutto nelle fasi iniziali e tardive dell’infezione stessa.

del tampone, e pertanto la loro infezione, comunque presente, anche se asintomatica o paucisintomatica, non è stata registrata.

Tanta tristezza, frustrazione, e rabbia, tra il personale sanitario per non aver potuto ridurre i danni di questa pandemia

4. L’avvento dei test domiciliari, determinato dall’ampia disponibilità di strumenti diagnostici semplici fai da te (che ricordano per molti versi il test di gravidanza) ha fatto sì che molte infezioni siano state diagnosticate a casa, ma che, per molteplici ragioni, non siano state poi registrate. In tal modo i picchi di infezione registrati dai sistemi di controllo, soprattutto negli ultimi tempi, rappresentano solo la punta dell’iceberg della circolazione del virus.

3. SARS-CoV-2 è un virus infido, che uccide le persone soprattutto fragili (ma non solo, anche tante persone sane sono morte per il virus), mentre accade non di rado che dia, in persone assolutamente sane, soprattutto con l’ultima ondata di virus “omicron”, una sintomatologia estremamente blanda, se non del tutto assente. Tali persone (milioni e milioni) non si sono sottoposte al test

Tutte queste ragioni, se unite tra loro, indicano un’amplissima sottostima del numero di infezioni al mondo, che sicuramente si posiziona largamente oltre il miliardo, se non su numeri nettamente più alti, per qualcuno non lontani dalla metà della popolazione sulla Terra. Anche la mortalità è probabilmente sottostimata. In molti casi, soprattutto in tempi più recenti, l’infezione da SARS-

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CoV-2 è risultata cofattore, insieme ad altre gravi patologie, che ha portato a morte le persone infettate. In tali casi, la mortalità non necessariamente risulta registrata da COVID, ma semplicemente in presenza del virus, il che ha ridotto drasticamente il numero di casi di morte riconosciuti come causati dal virus. In aggiunta, in questo calcolo non sono riportati coloro che sono morti a causa delle restrizioni da COVID: è il caso di persone morte per infarto non diagnosticato in tempo utile per l’indisponibilità dei reparti di emergenza, di morti per tumore non diagnosticato in tempo utile, o perché non hanno potuto effettuare le cure perché i loro reparti, come è accaduto in emergenza in molti casi, erano stati trasformati in reparti COVID. Infine, se aggiungiamo che in molti Paesi poveri, per ovvie ragioni, non sia stato possibile effettuare test diagnostici a tutte le persone con problematiche respiratorie, o comunque riconducibili al COVID, emerge chiaramente che anche il numero di morti causato dal SARS-CoV-2 è ampiamente sottostimato, sicuramente superiore, in modo significativo, ai quasi 7 milioni di eventi-morte registrati dalla John Hopkins.

elementi importanti che vanno considerati, che fanno guardare al futuro con tinte molto più rosee di quelle del recente passato. Proviamo a ragionarci sopra insieme.

Questa pandemia ha creato quella che in inglese è chiamata “preparedness”. Abbiamo scoperto l’importanza della sorveglianza molecolare

1. Questa pandemia ha creato quella che in inglese è chiamata “preparedness”, ossia ha implementato e reso attiva e funzionante una rete di protezione nel caso, malaugurato ma possibile, di una nuova pandemia. Abbiamo scoperto l’importanza della sorveglianza molecolare, implementando le attività istituzionali di caratterizzazione della circolazione non solo di SARS-SoV-2, ma anche di altri virus che si affacciano all’uomo (influenza aviaria, per esempio). Tali sistemi di sorveglianza non saranno dismessi, e rappresentano il primo campanello di allarme di ciò che potrebbe accadere.

Insomma, un quadro a tinte fosche, che ci ha lasciato, a noi del personale sanitario, ma sicuramente a tutti, un senso di tristezza, frustrazione, rabbia, per non aver potuto ridurre i danni di questa pandemia e far sì che il numero degli infettati e soprattutto dei morti non fosse così ampio. Una tragedia planetaria, che ha lasciato e lascerà il segno per molti anni.

Alcuni enzimi del SARS-CoV-2 sono condivisi, con modeste variazioni, con molti altri virus a RNA.

2. Abbiamo ampliato le conoscenze nella metagenomica, scienza nuovissima che, basata su sistemi di sequenziamento di ultimissima generazione, implementata da sistemi informatici estremamente sofisticati e potenti, permette di riconoscere la presenza di genomi virali atipici, e di nuovi virus, in modo esteso su campioni provenienti da tutte le parti del mondo. Tale tecnologia, ancora nelle mani di relativamente pochi, si sta rapidamente sviluppando e diventerà sicuramente lo strumento chiave per lo studio dell’epidemiologie e della diagnostica dei nuovi microbi.

L’EVOLUZIONEDELQUADROPANDEMICO

A fianco a questo profondo dolore che ci accompagna, ci sono però alcuni

3. A causa del SARS-CoV-2 è stato dato un brusco colpo di acceleratore allo sviluppo e utilizzazione di nuove piattaforme vaccinali, tra cui, soprattutto, la nuovissima piattaforma a RNA. Noi

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oggi non sappiamo definire con certezza quanto dello straordinario successo dei vaccini anti-COVID sia dovuto alla selezione dei bersagli virali, e quanto alla capacità di queste nuove piattaforme di ampliare a dismisura la risposta immunitaria al vaccino, generando un sistema di protezione estremamente efficace. È ragionevole pensare che la seconda ipotesi, pur non escludendo la prima, sia predominante. Questo successo ha rapidissimamente aumentato gli studi clinici che utilizzano la piattaforma a RNA contro tante altre patologie infettive, contro i tumori, e addirittura nell’ambito di infarto e malattie degenerative. In altre parole, il COVID ha portato soluzioni a patologie lontane dalle infezioni, e vi sono sostanziali speranze che almeno alcuni di questi studi saranno, stando ai

dati preliminari, coronati da successo.

4. La diagnostica microbiologica ha fatto un enorme salto in avanti. Da un lato è aumentata la percezione dell’importanza della diagnostica rapida ed efficace in ambito microbiologico. Dall’altro, le aziende diagnostiche, che hanno ottenuto enormi profitti dalle entrate derivate dalla ricerca del SARSCoV-2, in molti casi li hanno reinvestiti in nuove tecnologie che, rapidamente, si stanno diffondendo nel mondo. Oggi la diagnostica molecolare avanzata è nettamente più diffusa, anche capillarmente, negli ospedali, e test diagnostici in grado di essere precisi e rapidi nei confronti di tanti germi (non solo SARS-CoV-2) sono oggi all’ordine del giorno in tante situazioni laddove la diagnostica microbiologica era ridotta alle semplici colture microbiologiche.

5. Nuovi farmaci si affacciano all’orizzonte, sia sotto forma di anticorpi specifici per SARS-CoV-2, sia sotto forma di farmaci a basso peso molecolare. Non va dimenticato che alcuni enzimi del SARS-CoV-2 sono condivisi, con modeste variazioni, con molti altri virus a RNA. Non è più, pertanto, così lontana l’ipotesi di realizzazione di un farmaco “universale”, in grado di colpire tanti virus patogeni per l’uomo, tutti caratterizzati dalla presenza di un enzima comune bersaglio dei farmaci.

6. Infine, un dato virologico. SARS CoV-2, come tutti i virus, non ha alcun interesse ad uccidere il proprio ospite, cioè l’uomo, perché, essendo un parassita obbligato (lo sono tutti i virus), se muore l’uomo muore anche il virus, non avendo più sostegno alla sua replicazione (che è unico obiettivo di ogni virus; la mortalità è un evento collaterale, ovviamente sgradito all’uomo, ma anche al virus). La comparsa della variante omicron è pertanto in linea con la naturale evoluzione del virus che, lentamente si adatta all’ospite,

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cercando di replicare il massimo possibile facendo il meno danno possibile. Tutti i virus seguono questo percorso: alcuni completano il percorso in anni, altri in secoli, altri non ci riescono per varie cause, tra cui la presenza di serbatoi animali (ma così facendo rimangono confinati a nicchie ecologiche, senza la capacità di generare pandemia: è il caso di Ebola). In altre parole, l’evoluzione verso una relativa benignità è un destino naturale e obbligato per la stragrande maggioranza dei virus che incontrano l’uomo.

Questa pandemia ha creato quella che in inglese è chiamata “preparedness”.

Abbiamo scoperto

l’importanza della sorveglianza molecolare

CONCLUSIONI

Per questa ragione, è ragionevole pensare che, se non ci saranno nuovi e imprevedibili eventi (che non si possono mai escludere), anche il SARS-CoV-2 diventerà un virus molto meno pato-

geno, così come è accaduto agli altri coronavirus umani, mortali al loro esordio nell’uomo, e oggi causa primariamente del raffreddore comune. L’argomento COVID ha conosciuto un momento di inizio, ma è difficile definire quando avrà una fine. Di sicuro, ha prodotto straordinari sconvolgimenti nel nostro modo di vivere, ma anche opportunità da cogliere. Come detto a suo tempo da Papa Francesco, “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. Sta a noi ora ricostruire ciò che è stato distrutto, e ragionare su quel che ci ha insegnato, per un nuovo approccio medico che ci permetta di sviluppare nuove opzioni diagnostico-terapeutiche che migliorino la salute dell’uomo, e le prospettive di guarigione da tante malattie, oggi mortali e spesso incurabili.

COVID-19 3 YEARS ON: EVOLUTION OF THE VIRUS AND THE DISEASE, RISKS AND FUTURE PROSPECTS

The SARS-CoV-2 virus has been spreading worldwide in “waves” since December 2019, affecting populations in different ways and then receding, only to generate a new variant. The number of infected people it has caused will never be accurately quantified, but it definitely surpasses one billion. The mortality rate has not been particularly high in percentage terms. However, the total number of deaths can be said to exceed 7 million. These estimates are likely to be underestimated since only a few countries conducted widespr ad screening. Furthermore, in most cases, the numbers refer only to positive tests; in others, to hospitalised individuals. Many countries also lacked the necessary means to make the right diagnosis or monitor the circulation of the virus. Apart from these dramatic events, there are of course also important elements to consider which make us look to the future in a more positive way. This pandemic has created a sort of “safety net” should similar events happen again. And that is because we have realised the importance of molecular surveillance of other viruses as well. We have expanded our knowledge in the field of metagenomics, a science based on advanced sequencing systems that allows for the identification of atypical viral genomes and new viruses. We have developed new vaccine platforms, including RNA-based ones, enabling clinical scientists to use the same systems used against other infectious diseases or tumours. Microbiology research has also made significant steps forwards: many companies have invested in new technologies, and molecular diagnostics is now more widely available in hospitals.

SARS-CoV-2, like every other virus, does not have an interest in killing its host, that is to say humans. It is a parasite, and if humans die, the virus also dies since it no longer has support for replication. The emergence of the Omicron variant is therefore in line with the natural adaptation of the virus to its host. Some viruses take years, other centuries, while others may not succeed at all. That is why, it is reasonable to think that SARS-CoV-2 will become much less pathogenic with time, as has happened before with other coronaviruses. As Pope Francis has said, “The worst thing about this crisis would be not to take advantage of it”. It is up to us to rebuild what has been destroyed and reflect on what we have learned.

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LONG COVID E PREVENZIONE: CRITICITÀ E SFIDE DEL PERIODO

POST-PANDEMICO

Intervista al Professor Francesco Vetta, docente di Cardiologia all’Università Medica Internazionale di Roma UniCamillus a cura di Tommaso Fefè

Professore, quali sono le criticità maggiori ancora riscontrate nella lotta contro il Covid-19 e le sue varianti?

“Attualmente, per fortuna, la situazione è profondamente mutata rispetto a quello che era all’inizio. Tanto per ciò che riguarda la diffusione della malattia, quanto per le complicanze che ricorrono nella fase acuta, oggi abbiamo a che fare con un virus sempre di più somigliante a un comune Coronavirus. Le casistiche attuali

sono per lo più inerenti a infezioni delle prime vie respiratorie: ad esempio riniti e faringiti. Al contrario, le prime forme del SarsCov2 avevano una evoluzione molto più drammatica. L’invasività e, soprattutto, l’infettività erano maggiori e infatti assistevamo ad un coinvolgimento di un numero molto più elevato di persone, soprattutto tra i soggetti più esposti e fragili. Oggi l’attenzione maggiore si pone però sulle sindromi da long covid. Tant’è che sono state sviluppate attività ambulatoriali

Covid e mancata diagnosi di altre malattie: l’impatto sui pazienti con disturbi cardiovascolari

Professore di Statistica Medica presso la International University of Health and Medical Sciences UniCamillus

Tra le problematiche sommerse che la furia devastatrice del COVID ha lasciato nella vita di tutti i giorni c’è, se ne comincia a parlare sempre di più, la mancata diagnosi e cura delle “altre malattie”. E in quell’aggettivo “altre” si annida una insidia particolare: perché se ci sono obiettivamente malattie di cui è possibile dilazionare il trattamento senza altro svantaggio che il perdurare della sofferenza del malato (e già non è poco), ben altra partita si gioca in quei casi ove il ritardo comporta una progressione della malattia che la fa entrare nella fase di mancata reversibilità. Come statistico ho vissuto la parte “numerologica” ed epidemiologica del COVID con la stessa ansia e voracità di numeri di tutti e ho gioito come tutti quando la curva di crescita finalmente ha preso un andamento risolutivo, ma come chirurgo cardiovascolare mi sono reso allo steso tempo conto che, pur non avendo mai smesso di affrontare le emergenze e le urgenze, molti pazienti che avevano bisogno di un intervento “elettivo” al cuore, non avendolo avuto in tempo erano progrediti: i cuori erano più grossi e stanchi, gli aneurismi più numerosi e grandi, i difetti di insufficienza valvolare spesso più severi. E ancor peggio, alcuni dei pazienti affetti da cardiopatia ischemica erano arrivati troppo tardi alla diagnosi, ignorando il dolore toracico anginoso, “tenendo duro” pur di non afferire ai pronti soccorsi per la paura del COVID, senza capire che stavano avendo a che fare con un veleno ben più letale del covid stesso, e lo stavano ingoiando per errore. La Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa ci riporta come la pandemia abbia impattato sul Sistema Sanitario con un focus sui pazienti affetti da disturbi cardiovascolari. Nello specifico il crescente numero di pazienti con

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Prof. Luca P.
Weltert
“I sintomi da long Covid aumentano di due volte e mezzo il rischio che si verifichino eventi cardiovascolari”

specifiche, principalmente per la cura delle patologie respiratorie, ma anche per le conseguenze sull’apparato cardiovascolare, che è stato tra i più coinvolti. Il Covid-19 infatti è una patologia sistemica, che non coinvolge cioè solo l’apparato respiratorio. Uno degli aspetti più importanti con cui facciamo i conti tutt’oggi sono le sindromi che rispondono all’acronimo inglese PASC: Post Acute SarsCov2 Syndrome. Come è stato evidenziato da una recente analisi, presentata all’American College of Cardiology, una percentuale tra il 20 e il 45% delle persone che hanno avuto il Covid presenta questi sintomi che coinvolgono l’apparato cardiovascolare e non solo. Anche qui c’è infatti un coinvolgimento multisistemico. Ma la presenza di sintomi da long Covid aumenta di circa due volte e mezzo il rischio che si verifichino eventi e patologie cardiovascolari”.

Sappiamo purtroppo che durante il periodo pandemico sono state trascurate altre sindromi per concentrarsi sul Covid, tanto dai pazienti, quanto a volte anche dagli stessi medici. Che problematiche ha causato ciò?

“Questo è stato uno degli effetti collaterali del Covid. La paura di recarsi in ospedale ha fatto sì che i ricoveri per le patologie cardiovascolari acute si siano quasi dimezzate. Soprattutto per quanto concerne le sindromi coronariche acute, c’è stato un conseguente aumento della mortalità di pazienti, in molti casi perché si è ritardato l’accesso alle cure. Sappiamo bene infatti quanto sia fondamentale trattare in maniera tempestiva, ad esempio, gli infarti miocardici. La tempistica ideale per un intervento sarebbe inferiore alle due ore. Nel periodo più acuto dell’emergenza invece alcune persone hanno addirittura rinunciato ad andare al pronto soccorso, per la paura di contrarre l’infezione”.

SARS-CoV2 ha fatto sì che negli ospedali non ci fossero più posti fisici per i pazienti che avrebbero dovuto eseguire procedure in elezione quali, ad esempio, le coronarografie e gli ecocardiogrammi. Questo ha portato con sé non solo delle mancate diagnosi ma dei mancati follow-up, portando ad un aumento della prevalenza di pazienti affetti da insufficienza cardiaca o cardiopatia ischemica sintomatica. Uno studio multicentrico osservazionale italiano ha effettivamente misurato quanto la pandemia abbia impattato sulle ospedalizzazioni per infarto del miocardio in Italia. Quello che si è notato è una riduzione di quasi il 50% delle ospedalizzazioni per AMI (acute myocardial infarction). Simili percentuali di riduzione delle ospedalizzazioni sono state osservate anche per lo scompenso cardiaco e per la fibrillazione atriale. Un dato interessante è quello che mostra come le ospedalizzazioni si siano ridotte maggiormente per i pazienti affetti da NSTEMI (non-ST elevation myocardial infarction) rispetto a quelli affetti da STEMI (ST elevation myocardial infarction) a sottolineare come la diversa allocazione delle risorse nei contesti di emergenza sia gravata soprattutto sui pazienti meno urgenti. Questo ha sicuramente delle conseguenze sul futuro dato che la mancata diagnosi di una sindrome coronarica acuta porta ad un suo mancato trattamento e, in ultima analisi, ad un aumento della prevalenza dei pazienti affetti da insufficienza cardiaca ad etiologia ischemica. Questo non fa altro che aggravare un’altra pandemia che è cominciata prima del 2020 e che va avanti tutt’ora; la pandemia dello scompenso cardiaco. Il sovraccarico delle strutture ospedaliere, nel contesto di questi pazienti, ha portato ad un allungamento del tempo intercorso tra primo contatto medico e rivascolarizzazione, producendo un significativo aumento della mortalità per questi pazienti. Un altro dato importante emerso da questo studio è che il tasso di riduzione delle ospedalizzazioni è stato maggiore per le donne che per gli uomini, andando ad aggravare una pre-esistente disparità di trattamento tra i due generi. Nel complesso dobbiamo collettivamente, medici e pazienti, estrarre un contenuto di saggezza da questi eventi: è fondamentale che cavalchiamo le nuove tecnologie anche in ambito sanitario, come la telemedicina e il telemonitoraggio, perché il processo di continuità della prevenzione non venga più ad interrompersi, e parallelamente dobbiamo, anche con articoli come questo, condurre una opera educativa, (in Università questa è la nostra prima vocazione), perché sia il paziente stesso a sapere che i rischi vanno capiti e stratificati per priorità, e non succeda mai più che qualcuno ignori l’angina pectoris che è potenzialmente fatale nel giro di minuti per non correre il rischio di contrarre una patologia che , pur minacciosa, è enormemente meno letale.

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Prof. Francesco Vetta

La pandemia però ha consentito anche di implementare la diffusione della telemedicina e di sviluppare ulteriormente le tecniche di gestione a distanza dei pazienti.

“Per fortuna c’è stata una certa elasticità da parte di noi medici e delle istituzioni per favorire anche i percorsi di telemedicina. Per i portatori di pacemaker o altri dispositivi, già da tempo siamo ormai in grado di fare un controllo a distanza, sia sui pazienti, sia sulle apparecchiature stesse. Le persone vengono seguite quindi con un monitoraggio da remoto e i medici hanno la possibilità di ottenere valutazioni multiparametriche da questi dispositivi. In questo modo si possono fare diagnosi sulle alterazioni dello stato di buon compenso dinamico. L’insorgenza di un incipiente o di uno scompenso cardiaco può essere individuato fino a un mese prima della comparsa dei sintomi. Ci si può ben immaginare come si possa intervenire con maggior tempestività, anche in via preventiva, sullo stato di salute del paziente. Il covid in questo è stato un acceleratore, con procedure già attive che si sono abbreviate e ampliate. Sono iniziati trattamenti a distanza, ad esempio, anche per pazienti con scompensi cardiaci. In generale è tutta la telemedicina che ha fatto passi avanti proprio nel periodo dell’emergenza sanitaria”.

Quali sono le situazioni da tener d’occhio maggiormente in questo periodo post-pandemico?

Al di là di quello che è stato l’evento che si è verificato soprattutto nel 2022, quando si è assistito addirittura ad un raddoppio delle richieste di Tac polmonari e di visite cardiologiche, oggi c’è invece una minor psicosi e quindi una minor attenzione dell’opinione pubblica nei confronti di questo quadro che invece va analizzato. Chi ha avuto il Covid è bene che si sottoponga ad analisi cardiologiche con ECG e poi il medico curante in base agli esiti e all’eventuale sintomatologia, deciderà quali ulteriori approfondimenti sarà il caso di effettuare. Abbiamo notato in alcuni casi anche sintomi molto specifici, che possono comparire a distanza persino di sei mesi e che definiamo affaticamento cronico. In altre parole, si nota la presenza costante di astenia, fiacchezza, faticabilità e sensazione di affanno anche per sforzi modesti. Parlarne di più sarebbe utile anche alle persone stesse per poter dare loro almeno alcune informazioni per riconoscere questo tipo di problematica e chiedere aiuto al proprio medico di base, prima che possano aggravarsi”.

In questi anni di lotta al Covid-19, voi medici avete assistito all’insorgenza di sintomatologie inaspettate o inusuali per malattie di questo genere?

“In generale no. Nell’ambito delle patologie virali non è raro, anzi è piuttosto comune, avere delle complicanze come processi infiammatori, sindromi coronariche acute, insufficienze ventricolari o pericarditi. Queste ultime sono state anche messe in correlazione con i vaccini, perché è proprio una delle possibili complicanze che possono insorgere, anche se per fortuna i casi non sono molto estesi e rimangono di lievi entità. E comunque i benefici del vaccino sono infinitamente superiori. È interessante notare invece che questa patologia,

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“In generale tutta la telemedicina ha fatto passi avanti proprio nel periodo dell’emergenza”

che ha avuto una forma virale più impegnativa rispetto alle precedenti, va seguita nel tempo. Chissà quante di queste persone svilupperanno in futuro un quadro di insufficienza cardiaca che verrà a manifestarsi piuttosto subdolamente. È importante quindi che la popolazione che ha avuto il Covid faccia un percorso sanitario adeguato, al livello preventivo, per ridurre le spese in futuro e migliorerà, o quanto meno non aggraverà, lo stato di salute di ognuno. Sarebbe bene che i pazienti che hanno avuto il Covid si rechino periodicamente da medico curante, che a sua volta li indirizzerà al cardiologo con cui poter fare una prima valutazione”.

In conclusione, possiamo dire che tra le eredità che ci ha lasciato questa pandemia ci sia anche una rinnovata consapevolezza di quanto sia importante il concetto di prevenzione?

“Penso di sì. Soprattuto nei paesi anglosassoni, dove c’è un sistema sanitario

basato sulle assicurazioni, c’è un atteggiamento differente nei confronti del concetto di prevenzione. Noi dobbiamo avere un approccio dello stesso tipo: chi ha superato i 50 anni un controllo periodico lo deve fare a prescindere dal Covid. In Italia invece abbiamo la cultura di intervenire solo quando compare un problema, che sia la pressione alterata, il colesterolo alto o, peggio, il verificarsi di uno scompenso cardio-cerebro-vascolare. Se pensiamo, ad esempio, che ci troviamo difronte ad una popolazione in età pediatrica per il 30% già composta da soggetti in sovrappeso o obesi, è facile intuire quanto questo predisponga male il futuro della salute cardiovascolare di questi soggetti, nell’arco dei successivi 20-30 anni. Agire per prevenire i danni diventerà sempre più cruciale. Per questo, da parte di tutto il sistema, è necessario acquisire una mentalità differente. E l’esperienza del Covid, per certi aspetti potrebbe, aver contribuito ad innescare questo cambiamento”.

COVID-19 AND MISSED DIAGNOSIS OF OTHER DISEASES: THE IMPACT ON PATIENTS WITH CARDIOVASCULAR DISORDERS

Among the hidden issues caused by COVID-19 in everyday life are the missed diagnosis and treatment of “other diseases”. While it is true that there are illnesses for which treatment can be delayed, a different scenario unfolds when delays lead to disease progression, potentially reaching an irreversible stage.

In the case of patients who required previously scheduled heart surgery, a sharp increase in aneurysms and more severe valve insufficiency have been observed, while those with ischaemic heart disease were diagnosed too late. The growing number of SARS-CoV-2 patients have resulted in hospitals lacking available slots for previously scheduled procedures such as coronary angiographies or echocardiograms. A multicenter observational study conducted in Italy accurately measured the impact of the pandemic on hospitalisations for myocardial infarction, revealing a reduction by almost 50%. A similar number has been observed for heart failure and atrial fibrillation. Interestingly, hospitalisations decreased more significantly for patients with non-ST elevation myocardial infarction (NSTEMI) compared to those with ST elevation myocardial infarction (STEMI), emphasizing how the situation primarily affected less urgent patients.

This only exacerbates another pandemic that began long before 2020 and continues to this day: the pandemic of heart failure. Overall, we must collectively acquire wisdom from these events. It is crucial to harness new technologies in the healthcare field to ensure the continuity of prevention processes. At the same time, we need to step up efforts to educate patients so that they understand and prioritize the risks involved.

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“È importante che chi ha avuto il Covid faccia un percorso sanitario adeguato, al livello preventivo”

COVID-19: PANDEMIA, VACCINI, MIOCARDITI E ATTUALE STATO DELL’ARTE

di Andrea Vitali (in foto a centro pagina) Medico specialista in cardiologia

Professore di Anatomia e Fisiologia presso Università UniCamillus

In Italia il primo stato di emergenza dovuto all’infezione da SARS-CoV-2 (COVID-19) è stato dichiarato in data

31 gennaio 2020, in seguito alla scoperta dei primi due casi positivi a Roma (due turisti cinesi in arrivo da Wuhan). Dopo un continuo e attento monitoraggio dei casi positivi si è giunti al “lockdown” in data 22 marzo 2020.

La situazione drammatica che ha colpito l’Italia sul piano sanitario ha vissuto una catastrofe senza precedenti. L’Italia è stata la prima nazione in Europa ad attuare rigide misure di chiusura oltre ad essere stata la prima ad essere gravemente colpita dall’epidemia di COVID-19.

La rapida diffusione del COVID-19, che in poche settimane ha travolto i sistemi sanitari di tutto il mondo, ha richiesto il rapido sviluppo e l’introduzione di nuovi metodi di prevenzione e cura delle malattie.

SITUAZIONEATTUALE

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) si è prontamente adoperato per provvedere alla realizzazione di un sistema di sorveglianza integrata ad hoc (microbiologica ed epidemiologica) dopo che la diffusione del virus SARS-CoV-2 ha colpito l’Italia nei primi mesi del 2020.

Per l’analisi statistica di mortalità si è proceduti a prendere in esame i certificati di morte e alla successiva analisi da parte dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT). Inoltre, in ottemperanza alla Circolare del Ministero della Salute 0007922 del 09/03/2020, l’ISS ha avviato la raccolta e l’esame di campioni di cartelle cliniche ottenute dalle Regioni al fine di valutare le caratteristiche primarie dei decessi per COVID-19.

Ciò è stato fatto alla luce delle circostanze eccezionali che hanno caratterizzato lo stato di pandemia ed il conseguente stato di emergenza.

Nonostante siamo prossimi al verosimile annuncio da parte dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sulla fine dello stato pandemico, è necessario un continuo monitoraggio della diffusione del virus, delle sue varianti e dell’analisi dei dati clinici. Dal primo isolamento del virus, si è assistiti a numerose mutazioni fino all’attuale variante “Arturo”; si è assistiti in oltre tre anni a continue mutazioni del virus che hanno generato e mantenuto uno stato pandemico causando sia un elevato numero di decessi sia una rapida diffusione del virus stesso arrivando a renderlo endemico. I dati del flusso ISS nel periodo

10/4/2023-16/4/2023 mostrano una in-

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cidenza in aumento (42 casi per 100.000 abitanti) rispetto alla settimana precedente (32 casi per 100.000 abitanti nel periodo 3/4/2023-9/4/2023). Trend in aumento anche nel dato più recente censito dal Ministero della Salute (48 casi per 100.000 abitanti nel periodo 14/4–20/4/2023 vs 37 casi per 100.000 abitanti nel periodo 7/4–13/4/2023). L’incidenza è in aumento in tutte le altre fasce d’età. L’età mediana alla diagnosi è di 56 anni, stabile rispetto alle settimane precedenti (dati flusso ISS). L’indice di trasmissibilità basato sui casi con ricovero ospedaliero è in aumento e sopra la soglia epidemica: Rt=1,07 (1,021,13) al 11/04/2023 vs Rt=0,91 (0,860,97) al 04/04/2023 (dati ISS).

Una continua analisi degli effetti del virus a livello cardiovascolare ha mostrato l’esistenza di un legame fisiopatologico tra l’infezione da SARSCoV-2 e gli eventi cardiovascolari

COVID-19 ECOMPLICANZECARDIOVASCOLARI

Come detto precedentemente, la pan-

demia da COVID-19 e la relativa epidemia da SARSCoV-2 sul nostro territorio nazionale sono state la peggiore crisi di salute pubblica recente in Italia. Il COVID19 è stato associato a varie complicanze cardiovascolari tra cui ischemia miocardica, miocardite, aritmie e tromboembolia venosa. I pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) che sono infetti da SARS-CoV-2 hanno spesso una prognosi infausta. Nei pazienti con ACS, la riserva funzionale cardiaca può essere ridotta a causa di ischemia o necrosi miocardica. In caso di infezione da SARS-CoV-2, è più probabile che si verifichi insufficienza cardiaca, con conseguente improvviso deterioramento delle condizioni di questi pazienti. Una continua analisi degli effetti del virus a livello cardiovascolare ha mostrato l’esistenza di un legame fisiopatologico

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comune tra l’infezione da SARS-CoV-2 e gli eventi cardiovascolari ed è rappresentato dalle anomalie della coagulazione e dalla rottura dei fattori rilasciati dalle cellule endoteliali, le quali contribuiscono in condizioni normali a mantenere i vasi sanguigni in uno stato antitrombotico. Inoltre, nei pazienti ad alto rischio con polmonite indotta da COVID-19 e fattori di rischio cardiovascolare, una grave risposta infiammatoria sistemica può portare alla rottura di una placca aterosclerotica, che può manifestarsi come SCA.

VACCINAZIONECONTRO

COVID-19

I vaccini che sono stati messi a punto contro infezione da SARS-CoV-2 sono stati sviluppati e messi in commercio utilizzando un ampia gamma di diverse tecnologie e con un velocità senza precedenti, testati in ampi studi clinici randomizzati. L’obiettivo primario è stato quello di raggiungere l’immunità in tutta la popolazione nel più breve tempo possibile per contrastare la pandemia da COVID-19.

Se da un lato si è pensato di elogiare l’efficienza con cui sono stati sviluppati questi ultimi vaccini, una percentuale considerevole della popolazione è rimasta scettica, non solo per la rapidità di realizzazione e messa in commercio, ma per l’impiego in particolare di quelli che utilizzano la tecnologia ad RNA, piuttosto distinti dai vaccini classici che utilizzano piattaforme più note. Queste preoccupazioni sono state ulteriormente amplificate da un’ondata di segnalazioni relative ai vaccini.

MIOCARDITIEPERICARDITI

Una delle preoccupazioni maggiori a cui si è progressivamente assistiti dopo l’introduzione in commercio dei vaccini è stata quella di stabilire un confronto tra “danno al cuore” causato da infezione da SARS-CoV-2 e da vaccinazione. Il danno al cuore in questo confronto tra infezione e vaccinazione si riferisce in particolar modo ai casi segnalati di miocardite e/o pericardite. Questo aspetto è rilevante, poiché la miocardite, in modo maggiore rispetto alla pericardite, può portare a gravi complicanze, in particolar modo aritmiche ed è una delle cause più comuni di morte cardiaca improvvisa in giovani adulti sulla base di studi autoptici. Fino ad alcuni anni fa, è stata segnalata in letteratura una miocardite associata a vaccino come evento avverso molto raro prevalentemente nel contesto del vaccino contro virus vivi attenuati, ed è stata solo descritta mediante segnalazioni di casi per altri vaccini.

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L’implementazione del vaccino COVID19 utilizzando una nuova tecnologia, come vaccini a base di RNA, negli studi di fase 3 e la loro attuazione clinica è stata seguita dal monitoraggio degli esiti basato sulla popolazione e tassi di complicanze. Utilizzando le informazioni da database di grandi dimensioni, è stato subito riconosciuto che c’è un basso, ma consistente tasso di pazienti che presentano dopo la vaccinazione miocardite e/o pericardite.

Inoltre, nonostante la maggior parte dei casi di miocardite non evolva verso la morte, una stretta sorveglianza dei sintomi e segni è necessaria, anche perché tra le varie forme esiste quella fulminante, associata a miocardite linfocitaria, a cellule giganti ed eosinofila riportata finora solo a livello di case report. Questa forma causa un grave deterioramento della funzione contrattile, blocco atrioventricolare, tachiaritmie ventricolari e sincope, fino al decesso. Infine, nelle forme che vanno a risoluzione del quadro infiammatorio, il rischio di complicanze cardiache sussiste, in particolare lo sviluppo di cardiomiopatia dilatativa.

MIOCARDITEDA COVID-19 CONTROMIOCARDITEPOST-VACCINALE

sottolineare che, secondo le attuali conoscenze, un esito sfavorevole appare molto insolito nella miocardite dopo la vaccinazione contro il COVID-19.

L’Associazione ESC (European Society of Cardiology) ed il gruppo di lavoro dell’ESC sulle miocarditi e pericarditi hanno raccolto e analizzato nel 2022 i dati ottenuti in merito ai casi di miocardite da infezione da SARS CoV-2 e quelli in seguito a vaccinazione. Se da un lato i risultati hanno dimostrato che i picchi di incidenza nei giovani maschi di 1517 anni identificavano con la seconda dose di vaccino un rischio più elevato rispetto alla prima dose (sintomi che iniziano a pochi giorni dalla somministrazione), dall’altro deve essere considerato il rischio correlato da contrarre infezione del virus SARS-CoV-2 stesso. È stato dimostrato dal Centro statunitense per il controllo delle malattie e prevenzione che l’infezione da SARS-CoV2 aumenta il rischio di miocardite di 16 volte da 9 casi su 100.000 a 150 casi per 100 000. Inoltre, un’altra questione cruciale quando si considera la prevalenza e l’incidenza di vaccinazione associata a miocardite è il fatto che la malattia si presenta attraverso uno spettro diverso per gravità e sintomatologia. Pertanto, lo screening completo richiederebbe una valutazione sistematica mediante accertamenti come elettrocardiogramma (ECG), troponina e risonanza magnetica cardiaca (CMR) e/o dati della biopsia endomiocardica (EMB) in una popolazione molto più ampia di individui che ricevono il vaccino. Sebbene la CMR rappresenti il gold standard per rilevare la miocardite in modo non invasivo, non fornisce una diagnosi definitiva di miocardite. Dato che non sussiste una popolazione di controllo, le potenziali conseguenze dei vaccini basato sul CMR potrebbe essere

A sinistra: Panoramica su incidenza, diagnosi e terapia nella miocardite correlata al vaccino. CMR, risonanza magnetica cardiaca; EMB, biopsia endomiocardica; FANS, farmaci antinfiammatori non steroidei.

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È importante

Grafici in alto: il rischio di complicanze dopo il vaccino COVID-19 rispetto all’infezione da COVID-19. I dati sono stati ottenuti da uno studio nazionale in Israele. Ogni coorte era composta da più di 800.000 individui. Il rischio relativo di sviluppare miocardite dopo il vaccino era 3,2, mentre è 18,3 a seguito di infezione da COVID-19. Da Barda et al.

stato potenzialmente sovrastimato. È importante sottolineare che, secondo le attuali conoscenze, un esito sfavorevole appare molto insolito nella miocardite dopo la vaccinazione contro il COVID19. I vaccini COVID-19 sono nel complesso molto sicuri. Sebbene sussiste un tasso basso ma consistente e tangibile di miocardite e/o pericardite post-vaccinale identificata in diversi studi a livello nazionale e internazionale, la maggior parte dei casi si presenta in forma lieve e non associata ad ospedalizzazione o complicazioni degne di nota. Questo rischio deve essere bilanciato con quello molto più grande: rischio di morte, complicanze polmonari, vascolari e cardiache da parte del virus SARS-CoV-2 stesso. Nel complesso, il rapporto rischio/beneficio è enorme e rimane a favore della vaccinazione per la maggior parte delle classi di età, in particolare negli anziani. Questo messaggio è importante sia per il pubblico sia per decisori politici. Per la comunità medica, un messaggio chiave è l’identificazione delle persone affette (in particolare i giovani) che presentano con dolore toracico, palpitazioni o mancanza di respiro entro 7 giorni dalla seconda dose di un vaccino a RNA.

e costante monitorizzazione

dei casi di infezione da SARS CoV-2 e dei tassi di ospedalizzazione rimane ancora cruciale in Italia per gestire e cercare quindi di controllare al meglio la situazione sanitaria legata al COVID-19. Attualmente, data la sua scarsa virulenza, non esiste un reale rischio significativo legato al virus, anzi è verosimilmente stimato che l’attuale variante Arturo dia una forma simil-influenzale, per lo più come raffreddore e congiuntivite, maggiormente nella popolazione pediatrica. È stimato aspettarsi che la sua diffusione in futuro possa seguire la stagione fredda (autunnale-invernale) proprio come l’influenza ed essere definitivamente definito come virus endemico a carattere stagionale. Oramai usciti dalla fase pandemica, il lavoro di gestione e controllo sul virus dovrebbe essere quello di concentrarsi sulla precoce identificazione dei sintomi, delle varianti del virus che circolano in Italia e nell’identificare i pazienti a maggior rischio di esiti avversi, mediante un più attento monitoraggio a lungo termine. La dose di richiamo vaccinale, inserita nel programma di vaccinazione combinata con l’antinfluenzale nel periodo autunnale, rimarrebbe allo stato attuale indicata per le persone anziane ultraottantenni, personale sanitario ed in coloro che presentano compromissione del sistema immunitario.

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CONCLUSIONI Un’attenta

THE COVID-19 PANDEMIC, MYOCARDITIS AND CURRENT STATE OF THE ART

The COVID-19 pandemic has required a rapid development and implementation of new methods for the prevention and treatment of diseases. In Italy, the National Institute of Health (Istituto Superiore di Sanità) has worked to create a surveillance system that integrates microbiology with epidemiology. Clinical records have been collected from every region to assess the main characteristics of COVID-19-related deaths. An analysis of this data has revealed a common pathophysiological link between SARS-CoV-2 infections and cardiovascular events. This link is represented by abnormalities in blood clotting and the release of factors from endothelial cells, which, under normal conditions, contribute to maintaining blood vessels in an antithrombotic state. COVID-19 has also been associated with various complications in patients. It is not surprising that those who suffer from acute coronary syndrome (ACS) and are infected with the SARS-CoV-2 virus often have a poor prognosis. In patients with ACS, cardiac functional reserve may already be reduced due to ischaemia or myocardial necrosis. Therefore, in the case of SARSCoV-2 infections, heart failure is more likely to occur, leading to a sudden deterioration in patients’ conditions. Furthermore, in high-risk patients with COVID-19-induced pneumonia and cardiovascular risk factors, a severe systemic inflammatory response can lead to the rupture of atherosclerotic plaques, which can manifest as acute coronary syndrome. Another major concern following the introduction of vaccines has been comparing cases of myocarditis and/or pericarditis caused by SARS-CoV-2 and those caused by the vaccines. New RNA-based technology was followed by population-based monitoring and complication rates, and it was found that there was a low but considerable number of patients who developed myocarditis after getting the vaccine. The European Society of Cardiology also observed incidence peaks among young males aged 15-17 years after the second dose. However, the Center for Disease Control and Prevention in the United States demonstrated that SARS-CoV-2 infection increases the risk of myocarditis by 16 times. It is important to highlight that the occurrence of myocarditis after vaccination remains an extremely rare event and is rarely severe. The risk-benefit ratio is significant and remains in favour of vaccination. Now that we are out of the acute phase of the pandemic, our focus should be on the early identification of symptoms, tracking the variants present in Italy, and identifying patients at higher risk of adverse outcomes through long-term monitoring.

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LA PANDEMIA COVID-19 E LE SUE CONSEGUENZE

NEI PROFESSIONISTI SANITARI

di Sondra Badolamenti (in foto a centro pagina)

Docente presso UniCamillus di Scienze Infermieristiche e di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni

La pandemia Covid -19, proclamata dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) a fine gennaio 2020, si è distinta dalle precedenti per la globalità e la persistenza nel tempo. Nonostante le esperienze precedenti di pandemie, anche nella storia recente, come la sindrome respiratoria (MERS) e A/H1N1, allo stato attuale si sa ancora poco dell’impatto sociale, emotivo e psicologico che la pandemia da Covid 19 ha avuto su tutti gli operatori sanitari. Tutti infatti ne stanno ancora affrontando le sfide e rischiando le conseguenze. Secondo le stime dell’OMS, sarebbero almeno 115.000 gli operatori sanitari che tra gennaio 2020 e maggio 2021 avrebbero perso la vita a causa della pandemia. A causa dell’elevato livello di esposizione, tutti i professionisti sanitari rappresentano una categoria ad alto rischio di burnout, stress, ansia, affaticamento. Precedenti studi condotti durante lo scoppio della sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e A/H1N1 hanno confermato che gli operatori sanitari in prima linea hanno manifestato disturbi di ansia, depressione, paura e disturbo post traumatico da stress (PTSD) (Chong et al., 2004; Goulia et al., 2010). Questi studi hanno evidenziato come i fattori di rischio per lo

sviluppo di disturbi psichiatrici fossero legati al contatto prolungato con pazienti contagiati, ai turni massacranti e alla mancanza di supporto (Kim & Park, 2017; Jung et al. al., 2016). Sebbene la ricerca sull’attuale pandemia di COVID19 stia continuando ad evolversi, sarebbe opportuno cercare di fare una sintesi dei fattori di rischio specifici che possono influenzare la salute fisica e mentale degli operatori sanitari. Gli operatori sanitari sono infatti ancora oggi, a distanza di 3 anni dall’esordio della pandemia, una categoria particolarmente esposta a condizioni di rischio a causa della peculiarità del ruolo lavorativo che li porta a gestire situazioni cliniche estremamente complesse quali ad esempio i carichi di lavoro, la gestione di pazienti in condizioni critiche, le risorse limitate a disposizione, i tuttora elevati tassi di mortalità nei pazienti con specifiche cronicità e comorbidità (Crowe et al., 2021). Alcuni autori hanno infatti evidenziato che l’incidenza di alcuni disturbi, quali ansia, depressione, disturbi dissociativi e PTSD, sono drasticamente aumentati tra gli operatori sanitari (Chen et al., 2020). E per ciascuno esistono diversi fattori di rischio specifici, responsabili del peggioramento della salute fisica e

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mentale dei professionisti sanitari. Essi possono essere sostanzialmente ricondotti a 5 macro-aree: setting clinici specifici, sicurezza sul luogo di lavoro, gestione dei processi comunicativi e delle informazioni sanitarie, caratteristiche individuali, e interfaccia lavoro/vita privata. Alcuni ricercatori hanno evidenziato che alcuni setting lavorativi, durante la pandemia, abbiano rappresentato uno specifico fattore di rischio. Ad esempio alcuni reparti (quali le terapie intensive, il pronto soccorso e la rianimazioni) rappresentano aree a rischio di compromissione del benessere fisico e mentale degli operatori sanitari; l’incidenza di disturbi (quali depressione, ansia etc.) risulta significativamente più elevato, probabilmente legata a caratteristiche specifiche di questi setting lavorativi quali una costante esposizione

Gli operatori sanitari sono ancora oggi, a distanza di 3 anni dall’esordio della pandemia, una categoria particolarmente esposta a condizioni di rischio lavorativo che li porta a gestire situazioni cliniche complesse

ad elevati livelli di rumori provenienti dai dispositivi di monitoraggio del paziente, la elevata instabilità clinica dei pazienti all’interno di questi setting, la continua tensione con cui si lavora, gli elevati carichi di lavoro, l’aumentato rapporto infermiere/paziente, la mancanza di personale infermieristico o altro personale di supporto non sanitario sufficiente per svolgere l’eccessivo carico di lavoro. In tali setting l’incidenza di ansia, depressione e disturbo post traumatico da stress (PTSD) si è rivelata essere significativamente maggiore (Moon et al., 2021). Altri fattori di rischio possono essere collegati al tema della sicurezza sul luogo di lavoro. In questo senso la pandemia, con la paura associata alla possibilità di contrarre l’infezione e di contagiare la famiglia e i figli, ha rappresentato uno

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specifico fattore di stress per tutti gli operatori sanitari (Gonzales-Gil et al., 2021; Leng et al., 2020; Heesakkers et al., 2021; Mekonen et al., 2021; Moon et al., 2021), generando uno stato continuo di insicurezza e di allerta che, da un punto di vista clinico, rappresentano già di per sé un grande fattore di rischio per lo sviluppo di problematiche di tipo fisico e psicologico (ansia, depressione, disturbi gastrointestinali, cefalea, disturbi del sonno, etc). Diversi studi hanno evidenziato che gli operatori sanitari con competenze non specifiche sulla gestione dei pazienti contagiati sono stati quelli maggiormente esposti a problematiche di tipo psicologico; essi manifestavano un rischio di depressione due volte superiore rispetto ai colleghi con maggiori competenze (Gonzales-Gil et al., 2021; Mekonen et

Diversi studi hanno evidenziato che gli operatori sanitari con competenze non specifiche sulla gestione dei pazienti contagiati sono stati quelli maggiormente esposti a problematiche di tipo psicologico

al., 2021). All’inizio della pandemia, uno dei fattori che ha sicuramente giocato un impatto negativo sulla salute mentale degli operatori sanitari è stato il senso di insicurezza generato dalla mancanza di dispositivi di protezione individuale (DPI), le preoccupazioni per la loro qualità/appropriatezza e per l’accesso ad una quantità adeguata; allo stesso tempo, tutti i problemi legati al loro uso prolungato durante il turno di lavoro, all’impossibilità di toglierli e i disagi fisici ad esso associati (es lesioni sul volto). Questo ha sicuramente generato ansia e insicurezza (Havaei et al., 2021; Moon et al., 2021). Inoltre, lavorare con colleghi non adeguatamente formati o in possesso di competenze specifiche è stato significativamente associato a un aumento del rischio di ansia, depressione, PTSD; i livelli di stress tra gli operatori

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sanitari, erano 2,5 volte superiori rispetto a prima della pandemia, rimanendo elevati anche dopo la prima ondata (Heeshakkers et al., 2021). D’altro canto, gli operatori sanitari che non avevano una formazione specifica sulla gestione delle infezioni e dei pazienti contagiati manifestavano un rischio triplicato di avere disturbi mentali rispetto ai colleghi in possesso di una adeguata formazione (Mekonen et al., 2021). Un altro fattore di rischio che ha giocato un ruolo importantissimo è stata la gestione della comunicazione. I continui cambiamenti nelle politiche aziendali, l’enorme volume di informazioni e i contenuti spesso contraddittori, i continui cambiamenti nelle procedure riguardanti la gestione dell’ infezione sono stati percepiti come stressanti, aumentando negli operatori il senso di frustrazione e di

impotenza per la mancanza di informazioni sicure e chiare (Crowe et al., 2021; Havaei et al., 2021).

Un altro fattore di rischio che ha giocato un ruolo importantissimo è stata la gestione della comunicazione. I continui cambiamenti nelle procedure sono stati percepiti come stressanti

Le informazioni contrastanti e la mancanza di un protocollo univoco hanno anche probabilmente aumentato le divergenze tra colleghi sulle attività clinico/assistenziali, aumentando il senso di isolamento e la mancanza di supporto tra colleghi (Gorini et al., 2020). Uno studio ha evidenziato che gli operatori sanitari che consideravano la gestione ospedaliera incompetente o che non ricevevano alcun supporto dai dirigenti ospedalieri, sperimentavano tassi di ansia più elevati (Gul et al., 2020). Se andiamo a guardare il ruolo dei fattori individuali emergono cose molto interessanti dalla letteratura scientifica. Numerosi autori hanno evidenziato una relazione tra sesso femminile, pre-

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senza di figli, età inferiore ai 40 anni, esperienza professionale limitata, bassi livelli di supporto sociale e una maggiore probabilità di manifestare disturbi depressivi e PTSD (Moon et al., 2021; Song et al., 2020; Xing et al., 2021). La mancanza di tempo libero e il riposo insufficiente hanno contribuito, insieme al mandato del distanziamento sociale, alla mancanza di tempo trascorso con la famiglia e gli amici e quindi all’isolamento sociale (Kirk et al., 2021). Quanto detto si lega alle considerazioni che possiamo fare sull’impatto che la pandemia ha avuto sulla interfaccia lavoro/vita privata. Il cambiamento di reparto (spesso richiesti dall’azienda per esigenze organizzative), l’interruzione delle normali abitudini familiari (le uscite con gli amici, il tempo passato con i figli, l’interruzione delle attività scolastiche, la DAD e le sue difficoltà) sono state altre fonti di stress (Mekonen et al., 2021). Per i professionisti la continua sfida tra la gestione del lavoro e quella degli impegni personali e familiari sono stati un fattore estremamente perturbante. Chi non poteva contare sull’aiuto di familiari (nonni, zii) ha vissuto un pauroso aumento delle proprie responsabilità e delle proprie preoccupazioni. A queste

Tutti i professionisti sanitari sono stati etichettati come una potenziale fonte di infezione e sono stati stigmatizzati a causa del loro lavoro, con notevoli ripercussioni sulla loro salute mentale.

situazioni già di per sé pesanti, si è spesso aggiunto l’evitamento da parte dei membri della famiglia o della loro comunità a causa dello stigma e della paura di contrarre il COVID-19 (ad es. evitamento da parte di familiari, amici, vicini e condomini); la mancanza del sostegno sociale e dell’accettazione sociale da parte dei vicini e degli amici è stata fonte di ansia, con relazioni alterate o interrotte con gli amici, con i vicini di casa o con entrambi (Xing et al., 2021). Tutti i professionisti sanitari sono stati etichettati come una potenziale fonte di infezione e sono stati stigmatizzati a causa del loro lavoro, con notevoli ripercussioni sulla loro salute mentale. Tutti i ricercatori che hanno studiato tale fenomeno in tutte le sue sfaccettature hanno evidenziato associazioni significative tra diversi fattori di rischio e disturbi quali ansia, depressione e PTSD. Tuttavia, rimane ancora molto da approfondire poiché al momento conosciamo solo la punta dell’iceberg; di fatto non abbiamo una stima esatta dei professionisti che, nel corso di questi anni, hanno dovuto ricorrere ad una psicoterapia e gli effetti a lungo termine sono ancora largamente sottostimati.

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THE COVID-19 PANDEMIC AND ITS CONSEQUENCES ON HEALTHCARE PROFESSIONALS

Despite previous experiences with pandemics, little is still known about the psychological impact that Covid-19 has had on healthcare workers. Everyone is still facing its challenges and risking its consequences. Risk factors for the development of psychiatric disorders among healthcare workers are related to prolonged contact with infected patients, exhausting shifts, and lack of support. Some authors have highlighted that since 2020, the incidence of anxiety, depression, dissociative disorders, and PTSD has dramatically increased among healthcare professionals working in intensive care units or emergency departments. This incidence is linked to specific characteristics such as constant exposure to the noises of monitoring devices, increased clinical instability of patients, continuous tension, heavy workloads, and shortage of nursing staff to help with difficult situations. Fear of infecting your own family has generated a continuous state of insecurity and alertness, while working with colleagues who are sometimes inadequately trained has been associated with an increased risk of anxiety. Another factor has been communication, with often contradictory information leading to increased frustration and a sense of powerlessness, while lack of leisure time and rest have exacerbated social isolation. The constant struggle between managing work and family commitments has been an extremely disruptive factor, too. Those who could not rely on the help of family members have experienced a frightening increase in their responsibilities and concerns. However, there is still much to be explored, as the long-term effects of what we have been through are still grossly underestimated.

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ACADEMIC LIFE

Informa Studenti

Presentazione del Bilancio di Genere

2023 di UniCamillus: Maria Elena Boschi

ospite e protagonista dell’evento

Presentato il 23 maggio scorso nell’Aula Magno in UniLabs il primo bilancio di genere di UniCamillus. I dati sulla composizione della comunità accademica dell’Ateneo sono stati presentati dalla Professoressa Sofia Colaceci, delegata del Rettore alle pari opportunità e presidente del comitato unico di garanzia dell’Università Medica Internazionale di Roma. L’evento ha visto la presenza anche di illustri ospiti, come l’Onorevole Maria Elena Boschi, ex Ministro con deleghe alle Pari Opportunità durante il governo Renzi (2014-2016), e la dott.ssa Jessica Faroni, imprenditrice e presidentessa dell’AIOP (Associazione italiana dell’ospedalità privata).

Il Bilancio di Genere è raccomandata dalla direttiva “Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche (GU n°173 del 27 luglio 2007) e si compone di due parti: una descrittiva, per illustrare la distribuzione di genere nelle diverse componenti e ruoli di governance dell’Università, l’altra di monitoraggio, per valutare le azioni dell’Ateneo a favore dell’eguaglianza di genere. A tal proposito, è con grande orgoglio che UniCamillus può affermare di aver raggiunto livelli di gran lunga migliori rispetto alla media Nazionale. Tra il personale accademico ben tre fasce d’età (under 30, 35-39 e 4559) vedono una presenza femminile maggiore di quella maschile. Nel corpo docente la fascia d’età più giovane (30-34) vede una presenza femminile più che doppia rispetto a quella maschile. Inoltre trequarti del personale tecnico in UniCamillus è composto da donne.

“Immaginiamo che questi numeri cambieranno presto anche su livelli più alti”, ha detto l’On. Boschi nel suo intervento, “sia

nell’insegnamento, sia nei ruoli di responsabilità e nella gestione dell’università. Sono contenta che questa sia un’occasione anche per riflettere insieme su quello che in genrale possiamo ancora migliorare nella società”. Nel corso dell’evento c’è stata anche l’occasione per consegnare la prima baby card di UniCamillus a Eleonora Baldassari, che potrà così usufruire dei servizi offerti dall’Università, dedicati alle donne incinte o neomamme: priorità negli uffici, al bar e nel sostenere gli esami, accesso al baby pit-stop per l’allattamento e la possibilità di parcheggiare la propria auto in posti riservati. Dopo la presentazione infatti l’On. Boschi e il Rettore di UniCamillus, Gianni Profita, hanno inaugurato le aree parcheggio contrassegnate dalle strisce rosa, destinate proprio alle studentesse in dolce attesa.

Gli studenti hanno anche colto l’occasione per rivolgere alla parlamentare alcune domande, tra cui una sulla grande novità nella politica italiana: la presenza per la prima volta di un Presidente del Consiglio dei Ministri donna. “Giorgia Meloni è stata brava a raggiungere tale traguardo e le va dato atti di esserci riuscita con il consenso, con i voti, con il suo percorso politico e anche con tanti anni di impegno e di lavoro. Per me è un risultato positivo per tutte le donne, perché appunto, dà l’idea che non sia più un risultato irraggiungibile . Ora però la Presidente Meloni ha la responsabilità di porre le basi e aprire la strada anche ad altre. Un traguardo così importante non può andare a migliorare solo la condizione di un singolo rimanendo fine a se stesso. Valuteremo nel tempo il suo operato. Come diceva Madeleine Albright: all’Inferno c’è un posto speciale per le donne che non aiutano le altre donne”.

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Foto in alto: La prof.ssa Colaceci presenta i dati del bilancio di genere.

Foto al centro: Il Rettore, l’On. Boschi e la studentessa di UniCamillus Eleonora Baldassari inaugurano i parcheggi rosa.

Foto a lato: La dottoressa Jessica Faroni, presidente dell’Associazione italiana dell’ospedalità privata, che ha portato la testimonianza della sua esperienza di imprenditrice nella sanità.

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PROTEZIONE

GLI UOMINI E LE DONNE DELLA CROCE ROSSA ITALIANA E DELLA CIVILE, ALL’OPERA NELLE ZONE COLPITE DALL’ALLUVIONE

ALLUVIONE IN EMILIA-ROMAGNA: LE IMMAGINI DEL DISASTRO

Lasciano sgomenti le immagini del disastro idrogeologico che ha colpito l’Emilia Romagna a maggio. Un evento eccezionale, scaturito dalla combinazione di diversi di fattori, legati alla struttura e alla traiettoria del ciclone che ha colpito la regione. Persistenza, intensità e convergenza delle delle precipitazioni, unite anche ad una gestione inefficente dei sistemi artificiali di raccolta, scolo e drenaggio delle acque piovane, hanno reso il terreno incapace di assorbire la grande quantità d’acqua caduta.

Più di cento i comuni che hanno subito gli effetti di questa catastrofe, con interi paesi e frazioni interamente inondati. 304 frane registrate. 500 strade chiuse, perché rese impraticabili. 16 le vittime e oltre 36000 le persone coinvolte, che si sono ritrovate a dover spalare fango dentro le proprie case. Agricoltori, allevatori e aziende hanno subito complessivamene danni stimati in diversi miliardi di euro.

Fotografie fornite da Croce Rossa Italiana e Protezione Civile

ACADEMIC LIFE

MUTILARE LA CIVILTÀ

GLOBAL HEALTH, SINDEMIA E MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI LA SALUTE INCONTRA I DIRITTI UMANI

Leggere di un convegno a Roma sulle mutilazioni genitali femminili e pensare che in Italia sia un argomento marginale sarebbe un grave errore. E’ vero che Musa Awad , consigliere dell’Ordine dei Medici della capitale ha recentemente ammesso l’inesistenza quasi totale di dati attendibili sull’argomento a Roma e nel Lazio. Ma è altrettanto vero che il fenomeno è nascosto, ma esiste, e si ha ragione di pensare che i numeri possano essere allarmanti.

Il convegno organizzato da Laura Elena Pacifici Noja e Alessandro Boccanelli, patrocinato da UniCamillus e da Salute e Società, è stato, innanzitutto, un approfondimento e un impegno a trasformare questo problema sommerso in un oggetto di frequenti confronti scientifici e sociali.

Antiche tradizioni tribali sopravvivono anche in quell’Occidente in cui sono viste come orribili e inaccettabili. Pratiche legate alla tradizione e non, come qualcuno afferma, alla religione, sono esercitate senza sosta in una trentina di Paesi, primi fra tutti quelli del Corno d’Africa, Etiopia e Somalia in testa, dove riguardano quasi il novanta per cento delle ragazze.

Recentemente, presentando il libro “Il pensare africano come vitalogia” il prof. Nkafu Nkemnkia ha polemizzato contro l’appiattimento delle università del suo continente sulla cultura occidentale, che polemicamente ha definito come qualcosa di lontano dal pensiero della sua terra, e ha auspicato che lo studio dei filosofi africani prenda il posto di quello di pensatori greci e latini. La sua teoria, sebbene estrema, ha una validità di

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NEWS/NOTE
Il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, benché illegale, non si arresta: è di 500mila la stima delle donne che hanno subito mutilazioni genitali in Europa.

fondo, ma riguarda solo storia, filosofia e tradizioni. E’ ovvio che la distinzione fra cultura e riti tribali debba essere sottintesa, e la salute delle donne difesa a tutti i costi: le leggi di molti Paesi africani sono piene di proibizioni, spesso ignorate per privilegiare le usanze.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 1948, non è un documento che costruisce una civiltà senza applicarne i principi. La sua applicazione, però, trova infiniti ostacoli, a iniziare dalle scappatoie, con cui molti cercano di violarne la natura di garanzia assoluta, imponendo l’ostacolo della

non ingerenza. Scontro dunque fra società laica e “concessione divina” dei diritti, anche se sul termine “divino” vanno fatte infinite distinzioni. Come diversi sono gli atteggiamenti dei governi nei vari Paesi. L’Organizzazione mondiale della sanità ha condannato con fermezza le mutilazioni genitali femminili, indicandole come violazione dei diritti umani e del diritto alla salute, e definendole discriminazione e tortura. Una legge britannica ha imposto ai professionisti socio-sanitari di denunciare queste pratiche illegali. In Italia. per chi pratica l’infibulazione, la legge prevede reclusione fino a dodici anni, un

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Prof. Luca Bello Medico Specialista in Ginecologia ed Ostetricia. Docente presso Università degli Studi di Torino Marco Trombetti, co-fondatore di Translated, Memopal e Pi Campus

ACADEMIC LIFE

terzo in più se viene compiuta su una minorenne, e se è a fini di lucro.

E’ stato appurato che gli immigrati da Paesi in cui l’MGF è silenziosamente accettata, raramente hanno cambiato il loro pensiero su questa pratica, nemmeno dopo un lungo periodo di permanenza in Paesi dove è illegale. E nemmeno le sanzioni sembrano efficaci per ridurre il fenomeno. Si potrebbero citare infiniti esempi di barriere psicologiche e sociali che si frappongono a quella che noi consideriamo normalità inviolabile: è molto diffuso, ad esempio, il mito secondo cui le donne non infibulate o deinfibulate sono brutte, volgari, poco attraenti. E’ difficile dire quanto questa leggenda induca le donne a una sorta di rassegnata consolazione riguardo le torture a cui vengono sottoposte.

E c’è da aggiungere che in moltissimi casi

queste torture vengono ripetute diverse volte nel corso di una vita. Gli interventi vengono eseguiti esclusivamente da donne, ma non tutte sono esperte e attente ai problemi igienici, per cui le infezioni sono frequenti e in alcuni casi portano addirittura a morte, anche perché non è raro che in Occidente le madri evitino di ricorrere a medici e pronto soccorso, e questo per paura di essere denunciate.

Un‘altra spinta persuasiva sta nel fatto che in molte regioni l’infibulazione viene praticata dopo il parto e dopo lo stupro per ripristinare la verginità: dunque, si offre alla donna come un mezzo necessario per evitare esclusione sociale e permetterle di trovare marito.

L’infibulazione può essere eseguita in diverse fasi della vita, spesso nell’infanzia, dando alla bambina la possibilità di non ricordare

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NEWS/NOTE

o di ritenere normale il proprio stato: un caso estremo è lo Yemen dove si infibulano persino le neonate. Oppure in giovane età, e, in questo caso, ci sono ragazze che accettano il rito come socialmente necessario mentre ad altre l’ intervento causa depressione, ansia e disordini da stress post-traumatico. Ecco il motivo per cui, prima di eseguire un intervento di de-infibulazione, è necessario un supporto psicologico, prevedendo che il dolore operatorio possa riportare alla mente gli eventi del passato.

Il fenomeno appare irreversibile, da una generazione all’altra, sebbene ci siano famiglie che non riconoscono la mutilazione genitale come pratica culturale, ciò che rende quasi sempre “ereditario” il rifiuto di queste pratiche. Anche le donne che lavorano e, soprattutto, quelle che hanno studiato, si dichiarano

contrarie, mentre un lato positivo, se mai si potesse usare questo termine, sta in un modesto aumento delle condizioni di sicurezza in cui gli interventi vengono compiuti. Tutto questo, e molto altro, è materia di un confronto estremamente difficile fra due culture, una delle quali, quella occidentale, finora non sembra abbia affrontato l’argomento come meriterebbe. Ma se ipotesi di ingerenza sono sempre in agguato è un punto fermo che in Europa questi riti non sono ammissibili ed è quanto mai opportuno moltiplicare iniziative di ogni genere intorno a una vera piaga sociale.

Ed è innegabile che i flussi migratori, sempre più massicci, verso il Vecchio Continente rendano tutto questo non solo necessario, ma anche, per quanto in questo contesto sia ammissibile l’aggettivo, anche urgente.

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Nelle foto, alcuni momenti del covegno tenutosi in UniCamillus il 31 marzo scorso, nell’Aula Magna e nell’Aula Blu di UniLabs. Sono intervenuti inoltre Dott. Gian Stefano Spoto (giornalista, saggista e scrittore) Dott.ssa Viola Liberale (Ginecologia ed Ostetricia), Prof. Alessandro Boccanelli (Medicina Narrativa e Filosofia Morale), Prof. Emanuele Caroppo (Psichiatria Sociale), Prof. Giancarlo Ceccarelli (Malattie infettive), Dr.ssa Valentina De Biasio (Medicina legale), Prof. Oreste Foppiani (Storia e Politica internazionale), Dr.ssa Ost. Anita Fortunato (Ostetrica), Prof. Mario Di Giulio (Avvocato), Prof.ssa Laura Pacifici Noja (Igiene e Medicina preventiva), Prof. Ugo G. Pacifici Noja (Avvocato cassazionista), Prof. Massimo Papa (Diritto Musulmano e dei Paesi Islamici, Dott. Andrea Pettini (Diritto Internazionale), Prof. Gianni Profita (Rettore UniCamillus).

Global health e mutilazioni genitali femminili (MGF) rappresentano una materia complessa e articolata con la quale gli operatori sanitari, anche a seguito dei recenti flussi migratori, si dovranno sempre più confrontare nei prossimi anni. Ambedue gli argomenti testimoniano come la salute e soprattutto il diritto alla salute debbano divenire sempre più realtà in ogni parte del mondo. Un convegno che tratta Global Health unitamente aldramma delle mutilazioni genitali femminili può sembrare disomogeneo, ma non lo è affatto: testimoniano due drammatiche ingiustizie che si incontrano dove c’è l’assenza di un reale diritto alla salute, sia personale che della comunità. Con il termine MGF, si intendono tutte le procedure che includono la rimozione parziale o totale dei genitali femminili, per ragioni culturali, religione o altre motivazioni non terapeutiche. Il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, benché illegale, non si arresta: è di 500mila la stima delle donne che hanno subito mutilazioni genitali in Europa. Le mutilazioni genitali femminili sono un problema che colpisce anche bambine e giovani donne migranti che vivono nel nostro territorio, spesso a rischio di esservi sottoposte quando tornano nel loro Paese di origine per visitare i parenti. Il convegno pone all’attenzione dei partecipanti le principali informazioni cliniche in materia MGF, fornendo agli operatori sanitari gli strumenti per affrontare una tipologia di paziente che necessita di terapie innovative e specifiche per una riabilitazione psicofisica ottimale, e di una tutela legale e sociale che possa essere un fattore trainante anche nel proprio percorso di integrazione.

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IGIENE ORALE, GRANDE SUCCESSO ANCHE PER LA SECONDA EDIZIONE DEL PROGETTO TERRITORIALE DI UNICAMILLUS

Le Professoresse Giuseppina Laganà e Roberta Lione hanno portato avanti il progetto, con gli studenti del secondo anno del corso di Laurea Magistrale in Odontoiatria e Protesi Dentaria di UniCamillus, che ha coinvolto questa volta i ragazzi dell’Istituto Comprensivo Via Poppea Sabina

Si è conclusa il 30 maggio la seconda edizione del programma di salute e igiene orale, che l’università Medica Internazionale di Roma UniCamillus porta avanti nelle scuole. Dopo il successo dell’esperienza dell’anno scorso, presso la scuola primaria e secondaria I.C. Belforte del Chienti, quest’anno ad essere protagonisti sono stati bambini e ragazzi, insieme alle loro famiglie, dell’Istituto Comprensivo Via Poppea Sabina a Roma, nel quartiere di Casal Monastero. La partecipazione è stata persino maggiore rispetto a un anno fa, con circa 350 alunni coinvolti, tra i 6 e i 13 anni, della scuola primaria e secondaria di primo grado. Gli obiettivi del progetto, anche in questa occasione, sono stati quelli di promuovere la prevenzione e la cura della salute orale nei bambini e negli adolescenti, valutare le condizioni attuali e le esigenze future dei più giovani nella cura dei denti, raccogliendo dati utili a elaborare programmi di assistenza odontoiatrica su larga scala.

Come già era avvenuto nel corso della prima edizione, a partire da marzo gli studenti del secondo anno del corso di Corso di Laurea

Magistrale in Odontoiatria e Protesi Dentaria di UniCamillus, guidati dalla Professoressa Giuseppina Laganà, promotrice del progetto, e dalla Professoressa Roberta Lione, hanno fatto visita agli alunni dell’istituto scolastico. Ciascuno dei piccoli pazienti è stato visitato singolarmente dagli operatori all’interno della scuola, dove erano stati allestiti dal personale scolastico degli spazi dedicati. “Abbiamo allestito quattro postazioni - spiega proprio la Professoressa Lione - e a ciascuna era assegnato un operatore, che eravamo sostanzialmente io, la Professoressa Laganà e altri due colleghi specialisti di odontodonzia. Con noi c’erano

gli studenti di UniCamillus divisi in gruppi e, chiaramente, il bambino o la bambina che dovevano essere visitati”.

Oltre alla qualità dell’igiene dentale, sono state valutate dai laureandi, sotto la supervisione dei medici specialisti, anche le malocclusioni e le abitudini viziate, come il bruxismo, la respirazione orale, l’onicofagia e le suzioni. Tutti fenomeni di frequente riscontro nell’età evolutiva. “Abbiamo effettuato visite diagnostiche e di screening, a partire dalle caratteristiche estetiche dei piccoli pazienti - ha aggiunto la professoressa Lione – Siamo partiti dal rilevare informazioni sulle conformazioni lineari, come l’altezza facciale, e altre misurazioni per associare ogni bambino a un biotipo morfologico di categoria. In questo modo abbiamo potuto vedere la rispondenza tra le caratteristiche estetiche e la corrispondenza con quelle interne alla bocca, per poi svolgere una ispezione intraorale. Abbiamo analizzato la presenza di tutti gli elementi dentali e se ci fosse una chiusura corretta tra mandibola e mascella o se invece vi fossero delle anomalie. E poi ovviamente abbiamo proceduto

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Prof.ssa Giuseppina Laganà

alla valutazione sull’igiene orale complessiva. La visita spaziava però su vari aspetti, proprio per dare un quadro generale dello stato di salute orale dei bambini”. Al termine del controllo a ogni alunno è stato rilasciato un foglio informativo, per dare ai genitori indicazioni e suggerimenti su quali trattamenti sarebbero più opportuni per il proprio figlio. Per un’analisi approfondita di tutti questi fattori infatti è stata fondamentale proprio la collaborazione con i genitori, nel fornire indicazioni anamnestiche sulle abitudini comportamenti dei propri figli.

“Quando abbiamo presentato il progetto è sorta subito molta curiosità da parte delle famiglieracconta la Professoressa Laganà - Sin da subito i genitori hanno

voluto condividere con noi le diverse esperienze quotidiane. Le difficoltà che quasi tutti riscontrano spesso sono quelle di far capire ai bambini l’importanza di lavarsi i denti e di insegnar loro le corrette pratiche da seguire per l’igiene

orale quotidiana, anche se, chiaramente, ogni singola situazione presenta caratteristiche peculiari”. Alle famiglie inoltre, proprio per questo motivo, è stato dedicato un percorso formativo-educativo, rivolto alla sensibilizzazione sul tema della salute orale e come motivare positivamente, soprattutto i più piccoli, alla cura dei denti e della bocca.

Un plauso particolare da parte di UniCamillus va al personale dell’istituto, che ha saputo preparare e informare a dovere alunni e famiglie su quello che sarebbe stato il lavoro svolto dagli studenti dell’Ateneo e su quale fossero lo spirito e le motivazioni di fondo di questa iniziativa. La collaborazione tra tutte le componenti in gioco è stata infatti molto importante e ha avuto dei riscontri anche nelle relazioni umane venutesi a creare in questo contesto, come evidenzia ancora la Professoressa Lione: “Il bambino è al centro di tutto. All’interno di un percorso formativo scolastico obbligatorio, tutta l’attenzione è stata rivolta al pieno coinvolgimento dei bambini in questo progetto e alla loro cura, tanto sotto l’aspetto formativo, quanto su quello emotivo. Abbiamo riscontrato una grande attenzione della scuola per la salute degli alunni, ad esempio anche nelle pietanze servite alla mensa scolastica, pensate per veicolare l’educazione a una corretta alimentazione. Noi ci siamo dedicati a far prendere consapevolezza al bambino riguardo l’importanza della salute orale, che diventa specchio di quella generale. Da un punto di vista umano, la cosa più bella arrivata a tutti, è stata proprio l’aver messo i bambini

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Prof.ssa Roberta Lione Alcuni momenti delle visite degli studenti di UniCamillus ai bambini dell’I. C. di Via Poppea Sabina
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nelle condizioni di prendere coscienza di quali fossero i veri obiettivi di questo percorso”.

Dello stesso avviso è anche la Professoressa Laganà, che ha aggiunto: “Molti sono stati gli spunti di riflessione e di confronto sul tema, anche con le famiglie. Le tante domande che ci sono state rivolte per capire e approfondire la tematica sono state un ulteriore stimolo per noi. L’entusiasmo venutosi a creare attorno a questa iniziativa è stato coinvolgente e ha rappresentato un fattore trainante per gli stessi bambini. Fa inoltre molto piacere aver riscontrato unanime e indistinta accoglienza positiva per questo lavoro da parte di persone di diverse origini e dalle radici culturali etero-

genee. Parliamo infatti di un quartiere multietnico nel quadrante est della Capitale e nelle classi erano presenti numerosi bambini le cui famiglie provengono da molte parti del mondo differenti”.

Il progetto non ha comunque il solo, importantissimo, scopo di promuovere cura e prevenzione nell’ambito dell’igiene orale sin dalla tenera età. È altresì un banco di prova unico per gli stessi studenti universitari: “Oltre alla partecipazione massiva da parte delle famiglie, anche negli studenti di odontoiatria abbiamo rilevato grande interesse e reazioni positive. Particolarmente importante per loro è stata la possibilità di analizzare aspetti clinici che altrimenti sarebbero più difficilmente affron-

tabili in aula durante le lezioni frontali. Anche potersi interfacciare con dei pazienti veri, per di più particolari come i bambini, è stata sicuramente un’esperienza molto formativa nel loro percorso di studi. Hanno avuto modo di testare nella realtà come approcciare e rapportarsi con le persone nel contesto di una visita odontoiatrica e come comportarsi difronte alle diverse esigenze dei pazienti”.

Tutto questo entusiasmo fa ben sperare per il futuro. “Ci auguriamo che il progetto possa avere un seguito sempre maggiore nei prossimi anni - chiosa la Professoressa Laganà - dando opportunità a nuovi studenti universitari e a tanti altri bambini delle scuole del territorio di poter ripetere l’esperienza”.

GREAT SUCCESS FOR THE SECOND EDITION OF THE UNICAMILLUS ORAL HYGIENE PROJECT

Professors Giuseppina Laganà and Roberta Lione continued the project with the second year students of the Master’s Degree course in Dentistry and Dental Prosthetics of UniCamillus, which this time involved the students of the Istituto Comprensivo Via Poppea Sabina

The second edition of the oral health and hygiene programme for schools implemented by UniCamillus University has come to a close. This year, approximately 350 children between the ages of 6 and 13 from the Istituto Comprensivo of Via Poppea Sabina in the Casal Monastero district of Rome were involved. As in the first edition, from March to May 2023, second-year students of the MSc programme in Dentistry and Dental Prosthetics, led by Professor Giuseppina Laganà, the project’s promoter, and Professor Roberta Lione, visited the school to run hygiene exams, checking for potential malocclusions or harmful habits such as bruxism, mouth breathing, nail-biting, and thumb-sucking. “We conducted diagnostic and screening tests, starting from the aesthetic characteristics of the patients”, explained Professor Lione. “We began by gathering information on their linear conformation to associate each child with a morphological biotype. This allowed us to assess the correlation between their aesthetic features and the internal condition of their mouths. We analyzed the presence of all dental elements and whether there was proper occlusion between the lower and upper jaw. Of course, we also evaluated overall oral hygiene. The exam covered various aspects so that we could have a comprehensive overview of the children’s oral health status”. The project has been positively received by the children’s families. Professor Laganà said that “from the beginning, parents wanted to share their daily experiences with us. The difficulties that most of them often encounter involve conveying the importance of brushing your teeth and teaching their children good oral hygiene practices. Several rounds of discussions took place, with numerous questions being asked. The enthusiasm surrounding this initiative has been boundless and has served as a motivating factor for the children themselves. It is also gratifying to have encountered unanimous positive reception from individuals with diverse cultural backgrounds. We are talking about a multicultural neighborhood in the eastern part of the city of Rome, where schools have a significant number of children coming from various parts of the world”. The project also served as a unique testing ground for UniCamillus students, who had the opportunity to analyze clinical aspects that are otherwise challenging to address in the classroom. The immense enthusiasm expressed by all the participants in this project gives us hope for the future, as it can provide opportunities for new students and many other children to have the same experience.

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UniCamillus Mangement Academy TERZA MISSIONE DELL’UNIVERSITÀ: LA RESPONSABILITÀ SOCIALE ACCADEMICA

di Donatella Padua

(in foto a centro pagina)

Professoressa Associata di Sociologia Generale in UniCamillus

Dottoressa di Ricerca in Scienze dell’Educazione.

“Le istituzioni educative e di ricerca, oggi, sono sempre più chiamate a generare scambio di valore con il sistema socio-produttivo.

Il tema della ‘Terza Missione ed Impatto Sociale’ trattato in questo articolo, data la ricchezza di aspetti e spunti di analisi, si articola in due momenti successivi. Nella presente riflessione, ci chiediamo cosa sia la ‘Terza Missione’ (TM), cercando di esplorarne il senso più profondo, cogliendone i riflessi nella dimensione organizzativa e relativa ai processi di qualità, volti anche a sviluppare un impatto sociale proficuo e di valore per gli stakeholders (portatori di interesse); nel secondo articolo, focalizzeremo la nostra attenzione sulla TM di UniCamillus, per comprendere come essa si esplichi all’interno del mondo della salute, qual è il suo profilo e su quale direttrice si sviluppa; nel terzo articolo analizzeremo, invece, le nuove frontiere della TM, in particolar modo, in relazione all’ambiente digitale ed alle prospettive di innovazione che esso offre, sempre in funzione di creazione valore sociale.

Avviamo questo percorso, dunque, cercando di tracciare sinteticamente il significato di ‘Terza Missione ed Impatto

sociale’, attraverso la sua evoluzione, al fine di evidenziare quale importante ruolo le esigenze relative al cambiamento del contesto socio-economico e tecnologico abbiano giocato nella definizione dei suoi intenti e delle sue nuove ‘responsabilità’.

E’ evidente come il concetto di un’accademia universitaria quale luogo eletto e ‘turris eburnea’, dalla medioevale Universitas Magistrorum et Scholarium, così come si è evoluta attraverso il Rinascimento, la pre-modernità e l’ottocentesca epoca Humboldtiana, non rispecchi l’istituzione accademica o di ricerca odierna. L’evoluzione del contesto geo-politico, economico, delle politiche sociali ed ambientali, da una parte, e la rivoluzione digitale con i processi di trasformazione che essa ha attivato, dall’altra, hanno avviato cambiamenti culturali profondi, rivoluzionando sia ruoli, insiti in aspettative e relazioni sociali, che poteri, rappresentati da regole di accesso, modelli economici e di business. In tale scenario, appare evidente come le Istituzioni Accademiche in un contesto

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economico del lavoro profondamente mutato, e in una società che chiede l’intervento di nuovi attori al di là dei tradizionali, siano chiamate a svolgere un nuovo ruolo a livello sociale, economico, culturale ed ambientale. Le istituzioni educative e di ricerca, oggi, sono sempre più chiamate a generare scambio di valore con il sistema socio-produttivo, creando ecosistemi di interazioni a livello nazionale ed internazionale, trasferendo e diffondendo la conoscenza prodotta in accademia nel settore privato e contribuendo al miglioramento economico e sociale dei paesi. Attraverso le loro attività, interne ed esterne, esse hanno l’opportunità di fare la differenza nella società, contribuendo alla soluzione di importanti problematiche a livello locale, nazionale o internazionale e contribuendo alle policies governative, nonchè sviluppando e diffondendo buone pratiche di miglioramento sociale ed intellettuale.

Le istituzioni accademiche non possono più sottrarsi al ruolo di ‘generatori di impatto sociale positivo’, nel senso di ‘fare del bene’ alla società. Ma in quale società?

bia valore con la nuova moneta del protagonismo e partecipazione, davanti all’audience virtualmente globale della rete web, dove ‘condividere’ è diventato un imperativo; la connessione costante ‘always on’ offre opportunità di scambio che travalicano il senso dei confini geografici; la connettività e la multimedialità abituano le persone all’accesso ai contenuti più disparati, in maniera continuativa ed ovunque; l’IA consente forme avanzate di accesso all’informazione e di interazione, modificando i comportamenti. Nell’era dell’open access, della partecipazione bottom-up, i temi sociali più caldi quali la sostenibilità ambientale e l’inclusione sociale richiedono l’intervento di tutti gli attori, nessuno escluso.

Le istituzioni accademiche non possono più sottrarsi al ruolo di generatori di impatto sociale positivo, nel senso di “fare del bene” alla società

La cultura sociale dell’era attuale, definita ‘digitale’, propria delle regioni prevalentemente occidentali o occidentalizzate e rispecchiata nelle generazioni Y o Z, oggi, pienamente attive nel mondo del lavoro o inserite nei percorsi di formazione, è profondamente diversa rispetto al passato. Oggi si scam-

L’esperienza pandemica COVID-19 ha ulteriormente evidenziato quanto siamo tutti connessi e quanto sia importante contribuire ad un impatto economico, sociale ed ambientale sostenibile. Dalla Strategia di Lisbona volta alla promozione dell’economia della conoscenza, al modello della Tripla elica, dove le università e i centri di ricerca, il governo e le aziende, posti al centro dei processi di innovazione, interagiscono, agli ESGs, acronimo di Ambiente, Società e di Governance sostenibile, le policies di sviluppo e gestione del nostro pianeta richiedono approcci diversi rispetto al passato.

Le Istituzioni accademiche e di ricerca non possono esimersi da questo processo

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ed, anzi, sono in posizione privilegiata per intervenire. Ciò significa acquisire una nuova responsabilità sociale e culturale che deve essere agita nel campo del coinvolgimento con il pubblico e le comunità, nell’innovazione, nella cultura, nello sviluppo sostenibile. Un ruolo che, in sintesi, nasce da una domanda esterna, dettata dall’evoluzione del contesto e da una spinta interna, determinata dal nuovo profilo dello studente, generazione Z, con cultura ed istanze diverse rispetto al passato.

TM rappresenta un’area particolare dell’università e degli istituti di ricerca, in quanto coinvolge e mette a sistema innumerevoli funzioni

In questo quadro, e per la natura ‘residuale’ della TM rispetto alla missione istituzionale della didattica e della ricerca, mentre questi due ambiti rappresentano precipui compiti di docenti e ricercatori, di personale tecnico-amministrativo (TA), la TM è una responsabilità istituzionale la cui definizione è legata alla missione e alla strategia dell’istituzione accademica, alle relative competenze, alla funzione all’interno della società, ai suoi assets. La TM, inoltre, è strettamente collegata a didattica e ricerca in quanto si propone appunto di porre conoscenza, ricerca e didattica al servizio della società, valorizzando tutte le forme di produzione intellettuale e culturale dell’ateneo.

La TM o scambio di conoscenza diventa, pertanto, un terreno di sperimentazione per l’Ateneo nell’orientamento al miglioramento, integrato a didattica e ricerca ed a tutti gli stakeholders coinvolti, interni ed esterni. Le conseguenze di ciò, a livello interno, fanno sì che la TM rappresenti un’area particolare dell’università e degli istituti di ricerca, in quanto coinvolge e mette a sistema innumerevoli funzioni, quali didattica e ricerca ma anche comuni-

La TM o scambio di conoscenza diventa un terreno di sperimentazione per l’Ateneo nell’orientamento al miglioramento, integrato a didattica e ricerca ed a tutti gli stakeholders

cazione, eventi, unità e centri specialistici interni, delegati rettorali nelle specifiche aree di delega, il personale TA. Essa diventa il terreno su cui l’istituzione si può meglio esprimere, in maniera creativa ed innovativa nelle forme di miglioramento e generazione di tutto quel valore che non sia legato tout-court alla didattica ed alla ricerca, in chiave di processi di miglioramento e, pertanto, di qualità. Se il Decreto istitutivo della valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) 20042011, incentrava la valutazione sulle attività di trasferimento tecnologico (TT), in particolare brevetti e spin-off, l’ANVUR nel bando di partecipazione alla medesima VQR specifica la TM come «propensione delle strutture all’apertura verso il contesto socio-economico, esercitato mediante la valorizzazione e il trasferimento delle conoscenze», includendo oltre all’attività brevettuale e alle imprese spin-off, l’attività di ricerca/consulenza conto terzi, la partecipazione a incubatori di imprese ed a consorzi di trasferimento tecnologico, gli scavi archeologici, i poli museali e le altre attività di terza missione non riconducibili ad attività conto terzi. Vengono specificate, pertanto, non solo forme di TT ma anche altre forme di trasferimento e scambio della conoscenza, di interazioni tra istituzioni scientifiche e società che generano impatto sul contesto sociale, culturale ed economico.

CULTURADITERZAMISSIONEEDIIMPATTO SOCIALE

La TM, seguendo le linee guida ANVUR sostanziate nei processi di qualità, stimola nell’organizzazione accademica una cultura che pone lo studente al

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centro. Lo studente diventa partner e viene ascoltato, si richiede la sua collaborazione per individuare modalità di apprendimento sempre più efficaci ed efficienti, rimuovendo gli eventuali ostacoli a tale processo. Inoltre, si tratta di una cultura che individua negli stakeholders esterni all’Istituzione accademica opportunità di scambiare valore, spingendo le istituzioni a creare ecosistemi di stakeholders, specifici rispetto alla natura dell’istituzione, alla sua missione ed alla tipologia di territorio di riferimento. Si tratta di una nuova concezione di una istituzione accademica non più chiusa ed autoreferenziale, bensì nodo di una rete più ampia di ‘portatori di interesse’ di diversa natura, che vanno oltre i tradizionali studenti, quali le istituzioni profit, no profit, governative, media, ONG. In questo ambito e nel contesto globale interconnesso, la cultura di TM dà valore ad una istituzione accademica quale ente internazionalizzato, propulsore di progettualità in tale ambito ed aperta ad altre realtà accademiche. La TM contribuisce a portare una cultura di ‘accountability’, ossia di rendicontazione e trasparenza e lo fa su un terreno particolarmente complesso, ossia, quello dell’intangibile. Se rendicontare il numero di studenti, il rapporto tra docenti e studenti, ad esempio, è facilmente realizzabile, come rendicontare l’impatto che una università realizza verso una comunità, verso la società? Per realizzare questo occorre introdurre a tutti i livelli dell’Ateneo una consapevolezza di nuove procedure ed iter che consentano un censimento di tutte le attività che hanno un impatto e che altrimenti non verrebbero contabilizzate, quali, ad esempio, la parteci-

Una Istituzione

Accademica non più chiusa ed autoreferenziale, bensì nodo di una rete più ampia di ‘portatori di interesse’

pazione del pubblico ad eventi divulgativi o la formazione permanente o l’imprenditorialità accademica. Inserire nella strategia di Ateneo il concetto di ‘Responsabilità di Impatto Sociale’ porta riflessi profondi e di ampia portata a livello organizzativo ed operativo. L’impatto sociale parte dai valori, dall’identità dell’istituzione accademica, dalla sua missione, in sintesi. Questi valori sono sintetizzabili in un concetto: responsabilità sociale. Impatto sociale implica anche compliance con indirizzi di policies, a livello, ad esempio, internazionale quale l’Agenda 2030, o europeo, quale la sopra menzionata strategia di Lisbona e nazionale, quali gli indirizzi normativi governativi.

CULTURADELLAMISURAZIONE

Lo studente diventa partner e viene ascoltato, si richiede la sua collaborazione per individuare modalità di apprendimento sempre più efficaci ed efficienti

Impatto sociale significa anche attivare un salto culturale nel mondo accademico, introducendo un approccio, di stampo anglosassone, quantitativo più che qualitativo. In altre parole, non basta una ‘relazione’ sulle attività realizzate dall’Ateneo, bensì, occorrono dei numeri per poter realizzare due azioni fondamentali: misurare i risultati, confrontandoli con gli obiettivi posti; comprendere come si è operato e come intraprendere azioni correttive laddove gli obiettivi voluti non sono stati raggiunti e chiedersi perché non sono stati raggiunti; al pari, vedere se i risultati sono stati superati, investigare i motivi e riallineare gli obiettivi, individuando i fattori di successo per replicarli magari anche in altre aree. In altre parole, si sta introducendo negli Atenei una cultura della misurazione, approccio proprio di tutte le organizzazioni che, agendo secondo modalità di

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efficacia ed efficienza, sono volte al risultato e che devono rendere conto dei risultati realizzati ai propri stakeholders. Questo non vuol dire affatto equiparare tout court le università ad aziende: il valore, ad esempio, della ricerca di base è fortemente premiata nella valutazione degli atenei, ma in particolar modo se viene portata avanti secondo modalità di partnership, ad esempio, con altre università, meglio se internazionali, in consorzi di istituzioni di varia natura, o tramite, ad esempio, la collaborazione ‘open’ con i cittadini (open science). Questo processo, che nasce dal ‘basso’, denota un approccio culturale che consente di allinearsi ai benchmark internazionali. Oggi, l’innovazione non si realizza da soli. Occorrono standard strategici, operativi, valutativi equiparabili, che generano possibilità di dialogo ed interazione efficaci, pur nella ricchezza della diversità e della peculiarità dei contesti nazionali. Non è un processo semplice nè rapido, proprio perché implica nelle istituzioni un cambiamento culturale e di processi, volti cosiddetta-

mente alla ‘qualità’. Ad esempio, l’introduzione della rendicontazione quale dimensione operativa della cultura della misurazione, attiva, internamente all’ateneo, un processo di cambiamento organizzativo ed operativo che coinvolge molteplici aree e richiede l’attivazione

La platea durante la presentazione del progetto TEC-MED nell’Aula Magna di UniCamillus

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di processi di mappatura o, censimento, e rilevazione di risultati in relazione agli indicatori individuati in fase di redazione degli obiettivi del piano strategico di Ateneo. Questo lavoro di mappatura ha un riscontro di cultura organizzativa molto importante in Ateneo, generando consapevolezza delle attività che vengono realizzate su base ‘spontanea’ all’interno dell’istituzione, visibilità interna ed esterna, una volta che vengono comunicate, e valorizzazione, come risultato finale. Se la fase della mappatura rappresenta una vera e propria ‘messa a fuoco’ dell’identità dell’ateneo, estremamente rilevante anche per una eventuale revisione di tale profilo, la comunicazione di tali esiti costituisce un’azione pubblicitaria a costo zero di grande valore in quanto fa leva su contenuti ricchi, spesso originali e che, soprattutto, nascono dall’azione di persone interne all’Ateneo, per cui attiva senso di appartenenza e muove importanti leve motivazionali. Essa contribuisce a creare, in altre parole, quel senso di squadra che è indispensabile per sviluppare una organizzazione di successo. Sono infatti i docenti, i ricercatori, i delegati, il personale TA, gli studenti ed altre categorie i promotori della maggior parte delle iniziative.

tivo, l’Università deve introdurre una nuova cultura di miglioramento organizzativo, relativo alle persone e processi, ed al raggiungimento degli obiettivi di missione dell’istituzione accademica, creando un rapporto virtuoso tra risorse e risultati. Questo requisito, che abbraccia tutte e tre le missioni, ossia, didattica, ricerca e TM, è soddisfatto solo se viene recepito nell’ambito di un processo circolare di miglioramento continuo. È la TM, ad esempio, che valorizza quanto l’Istituzione accademica stia partecipando attivamente al raggiungimento dei Sustainability Goals, all’Agenda 2030. Solo con un processo di censimento interno all’Ateneo emergono azioni che altrimenti passerebbero inosservate.

L’Università deve introdurre una nuova cultura di miglioramento organizzativo, relativo alle persone e processi, ed al raggiungimento degli obiettivi

CULTURADELMIGLIORAMENTOCONTINUO

Per raggiungere pienamente questo obiet-

In questa maniera, invece, si valorizza il ruolo dell’istituzione in un processo internazionale a cui il proprio paese sta partecipando. Inoltre, la TM dà valore a tutte quelle azioni che esaltano un atteggiamento ed iniziative volti alla valorizzazione della diversità e dell’uguaglianza, alla parità di genere, evidenziando come l’istituzione partecipi ad una crescita equilibrata di genere nel proprio paese, assecondando agende governative ed internazionali, quali, di nuovo, gli SDGs (Sustainability Development Goals dell’Agenda 2030), ivi comprese iniziative green e di rispetto e preservazione dell’ambiente.

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GLIAMBITIOCAMPIDIAZIONEDELLATERZA MISSIONE

In base all’ultima VQR Valutazione della Qualità della Ricerca 2011-2014, dove le Istituzioni sono state chiamate ad individuare un caso di studio, anche tenuto conto di quanto riportato nelle Linee Guida ANVUR del 7 novembre 2018, emergono dieci campi di azione, raggruppati in due ambiti e in un terzo, che potremmo definire trasversale. Il primo ampio ambito riguarda le attività di valorizzazione della ricerca, ossia, “l’insieme delle attività attraverso le quali la conoscenza originale prodotta dalle università con la ricerca scientifica viene attivamente trasformata in conoscenza produttiva, suscettibile di applicazioni economiche e commerciali” (ANVUR, 2015). Qui viene valutata la ricerca conto terzi, le strutture di intermediazione e trasferimento tecnologico, quali gli uffici di trasferimento tecnologico, incubatori, parchi scientifici e tecnologici, consorzi e associazioni per la TM. Questa trasformazione può anche essere integrata all’interno di diritti di proprietà intellettuale o industriale (brevetti, privative vegetali e ogni altro prodotto di cui all’articolo 2, comma 1, del Decreto Legislativo n. 30/2005) o integrata in attività di imprenditorialità accademica (spin-off, start-up). Un secondo ambito riguarda le attività che hanno ricadute sulla società, attraverso

La TM dà valore a tutte quelle azioni che esaltano un atteggiamento ed iniziative volti alla valorizzazione della diversità e dell’uguaglianza

la produzione di beni pubblici che sono accessibili alle persone. Si tratta di ricadute della conoscenza meno visibili, più intangibili e più eterogenee, con tempi di impatto più lunghi rispetto alla commercializzazione della conoscenza, ma altrettanto importanti, quali: la produzione e gestione di beni artistici e culturali (es. poli museali, scavi archeologici, attività musicali, immobili e archivi storici, biblioteche e emeroteche storiche, teatri e impianti sportivi); la sperimentazione clinica e iniziative di tutela della salute (es. trial clinici, studi su dispositivi medici, studi non interventistici, biobanche, empowerment dei pazienti, cliniche veterinarie, giornate informative e di prevenzione, campagne di screening e di sensibilizzazione); la progettazione ed erogazione di formazione per la popolazione adulta, all’interno dell’ampio concetto di Life Long Learning (formazione permanente) e didattica aperta (es. corsi di formazione continua, Educazione Continua in Medicina, MOOC). In questo ambito vi sono le attività di public engagement, riconducibili a:

1)Organizzazione di attività culturali di pubblica utilità (es. concerti, spettacoli teatrali, rassegne cinematografiche, eventi sportivi, mostre, esposizioni e altri eventi aperti alla comunità);

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In alto, la riunione del Comitato Regionale di coordinamento delle Università del Lazio (CRUL). Seduti al tavolo i rettori delle università della regione: Stefano Ubertini (Università della Tuscia e presidente CRUL), Antonella Polimeni (La Sapienza), Andrea Prencipe(LUISS), Carlo

Alberto Giusti (Link Campus e Vice Presidente CRUL), Nathan Levialdi Ghiron (Tor Vergata), Massimiliano Fiorucci (Roma Tre), Emanuele Isidori (Università del Foro Italico, delegato del Rettore Attilio Parisi), Francisco De Asis Matte Bon (Unint), Antonio Gasbarrini (Cattolica, delegato del Rettore Franco Anelli), Padre Pedro Barrajon(Università Medica di Roma), Francesco Bonini(LUMSA), Eugenio Guglielmelli(Campus Biomedico) e, in collegamento da remoto, Marco dell’Isola (Università di Cassino. Presente anche

Alessio Pontillo, presidente di Laziodisco.

A fare gli onori di casa il Rettore di UniCamillus, Gianni Profita (foto a destra)

2)Divulgazione scientifica (es. pubblicazioni dedicate al pubblico non accademico, produzione di programmi radiofonici e televisivi, pubblicazione e gestione di siti web e altri canali social di comunicazione e divulgazione scientifica, escluso il sito istituzionale dell’ateneo);

3) Iniziative di coinvolgimento dei cittadini nella ricerca (es. dibattiti, festival e caffè scientifici, consultazioni online; citizen science; contamination lab);

4) Attività di coinvolgimento e interazione con il mondo della scuola (es. simulazioni ed esperimenti handson e altre attività laboratoriali);

A ciò si aggiunge la produzione di beni pubblici di natura sociale, educativa e politiche per l’inclusione (es. formulazione di programmi di pubblico interesse, partecipazione a progetti di sviluppo urbano o valorizzazione del territorio e a iniziative di democrazia partecipativa, consensus conferences, citizen panel); gli Strumenti innovativi a sostegno dell’Open Science; le attività collegate al-

l’Agenda ONU 2030 e agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).

Terminiamo questa prima riflessione con una considerazione che guarda alla TM sotto una luce innovativa, aprendo le porte ad un’interpretazione con risvolti di notevole interesse: per sua natura, la TM raccoglie, mette a sistema, monitora, analizza ed indirizza le molteplici attività che pongono l’accademia in contatto e scambio con il contesto esterno. Proprio per questa sua posizione di ‘interfaccia critica’ con gli stakeholders, con l’ambiente ed il territorio, ne coglie i bisogni socio-economici ed individua le modalità con cui l’istituzione accademica possa rispondere. Questa sensibilità e conoscenza potrebbe divenire un ambito di specializzazione di TM in qualità di ‘antenna’ sul territorio (dal locale all’internazionale) nel contribuire a meglio focalizzare le competenze richieste dal sistema economico e dai nuovi lavori, a sostegno del disegno di nuove strategie nella didattica e nella ricerca che facilitino l’incontro dei giovani con il mercato del lavoro.

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ACADEMIC LIFE

Informa Studenti

UniCamillus si amplia con l’Auditorium e UniHall

UniCamillus si allarga ancora. A ottobre il complesso dell’Università Medica Internazionale di Roma vedrà il completamento di altri due edifici, portando il totale delle strutture a cinque. Dopo il rettorato, UniCongress e UniLabs, saranno inaugurati nei prossimi mesi UniHall e l’Auditorium: due immobili che aumenteranno notevolmente il numero di posti e spazi a disposizione di studenti e personale dell’università, oltre che implementare la quantità e qualità di servizi offerti dall’Ateneo. UniHall sarà un’immobile di 2800mq che ospiterà cinque nuove aule didattiche, per un totale di circa 600 posti aggiuntivi dove poter svolgere lezioni e fare gli

esami. Ci saranno poi tre aule aggiuntive, per ulteriori complessivi 400 posti circa, a disposizione degli studenti come spazi comuni dedicati allo studio. Tra questi 1000 posti sono previste inoltre 450 postazioni informatiche, con strumentazioni all’avanguardia per rispondere alle crescenti esigenze degli studenti, aumentati progressivamente in numero in questi anni. Per la realizzazione di tali postazioni l’ufficio logistica dell’Ateneo ha studiato soluzioni su misura, disegnando appositamente i banchi e pianali a scomparsa. Tanto i cassettoni, che permettono di allungare i piani d’appoggio delle scrivanie, quanto le singole sedute, sono state progettate specificamente per le aule di UniCamillus.

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Il cantiere quasi ultimato del nuovo edificio UniHall

CINQUE NOTIZIE VACCINI

La società statunitense di biotecnologie Novavax ha annunciato risultati positivi di fase 2 per tre candidati vaccini: uno è quello combinato Covid-influenza, l’altro è l’antinfluenzale standard-alone. Il terzo è antiCovid ad alto dosaggio. Tutti hanno dimostrato un profilo preliminare di sicurezza rassicurante, con una reattogenicità comparabile ai confronti autorizzati.

IPE DAYS

Il 25 e 26 maggio scorsi si sono tenute in UniCamillus due Giornate di Educazione Interprofessionale. Gli esperti di IPE Melissa Ciardulli, Debra Kiegaldie e Peter Brooks provenienti da USA e Australia, hanno spiegato agli studenti come collaborare, comunicare e cooperare meglio tra le discipline mediche e non solo.

TUMORE ALLA PROSTATA

Via al progetto di formazione ideato da OVER Group sul tumore alla prostata (In Italia rappresenta il 18% di tutti i tumori sviluppati dalla popolazione maschile), rivolto ai team multidisciplinari che seguono il percorso di cura del paziente. L’obiettivo è quello di stimolare un confronto tra oncologi, urologi e radioterapisti attraverso l’elaborazione di 10 casi clinici didattici in forma di quiz.

MEDICINA ESTETICA

Dal 44° congresso della Società Italiana di Medicina Estetica arriva il “No alla medicina estetica trasformativa”. Il presidente della Società Italiana di Medicina Estetica (SIME), Emanuele Bartoletti, ha dichiarato: “La medicina estetica dovrebe limitarsi a correggere i difetti, senza trasfomrare completamente i volti”.

GLAUCOMA

Una fetta consistente di pazienti affetti da glaucoma può evitare i danni al nervo ottico prevenendo la malattia, se si sottoponesse subito ad intervento di drenaggio degli occhi. La Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (SISO) sottolinea invece che oggi i pazienti aspettano almeno 7-10 anni prima di sottoporsi alla procedura.

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Sopra: sopralluoghi dentro il cantierte di UniHall

ACADEMIC LIFE

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Si tratta dunque di pezzi unici che permetterano comodamente agli studenti di sfruttare l’aula per utilizzare le strumentazioni informatiche messe a disposizioni dall’Università o anche le proprie. Il nuovo edificio UniHall non sarà però composto di sole aule. Servirà infatti anche per ampliare l’area ristoro: al pian terreno troverà collocazione un bartavola calda con 200 coperti e un ampio spazio aperto antistante. Ci sarà poi un’altra area relax, all’interno dell’edificio, da 150 posti, con distributori automatici e tavolini dove potersi prendere una pausa e trascorrere piacevoli momenti di convivialità tra colleghi.Completa l’opera di ampliamento dei servizi la nascita di una biblioteca universitaria, con un centinaio di posti a disposizione.

Più piccolo (circa 1000mq) sarà invece

l’edificio dell’Auditorium, che sorgerà alle spalle del Rettorato. Sarà diviso in due spazi e in uno di essi avrà sede la nuova Aula Magna di UniCamillus da circa 300 posti organizzati a gradoni. Nella parte rimanete della struttura prenderà forma invece un’altra aula didattica da circa 220 posti. Saranno entrambi ambienti multifunzionali dotati di impianti audio e sistemi di proiezione di immagini grazie ai quali, oltre alle tradizionali lezioni ed esami, sarà possibile ospitare eventi e cerimonie.

I nuovi edifici saranno tutti dotati delle più moderne tecnologie di sicurezza. I materiali impiegati sono pensati per garantire la miglior risposta in termini di efficienza energetica e climatizzazione, per rendere il più confortevole possibile l’esperienza di vivere quotidianamente l’Università.

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In alto: le planimetrie dell’Auditorum (sx) e delle nuove aule in UniHall (dx), con la disposizione dei posti e degli spazi comuni per gli studenti. In basso: veduta aerea del cantiere dell’Auditorium.

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Direttore Responsabile: Gianni Profita Redazione a cura di: Tommaso Fefè

Immagini: UniCamillus Media, AdobeStock, CRI, Protezione Civile, Uff. stampa Presidenza del Consiglio dei Ministri (foto di Filippo Attili, licenza CC-BY-NC-SA 3.0IT)

UniCamillus: Federica Alota, Eleonora Bragantini, Giulia Francini, Damiano Giani, Andrea Pisani, Manuel Ventre

Stampa: Tipografia Miligraf Srl

Chiuso in redazione: maggio 2023

Copia Gratuita www.unicamillus.org

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