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ACADEMIC LIFE
terzo in più se viene compiuta su una minorenne, e se è a fini di lucro.
E’ stato appurato che gli immigrati da Paesi in cui l’MGF è silenziosamente accettata, raramente hanno cambiato il loro pensiero su questa pratica, nemmeno dopo un lungo periodo di permanenza in Paesi dove è illegale. E nemmeno le sanzioni sembrano efficaci per ridurre il fenomeno. Si potrebbero citare infiniti esempi di barriere psicologiche e sociali che si frappongono a quella che noi consideriamo normalità inviolabile: è molto diffuso, ad esempio, il mito secondo cui le donne non infibulate o deinfibulate sono brutte, volgari, poco attraenti. E’ difficile dire quanto questa leggenda induca le donne a una sorta di rassegnata consolazione riguardo le torture a cui vengono sottoposte.
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E c’è da aggiungere che in moltissimi casi queste torture vengono ripetute diverse volte nel corso di una vita. Gli interventi vengono eseguiti esclusivamente da donne, ma non tutte sono esperte e attente ai problemi igienici, per cui le infezioni sono frequenti e in alcuni casi portano addirittura a morte, anche perché non è raro che in Occidente le madri evitino di ricorrere a medici e pronto soccorso, e questo per paura di essere denunciate.
Un‘altra spinta persuasiva sta nel fatto che in molte regioni l’infibulazione viene praticata dopo il parto e dopo lo stupro per ripristinare la verginità: dunque, si offre alla donna come un mezzo necessario per evitare esclusione sociale e permetterle di trovare marito.
L’infibulazione può essere eseguita in diverse fasi della vita, spesso nell’infanzia, dando alla bambina la possibilità di non ricordare o di ritenere normale il proprio stato: un caso estremo è lo Yemen dove si infibulano persino le neonate. Oppure in giovane età, e, in questo caso, ci sono ragazze che accettano il rito come socialmente necessario mentre ad altre l’ intervento causa depressione, ansia e disordini da stress post-traumatico. Ecco il motivo per cui, prima di eseguire un intervento di de-infibulazione, è necessario un supporto psicologico, prevedendo che il dolore operatorio possa riportare alla mente gli eventi del passato.
Il fenomeno appare irreversibile, da una generazione all’altra, sebbene ci siano famiglie che non riconoscono la mutilazione genitale come pratica culturale, ciò che rende quasi sempre “ereditario” il rifiuto di queste pratiche. Anche le donne che lavorano e, soprattutto, quelle che hanno studiato, si dichiarano contrarie, mentre un lato positivo, se mai si potesse usare questo termine, sta in un modesto aumento delle condizioni di sicurezza in cui gli interventi vengono compiuti. Tutto questo, e molto altro, è materia di un confronto estremamente difficile fra due culture, una delle quali, quella occidentale, finora non sembra abbia affrontato l’argomento come meriterebbe. Ma se ipotesi di ingerenza sono sempre in agguato è un punto fermo che in Europa questi riti non sono ammissibili ed è quanto mai opportuno moltiplicare iniziative di ogni genere intorno a una vera piaga sociale.
Ed è innegabile che i flussi migratori, sempre più massicci, verso il Vecchio Continente rendano tutto questo non solo necessario, ma anche, per quanto in questo contesto sia ammissibile l’aggettivo, anche urgente.

Nelle foto, alcuni momenti del covegno tenutosi in UniCamillus il 31 marzo scorso, nell’Aula Magna e nell’Aula Blu di UniLabs. Sono intervenuti inoltre Dott. Gian Stefano Spoto (giornalista, saggista e scrittore) Dott.ssa Viola Liberale (Ginecologia ed Ostetricia), Prof. Alessandro Boccanelli (Medicina Narrativa e Filosofia Morale), Prof. Emanuele Caroppo (Psichiatria Sociale), Prof. Giancarlo Ceccarelli (Malattie infettive), Dr.ssa Valentina De Biasio (Medicina legale), Prof. Oreste Foppiani (Storia e Politica internazionale), Dr.ssa Ost. Anita Fortunato (Ostetrica), Prof. Mario Di Giulio (Avvocato), Prof.ssa Laura Pacifici Noja (Igiene e Medicina preventiva), Prof. Ugo G. Pacifici Noja (Avvocato cassazionista), Prof. Massimo Papa (Diritto Musulmano e dei Paesi Islamici, Dott. Andrea Pettini (Diritto Internazionale), Prof. Gianni Profita (Rettore UniCamillus).

Global health e mutilazioni genitali femminili (MGF) rappresentano una materia complessa e articolata con la quale gli operatori sanitari, anche a seguito dei recenti flussi migratori, si dovranno sempre più confrontare nei prossimi anni. Ambedue gli argomenti testimoniano come la salute e soprattutto il diritto alla salute debbano divenire sempre più realtà in ogni parte del mondo. Un convegno che tratta Global Health unitamente aldramma delle mutilazioni genitali femminili può sembrare disomogeneo, ma non lo è affatto: testimoniano due drammatiche ingiustizie che si incontrano dove c’è l’assenza di un reale diritto alla salute, sia personale che della comunità. Con il termine MGF, si intendono tutte le procedure che includono la rimozione parziale o totale dei genitali femminili, per ragioni culturali, religione o altre motivazioni non terapeutiche. Il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, benché illegale, non si arresta: è di 500mila la stima delle donne che hanno subito mutilazioni genitali in Europa. Le mutilazioni genitali femminili sono un problema che colpisce anche bambine e giovani donne migranti che vivono nel nostro territorio, spesso a rischio di esservi sottoposte quando tornano nel loro Paese di origine per visitare i parenti. Il convegno pone all’attenzione dei partecipanti le principali informazioni cliniche in materia MGF, fornendo agli operatori sanitari gli strumenti per affrontare una tipologia di paziente che necessita di terapie innovative e specifiche per una riabilitazione psicofisica ottimale, e di una tutela legale e sociale che possa essere un fattore trainante anche nel proprio percorso di integrazione.
