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LONG COVID E PREVENZIONE: CRITICITÀ E SFIDE DEL PERIODO

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ACADEMIC LIFE

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POST-PANDEMICO

Intervista al Professor Francesco Vetta, docente di Cardiologia all’Università Medica Internazionale di Roma UniCamillus a cura di Tommaso Fefè

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Professore, quali sono le criticità maggiori ancora riscontrate nella lotta contro il Covid-19 e le sue varianti?

“Attualmente, per fortuna, la situazione è profondamente mutata rispetto a quello che era all’inizio. Tanto per ciò che riguarda la diffusione della malattia, quanto per le complicanze che ricorrono nella fase acuta, oggi abbiamo a che fare con un virus sempre di più somigliante a un comune Coronavirus. Le casistiche attuali sono per lo più inerenti a infezioni delle prime vie respiratorie: ad esempio riniti e faringiti. Al contrario, le prime forme del SarsCov2 avevano una evoluzione molto più drammatica. L’invasività e, soprattutto, l’infettività erano maggiori e infatti assistevamo ad un coinvolgimento di un numero molto più elevato di persone, soprattutto tra i soggetti più esposti e fragili. Oggi l’attenzione maggiore si pone però sulle sindromi da long covid. Tant’è che sono state sviluppate attività ambulatoriali

Covid e mancata diagnosi di altre malattie: l’impatto sui pazienti con disturbi cardiovascolari

di Luca Paolo Weltert

Professore di Statistica Medica presso la International University of Health and Medical Sciences UniCamillus

Tra le problematiche sommerse che la furia devastatrice del COVID ha lasciato nella vita di tutti i giorni c’è, se ne comincia a parlare sempre di più, la mancata diagnosi e cura delle “altre malattie”. E in quell’aggettivo “altre” si annida una insidia particolare: perché se ci sono obiettivamente malattie di cui è possibile dilazionare il trattamento senza altro svantaggio che il perdurare della sofferenza del malato (e già non è poco), ben altra partita si gioca in quei casi ove il ritardo comporta una progressione della malattia che la fa entrare nella fase di mancata reversibilità. Come statistico ho vissuto la parte “numerologica” ed epidemiologica del COVID con la stessa ansia e voracità di numeri di tutti e ho gioito come tutti quando la curva di crescita finalmente ha preso un andamento risolutivo, ma come chirurgo cardiovascolare mi sono reso allo steso tempo conto che, pur non avendo mai smesso di affrontare le emergenze e le urgenze, molti pazienti che avevano bisogno di un intervento “elettivo” al cuore, non avendolo avuto in tempo erano progrediti: i cuori erano più grossi e stanchi, gli aneurismi più numerosi e grandi, i difetti di insufficienza valvolare spesso più severi. E ancor peggio, alcuni dei pazienti affetti da cardiopatia ischemica erano arrivati troppo tardi alla diagnosi, ignorando il dolore toracico anginoso, “tenendo duro” pur di non afferire ai pronti soccorsi per la paura del COVID, senza capire che stavano avendo a che fare con un veleno ben più letale del covid stesso, e lo stavano ingoiando per errore. La Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa ci riporta come la pandemia abbia impattato sul Sistema Sanitario con un focus sui pazienti affetti da disturbi cardiovascolari. Nello specifico il crescente numero di pazienti con specifiche, principalmente per la cura delle patologie respiratorie, ma anche per le conseguenze sull’apparato cardiovascolare, che è stato tra i più coinvolti. Il Covid-19 infatti è una patologia sistemica, che non coinvolge cioè solo l’apparato respiratorio. Uno degli aspetti più importanti con cui facciamo i conti tutt’oggi sono le sindromi che rispondono all’acronimo inglese PASC: Post Acute SarsCov2 Syndrome. Come è stato evidenziato da una recente analisi, presentata all’American College of Cardiology, una percentuale tra il 20 e il 45% delle persone che hanno avuto il Covid presenta questi sintomi che coinvolgono l’apparato cardiovascolare e non solo. Anche qui c’è infatti un coinvolgimento multisistemico. Ma la presenza di sintomi da long Covid aumenta di circa due volte e mezzo il rischio che si verifichino eventi e patologie cardiovascolari”.

Sappiamo purtroppo che durante il periodo pandemico sono state trascurate altre sindromi per concentrarsi sul Covid, tanto dai pazienti, quanto a volte anche dagli stessi medici. Che problematiche ha causato ciò?

“Questo è stato uno degli effetti collaterali del Covid. La paura di recarsi in ospedale ha fatto sì che i ricoveri per le patologie cardiovascolari acute si siano quasi dimezzate. Soprattutto per quanto concerne le sindromi coronariche acute, c’è stato un conseguente aumento della mortalità di pazienti, in molti casi perché si è ritardato l’accesso alle cure. Sappiamo bene infatti quanto sia fondamentale trattare in maniera tempestiva, ad esempio, gli infarti miocardici. La tempistica ideale per un intervento sarebbe inferiore alle due ore. Nel periodo più acuto dell’emergenza invece alcune persone hanno addirittura rinunciato ad andare al pronto soccorso, per la paura di contrarre l’infezione”.

SARS-CoV2 ha fatto sì che negli ospedali non ci fossero più posti fisici per i pazienti che avrebbero dovuto eseguire procedure in elezione quali, ad esempio, le coronarografie e gli ecocardiogrammi. Questo ha portato con sé non solo delle mancate diagnosi ma dei mancati follow-up, portando ad un aumento della prevalenza di pazienti affetti da insufficienza cardiaca o cardiopatia ischemica sintomatica. Uno studio multicentrico osservazionale italiano ha effettivamente misurato quanto la pandemia abbia impattato sulle ospedalizzazioni per infarto del miocardio in Italia. Quello che si è notato è una riduzione di quasi il 50% delle ospedalizzazioni per AMI (acute myocardial infarction). Simili percentuali di riduzione delle ospedalizzazioni sono state osservate anche per lo scompenso cardiaco e per la fibrillazione atriale. Un dato interessante è quello che mostra come le ospedalizzazioni si siano ridotte maggiormente per i pazienti affetti da NSTEMI (non-ST elevation myocardial infarction) rispetto a quelli affetti da STEMI (ST elevation myocardial infarction) a sottolineare come la diversa allocazione delle risorse nei contesti di emergenza sia gravata soprattutto sui pazienti meno urgenti. Questo ha sicuramente delle conseguenze sul futuro dato che la mancata diagnosi di una sindrome coronarica acuta porta ad un suo mancato trattamento e, in ultima analisi, ad un aumento della prevalenza dei pazienti affetti da insufficienza cardiaca ad etiologia ischemica. Questo non fa altro che aggravare un’altra pandemia che è cominciata prima del 2020 e che va avanti tutt’ora; la pandemia dello scompenso cardiaco. Il sovraccarico delle strutture ospedaliere, nel contesto di questi pazienti, ha portato ad un allungamento del tempo intercorso tra primo contatto medico e rivascolarizzazione, producendo un significativo aumento della mortalità per questi pazienti. Un altro dato importante emerso da questo studio è che il tasso di riduzione delle ospedalizzazioni è stato maggiore per le donne che per gli uomini, andando ad aggravare una pre-esistente disparità di trattamento tra i due generi. Nel complesso dobbiamo collettivamente, medici e pazienti, estrarre un contenuto di saggezza da questi eventi: è fondamentale che cavalchiamo le nuove tecnologie anche in ambito sanitario, come la telemedicina e il telemonitoraggio, perché il processo di continuità della prevenzione non venga più ad interrompersi, e parallelamente dobbiamo, anche con articoli come questo, condurre una opera educativa, (in Università questa è la nostra prima vocazione), perché sia il paziente stesso a sapere che i rischi vanno capiti e stratificati per priorità, e non succeda mai più che qualcuno ignori l’angina pectoris che è potenzialmente fatale nel giro di minuti per non correre il rischio di contrarre una patologia che , pur minacciosa, è enormemente meno letale.

La pandemia però ha consentito anche di implementare la diffusione della telemedicina e di sviluppare ulteriormente le tecniche di gestione a distanza dei pazienti.

“Per fortuna c’è stata una certa elasticità da parte di noi medici e delle istituzioni per favorire anche i percorsi di telemedicina. Per i portatori di pacemaker o altri dispositivi, già da tempo siamo ormai in grado di fare un controllo a distanza, sia sui pazienti, sia sulle apparecchiature stesse. Le persone vengono seguite quindi con un monitoraggio da remoto e i medici hanno la possibilità di ottenere valutazioni multiparametriche da questi dispositivi. In questo modo si possono fare diagnosi sulle alterazioni dello stato di buon compenso dinamico. L’insorgenza di un incipiente o di uno scompenso cardiaco può essere individuato fino a un mese prima della comparsa dei sintomi. Ci si può ben immaginare come si possa intervenire con maggior tempestività, anche in via preventiva, sullo stato di salute del paziente. Il covid in questo è stato un acceleratore, con procedure già attive che si sono abbreviate e ampliate. Sono iniziati trattamenti a distanza, ad esempio, anche per pazienti con scompensi cardiaci. In generale è tutta la telemedicina che ha fatto passi avanti proprio nel periodo dell’emergenza sanitaria”.

Quali sono le situazioni da tener d’occhio maggiormente in questo periodo post-pandemico?

Al di là di quello che è stato l’evento che si è verificato soprattutto nel 2022, quando si è assistito addirittura ad un raddoppio delle richieste di Tac polmonari e di visite cardiologiche, oggi c’è invece una minor psicosi e quindi una minor attenzione dell’opinione pubblica nei confronti di questo quadro che invece va analizzato. Chi ha avuto il Covid è bene che si sottoponga ad analisi cardiologiche con ECG e poi il medico curante in base agli esiti e all’eventuale sintomatologia, deciderà quali ulteriori approfondimenti sarà il caso di effettuare. Abbiamo notato in alcuni casi anche sintomi molto specifici, che possono comparire a distanza persino di sei mesi e che definiamo affaticamento cronico. In altre parole, si nota la presenza costante di astenia, fiacchezza, faticabilità e sensazione di affanno anche per sforzi modesti. Parlarne di più sarebbe utile anche alle persone stesse per poter dare loro almeno alcune informazioni per riconoscere questo tipo di problematica e chiedere aiuto al proprio medico di base, prima che possano aggravarsi”.

In questi anni di lotta al Covid-19, voi medici avete assistito all’insorgenza di sintomatologie inaspettate o inusuali per malattie di questo genere?

“In generale no. Nell’ambito delle patologie virali non è raro, anzi è piuttosto comune, avere delle complicanze come processi infiammatori, sindromi coronariche acute, insufficienze ventricolari o pericarditi. Queste ultime sono state anche messe in correlazione con i vaccini, perché è proprio una delle possibili complicanze che possono insorgere, anche se per fortuna i casi non sono molto estesi e rimangono di lievi entità. E comunque i benefici del vaccino sono infinitamente superiori. È interessante notare invece che questa patologia, che ha avuto una forma virale più impegnativa rispetto alle precedenti, va seguita nel tempo. Chissà quante di queste persone svilupperanno in futuro un quadro di insufficienza cardiaca che verrà a manifestarsi piuttosto subdolamente. È importante quindi che la popolazione che ha avuto il Covid faccia un percorso sanitario adeguato, al livello preventivo, per ridurre le spese in futuro e migliorerà, o quanto meno non aggraverà, lo stato di salute di ognuno. Sarebbe bene che i pazienti che hanno avuto il Covid si rechino periodicamente da medico curante, che a sua volta li indirizzerà al cardiologo con cui poter fare una prima valutazione”.

In conclusione, possiamo dire che tra le eredità che ci ha lasciato questa pandemia ci sia anche una rinnovata consapevolezza di quanto sia importante il concetto di prevenzione?

“Penso di sì. Soprattuto nei paesi anglosassoni, dove c’è un sistema sanitario basato sulle assicurazioni, c’è un atteggiamento differente nei confronti del concetto di prevenzione. Noi dobbiamo avere un approccio dello stesso tipo: chi ha superato i 50 anni un controllo periodico lo deve fare a prescindere dal Covid. In Italia invece abbiamo la cultura di intervenire solo quando compare un problema, che sia la pressione alterata, il colesterolo alto o, peggio, il verificarsi di uno scompenso cardio-cerebro-vascolare. Se pensiamo, ad esempio, che ci troviamo difronte ad una popolazione in età pediatrica per il 30% già composta da soggetti in sovrappeso o obesi, è facile intuire quanto questo predisponga male il futuro della salute cardiovascolare di questi soggetti, nell’arco dei successivi 20-30 anni. Agire per prevenire i danni diventerà sempre più cruciale. Per questo, da parte di tutto il sistema, è necessario acquisire una mentalità differente. E l’esperienza del Covid, per certi aspetti potrebbe, aver contribuito ad innescare questo cambiamento”.

COVID-19 AND MISSED DIAGNOSIS OF OTHER DISEASES: THE IMPACT ON PATIENTS WITH CARDIOVASCULAR DISORDERS

By Luca Paolo Weltert Professor of Medical Statistics at the International University of Health and Medical Sciences UniCamillus

Among the hidden issues caused by COVID-19 in everyday life are the missed diagnosis and treatment of “other diseases”. While it is true that there are illnesses for which treatment can be delayed, a different scenario unfolds when delays lead to disease progression, potentially reaching an irreversible stage.

In the case of patients who required previously scheduled heart surgery, a sharp increase in aneurysms and more severe valve insufficiency have been observed, while those with ischaemic heart disease were diagnosed too late. The growing number of SARS-CoV-2 patients have resulted in hospitals lacking available slots for previously scheduled procedures such as coronary angiographies or echocardiograms. A multicenter observational study conducted in Italy accurately measured the impact of the pandemic on hospitalisations for myocardial infarction, revealing a reduction by almost 50%. A similar number has been observed for heart failure and atrial fibrillation. Interestingly, hospitalisations decreased more significantly for patients with non-ST elevation myocardial infarction (NSTEMI) compared to those with ST elevation myocardial infarction (STEMI), emphasizing how the situation primarily affected less urgent patients.

This only exacerbates another pandemic that began long before 2020 and continues to this day: the pandemic of heart failure. Overall, we must collectively acquire wisdom from these events. It is crucial to harness new technologies in the healthcare field to ensure the continuity of prevention processes. At the same time, we need to step up efforts to educate patients so that they understand and prioritize the risks involved.

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