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VAIA: “BISOGNA TORNARE A DARE MAGGIORE APPEAL ALLE

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PROFESSIONI SANITARIE”

Intervista al Professor Francesco Vaia, docente di Economia Sanitaria presso UniCamillus a cura di Tommaso Fefè

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La pandemia da Covid-19 è finita. La paura per quello che è stato e per gli stravolgimenti che ha comportato invece c’è ancora, anche se diffusa in maniera più o meno latente nella società. Dubbi e preoccupazioni su come affrontare il futuro post-pandemico affiorano costantemente nel dibattito pubblico. In molti si chiedono se veramente questa esperienza ci abbia cambiati e come.

Professor Vaia, domanda secca, a bruciapelo. Siamo davvero fuori dal Covid? È finita la fase della tragedia o rischiamo ricadute?

Nei mesi dell’imperversare del virus e della quarantena in molti, spesso anche medici assurti al ruolo di guru novax per poi essere radiati dall’Ordine, hanno messo in dubbio la validità dei vaccini adducendo di volta in volta motivazioni diverse. Qual è la sua opinione riguardo questo fenomeno di negazionismo? Come crede che possa essere arginato?

“La fase acuta della pandemia è definitivamente alle nostre spalle, siamo in piena primavera di rinascita”

“Lo ripeto ormai da diverso tempo: la fase acuta della pandemia è definitivamente alle nostre spalle, siamo in piena primavera di rinascita. Adesso dobbiamo pensare a ciò che la pandemia ci ha lasciato e insegnato: l’importanza della prevenzione; la necessità di una comunicazione corretta; il ricorso a stili alimentari e di vita salutari; il potenziamento del nostro Servizio Sanitario Nazionale e l’integrazione ospedale-territorio.

Inoltre dobbiamo ripartire dai giovanidopo gli anziani i più colpiti e danneggiati dalla pandemia - che hanno sofferto più di altri i prolungati lockdown. Dobbiamo ascoltarli senza pretendere di guidarli, ma comprendere la loro inquietudine e dialogare con loro”.

“Se ci sono persone che hanno scelto di non vaccinarsi, nonostante l’evidente rischio che questo comporta, dobbiamo chiederci il perché. Fatta eccezione per chi sposa tesi ideologiche e irremovibili, molte persone erano semplicemente spaventate perché hanno ricevuto informazioni fuorvianti e spesso contraddittorie. A queste persone bisogna parlare con gli argomenti dell’onestà e della chiarezza, in un’ottica di persuasione e mai di giudizio. A riprova della bontà di questo approccio, faccio presente che nell’Istituto che dirigo non ci sono stati casi di operatori non vaccinati. Il fatto che altrove alcuni professionisti sanitari abbiano scelto di sposare tesi prive di alcun fondamento scientifico è preoccupante: mi chiedo che tipo di servizio possano fornire medici che rifiutano i principi stessi della propria professione”.

Il suo è stato un osservatorio privilegiato: da fuori, la sensazione generale durante il Covid è stata quella di un sistema sanitario nazionale impreparato ad affrontare un’emergenza sanitaria di massa. Dalle storie che i mezzi di informazione raccontavano, emergeva una doppia carenza: umana, con medici, infermieri e personale ausiliario in misura assolutamente insufficiente, e infrastrutturale, con una errata distribuzione sul territorio dei posti letto, una grande carenza di posti nelle terapie intensive, pochi macchinari e un enorme divario fra una regione e l’altra. Come affrontare tutto questo?

“La pandemia è stata sicuramente un banco di prova e uno spartiacque per il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Il sistema complessivamente ha retto, e anche bene, ma il disvelamento di alcune criticità, note da tempo, pone l’esigenza improcrastinabile di porvi subito rimedio.

Prevenzione e integrazione ospedaleterritorio dovranno essere le basi su cui fondare il SSN del futuro, mettendo in pratica gli insegnamenti della pandemia: ospedali sempre più specializzati, come lo Spallanzani, che lavorano di concerto con un territorio performante e capace della migliore prevenzione e assistenza Il territorio è lo snodo per la risoluzione di molte problematiche che purtroppo si sono spesso riversate sugli ospedali nonostante il grande impegno e le ottime professionalità dei MMG, molti dei quali sono rimasti vittima del Covid. Rinforzare il territorio vuol dire fornire presidi, farmaci innovativi e servizi diagnostici performanti, colmando anche quel vuoto che c’è tra MMG e ospedale: oggi occorre anche una struttura intermedia per la bassa e media intensita assistenziale. A proposito di integrazione ospedale–territorio, nel corso della pandemia allo Spallanzani abbiamo dimostrato come, attraverso le USCAR, sia stato possibile esportare rapidamente, fino al domicilio del paziente, strumenti e strategie di intervento fortemente innovativi messi a punto nelle strutture ospedaliere ad alta specializzazione.Telemedicina e teleconsulti poi, rivelatisi essenziali nel portare al paziente le consulenze al di fuori dei centri specialistici, dovranno svolgere un ruolo decisivo nel rendere ancora più efficace questa integrazione”.

Il Covid, appunto, ha rivelato un problema strutturale di difficile soluzione, quello della carenza di personale sanitario, dai medici agli infermieri, dagli ausiliari ai tecnici. Qualcuno propone semplicemente di abolire il numero chiuso nelle università per le facoltà sanitarie. Ma, a parte che il sistema universitario non è in grado di assorbire l’enorme numero di domande di iscrizione che annualmente vengono presentate, senza effettuare massicci investimenti in termini di spazi come aule e laboratori e di docenti, c’è un ulteriore problema economico che va considerato. La formazione universitaria di un medico generico costa ai contribuenti 150mila euro. Il doppio per uno specialista. Togliere il numero chiuso nelle facoltà sanitarie avrebbe, solo per questo aspetto, costi insostenibili. Secondo lei, come si risolve questo problema?

“Prima di immaginare soluzioni alternative, credo sia opportuna una programmazione analitica del fabbisogno che tenga conto dei servizi che intendiamo offrire nel futuro e della curva dei pensionamenti previsti, che dovrebbe raggiungere il picco nel 2026 e poi tornare a scendere.

E questo anche per non creare bolle dannose sia per l’efficienza del sistema che per i futuri operatori che si troverebbero, dopo anni di studio, senza alcuna prospettiva di adeguata realizzazione professionale. Un ampliamento dei posti disponibili è sicuramente necessario in questo momento e mi sembra che il Governo si stia muovendo nella giusta direzione.

Oltre all’aumento dei posti nel percorso magistrale, occorrerà poi garantire un adeguato e speculare ampliamento anche del percorso di formazione post-lauream, per evitare di creare un secondo imbuto formativo all’ingresso nelle scuole di specializzazione”.

Altro aspetto. Assistiamo progressivamente all’aumento di studenti che scelgono di specializzarsi in settori della medicina che offrono alte remunerazioni e basso impegno lavorativo. E lo stesso può dirsi per una professione fondamentale per il sistema sanitario come l’infermiere. Qual è la strada per invertire questa tendenza?

“Bisogna tornare a dare maggiore appeal alla professione di medici e infermieri, anche in termini di retribuzione, soprattutto per chi lavora in pronto soccorso e in condizioni difficili e ad alto rischio. Bisogna rendere certo e meglio remunerato il lavoro di coloro che prestano il loro servizio a partire dai luoghi dell’emergenza e delle criticità. In definitiva si tratta di puntare molto sulla stabilizzazione, retribuzione e valorizzazione del capitale umano per uscire da una visione ragionieristica della sanità e favorire la persona, sia il malato che l’operatore”.

Ultima domanda: durante il Covid un altro dato drammatico che è emerso è quello della diversità non solo nella gestione dell’emergenza ma proprio della disparità fra i sistemi sanitari e diverse strutture regionali. Ha ancora senso tenere la rete dell’assistenza sanitaria a livello regionale?

“Come ho detto prima, va rivisto e potenziato il nostro Servizio Sanitario Nazionale. È un obiettivo improcrastinabile. Credo che sia doveroso garantire omogeneità delle prestazioni in tutto il territorio. È inaccettabile che ci siano cittadini che ricevono ottime prestazioni e cittadini che ne ricevono di scarse. Qualsiasi cittadino, al Nord al Centro o al Sud, deve avere la stessa risposta in termini di salute. Allora dico: andiamo verso un rafforzamento del coordinamento nazionale che renda concreta la possibilità che ciascun cittadino fruisca di prestazioni di eccellenza”.

PROFESSOR VAIA: “WE NEED TO GIVE AGAIN GREATER APPEAL TO THE HEALTHCARE PROFESSIONS”

Interview with Dr. Francesco Vaia, Director General of the National Institute of Infectious Diseases “L.

Spallanzani”.

Professor of Health Economics at UniCamillus

“The acute phase of the Covid pandemic is over. We are currently in the midst of a spring of rebirth. Now we need to focus on what Covid has taught us: from prevention to the need for more accurate communication and the strengthening of our National Health Service. Also, we need to be honest and clear with those who chose not to get vaccinated, embracing misleading and contradictory ideologies, and we should try to persuade them rather than judge them. The pandemic has undoubtedly been a test for our National Health Service. Overall, it has withstood the pressure well, but long-standing issues have been revealed. The integration of hospitals in the region must be the first step on which we have to build the healthcare system of the future. The territory is the key to solving many problems that are often burdening hospitals, despite the great commitment and excellent professionalism of GPs, many of whom have also fallen victim to Covid. The pandemic has revealed the structural problem of healthcare staff shortages, but before considering alternative solutions, it is necessary to analytically plan the needs of each region. An expansion of available job positions is certainly necessary together with an increase in places in medical schools. It will also be extremely important to ensure an adequate and proportional increase in post-graduate training. At the same time, we must make the medical and nursing professions more appealing and focus on the value of human capital by improving remuneration, especially for those working in emergency departments or under difficult and high-risk conditions. I also believe it is essential to ensure uniformity of healthcare services: every citizen, from North to South, should have access to excellent care”.

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