Primo fra gli Esuli, Amleto Ballarini ha ottenuto la Targa d’oro della Città di Fiume
Attestato il riavvicinamento
Dott. Ballarini, per San Vito, primo fra gli esuli, Le è stata consegnata La Targa d’oro "Stemma della Città di Fiume". Che cosa ha significato per Lei? Un momento di intensa, indicibile commozione personale e al tempo stesso la consapevolezza di un riconoscimento, da parte croata, di alto valore storico nei confronti di un progetto culturale che possiamo definire dall’esilio al ritorno, cui, insieme a tanti collaboratori, ho dedicato tutta la vita. Lei è nato a Fiume nel 1933, quali sono le radici della Sua famiglia e quali i ricordi d’allora? Le radici della mia famiglia sono nell’amore grande per Fiume e per l’Italia. Nel mio studio c’è un diploma conferito al mio bisnonno, il fiumano Ubaldo Ballarini, per la partecipazione alla campagna garibaldina del 1867. Tuttora a Cosala la sua memoria è onorata fra le cinque tombe dei garibaldini fiumani. Suo figlio Vittorio, mio nonno, fu internato nella I g.m. nel campo ungherese di Tapiosuly; insieme a circa ottocento fiumani di sentimenti fortemente italiani che patirono inaudite sofferenze, 149 lasciarono la vita. Fu luogo di tormenti per nonno Vittorio e la famiglia, con mio padre bambino e i fratellini, fra cui il
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piccolo Vittorio, di tre anni, che in quelle sofferenze morì. Non solo. Nell’elenco dei legionari fiumani al Vittoriale sono citati i nomi di Vittorio Ballarini, di cui si è già detto, e del mio nonno materno Marsiliani Valzania, secondo marito di mia nonna Maria. Dunque lunga tradizione di nobili valori. Per quanto riguarda i miei ricordi, c’è nel mio cuore un mondo di giochi, di sole, azzurro, mare, preghiere e canti con i Salesiani e recite festose al teatro del collegio. In quali circostanze la famiglia lasciò la città? L’esodo per me è un ricordo di doloroso terrore. Solo, bambino, nell’angolo più buio di un carro bestiame e i militi con la stella rossa che a tratti aprivano uno squarcio di luce prelevando con violenza qualcuno che non tornava più e io che mi rendevo sempre più piccolo, nell’innocente speranza di diventare quasi invisibile… Al 3 maggio 1945 mio padre, tecnico del Silurificio Whitehead, era a Fiume Veneto, mia madre occasionalmente con lui per concertare il futuro. Non potevano rientrare. Io ero a Fiume con la nonna materna, alunno del collegio salesiano. In città terrore e morte. Il permesso d’uscita da lei chiesto fu concesso solo a me: la divisione delle famiglie era crudeltà ricorrente. Ma la nonna forte, intrepida, mi affidò coraggiosamente alla buona sorte e a un carro bestiame. A Trieste, terrorizzato e libero, l’abbraccio protettivo dei genitori. Il futuro, un campo profughi. Tutta la parentela andrà in esilio. Quando cominciò a interessarsi del mondo degli esuli? Il mondo degli esuli fu il mio
territorio. Completati gli studi liceali, vivendo in condizione miseranda in un vano di quattro metri per quattro, delimitato da coperte appese a un filo, con l’umiliante privazione delle più elementari esigenze di intimità personale e famigliare, sino al primo anno di università, la prima, dignitosa casa fu nel quartiere giuliano-dalmata di Sturla. Scelsi la tesi di laurea in Scienze Politiche nell’ambito del diritto internazionale sul trattato di Osimo, che mi indusse ad approfondire molti aspetti della storia di Fiume. A poesia e narrativa affidai la dolente nostalgia dell’esule. Se Genova fu il tempo degli studi, del lavoro, di un matrimonio felice allietato da due figli, determinante fu il trasferimento a dirigere un’azienda di Roma. L’incontro con il Museo Fiumano fu incontro per la vita. Conoscere i nobili sacerdoti e custodi della storia di Fiume, Prischich, Gustincich, Petrich, Ricotti, Vosilla lasciò in me un’impronta indelebile. Quell’austero Museo nel Quartiere Giuliano Dalmata che accolse oltre 2.000 esuli, parlava e profumava di Fiume. L’indistruttibile amore per la città natale, doloroso leitmotive della mia esistenza, la mia passione per la storia, la mia competenza in materia trovarono, nel ricchissimo materiale documentale della Società di Studi Fiumani, la linfa cui attingere. In Italia, allora, l’argomento era tabù, l’Olocausta sconosciuta. Era doveroso portare degnamente avanti quell’operazione culturale straordinaria che i nostri nobili padri, protagonisti della storia di Fiume, i Depoli, Burich, Chiopris, Proda, Radetti, Samani, avevano realizzato, ricreando quella Società di Studi Fiumani, nata a Fiume nel