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Per un veglione otto giorni di lavoro
from LA TORE 27
by Foxstudio
Dai ricordi alla realtà: Egidio Greblički • di Mario Simonovich Per un veglione otto giorni di lavoro
Festeggiati in maggio gli ottant’anni, Egidio Greblički ci accoglie nel suo appartemento di Srdoči. Tanti i ricordi e buona la memoria, per cui il discorso sulla Comunità ha un decollo molto facile. Ci andava fin da giovane, ricorda, in quanto per i fiumani a cui piaceva ballare era un ritrovo obbligato. L’inserimento vero e proprio avvenne però all’inizio degli Anni Settanta. Collaboratore esterno alla Voce del Popolo, gli fu chiesto di "dare una mano" in quanto al Circolo si stava formando la Sezione dei produttori, in cui si cercava di riunire i tecnici e gli operai italiani dei diversi stabilimenti cittadini. Era un modo per aumentare il numero dei soci che ancora una volta stava andando al basso. Il maggior "serbatoio" era al "Tre maggio", la "Torpedo", la "Benčić" e l’"Autotrans".
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Fu una mossa indovinata: l’azione capillare svolta nelle aziende fece sì che la sessantina di partecipanti alla prima assemblea arrivasse in tempi relativamente brevi al raddoppio. L’attività consisteva essenzialmente in una serie di conferenze dopo di che di solito due volte all’anno si andava negli impianti produttivi di cui si era parlato. E non era cosa da poco: meta delle comitive furono l’Osservatorio astronomico di Trieste, la Fiat a Torino, i Cantieri navali di Monfalcone, l’Olivetti o anche il Museo della Scienza e della tecnica di Milano. Ci furono anche iniziative "collaterali" prima impensabili, come ad esempio il coro femminile che ebbe gli inizi proprio nelle mogli dei "produttori" e che sopravvisse al declino della sezione, avvenuto purtroppo per l’invecchiamento e la ridotta presenza dei connazionali nelle fabbriche. Il presidente Mazzieri fece uno sforzo inverosimile per tenerla in vita, ma purtroppo non c’erano le condizioni.
Produttori e tecnica, per Egidio come per altri, il passaggio fu quasi obbligato. Fare parte di questa significava lavorare intensamente e con molta destrezza per la riuscita degli spettacoli. Non c’era infatti proiezione cinematografica o serata letteraria che non fosse stata preparata e seguita dai bravi "tecnici". I veglioni poi, vero punto di forza, imponevano preparativi che iniziavano ben otto giorni prima. Però, quella sera la Comunità splendeva. E non era affatto un lavoro di ruotine, perché spesso bisognava risolvere difficoltà che si presentavano all’improvviso, per cui ci voleva applicazione ma anche spirito inventivo, ovvero la straordinaria capacità d’arrangiarsi, tanto in auge a quei tempi. "Fu un’attività a cui mi dedicai per vent’anni e con molta passione. Non era facile, terminato il lavoro tornavo, io come gli altri, in Comunità tutti i pomeriggi, senza soste. Si lavorava duro e, s’intende, come tutti gli altri, assolutamente gratis. Sì, a spettacoli finidi se beveva el bicer o se fazeva la magnada, ma finiva tuto là. Bastava, e erimo assai contenti.
Date la sue attitudini, Egidio fu chiamato a dirigere la Sezione ricreativa e fu nominato direttore di sede. "Non era semplice, le sezioni erano tante e i vani disponibili sempre troppo pochi. In particolare gli "appetiti" si puntavano sul salone
Rievocando dirigenti e attivisti che s’impegnarono in quegli anni, Greblički pone in primo piano Rodolfo Palisca verso il quale non nasconde la sua grande ammirazione. Bisognerebbe, dice, erigergli un monumento, perché fu una personalità straordinaria, un uomo che, si può dire, diede tutto se stesso e per tutta una vita per far progredire la Comunità: più che degno perciò che i riconoscimenti assegnati ormai da un quarto di secolo dalla Fratellanza, siano intitolati a suo nome. Nella foto: Palisca, primo a destra, con il gruppo di attivisti e dirigenti che per decenni formarono l'ossatura della Comunità e della Fratellanza
Attivo nel sodalizio con StenioVrancich, fin dalla fondazione il popolarissimo Rudi fu per decenni figura insostituibile nell’opera tecnica e organizzativa indispensabile all’allestimento di tutte le manifestazioni realizzate nella Comunità e nel supporto che diede a quelle promosse fuori sede, sui diversi palcoscenici dell’Istria, spesso anche quale supporto agli spettacoli preparati da altre Comunità. La prima edizione del Premio, allora destinato agli attivisti particolarmente meritevoli, ebbe luogo nel 1988 e destinatari ne furono Ettore Mazzieri e Fulvio Kriso. Dal 1991 il premio viene assegnato anche a personalità esterne che vantino meriti nella collaborazione con le istituzioni della minoranza.

che veniva ripetutamente richiesto da tutti per le prove, mentre in via prioritaria andava riservato agli spettacoli. Gli spazi erano così preziosi che fummo anche costretti a regalare il biliardo, dato l’ingombro."
Lo spazio da dare ai giovani fu questione discussa e ridiscussa. Esaminate tutte le possibilità, furono dati loro dei locali al piano di sopra, da usare in piena autonomia. Tutto bene, si direbbe, se non che qualcuno diede prova di una tale esuberanza nel comportamento da creare grattacapi: un giorno i vicini sbalorditi videro spuntare dalla finestra un paio di gambe e, credendo si trattasse di chissà quale situazione sospetta, chiamarono presto la polizia. Si può ben immaginare il disagio dei dirigenti quando poi furono costretti a fornire le dovute spiegazioni. Quale direttore di sede, ricorda, era incaricato di tenere i rapporti con gli organi di polizia. Ed erano davvero altri tempi. Ad esempio la prima visita dell’ambasciatore italiano fu preceduta da un’ispezione accuratissima della sede, con tanto di cane poliziotto. Una volta finita, mi dissero. "Ora lei chiude e nessuno deve entrare prima dell’ambasciatore. Lei è responsabile di tutto quello che può accadere." Nel pomeriggio, mentre l’ospite era da noi, i poliziotti si accontentarono di sorvegliare discretamente l’incontro da un’auto parcheggiata sotto il palazzo.
Compito suo era anche di dare, a termini di legge, il rituale preannuncio dei balli e delle serate sociali, nel corso delle quali la polizia veniva sempre a dare un’occhiata. Successe di rado che dovesse intervenire per calmare chi avesse cominciato a menare le mani ma, se lo faceva, usava metodi molto spicci: "Ho visto gente volare letteralmente giù dalle scale". Un’altra preoccupazione gli derivò un anno dal ritenere che, per non creare sul pavimento del salone un sovrappeso, al ballo di maturità che doveva tenersi dopo qualche settimana i partecipanti avrebbero dovuto essere non più di 350. Ebbene, fu investito da un coro di critiche in cui, incredibile ma vero, i capifila erano i professori.
La guerra ricorda, cambiò l’attività in Comunita come forse mai era accaduto prima. Agli usuali contenuti si aggiunse il grosso lavoro per far venire dall’Italia gli aiuti, in primo luogo ingaggiando i soggetti con i quali erano già stati istituiti rapporti di collaborazione. Quando i contingenti arrivavano, era tutt’altro che finita: anzi il lavoro incominciava appena allora. Ad esempio arrivavano molte medicine, che però per un terzo circa erano scadute. Ci voleva quindi un’accurata opera di verifica, collo per collo. In quest’opera si distinse un gruppo di persone che lavorò molto intensamente, in testa i dott.
Aldo Sirotich e Licia Antonelli. Nel contempo si creò una sorta di consultorio per i connazionali.
Quali le cause del ritiro? Difficile dirlo, un insieme di cose, che lo indussero a ritenere che era venuto il tempo di mollare. "Forse sbaglio, ma mi accorsi che la dirigenza allora subentrata guardava con una certa diffidenza ai "quadri" della precedente e usava modi che non mi garbavano. E allora preferii andarmene."
Ma viene qualche volta in Comunità? No, risponde con rassegnazione. Non perché non vorrebbe ma perché a ottant’anni e il suo stato di salute, non può fare i necessari sessanta gradini. A suo tempo, ricorda, si era parlato dell’ascensore, ma non se ne è fatto nulla. La sua mancanza purtroppo ha allontanato giocoforza parecchi anziani.
Come passa le giornate allora? Incontrando alla mattina gli amici in un bar del centro e passando i pomeriggi nel suo appartamento, fra le tante carte e fotografie che ha conservato, guardando le partite di calcio che sono (oltre alle bocce!) la sua passione fin dalla gioventù.

Gli insoliti casi della vita. All'arrivo di Ciampi e Mesić dinanzi al Liceo nel 2001, come spesso succede in tali casi, si creò una certa confusione per cui, ospiti, autorità e attivisti, fra cui Greblički si trovarono a stretto contatto di gomito. L'obiettivo malandrino dell'obiettivo colse il momento, compresa la mossa di una guardia del corpo che evidentemente prendeva molto sul serio il suo compito.
microFoni: prima noi cHe la tV di zagaBBia
Ad un certo punto, per quanto attiva, la "tecnica" non ne poteva più del grande lavorio necessario per far funzionare adeguatamente i microfoni. Il problema essenziale erano i fili che, dovendo per forza di cose stare allo scoperto, intralciavano i movimenti sul palcoscenico e potevano causare qualche caduta, con danni facilmente immaginabili.
Saputo che in Italia funzionavano microfoni senza fili, Greblički chiese che la Comunità ne facesse richiesta all’Università Popolare. "Per fartela curta: entro poco tempo gavemo ciapado tre o quatro microfoni, per cui li gavevimo prima noi dela Television de Zagabria." doVete togliere la Bandiera italiana!
"Allo scoppio della guerra, ero direttore di sede. Un giorno venne da me un ufficiale in divisa che, peraltro in termini molto educati, mi disse che dovevo far togliere la bandiera italiana (che quella volta portava ancora la stella rossa) dall’asta posta all’esterno del palazzo. In modo altrettanto compito gli risposi che questa era la Comunità degli italiani e quindi territorio italiano. Pertanto avrei tolto la bandiera solo se mi fosse stata presentata un’ingiunzione scritta del tribunale. Non appena avutala, avrei eseguito l’ordine immediatamente. Non so ancora oggi dove trovai il coraggio di parlargli così, sta di fatto che se ne andò senza replicare e della questione non si riparlò mai più." il no Se pol degli altoparlanti
"La ‘tecnica’ doveva risolvere spesso problemi di cui il pubblico non poteva rendersi conto. Ad esempio, a lungo gli altoparlanti, di peso notevole, erano sostenuti da tubi relativamente sottili. Dato il peso e la posizione alta, c’era il pericolo che si rovesciassero. E infatti uno ribaltò su un tavolo proprio mentre nel bel mezzo di una manifestazione, e fu per puro caso che nessuna delle persone vicine si fece male. Allora pensai di fissarli al muro, però quando avanzai l’idea ad una riunione, ottenni un immediato coro di no, perché il salone era soggetto ai vincoli della Sovrintendeza ai monumenti. Stufo di stare in apprensione, mi accordai segretamente con Livio Bastiancich e un pomeriggio, quando la Comunità era vuota, fissammo due sulla parete della sala e altri due sul balcone. Nessuno mai disse niente e per quel che so, si trovano ancora là."
QUelle donne inFarinate...
"Parlando di guerra e degli aiuti che la CI riuscì a procurare, emblematico è il caso della farina che arrivava con gli autotreni e che, come tutti gli altri generi alimentari, veniva scaricata nei magazzini in Žabica dove il contenuto dei sacchi doveva essere messo nei scartozi. Ricordo ancora lo spettacolo delle nostre donne che, infarinate fino ai capelli, furono impegnate in questo lavoro per giorni e giorni, dalla mattina alla sera. Quattro in particolare mi sono rimaste impresse: Mariolina Agić, Rina Ziković, Diana Pamich e Ivana Galletto.
S’intende che il lavoro non finiva qui, in quanto si doveva provvedere all’assortimento dei vari generi in modo da pervenire a pacchi relativamente omogenei che poi, in base agli elenchi, si andava a consegnare a casa dai connazionali, di regola anziani e indigenti. Era una bella fatica che però di colpo spariva quando i destinatari ci facevano entrare e dalla gioia non sapevano come ringraziarci."