
6 minute read
Eravamo in tanti, giovani e pieni di vita
from LA TORE 27
by Foxstudio
Dai ricordi alla realtà: Paolo Bachich • di Mario Simonovich
eravamo in tanti giovani e Pieni di vita
Advertisement
Un duetto con Mirella Runco
Paolo Bachich è anche, ed a tutti gli effetti, un veterano di questi settant’anni di vita comunitaria a Palazzo Modello. Disponibile, capace, ha passato qui, si direbbe, gran parte della sua vita, occupato a svolgere le più disparate mansioni, a seconda delle necessità che si presentavano, sicché ha lavorato al fianco di un gran numero di dirigenti e attivisti. "Quando ho cominciato a frequentare la Comunità? Se ben ricordo era il 1952, in un’epoca in cui il bisogno di comunicare che da sempre è presente in particolare fra i giovani, si esprimeva in modo molto diverso da oggi, visto che, tanto per dire, non c‘erano i cellulari né niente di simile. La grande attrazione per noi era di regola il ballo, nel pomeriggio il punto di raccolta era al campo Cellini poi, calata la sera – ricordo che, ragazze e ragazzi eravamo una grande compagnia, – si andava al Circolo. Poi, pian piano mi sono inserito. Ho cantato e fatto parte di quasi tutte le sezioni, Filodrammatica, Arte varia, ecc."
Come si lavorava allora?
"Avevamo una forte tecnica e gli organizzatori degli spettacoli - parlo in riferimento ai primi tempi - erano in primo luogo due, Nereo Scaglia e Vittorio Vittori."
Dunque la Comunità, o il Circolo, come veniva chiamato allora, era molto frequentata?
"Tantissimo. Da mattina a sera nei locali si poteva trovare sempre qualcuno, di solito occupato a fare qualcosa, ma talvolta anche solo a chiacchierare davanti a una tazza di caffè o un bicchiere di vino."
Come e perché il calo?
"Diverse sono state le cause, a partire da tanta gente che se n’è andata via. Fra i tanti mi vengono in mente i nomi di Matuchina, del dott. Zanini, Nevia Stemberger. Ma allora, forse, non ci pensavamo troppo a queste cose che affliggevano gli adulti: eravamo giovani, pronti allo scherzo, pieni di vita e di voglia di fare. Oggi si presenta tutto diverso. Vedo che nella gioventù l’attaccamento che si provava allora nei confronti del Circolo è venuto meno.
Non potrei dire il perché, ma è così e la cosa mi rattrista parecchio. Una volta si faceva tutto "con il cuore". Pensi che ho passato molto più tempo qui che a casa mia. Per dire che clima c’era al Circolo, quando sono andato a fare il militare tutta la compagnia è venuta in massa a salutarmi alla stazione. E non le dico che baccano."
Lei ricorda l’episodio di violenza contro la Comunità verificatosi in concomitanza con la crisi per Trieste?
"Non ho ricordi immediati, di prima mano, perché non l’ho vissuto qui, però ricordo molto bene che se n'è poi parlato a lungo. Ne erano rimasti coinvolti, per quanto mi viene in mente, Palisca, Vrancich, Mazzieri e qualcun altro. Si diceva che si fossero dovuti asserragliare all’interno dei locali per difenderli da questa gente che ci voleva entrare."
Vedo questa foto che la ritrae giovane cantante. Come andò?
"Va detto che lo facevamo in tanti, e pieni di fervore, sottoponendoci in continuità a prove su prove, ma tutto in un clima leggero, senza arrabbiarsi. Da principio ricordo che dei cantanti si occupava Fulvio Kriso che, come Palisca e Vrancich era un po’ il factotum del Circolo.
Io allora facevo arte varia e ho cominciato a cantare dopo. Anche mia moglie, scomparsa qualche mese fa - il 7 ottobre sarebbero stati 55 anni del nostro matrimonio - recitava nella filodrammatica e la figlia ha fatto parte dei minicantanti. Anni dopo è stata ancora la volta di sua figlia, mia nipote."
Ricordando i tempi "storici", si parla molto del susseguirsi delle serate...
"Infatti ce n’erano tante, a partire da quelle chiamate "del mercoledì"
perché si svolgevano sempre in quel giorno della settimana. C’erano poi le serate dei cantanti, dell’arte varia, della filodrammatica... tutte sempre molto seguite. Oltre a presenziare agli spettacoli, erano ottime occasioni d’incontro per il pubblico dei connazionali, allora molto più consistente rispetto ad oggi.
C’erano poi i balli ed essendo noi giovani piuttosto amalgamati, ricordo che non ci bastava mai, si voleva sempre che durassero di più. La stessa orchestra volentieri "tirava più a lungo" fino a che qualcuno dei dirigenti non ci ricordava, talvolta anche senza mezzi termini, che era l’ora di chiudere. Ricordo tante belle serate in musica con Delcaro, Bruno Vlah, Oskar Pavešić e diversi altri.
Mi viene in mente anche la passione per il gioco della tombola. Oggi parliamo delle tombolere, ma quando si cominciò, alla fine degli Anni Ottanta, nel gruppo c’erano anche i maschi, dirigenti compresi...
Ricordo allo stesso modo la passione che si metteva a Carnevale per organizzare i balli mascherati per bambini. Preparavamo tutto e poi, a sorpresa, mentre il ballo era in corso, salivamo sulla balconata per lanciare d’un colpo centinaia di palloncini sui piccoli ballerini. Sembra cosa da poco, ma pensi quanto tempo e pazienza ci voleva per riempire "a fiato" uno più, uno meno, duecento palloncini a testa.
Abbiamo cominciato con tre balli per stagione, poi sono scesi a due, ora ne facciamo uno solo, comunque ancora ben frequentato. I minicantanti ed il loro dirigente hanno un effetto trainante, in quanto vengono a sentirli i genitori, i nonni, altri parenti, ed anche altri bambini."
Chi ricorda fra coloro che la diressero?
"Un po’ tutti i "dirigenti storici", però si tenga conto che essi svolgevano i loro compiti e noi i nostri, per cui ognuno era impegnato nel suo specifico lavoro. Il rapporto è diventato più stretto quando Mario Micheli (presidente dell’Esecutivo negli anni dal 1993 al 1998, ndr) mi ha chieso di andare ad aiutare Bruna Bernes, che svolgeva le sue mansioni nella segreteria. Lo facevo volentieri e nel contempo ero alla testa della "tecnica" che, seppur già molto ridimensionata rispetto agli inizi, lavorava ancora molto. Ricordo che fra me e Micheli si finiva ogni volta a contrastarci, eppure abbiamo lavorato molto bene insieme: si faceva tutto il possibile, talvolta anche...l’impossibile.
Allo stesso modo ho lavorato molto bene con Elvia Fabijanić, la presidente che era in carica nello stesso periodo. Lo stesso devo dire per la collaborazione con gli altri attivisti, fra cui quella, davvero esemplare, con Maria Schiavato, che si occupava della cultura.
Anche con il maestro Severino Stepancich, per quanto definito "un babau" si lavorava bene. Babau perché? Perché un momento reagiva con apparente severità e durezza e poco dopo ridiventava il bonaccione che era in realtà nel fondo dell’animo. Ricordo poi con molta simpatia Pile, ovvero Oscar Pilepić.
C’è stato poi, in tempi più recenti, un rapporto più stretto con Roberto Palisca e Agnese Superina. Ormai passavo la maggior parte del tempo in ufficio, preparavo i manifesti, mandavo gli inviti... Questo ci consentiva di parlare più a lungo, confrontare le nostre idee. Le dirò che comunque in genere in me prevalgono in assoluto bei ricordi, anche perché andavo d’accordo con tutti. Poi, l’arrivo di altre persone, magari brave nelle loro mansioni, ma con cui mi era impossibile trovare un linguaggio comune, mi ha indotto a staccare."
La colpisce il fatto che oggi in Comunità c’è tanta meno gente?
"Per me è un vero strazio, perché mi pare che sia "una malattia" che ha colpito anche chi dovrebbe esserne immune: sarà magari l’effetto devastante dei tempi nuovi, ma non posso capacitarmi nel vedere che anche i nostri attivisti, finite le prove o gli appuntamenti che risultano in programma per la giornata, scendono direttamente dal terzo piano in strada, senza fermarsi, come una volta, a presenziare alla manifestazione che si svolge nel salone delle feste o anche solo per due chiacchiere al bar."

Fa le tante incombenze, Bachich ha svolto anche lavori di segreteria con Bruna Bernes