23 minute read

Legan coetaneo della Fiuman Veselica fra gol e rimpianti

Spiccioli di storia del calcio cittadino • di Bruno Bontempo

legan, coetaneo della fiumana veselica, fra gol e rimPianti

Advertisement

Il primo punto di svolta del calcio fiumano è stato il 1926. Nella primavera di 90 anni fa una grave crisi colpì la Federazione Italiana Gioco Calcio e fornì al regime fascista il pretesto per intervenire nel mondo pallonaro e imporre la riorganizzazione che portò alla nascita della Divisione Nazionale, massima categoria divisa in due gironi, antesignana dell’odierna Serie A. La ristrutturazione su scala nazionale dei campionati non poteva avvenire in molte realtà locali sulla base delle società esistenti, motivo per cui il regime favorì (laddove non impose) l’accorpamento e le fusioni societarie su base cittadina anche perché vedeva di cattivo occhio rivalità all’interno delle città che avrebbero potuto contrastare le sue finalità di pace sociale.

A Fiume prevalse l’esigenza di rinforzare la forza in campo calcistico riunendo le due maggiori compagini cittadine per poter figurare dignitosamente nei tornei nazionali. Così, il 2 settembre 1926 dalla fusione di Gloria e Olympia nacque l’Unione Sportiva Fiumana, che nella partita inaugurale fu sconfitta dal Bologna per 3-2. Quello stesso che, nell’ambito del Girone B della Divisione nazionale, il 29 gennaio 1929 a Cantrida avrebbe avuto partita vinta a tavolino dopo che l’arbitro Ferro di Milano decretò la sospensione del match al 50’, sull’1-0 per i felsinei, in seguito alle proteste dei fiumani, che si erano visti annullare due gol (mano e fuorigioco) mentre il direttore di gara aveva sorvolato su un evidente fallo di mano in area dei bolognesi su tiro di Froglia. Ferro si ritirò negli spogliatoi e, assediato, fuggì via mare verso Abbazia. Il Bologna vinse il Girone B e poi si aggiudicò lo spareggio scudetto con il Torino, vincitore del raggruppamento A, le prime dieci di ogni gruppo formarono la nascente Serie A, la Fiumana, 14.esima in classifica davanti a Reggiana e Fiorentina, fu retrocessa in Serie B.

La neoformata società giocava le sue partite casalinghe sul campo di Cantrida, ricavato più di cent’anni fa da una ex cava, per il cui sfruttamento era stato sbancato un intero costone di montagna nella frazione che veniva chiamata Borgomarina, un antico toponimo ormai quasi totalmente in disuso. Più volte ristrutturato ed ampliato, gioiello di rara bellezza, incastonato tra un costone roccioso verticale e il mare, lo stadio ha chiuso i battenti - si spera provvisoriamente - all’inizio dell’estate 2015, quando il Rijeka ha inaugurato il nuovo centro sportivo di allenamento nella zona collinare di Rujevica, che offre una magnifica vista sul Quarnero. Il campus comprende cinque campi di allenamento e un piccolo stadio, capienza 5000 posti, che ha ottenuto il via libera per ospitare le gare casalinghe del Rijeka in attesa del nuovo, avveniristico stadio. L’ambizioso progetto, voluto e finanziato da Gabriele Volpi, dal 2012 proprietario maggioritario della società con una quota del 70 per cento, è ancora nella sua fase embrionale, e anzi, la pianificazione dovrà essere rivista in quanto all’idea iniziale l’investitore ha aggiunto altri contenuti, albergo e centro commerciale, per cui sarà necessario apportare sostanziali modifiche al piano urbanistico della zona di Cantrida prima di dare inizio ai lavori sul vecchio sito cantridano.

la neonata FiUmana e i sUoi primi "gioielli"

vi colori sociali - rosso cardinale, blu e giallo - che, seppur simili a quelli del Gloria, vennero ereditati dal tricolore della bandiera del cessato Stato Libero di Fiume, colori che ufficialmente erano cremisi, oro e indaco e che forse, salvo ripensamenti delle istituzioni croate preposte al riconoscimento degli emblemi araldici storici, torneranno sui pennoni della città. Il club in maglia amaranto (colore ripreso parzialmente quest’anno per le magliette del Rijeka di Volpi, su iniziativa del presidente Damir Mišković) partì dal campionato interregionale di Prima Divisione, secondo livello dell’epoca. Era la squadra dei vari Marietti, Romeo e Narciso Milinovich, Pilepich, Ossoinak, Varglien I (Mario), Negrich, Serdoz, Tarlao, Mihalich, Spadavecchia... I tre gioielli erano Mario Varglien, Marcello Mihalich e Luigi Ossoinach.

Mario Varglien, o Varglien I (1905-1978), il più anziano dei due fratelli che fecero storia con la Juventus, centromediano o mezzala d’attacco, da calciatore esordì con l’Olympia, giocò nella neonata Fiumana e poi, acquistato dal Pro Patria, debuttò nella Divisione Nazionale nel 1927-28 prima di passare alla Juventus, nella quale militò per 14 stagioni, accumulando un impressionante numero di presenze, 352 partite in bianconero, vincendo cinque scudetti, quelli del cosiddetto Quinquennio d’oro della Vecchia Signora, e una Coppa Italia. Convocato da Pozzo, fu campione del mondo 1934 con la nazionale italiana, pur non essendo mai sceso in campo: in effetti con la nazionale azzurra giocò solo l’amichevole con la Francia del febbraio 1935. Si distinse anche nell’atletica: con il suo formidabile scatto primeggiò nelle gare regionali dei 100, 200, 400 e triplo. Mandato da bambino a far nuoto perché troppo rotondetto, fu terzo nell’edizione 1921 della Coppa Scarioni, le cosiddette "Popolari di Nuoto", manifestazioni natatorie aperte a tutti, iniziate nel 1914 e disputate fino all’inizio della seconda guerra mondiale con qualificazioni zonali e finali nazionali.

Marcello Mihalich (1907-1996), attaccante, giocò 138 partite e segnò 56 reti nella massima divisione italiana: esordì nella Fiumana contro il Brescia (3-2) andando subito in gol. Dal ‘29 al ‘33 giocò nel Napoli segnando 31 gol per tre campionati di seguito, fu campione d’Italia con la Juventus nel ‘34, giocò una sola partita ma segnò due gol con la nazionale azzurra.

Luigi Ossoinach (1899-1990) è stato probabilmente uno degli atleti di più alto spessore tecnico: per le sue doti di finezza, velocità, precisione e decisione nel 1920, quando militava nell’Olympia, venne definito dalla stampa nazionale miglior calciatore di Fiume. Poteva ricoprire qualsiasi ruolo ma si distinse come attaccante ed i suoi gol permisero all’Olympia di guadagnare la promozione, prima squadra fiumana salita in Seconda divisione nazionale. Dal 1927 giocò a Prato, Roma, Cagliari per tornare nel ‘32 alla Fiumana. Atleta polivalente, quando non giocava a calcio faceva il pugile, lanciava il disco, correva i 100 e 400 metri, nel canottaggio fu capovoga dell’otto dell’Eneo due volte campione d’Italia...

Torniamo alla Fiumana, le cui fortune sportive furono alquanto altalenanti nei suoi scarsi vent’anni di vita. Grazie ai risultati, ma anche in virtù della politica del regime relativa alle terre di confine, nell’estate del 1928 per decreto del presidente della FIGC, insieme a Venezia e Triestina, fu promossa nel Campionato di Divisione Nazionale (massima serie del calcio italiano del tempo), inserita nel girone B. Sull’esito di quella stagione abbiamo detto più sopra: i fiumani, penalizzati dalla ri-

La Fiumana nel 1941

Sergio Legan festeggiato negli spogliatoi del Rijeka nell'agosto scorso forma dei campionati, furono destinati alla neonata Serie B dalla quale, come ultimi classificati, nel 1930 retrocessero nuovamente nei tornei interregionali. Tra il 1930 e il 1941, partecipò al campionato di terza serie denominato inizialmente Prima Divisione per poi, nel 1935, mutare nome in Serie C. Dopo anni di alterne vicende, tornò agli onori della cronaca vincendo il campionato di Serie C 1941-42 e guadagnò la promozione in B. Ma la gioia fu di breve durata: dopo una sola stagione tra i cadetti, la formazione portabandiera del Quarnerino venne rimandata indietro, lasciandosi sfuggire la salvezza per due soli punti.

La stagione di Serie C 1942-43 fu l’anno dell’ultimo campionato italiano della Fiumana, concluso con un onorevole terzo posto nel girone A, alle spalle di Pro Gorizia e Treviso, mentre l’altra squadra della città, Magazzini Generali, si piazzò al decimo posto su dodici squadre. La Fiumana giocò l’ultima partita "ufficiale" il 14 marzo 1943 battendo per 4-1 il Vittorio Veneto. legan, commoVente omaggio al capitano di 60 anni Fa

Nell’immediato dopoguerra anche nello sport della nuova Jugoslavia entra l’ideale del collettivismo socialista come ottimo collante dopo gli stravolgimenti politici e sociali. Si punta sulla centralizzazione e nascono le società polisportive. A Fiume, su iniziativa del compianto Ettore Mazzieri, grande firma del nostro giornalismo sportivo, apprezzato dirigente sia nel campo dello sport, sia in quello comunitario (per me è stato un maestro e un amico), il 29 luglio 1946 si fonda la Quarnero, che oltre al calcio ha altre undici sezioni (tra le quali primeggiano basket, ciclismo, pugilato...). Nel calcio esordisce già l’8 agosto battendo in amichevole l’Hajduk per 2-0, con gol di Petronio e Nori.

Una curiosità è legata al primo stemma societario, che aveva ancora carattere bilingue: la stella rossa e le silhouette stilizzate del mare e del Monte Maggiore erano racchiuse in una cornice rotonda formata dalla lettera Q (che sta per Quarnero) alla quale si intersecava una K (di Kvarner). Forse è stato l’ultimo simbolo di quel bilinguismo che molti dei nostri padri avevano creduto, forse un po’ ingenuamente, sarebbe stato possibile mantenere nella Fiume inserita nella nuova realtà storica, politica e sociale, speranze ben presto svanite...

Nella rosa della neonata Quarnero troviamo i nomi di Belcastro, Bertok, Blasich, Burattini, Cergnar, Chinchella, Deluca, Flaibani, Gardassanich, Laurencich, Legan, Ljubačev, Lucchesi, Macorin, Marčetić, Matošić, Mazzoli, Nardi, Nori, Pavanello, Petronio, Privrat, Raunich, Starcich, Stefanović, Tiblias, Vrtan. Tra questi, Sergio Nini Legan - coetaneo della Fiumana (anzi, son più vecio, mi son nato el 11 agosto del 1926 e la Fiumana xe stà fondada el 2 setembre!, rimarca orgoglioso) è probabilmente l’ultimo superstite della prima squadra fiumana del dopoguerra. Lo abbiamo raggiunto per fargli gli auguri in quanto la scorsa estate è arrivato a festeggiare il prestigioso traguardo dei 90 anni e rubargli qualche scorcio delle sue memorie. "Ho cercato di scoprire se c’è ancora qualcuno in vita, ma non mi risulta" spiega il simpatico e vivace Nini, che è stato capitano della Quarnero e, quando nel ‘54 la squadra ha cambiato nome in Rijeka, il primo a portare sul braccio la fascia che contrassegna il ruolo.

Quale ricordo conserva del decennio trascorso nella Quarnero e poi nel Rijeka? "È stato senza dubbio il più bel periodo della mia vita. Ci si accontentava di poco, si giocava per attaccamento ai colori sociali, senza pensare al guadagno..."

Legan giocò da centromediano e poi da terzino, distinguendosi come marcatore tecnico dai piedi buoni, veloce nel recupero, con uno spiccato senso della disciplina tattica. Iniziò nella Torpedo e sul finire del ‘45 passò alla Portuale, ma l’anno dopo i talent-scout della Quarnero (Ettore Mazzieri, Egidio Barbieri, Renato Tich, Edoardo Radetti e Giovanni Cucera) non se lo fecero scappare. Il suo esordio in prima squadra non fu molto fortunato poiché quel 6 ottobre 1946 la Quarnero subì un umiliante 5-0 dalla zagabrese Lokomotiva. Ma in seguito diventò una garanzia per la difesa e un portabandiera della squadra: nelle dieci stagioni passate alla Quarnero-Rijeka accumulò circa 500 presenze fino al ritiro, nel 1956.

A 60 anni di distanza, il Rijeka giustamente gli ha allestito una festa, portandogli in dono una maglietta della squadra di oggi con la simbolica fascia di capitano, incorniciata sotto un vetro, concedendogli inoltre, due soli giorni dopo il suo 90.esimo compleanno, l’ono-

re del calcio d’inizio di una partita di campionato nel nuovo stadio di Rujevica e l’omaggio del numeroso pubblico. Ma, ironia della sorte, la partita era Rijeka-Lokomotiva, questa volta, però, finita 1-0 per i quarnerini...

Nel corso della sua brillante carriera, Nini Legan ha avuto anche le sue belle offerte di cambiare casacca. Lo voleva il Partizan di Belgrado, che si era aggiudicato i primi due campionati jugoslavi del dopoguerra, ma anche il grande Torino, che stava ricostruendo la squadra dopo la tragedia di Superga (tra le vittime della squadra granata c’era anche Ezio Loik, che Nini aveva visto giocare nella Fiumana quando era ragazzino). La richiesta d’opzione, però, gli fu rifiutata ben tre volte e gli andò buca anche quando un intermediario lo avrebbe dovuto far passare illegalmente il confine. Nel suo cuore, Legan è rimasto un fiumano patoco, nato a Cosala, ma dal 1955 abita nel rione di Cantrida, proprio sopra lo stadio che fu anche suo. Per dovere di cronaca, ricorderemo che dal ‘46 al ‘51 la Quarnero giocò sull’ex Campo Cellini, rimesso a nuovo, e anche dopo la riapertura di Cantrida la squadra tornò saltuariamente a giocare alcune partite su quel terreno.

Ma in tema di fiumanità, Nini Legan non manca di ricordare, oggi che si parla del possibile ritorno dell’aquila sulla Torre Civica, il ruolo che ebbe suo nonno Giovanni, classe 1860 ("non so né come né perché era nato a Graz): capofonditore della notissima "Fonderia e fabbrica macchine Matteo Skull" (fondata a Fiume nel 1878 e diventata in breve tempo la più importante industria privata della città) in merito ai simboli cittadini. Nel 1906 infatti Giovanni Legan firmò l’atto di fusione del metallo nella forma da cui si ottenne l’aquila bicipite fiumana che fu posta sulla porta cittadina simbolo della fiumanità. E il signor Nini conserva gelosamente i documenti e le foto di quell’avvenimento storico.

Il calcio di oggi non gli piace molto: "Qui da noi c’è poco da vedere, preferisco le partite dei campionati stranieri, spagnolo, inglese... Il calcio italiano? Ah, la Juventus è stata sempre il mio grande amore! Il Rijeka? Gli sono riconoscente per la festa che mi ha organizzato per il mio 90esimo compleanno. Sta facendo di tutto per arrivare al primo titolo nazionale, ma finché c’è di mezzo questa Dinamo, credo che c’è poco da sperare... Chi era il miglior giocatore della neonata Quarnero? Senza dubbio Nereo Burattini, il più forte attaccante che abbiamo avuto tra le nostre file. E dopo di lui Stojan Osojnak (93 anni, il più anziano tra gli ex calciatori fiumani ancora in vita, che dalla Svizzera ritorna ogni estate nella sua Abbazia, nda), venuto però alla Quarnero solo nel ‘49".

Nereo Burattini, classe 1917, è scomparso a New York nell’ottobre del 2010. Cresciuto nella Leonida, maturato nella Fiumana d’anteguerra, dopo aver fatto il militare in Italia si fermò alla Sanremese (C) e con il Genoa disputò anche tre partite in Serie A, segnando altrettanti gol. Poi tornò a Fiume, nella Torpedo e quindi nella Quarnero, ma già nell’autunno del ‘46 ripartì per l’Italia, giocò nel Treviso in Serie B e segnò 24 gol. "Nei primi anni la rosa della squadra cambiava di giorno in giorno". Leggermente velato di tristezza, Legan ripensa a quel periodo: "L’esodo lasciava grandi vuoti: in breve tempo se ne andarono otto giocatori titolari".

Ci congediamo da Nini con un ultimo tuffo nel passato, legato al suo ritiro dal calcio giocato a soli 30 anni, nel 1956. "Ben presto capii che il mio futuro non sarebbe stato vincolato al calcio ma alla mia professione di tornitore. Tuttavia, lasciata l’attività agonistica, nei quattro anni in cui fui responsabile del settore giovanile del Rijeka riuscimmo a vincere due edizioni del torneo Riviera del Quarnero, ‘57 e ‘60. Nel frattempo, dopo l’impiego alla Torpedo, che nel ‘45 era stata anche la mia prima squadra di calcio, venni assunto alla Mamić, dove continuai a lavorare come caporeparto tornitori fino al pensionamento".

Ultimi reperti di bilinguismo a Fiume: lo stemma della polisportiva Quarnero / Kvarner come figurava in quegli anni

BrUno Veselica, oVVero il secondo BomBer di sempre

Correva come un matto e saltellava come un gatto, e tutti gli gridavano così:/oh, oh, oh che centrattacco/ oh, oh, oh tu sei un cerbiatto,/sei meglio di Levratto ogni tiro va nel sacco oh, oh, oh, che centrattacco!

Chi non ricorda la canzone che il Quartetto Cetra lanciò nel 1959? Simbolicamente la vogliamo dedicare al nostro prossimo interlocutore, l’albonese naturalizzato fiumano Bruno Veselica, che lo scorso gennaio ha superato la soglia delle 80 primavere, portate molto bene, del resto. Persona modesta e tranquilla, è stato un grande protagonista sul campo a cavallo degli anni ‘50-’60, secondo bomber di sempre nella storia del Rijeka con 83 gol, 7 in meno di Boško Bursać, l’attaccante bosniaco arrivato a Fiume dal Proleter di Zrenjanin che nel 1964 raccolse il testimone e la maglia numero 9 proprio da Veselica.

L’anno dei grandi anniversari del calcio fiumano ci ha fornito l’occasione giusta per far parlare Bruno Veselica, anzi, per strappare un po’ con le tenaglie alla sua proverbiale riservatezza qualche ricordo, qualche reperto di un periodo del calcio fiumano, che sarebbe incoerente e paradossale confrontare con quello attuale, ma che deve venir preso per quello che vale, anzi, che valeva all’epoca. E che come tale si è meritato, eccome, un posto privilegiato nella storia che, per arrivare al Rijeka di oggi, è passata attraverso la Quarnero di ieri, e che era partita dalla Fiumana di ieri l’altro, in un arco di tempo di 90 anni tondi tondi. "Storicamente, sportivamente e umanamente sono tutte legate da un unico filo", come aveva giustamente riassunto Nini Legan, e io aggiungo che, pur parlando di solo sport, in ogni epoca hanno costituito un prezioso patrimonio di questa città.

Veselica è stato uno dei giocatori più amati dai tifosi (e non) della squadra fiumana, tanto per la bravura quanto per la modestia e simpatia. Alla Quarnero era venuto da Albona, da sempre fucina di ottimi calciatori. Prima di lui, nell’immediato dopoguerra, aveva fatto una breve apparizione Toni Privrat, più tardi al Rijeka arrivarono Milevoj, Rabac, Brnjac, Celić, Mohorović, Poldrugovac (che già giocava a Pola), Stemberga, Paliska, Radmanović, Šumberac... Quali segreti cela il bacino albonese? "Non saprei. All’epoca la nostra cittadina non offriva nessuna distrazione ai giovani e il calcio era l’unico svago. Tutto qua, credo..." cerca di spiegare così anche la passione per il calcio, che in Bruno nasce molto presto e la sua crescita è ancora più rapida. Tanto che a 15 anni Giorgio Giambastiani, buon calciatore d’anteguerra e uno dei fondatori dell’albonese Rudar, lo fa giocare da centravanti in prima squadra: nonostante la giovanissima età, si può dire che ha un fisico da... minatore, che fu il mestiere del papà. Giambastiani capisce subito che si tratta di un grande e precoce talento calcistico: veloce ed esplosivo, mostra subito un’incredibile dimestichezza con il gol.

Le sue prodezze in campo hanno vasta eco e ben presto arriva l’interessamento della fiumana Quarnero, che all’epoca milita nello Zonale e morde il freno per arrivare al massimo campionato jugoslavo. Secondo passo, il trasferimento nella squadra juniores di Cantrida, al quale seguirà la piena affermazione di questo nuovo gioiello anche nei campionati di categoria superiore.

E non aveva ancora 18 anni quando, nel ‘54 il Rijeka, nuovo nome dell’appena sciolta Quarnero, decise di portarlo in tournée in Nord Africa (Siria e paesi vicini) per metterlo alla prova con la squadra titolare. Ma, quando si arrivò al rilascio dei passaporti, si accorsero che Veselica non aveva ancora compiuto la maggiore età il che comportava un divieto d’espatrio. Ma sappiamo che da sempre il calcio ha saputo entrare nelle maglie del potere di stato e con qualche ritocco alla sua data di nascita, l’inghippo fu superato e il promettente centravanti poté partire per la Siria. E dopo un periodo di rodaggio, si guadagnò a suon di gol un posto da titolare in prima squadra.

Ma prima di sistemarsi definitivamente a Fiume, Brunic, come è stato sempre chiamato dagli amici e compagni di squadra, soprannome che rivela la sua indole mite e dolce, per due volte aveva deciso

di lasciare tutto e tornare a casa. "A Fiume mi sentivo solo, spaesato, mi mancavano gli amici di infanzia - ricorda Veselica -. Due volte presi le mie cose e tornai ad Albona. Ci pensò Renato Tich, grande firma del giornalismo sportivo alla Voce e autorevole dirigente della Quarnero, a convincermi a tornare, a rassicurarmi e spiegarmi che a Fiume avrei potuto affermarmi in campo, che avevo i numeri per raggiungere livelli importanti e che sarebbe stato un peccato sprecare l’occasione. Così a poco a poco mi convinsero e intanto al Rijeka nascevano nuove amicizie, con Vinicio Zidarich, Ravnich, Zadel... In prima squadra ero nettamente il più giovane, ma i gol cominciarono ad arrivare come per incanto. Ormai navigati, Legan, Canjuga e compagnia mi infondevano fiducia, sintetizzando il tutto con raccomandazioni di estrema semplicità: "Mulo, in campo pensa solo de trovarte pronto co ariva el balon e de butarlo dentro. Tuto el resto lassa che pensemo noi..."

Gli appassionati di calcio fiumani, e pure io da ragazzino ai miei esordi da spettatore, lo ricordano per l’esplosività, lo scatto, la velocità, il tiro potente e preciso ma soprattutto i gol. Quali erano le sue doti peculiari? "Accelerare fulmineamente e bloccarsi di scatto, fingere e ripartire. Ero ambidestro, ma ho segnato molte più reti con la destra e il piede mancino lo usavo preferibilmente per scodellare il pallone e preparare il tiro. E naturalmente, su tutto, fiuto del gol, istinto realizzativo, capacità di farsi trovare pronto".

E Bruno Veselica non mancava di trovarsi pronto: già nella prima stagione con il Rijeka fu capocannoniere con 16 reti in 20 partite, l’anno dopo ne fece altrettante in 18 gare. Nei dieci anni passati al Rijeka realizzerà anche più gol di Stojan Osojnak, con il quale ha fatto coppia d’attacco dopo il suo ritorno dalla Dinamo. "Sì, in alcune partite abbiamo giocato con il doppio centrattacco. Lui era stato un grandissimo giocatore, ma all’epoca la sua carriera era già sul viale del tramonto, fatto sta che nel 1960 appese le scarpette al chiodo e presto diventò il nostro allenatore".

Nella storica stagione 1957-58 il Rijeka ebbe quattro goleador: Osojnak segnò 16 reti, Medle 10, Veselica 8 e il nuovo arrivato, Naumović, 17. E proprio con Naumović nella veste di trequartista regista, che segnò un’intera epoca del Rijeka calcio (dal ‘56 al ‘65), Bruno Veselica ebbe un’intesa perfetta. "Naume sapeva a occhi chiusi dove mi avrebbe trovato, i suoi lanci smarcanti erano pennellate..." Quello fu l’anno della storica promozione nel massimo campionato jugoslavo... "Ahimé, andai a fare il militare e fui penalizzato proprio nella stagione più gloriosa, quella del ritorno in Prima lega. Non fu facile seguire a distanza le vicende della squadra, ma la gioia fu grande lo stesso. Eravamo tutti molto legati tra noi, io ebbi un particolare rapporto di amicizia con il compianto Pero Radaković, grande giocatore, serio, affidabile, sensibile".

Di allenatori, al Rijeka, Veselica ne ha passati una decina. "Duković è stato il primo, mi ha seguito nella giovanile e in prima squadra. Poi abbiamo avuto in panchina alcuni dei nostri ex compagni di squadra, prima Osojnak, poi Angelo Zicovich, e ovviamente c’era meno timore reverenziale nei loro confronti e più confidenza avendo giocato assieme per anni...."

Nel Rijeka degli anni ‘50 la fiumanità era ancora molto presente. Tra i compagni di squadra c’erano Geni Ravnich e Fulvio Superina, Enzo Zadel, Icio Brussi, Vinicio Zidarich, Renzo Sternizza, Stojan Osojnak, Angelo Zicovich. Poi il dirigente Renato Tich e il massaggiatore Alfredo Bobi Otmarich (19131990). Parlando del Rijeka degli anni ‘50-’60 il suo nome è ineludibile: da giocatore è stato portiere di riserva della Fiumana, ma ha trovato sulla sua strada, come scrive Luca Dibenedetto sul Balon fiuman, due dei più grandi in questo ruolo mai visti a Cantrida, Raicovich e Dapretto. "Bobi era simpatico, allegro, scherzoso, con lui si rideva, per noi era come un papà. E poi era tuttofare: massaggiatore, medico, economo, confidente... Indimenticabile".

Dal ‘58 al ‘64 Veselica ha avuto modo di giocare nel massimo campionato jugoslavo in cui figuravano grosse squadre e grandi campioni. "Alla Dinamo c’era un gigante, Dražen Jerković (322 gol in 315 partite dal ‘54 al ‘65, nda), il Partizan aveva Galić, ma il miglior giocatore in assoluto era certamente Vukas e vicino a lui Bobek. E Beara tra i portieri. Da avversari e da spettatori li guardavamo come fossero degli dei e naturalmente la più grande emozione e soddisfazione era giocare contro di loro e magari segnare qualche gol, soprattutto a Belgrado contro Crvena Zvezda e Partizan..."

E siamo allo sfortunato finale di carriera. Dopo dieci ottime stagioni al Rijeka, quasi sempre da capocannoniere della squadra e nel 60-’61 anche miglior giocatore, nel 1964, nella piena maturità tecnica e fisica, Brunic ebbe l’offerta di un buon ingaggio da parte dell’Olimpija di Lubiana, che stava costruendo una squadra in grado di "introdurre" la Slovenia nel massimo campiona-

Veselica: stile, eleganza, potenza

Veselica con la maglia del Rijeka (foto archivio I. Kramarsich)

to."Partii da Cantrida con la caviglia che aveva già subito distorsioni, ma in una partita con gli sloveni subii un gravissimo incidente, un forte trauma. Fui ricoverato a Belgrado, ma non ci fu niente da fare. Con il calcio era finita. Prematuramente. La delusione fu cocente, avevo 28 anni e contavo di poter giocare ancora per qualche stagione. Il taglio con il football fu totale. In gioventù avevo fatto l’avviamento professionale quale tornitore ed avevo lavorato alla Vodogradnja. A carriera finita, fino al pensionamento ho fatto l’autista, prima al cantiere Viktor Lenac e quindi all’azienda lavorazione del legno di Clana".

Alcuni anni prima di passare all’Olimpija, però, Veselica era stato sul punto di lasciare il Rijeka per la Dinamo... "Fu una toccata e... fuga, nel vero senso della parola. All’insaputa del Rijeka, devo ammetterlo, mi avevano fatto venire a Zagabria per un provino. Arrivai la sera prima e andai in albergo. La mattina dopo, quando vidi il treno per Fiume, non ci pensai due volte e lo presi in corsa, lasciando in albergo la valigia con le mie cose. Pensai che al Maksimir c’era Jerković, intoccabile, e poi la nostalgia per Fiume e la mia Albona fecero il resto: era meglio lasciar perdere tutto. Un’altra occasione persa, forse, fu l’offerta arrivata dall’Italia, dove alcuni di noi avrebbero potuto restare quando con il Rijeka stavamo tornando da una tournée in Svizzera. Bruno Persich tentò l’avventura, io rinunciai. Ero giovane, avevo una bella cerchia di amicizie, non me la sentivo di cambiar vita..."

Il calcio totale è venuto molti anni dopo, però anche in passato c’è stato qualche tecnico che ha voluto sperimentare. Lei lo ha provato sulla sua pelle, quando un allenatore ha voluto metterlo alla prova nel ruolo di terzino. "Sì, Ognjanov volle sfruttare la mia velocità in fase difensiva e in Svizzera in un’amichevole mi schierò in quel ruolo. Fui tra i migliori e altre volte ripetemmo l’esperimento. Poi, però, quando l’attacco faceva cilecca, venivo rimandato a coprire il mio ruolo naturale. Visto che da centravanti ero destinato a prendere tante bastonate su caviglie e polpacci dai difensori avversari, forse sarebbe stato meglio se fossi rimasto a giocare da terzino, avrei potuto procedere a qualche... regolamento di conti!"

A 50 anni dalla fine della carriera, quali differenze e quali similitudini nota tra il calcio dei suoi tempi e di oggi? "Sono come il giorno e la notte. Noi eravamo a metà lavoratori e a metà calciatori, si giocava ancora per passione, i guadagni erano lontani mille miglia da quelli di oggi. Altri tempi in tutti i parametri, metodi di allenamento e di gioco, investimenti, promozione, aspettative, giro di denaro. Oggi c’è uno spietato professionismo da star system. Non mancano i grandi giocatori e le star possono realizzare enormi guadagni in breve tempo, però sono molto più sacrificati di quanto lo eravamo noi, a tutti i livelli. Chi mi piace di più? Il primo della classe è senza dubbio Messi, dopo viene Ronaldo. La pulce è dotata di una tecnica sopraffina, gioca con eleganza e leggerezza, segna gol con estrema facilità, come pochi lo sanno fare. È il più completo. Il Rijeka? Sta facendo grandi cose per consolidare la società e sul piano dei risultati sta alle calcagna della Dinamo. Il nuovo stadio? Fantascienza in confronto alla carbonella sulla quale giocavamo noi all’ex Cellini. Le squadre italiane? Oggi seguo molto marginalmente la Serie A, ma in gioventù ad Albona abbiamo sempre tifato Torino".

A Fiume ha trovato l’amore, in Circolo ha conosciuto quella che sarebbe diventata sua moglie, Laura Zuccherich, però l’amore per Albona è rimasto intatto... "Ci torno spesso e volentieri, c’è ancora mia sorella, 86enne, e a Valmazzinghi mi aspetta la mia barca. Pescare mi rilassa e mi sento perfettamente a mio agio. Lì ritrovo la mia pace e sono in armonia con se stesso".

This article is from: