6 minute read

Anch’io posso battere i pugni sul tavolo

Dai ricordi alla realtà: Elvia Fabijanić

anch'io Posso battere i Pugni sul tavolo

Advertisement

Elvia Fabijanić è stata presidente della Comunità dal 1993 al 1998 e successivamente, per un anno circa, nel 2002-2003, ha retto l’Esecutivo.

Ricordo parecchie cose positive del tempo in cui presiedevo la Comunità. In particolare ho grata memoria dei contatti con Franco Stacul, sindaco di Medea e donatore di sangue, che aveva interessato, alle nostre questioni si può dire tutti i sindaci del Friuli – Venezia Giulia Giulia, tanto che erano venuti qui e avevano incontrato il sindaco Slavko Linić. Aggiungo che all’epoca non c’era contatto fra la Città e una parte italiana in cui non fossimo invitati. Promotore della pace e convivenza fa i popoli, Stacul aveva creato a Medea un Parco della Pace, visitato da diversi sindaci, in primo luogo dalla Slovenia e dalla Francia, in quanto, quest’ultimo, Paese soprattutto d’immigrazione italiana. Una volta assieme a noi ci venne pure Linić per piantare l’Albero della pace di Fiume. I legami instaurati da Stacul si rivelarono molto utili in quando diedero vita a scambi in vari campi. Anche nei contatti con Este venivano regolarmente con noi rappresentanti del comune. Uno dei riflessi più positivi fu il significativo afflusso di aiuti umanitari durante la guerra: la CI era un vero centro di smistamento. E poi ci fu l’incontro, davvero storico, con il presidente Luigi Scalfaro.

Come fu questo incontro?

Sicuramente la cosa più bella per tantissimi di noi, molto commovente e direi anche utile, perché i media italiani gli diedero ampio spazio. Eravamo in un salone del Quirinale, una cinquantina. Il presidente entrò e io rimasi sorpresa perché me l’ero immaginato più alto, invece era come me, forse anche un pochino più basso. C’era un divanetto al centro su cui, oltre a noi due, si sedettero i presidenti Furio Radin e Maurizio Tremul quali rappresentanti dell’Unione Italiana. Nel mio discorso fui molto aperta: noi non avevamo mai abbandonato l’Italia, dissi, era l’Italia che aveva abbandonato noi. Parlai poi di quello che si faceva per mantenere la lingua e cultura. Nella sua risposta, egli evocò la guerra e la perdita dei territori, assicurando che comunque l’Italia non ci avrebbe mai lasciati soli. Aggiungo che nei quattro giorni di permanenza a Roma mi sorbii anche parecchie critiche, da parte nostra s’intende, perché ci fu chi negli "alti fori" riteneva inaudito questo nostro passo.

Quale ritiene l’elemento più positivo del suo mandato?

Il fatto che la municipalità tenesse in conto tutto quel che faceva la Comunità. Ad esempio, per tornare a Scalfaro, fu la città che ci procurò il quadro di Žunić che gli donammo. In questo contesto si rafforzò significativamente anche il processo di riavvicinamento con gli esuli, iniziato qualche anno prima.

Però è anche vero che la visita di Roberto Menia in municipio fu motivo di scontro con Linić?

Verissimo. Menia era arrivato nell’ambito di una delegazione e nel corso dell’incontro ufficiale ci furono anche toni fermi, ma non si trascese. Qualche giorno dopo però il sindaco mi rimproverò di "avergli portato i fascisti in municipio". Subito ribattei: "E lei perché li ha accettati? Se la cosa lo disturbava, doveva reagire prima e non prendersela con me ora, a cose passate!"

Il nostro rapporto fu parecchio conflittuale soprattutto all’inizio, anche perché, se ben ricordo, qualcuno lo aveva definito El grobnizan e lui se l’era presa. Sta di fatto che ad ogni riunione si finiva a litigare. Già al primo incontro operativo, quando cominciai ad avanzare le mie richieste (c’erano in ballo veramente grosse questioni, l’affitto non pagato da tempo, la possibilità di essere sfrattati ecc.) la sua risposta si fece via via più veemente tanto che arrivò a battere il pugno sul tavolo. Rimasi allibita. Trattare così una donna? Poi, informatami nell’ambiente, mi fu consigliato di fare anch’io così. Non essendo nelle mie abitudini, la cosa mi pesava parecchio, però quando lui tornò a sbattere il pugno, feci altrettanto e gli risposi con altrettanta durezza. Da quella volta i pugni furono dimenticati.

E il fattore meno esaltante?

Difficile dirlo. Una delle cose che maggiormente mi disturbava era il nostro vizio, molto diffuso, di contrapporsi senza motivo e di parlare per ore alle assemblee di cose futili perdendo di vista quelle essenziali. Un esempio concreto: l’approvazione, da parte dell’Esecutivo del nuovo modulo del tesserino fu ferocemente e a lungo contestata da taluni consiglieri dell’Assemblea, l’unica, a loro giudizio, competente a decidere. Ebbene, ci crederà? Quel tesserino è in uso anche oggi, vent’anni dopo. Altra cosa che mi ha profondamente delusa è stata l’assai poca volontà di certe persone a fare qualcosa se non veniva pagata. Non l’avrei mai immaginato. ottima intesa con mario micHeli

Con chi, da presidente, ha avuto la miglior intesa?

Senza ombra di dubbio con Mario Micheli, che dirigeva l’Esecutivo. Era un uomo pratico ed efficiente. Abbiamo lavorato tantissimo. Veniva tanta gente, spesso con problemi assolutamente non di nostra competenza. Ma si stava lì, ad ascoltarla, a confortarla. Si lavorava tutto il giorno, talvolta anche fino le dieci di sera ed i risultati non mancavano. Ricordo quando invitammo Enzo Bettiza e fui di nuovo immediatamente criticata: non si doveva farlo, mi fu detto, perché aveva detto pubblicamente che in queste terre "non c’erano più italiani, ma meticci". Semmai il contrario, dissi: proprio per questo andava invitato. Infatti alla serata, allestita per la presentazione de "L’esilio", ammettendo il nostro meticciato, rilevai che pure lui era un meticcio, e che pure i meticci avevano il diritto di scegliersi la propria cultura e anche la nazionalità. E lui fu d’accordo con me.

La "tecnica", parola un tempo molto usata in Comunità e oggi scomparsa....

La formava il gruppo di attivisti che si occupava dell’allestimento del palco, delle luci ecc. , tutte persone di cui ho un carissimo ricordo. Ricordo Toni, Ferruccio, Egidio... Erano molto importanti, anche quando si preparavano le mostre. Oggi non esiste più: sono tutti molto anziani, diversi sono deceduti. Lo stesso vale per la Fratellanza, che ai miei tempi era numericamente molto consistente. Ricordo che i miei vice erano Valerio Zappia e Irene Mestrovich che si diede molto da fare, coinvolgendo anche Ezio, il marito. Fu lui che fece venire Bettiza, Tonko Maroević e altri ancora. Maria Schiavato, che si occupava della cultura, svolgeva ogni incombenza con grande serietà e dedizione. Ricordo con gratitudine parecchie altre persone, fra cui Paolo Bachich, bravo, affidabile, pieno d’inventiva, la segretaria Bruna Bernes, Raniero Brumini ed Ester Vrancich, sempre a disposizione per ogni serata ed anche il gruppo di donne sempre pronte a dare una mano.

Corrisponde al vero che si pensava di fare di Palazzo Modello un centro "polifunzionale" di aggregazione degli italiani che arrivasse a comprendere anche un ristorante?

gno. Ero infatti molto ben cosciente che non avrei potuto seguirlo fino alla conclusione, ma speravo di poter almeno gettare le basi, dare inizio al processo. Ne avevo parlato anche al console Musella. Effettivamente si pensava di trasformare Palazzo Modello un centro di cultura italiana in cui accogliere la Comunità, l’Unione Italiana, il consolato, ecc. e al pianoterra un ristorante come espressione della cultura italiana nella cucina, di cui non occorre certo rilevare la validità e l’originalità. Insomma si voleva farne un esemplare punto di raccolta in cui far convogliare l’interesse del pubblico verso gli italiani e quelli che sono definiti i valori dell’italianità.

Che cosa ha impedito la realizzazione dell’idea?

Non sono in grado di rispondere. Quando è scaduto il tempo in cui ero stata in carica, ho ribadito esplicitamente la mia massima disponibilità a dare il mio contributo anche in futuro se mi fosse stato chiesto. Nessuno però si è più rivolto a me ed io non sopporto le intromissioni, per cui nulla posso dire in merito come siano andate dopo le cose.

Elvia Fabijanić ritira a nome della Comunità il Premio Città di Fiume dalle mani del sindaco Linić, l'uomo "dei pugni sul tavolo". Correva l'anno 1996.

This article is from: