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Orgogliosi del raduno che ha riunito i fiumani
from LA TORE 27
by Foxstudio
Dai ricordi alla realtà: Roberto Palisca • di Mario Simonovich
orgogliosi del raduno che ha riunito i fiumani
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Le cose più valide? L’"autonomia" dell’asilo italiano, il Raduno mondiale dei fiumani e, per quanto forse potrebbe sembrare di un livello più basso, il concerto di Bobby Solo.
Risponde così Roberto Palisca mentre, a serata inoltrata, controlla le pagine della Voce che i collaboratori gli portano sulla scrivania per l’ultima verifica.
Giornalista da una vita, frequentatore del Circolo fin dai primi anni dell’infanzia, quando ci veniva con il padre che ne era un po’ l’anima, a partire dal 2006, a fianco della compianta Agnese Superina, è stato presidente dell’Esecutivo.
Quella dell’asilo fu un’idea maturata presto, già all’inizio del primo mandato. Si voleva ottenere una "centrale autonoma" degli asili italiani in città, come del resto già realizzato in diversi centri istriani, in quanto fra l’altro, così si poteva accedere con più facilità ai fondi del MAE, richiedere e ottenere materiale didattico, mobili e attrezzatture, altrimenti preclusi. Dal municipio inizialmente la risposta non fu incoraggiante: era da evitarsi ogni possibile ghettizzazione. Poi le resistenze cedettero e si cominciò a cercare il sito per il nuovo asilo, trovato alfine nella parte occidentale della città. La presidente firmò la lettera d’intenti, il progetto fu elaborato da un’architetto zagabrese e si rivelò molto in sintonia con i tempi (con tanto di pannelli solari e cascatelle che sfruttavano l’acqua piovana) sicché sia pure molto lentamente, la cosa andò avanti.
Altro motivo di soddisfazione, il Raduno mondiale dei fiumani che si tenne nel 2013. "Fu motivo di una contentezza e soddisfazione che mi aspettavo anche durante i preparativi, ma non immaginavo che sarebbe stato così forte, sia in noi che nei concittadini che per quel san Vito giunsero in città, si può dire da tutto il mondo. Era stata un’iniziativa a cui Agnese Superina, io e i membri del nostro esecutivo avevamo cominciato a pensare fin dall’inizio e che si poté realizzare con un lungo lavoro, non pochi ripensamenti e ‘correzioni di rotta’ e anche parecchia spesa, ma che ebbe un esito molto felice, favorendo gli incontri, generando uno spirito di comunanza ed anche parecchia commozione.
La Settimana della cultura fiumana, nella quale quel Raduno s’inserì, fu pure un’iniziativa progettata da noi ed ebbe grande successo, perché si riuscì a coinvolgere tanti soggetti, dalle scuole, agli anziani..., tutte le forze di cui disponevamo. L’intento era di valorizzare tutti i valori che esprimevano la città, dal dialetto alle consuetudini."
Chi era un po’ più addentro nella questione, ricorda che - come avvenuto anche quest’anno per il Premio cittadino a Ballarini - ci fu chi tentò di osteggiare certe iniziative, criticando ad esempio la scelta di far sfilare per il Corso i bersaglieri. Come andò? "È vero -, ricorda -, ci fu qualcuno che si oppose all’idea di far sfilare i militari italiani per il Corso, creando comprensibili perplessità nell’amministrazione municipale che giustamente voleva evitare ogni eventuale azione ostile in pubblico. Furono avanzate varie proposte "alternative", fra cui anche quella di non farli passare proprio per il Corso. Ma che senso avrebbe allora avuto la loro presenza? Si mise in moto tutto un meccanismo a cui non fu estraneo anche l’intervento di qualche ambasciatore e la cosa finì nel migliore dei modi, con i soldati italiani che, come si ricorderà fecero la loro sfilata seguiti da una folla di fiumani, esuli e rimasti, e suonarono insieme alla Banda di Tersatto nel centrocittà. "Ma non ti dico che apprensione fino a che la cosa non si risolse".
Un identico clima di disagio, sia pure per altri più tristi e seri motivi, si accompagnò all’esibizione in Comunità di Bobby Solo, avvenuta alla fine dell’anno in cui Palisca aveva assunto la carica. Non era stata cosa da poco conto organizzare il tutto. Ci si adoperò a fondo per
aumentare al massimo la capienza della sala in cui, in luogo delle usuali 140 furono messe circa 280 sedie, che comunque risultarono essere sempre troppo poche, sicché tanta gente rimase in pieni. Il cantante e la compagna non volevano fare a piedi il pur breve percorso dal Bonavia a Palazzo Modello, per cui Palisca andò a prenderli in macchina e li fece accomodare in Presidenza. Nel frattempo successe il fatto ben noto: uno spettatore fu colto da malore e, portato a fatica fuori dalla sala piena, fu ricoverato nel bar, che per fortuna era chiuso, in conseguenza di beghe contrattuali con la gerente. Fra i soccorritori accorse pure il dott. Leković, che tentò di rianimalo, ma presto si vide che il poveretto era morto. S’immagini la tensione del momento. Il pubblico continuava ad affluire nella sala già colma, c’era ovunque un gran vocio e la solita allegria. Che fare? Disdire il concerto o divertirsi con una persona morta al di là della porta? Palisca fece un giro di telefonate, mise in moto tutti coloro che potevano essergli d’aiuto per sollecitare l’arrivo più spedito possibile dei necrofori e del medico legale, e alla fine la cosa si risolse. Fatto affluire il pubblico in sala per ridurre al minimo il numero dei testimoni, l’uomo fu portato fuori dalla Comunità e lo spettacolo alfine iniziò. Per Roberto però la cosa non era finita: la moglie del defunto, occupata al teatro, doveva arrivare più tardi, a spettacolo avviato. E fu lui a dover dare alla poveretta la notizia del decesso.
Alle sue spalle ci sono due mandati di dirigente della Comunità. Divenuto presidente dell’esecutivo nel 2006 e riconfermato nel 2010, poi di fatto, per quanto assisitito dai due vicepresidenti, Corinna Gerbaz Giuliano e Denis Stefan, operativamente la diresse a tutti gli effetti in conseguenza del peggioramento dello stato di salute di Agnese Superina, poi venuta a mancare nell’ottobre 2015. Come si iniziò?
"Eravamo un gruppo di persone piene d’entusiasmo: fra le tante Rosi Gasparini, Lilly Venucci, Gloria Tijan... Ci sentivamo pieni di idee fresche, si voleva fare tante cose. Le difficoltà iniziali non ci spaventavano. Eppure di problemi ce n’erano, era aperta la questione dei soldi per la ristampa della monografia, lo stesso dicasi per la Tore. Dalle colleghe venivano avanzate tante proposte, talune molto valide - ricorda - da essere recepite da altri soggetti che le trasformarono poi in quelli che sarebbero stati chiamati i "grandi eventi".
Palisca e la Comunità, si direbbe "un matrimonio in famiglia", in quanto, date le "credenziali" del padre Rudi, il Circolo era entrato nella loro casa prima ancora che lui nascesse. Acquistato sicuramente a prezzo di grossi sacrifici il velluto per i primi tendaggi, la madre, sarta, cucì tendoni e bordure. In quei locali lui ci entrò piccolissimo, portato dal padre che faceva parte della "tecnica" quando ancora dal bar si poteva accedere, attraverso una scalinata di legno, ai locali del piano superiore, dove ora opera la Fratellanza. "Ma sai, anch’io, anche dopo, a 16 – 17 anni, non m’importava molto della Comunità. L’identità piena, a mio avviso, la ritrovi molto dopo, quando sei ormai uomo maturo. È forse per questo che troviamo difficoltà nel dialogo con i giovani, a parte anche il fatto che l’associazionismo d’oggi ha forme del tutto nuove. Non c’è dubbio che dobbiamo portare i giovani nella Comunità e nel contempo adoperarci al massimo a ‘esportare’ quello che essa può offrire, ma non è facile."
Anche i suoi predecessori cercarono ripetutamente di venire incontro alle esigenze delle giovani generazioni, ad esempio creando il centro multimediale che però ora è stato superato dai tempi. Da parte sua si recò pure a incontrarli al Liceo. Che cosa vorreste per venire in CI, chiese? Una festa fu la risposta. E festa fu, che si ripeté per due anni consecutivi. Alla fine però si dovette smettere: l’iniziativa aveva anche qualche effetto indesiderato, come quella volta che ci fu qualcuno che, con l’intemperanza degli anni, si era attaccato troppo alla bottiglia finendo al pronto soccorso.
Ma anche l’associazionismo degli adulti impone atteggiamenti nuovi. Quando disse che il volontariato puro non era più possibile, ricorda, gli arrivò una marea di critiche. "Ma si dimentica che oggi, da una parte, chi dirige un’associazione deve far fronte a incombenze di carattere burocratico che una volta erano inimmaginabili e che dall’altra, nel nostro caso, siamo completamente sguarniti anche in quanto a personale amministrativo, per cui il dirigente deve fare tutto da solo." Per non dire dei soldi, che mancano sempre. Ricorda nel contesto che, quando fu consegnata, la monografia "Italiani a Fiume" (volume del peso di 1,92 kg, ndr), per risparmiare sul facchinaggio fu portata in sede da pochi volonterosi che si servirono di una barella presa di straforo da un attivista dall’autolettiga del pronto soccorso su cui prestava servizio!
Vista con gli occhi di oggi, è stata indubbiamente un’esperienza positiva. "Mi ha aiutato a crescere. Rimpiango Agnese, con cui peraltro talvolta ci si scontrava anche senza mezzi termini, ma se non ci fosse stata lei, non avrei accettato il secondo mandato. Sono riconoscente pure a Rosi Gasparini, Gloria Tijan, Silvana Vlahov, Erna Toncinich, Nadia Poropat, Iva Bradaschia, Laura Marchig, Corinna Gerbaz, Gianna Mazzieri, Silvana Zorich, Denis Stefan, Bruna Bernes, Paolo Bachich e tanti altri connazionali che furono preziosi collaboratori..."