Dai ricordi alla realtà: Elvia Fabijanić
Anch'io posso battere i pugni sul tavolo
Elvia Fabijanić è stata presidente della Comunità dal 1993 al 1998 e successivamente, per un anno circa, nel 2002-2003, ha retto l’Esecutivo.
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Ricordo parecchie cose positive del tempo in cui presiedevo la Comunità. In particolare ho grata memoria dei contatti con Franco Stacul, sindaco di Medea e donatore di sangue, che aveva interessato, alle nostre questioni si può dire tutti i sindaci del Friuli – Venezia Giulia Giulia, tanto che erano venuti qui e avevano incontrato il sindaco Slavko Linić. Aggiungo che all’epoca non c’era contatto fra la Città e una parte italiana in cui non fossimo invitati. Promotore della pace e convivenza fa i popoli, Stacul aveva creato a Medea un Parco della Pace, visitato da diversi sindaci, in primo luogo dalla Slovenia e dalla Francia, in quanto, quest’ultimo, Paese soprattutto d’immigrazione italiana. Una volta assieme a noi ci venne pure Linić per piantare l’Albero della pace di Fiume. I legami instaurati da Stacul si rivelarono molto utili in quando diedero
vita a scambi in vari campi. Anche nei contatti con Este venivano regolarmente con noi rappresentanti del comune. Uno dei riflessi più positivi fu il significativo afflusso di aiuti umanitari durante la guerra: la CI era un vero centro di smistamento. E poi ci fu l’incontro, davvero storico, con il presidente Luigi Scalfaro. Come fu questo incontro? Sicuramente la cosa più bella per tantissimi di noi, molto commovente e direi anche utile, perché i media italiani gli diedero ampio spazio. Eravamo in un salone del Quirinale, una cinquantina. Il presidente entrò e io rimasi sorpresa perché me l’ero immaginato più alto, invece era come me, forse anche un pochino più basso. C’era un divanetto al centro su cui, oltre a noi due, si sedettero i presidenti Furio Radin e Maurizio Tremul quali rappresentanti dell’Unione Italiana. Nel mio discorso fui molto aperta: noi non avevamo mai abbandonato l’Italia, dissi, era l’Italia che aveva abbandonato noi. Parlai poi di quello che si faceva per mantenere la lingua e cultura. Nella sua risposta, egli evocò la guerra e la perdita dei territori, assicurando che comunque l’Italia non ci avrebbe mai lasciati soli. Aggiungo che nei quattro giorni di permanenza a Roma mi sorbii anche parecchie critiche, da parte nostra s’intende, perché ci fu chi negli "alti fori" riteneva inaudito questo nostro passo. Quale ritiene l’elemento più positivo del suo mandato? Il fatto che la municipalità tenesse in conto tutto quel che faceva la Comunità. Ad esempio, per tornare
a Scalfaro, fu la città che ci procurò il quadro di Žunić che gli donammo. In questo contesto si rafforzò significativamente anche il processo di riavvicinamento con gli esuli, iniziato qualche anno prima. Però è anche vero che la visita di Roberto Menia in municipio fu motivo di scontro con Linić? Verissimo. Menia era arrivato nell’ambito di una delegazione e nel corso dell’incontro ufficiale ci furono anche toni fermi, ma non si trascese. Qualche giorno dopo però il sindaco mi rimproverò di "avergli portato i fascisti in municipio". Subito ribattei: "E lei perché li ha accettati? Se la cosa lo disturbava, doveva reagire prima e non prendersela con me ora, a cose passate!" Il nostro rapporto fu parecchio conflittuale soprattutto all’inizio, anche perché, se ben ricordo, qualcuno lo aveva definito El grobnizan e lui se l’era presa. Sta di fatto che ad ogni riunione si finiva a litigare. Già al primo incontro operativo, quando cominciai ad avanzare le mie richieste (c’erano in ballo veramente grosse questioni, l’affitto non pagato da tempo, la possibilità di essere sfrattati ecc.) la sua risposta si fece via via più veemente tanto che arrivò a battere il pugno sul tavolo. Rimasi allibita. Trattare così una donna? Poi, informatami nell’ambiente, mi fu consigliato di fare anch’io così. Non essendo nelle mie abitudini, la cosa mi pesava parecchio, però quando lui tornò a sbattere il pugno, feci altrettanto e gli risposi con altrettanta durezza. Da quella volta i pugni furono dimenticati.