Tabloid 2023 - Numero 1

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Infodemia e accuratezza: cosa abbiamo imparato

Periodico edito dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia Numero 1 / 2023numero 2 nuova serie
Corsi a prezzi simbolici: come l’Ordine vuole democratizzare l'offerta Crocevia Verifica dei fatti e big data per un "giornalismo di precisione"
sfide dell'intelligenza artificiale Giornali che creano community
new nuo v a seri e 2
Formazione
Giornalismi Le
Tabloid

Tabloid

New Tabloid - Periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia

Poste Italiane S.p.a. Sped. Abb. Post.

Dl n. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1 (comma 1). Filiale di Milano - Anno LI

N. 1/2023 (numero 2 nuova serie)

Direttore responsabile Riccardo Sorrentino

Coordinamento editoriale

Francesco Gaeta francesco.gaeta@odg.mi.it

Direzione, redazione e amministrazione

Via Antonio da Recanate 1 20124 Milano

Tel: 02/67.71.371 - Fax 02/66.71.24.18

Consiglio Ordine giornalisti Lombardia Riccardo Sorrentino: presidente professionista. Francesco Caroprese: vicepresidente pubblicista. Rosi Brandi: consigliere segretario professionista. Maurizia Bonvini: consigliere tesoriere professionista. Giuseppe Caffulli, Ester Castano, Fabio Cavalera: consiglieri professionisti. Paolo Brambilla, Roberto Di Sanzo: consiglieri pubblicisti

Collegio dei revisori dei conti: Roberto Parmeggiani (presidente professionista), Monica Mainardi (professionista), Angela Battaglia (pubblicista).

Direttore OgL: Elisabetta Graziani

Registrazione n. 213 del 26-05-1970 presso il Tribunale di Milano. Testata iscritta al n. 6197 del Registro degli Operatori della Comunicazione (Roc) Tiratura: 2500 copie.

Progetto grafico: Chiara Athor Brolli

Chiuso in redazione il 27 febbraio 2023. Stampa: Prograf Soluzioni Grafiche di Francesco Formica

www.odg.mi.it
new Periodico edito
Numero 2022 numero nuova serie Tabloid new nu e 1
dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia
Crocevia
©Roman Pilipey / EPA / ANSA
Formazione
Corsi a prezzi simbolici: come l’Ordine vuole democratizzare l'offerta Verifica dei fatti
e
big data per un "giornalismo di precisione" Giornalismi Le sfide dell'intelligenza artificiale Giornali che creano community Infodemia e accuratezza: cosa abbiamo imparato

libertà di informazione

Il nostro lavoro è compresso e sollecitato da nuove norme e tecnologie inedite. Due versanti su cui l'Ordine della Lombardia è determinato a vigilare e agire. Con i suoi iscritti

editoriale

La realtà corre veloce. A fine 2022, diversi giornalisti attivi in una provincia del Nord Italia hanno ricevuto una comunicazione dal tribunale. Una querela? La solita citazione dai contorni temerari? No. Un decreto di condanna, per diffamazione a mezzo stampa. Pena pecuniaria, poco più che simbolica, senza conseguenze sulla “fedina” penale; ma una condanna. Niente avviso di garanzia – è assorbita dal decreto penale – niente interrogatorio, direttamente la sanzione. Hanno, ovviamente, fatto opposizione; ma i termini sono brevissimi, 15 giorni, e l’iniziativa per la riapertura del processo ricade sul giornalista.

di fatto, come un esperimento. La riforma

Possiamo considerare questo episodio,

Cartabia ha ampliato l’applicabilità del decreto penale. Un giornalista potrebbe, per esempio, essere condannato direttamente ai lavori di pubblica utilità, una delle tante sanzioni sostitutive ora introdotte: ottime per la rapidità della giustizia nei casi di microcriminalità – si evita che i condannati vengano ammessi alla “scuola” del carcere – non per i giornalisti. In un corso a Varese, durante la rassegna Glocal, Luca Rinaldi, che lavora per i Dossier di MilanoToday ed è componente della Commissione Cronaca nera e giudiziaria dell’Ordine lombardo, ha spiegato che per far fronte a una diver-

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Difendere i diritti, esplorare le opportunità: cosa possiamo fare insieme a difesa della
new Tabloid

sa innovazione del mondo giuridico - le richieste di mediazione - ha deciso di raccogliere le possibili prove a suo favore contestualmente alla ricerca del materiale per le sue inchieste, per non farsi trovare impreparato...

Le norme sulla comunicazione giudiziaria, contenute nel decreto (anch’esso “Cartabia”) sulla presunzione di innocenza – che l’Ordine lombardo ha studiato a fondo fino alla pubblicazione di un documento che sta circolando tra procure e polizie giudiziarie – sono solo uno dei problemi di carattere giuridico che siamo chiamati ad affrontare. Un altro esperimento, sempre a fine 2022, ha alimentato vecchie preoccupazioni. ChatGPT, il software in grado di scrivere testi complessi. Usare questi chatbot di nuovissima generazione permette di evidenziarne le loro carenze –ma, attenzione: abbiamo a disposizione versioni chiuse e limitate – la prima delle quali è molto rilevante per il nostro lavoro: non “sanno” cosa sia la realtà, la loro idea di verità non si spinge oltre la coerenza tra i con-

tenuti che alimentano il modello. Usarli, impone però una conclusione: non si torna indietro, i vecchi motori di ricerca sembrano già strumenti del passato. Verso questi modelli, come verso i software di recommendation dei social network, ci stiamo un po’ cullando in un’illusione: l’illusione che siano algoritmi, che si possa chiedere «cosa c’è dentro?», «come funzionano?». Non sono algoritmi, però, sono reti neurali. Semplificando (molto): sono software che, in parte, si autoprogrammano (magari sbagliando). Nessuno sa come funzionano, neanche chi li ha creati e testati. Si sa solo che funzionano… Meglio concentrarci allora sul fatto che il nostro lavoro ne esce profondamente trasformato: la scelta degli argomenti e la verifica delle fonti e delle informazioni diventano sempre più importanti. Se ben usati, se coniugati con lo sforzo concreto di fare “giornalismo di qualità” questi strumenti possono diventare un’opportunità di crescita professionale. Occorre però che aumentino le nostre competenze, che si corra

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L’applicabilità
editoriale
del decreto penale ai giornalisti è un pesante condizionamento

verso un giornalismo di precisione, attento, accurato.

Occorre anche che il pubblico torni a fidarsi dei giornalisti. Luca de Biase, ricorda sul suo blog (https://blog.debiase.com/2023/01/22/esplorando-possibile-un-rilancio-del-giornalismo/) che secondo un’analisi della Reuters cresce rapidamente la percentuale di persone che, di fronte a un contenuto giornalistico, “scappa via”: era al 29% nel 2017, è salita al 38% nel 2022, proprio mentre la fiducia nei social crollava al 37%.

Anche qui si nasconde un’opportunità, doppia: per la deontologia giornalistica, se si riuscisse a trasformarla – anche sulla scia delle esperienze straniere, che pure hanno qualcosa da invidiare al sistema italiano – in uno strumento che permetta di evitare le richieste insane di risarcimento e le sanzioni penali, e farne uno strumento per aumentare la fiducia della società civile, che richiede, da parte dei giornalisti, informazioni corrette e critiche accurate, profonde. Serve una ri-

forma, ma molto si può fare anche nel quadro attuale delle regole. Libertà giornalistica, formazione, deontologia… tout se tient, allora? La realtà non è così semplice e così benigna. Non c’è, anche in questo caso, un algoritmo. Solo uno sforzo continuo può far correre insieme questi diversi aspetti.

L’Ordine della Lombardia ha deciso di fare la sua parte: l’impegno verso la libertà giornalistica, attraverso le sue commissioni tematiche – le prossime riguarderanno Cronaca sportiva (e diritti tv), Informazione e pubblicità e, appunto le slapps, le iniziative legali intimidatorie – la sua nuova Formazione e un impegno rinnovato verso la deontologia sono i primi passi di una strategia che si arricchisce ogni giorno; e che deve coinvolgere sempre più persone. Sarà il compito del 2023.

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I sistemi di AI ci impongono di rafforzare le nostre competenze
new Tabloid
Riccardo Sorrentino

3 editoriale

Difendere i diritti, esplorare le opportunità di Riccardo Sorrentino

La questione del momento

pag. 10

Infodemia e fiducia nell'informazione

pag. 12

La terra di mezzo del «giornalismo di qualità»

di Riccardo Sorrentino

pag. 18

Otto cose che la pandemia ha insegnato ai giornalisti

di Francesco Gaeta

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Sommario
Sommario
9 Crocevia
Insight
Tabloid new

pag. 22

Sulla Covid 19 i dati non tornano di Riccardo Saporiti

pag. 26

Fare debunking è il vero lavoro di Michelangelo Bonessa e Mirko Lapi

pag. 29

Come si verifica una notizia?

Rallentando e dubitando di Alberto Puliafito

pag. 33

Le nostre proposte sulla presunzione di innocenza di Riccardo Sorrentino

pag. 39

Un decreto che è pieno soltanto di buone intenzioni di Carlo Melzi d'Eril

43 Bussole Appunti di deontologia

pag.44

Informazione e pubblicità/1

La via stretta dell'autodisciplina di Vincenzo Ferrari

pag.47

Informazione e pubblicità/2

Il criterio sovrano è la riconoscibilità di Vincenzo Guggino

pag.51

LE MASSIME DEL CONSIGLIO DI DISCIPLINA

Una decisione in tema di violenza di genere e pubblicazione di atti giudiziari

54 Formazione

Gli strumenti che ci servono

pag. 55

Corsi di alta qualità a prezzi simbolici di Francesco Gaeta

7 new Tabloid

pag. 60

Laura Silvia Battaglia: «Cosa serve oggi ai nuovi giornalisti? Essere inquieti»

di Stefano Guarrera

pag. 63

Venanzio Postiglione: «Fiducia è la parola chiave del nostro lavoro»

di Francesca Daria Boldo

pag. 67

Daniele Manca: «Una scuola di metodo per affrontare le nuove sfide»

di Maria Colonnelli e Giorgio Colombo

Giornalismi

Il futuro che c’è già: casi, storie, persone

pag. 71

L'articolo di Ryszard Kapuściński che non avete mai letto

di Francesco Gaeta

pag. 79

Di chi è l'opera creata da ChatGPT

di Alberto Contini

pag. 83

Luca Sofri: «I lettori sono nostri complici: facciamo le cose insieme a loro»

di Francesco Gaeta

pag. 89

Marco Giovannelli: «Ascoltare chi ci legge e astenersi dall'inseguire i click»

di Francesco Gaeta

pag. 95

Medaglie per i 50 anni di iscrizione all'Ordine

Tutti i premiati

Michele Februo

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Tabloid new

Crocevia

La questione del momento

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Insight

Infodemia e fiducia

nell'informazione: i numeri per inquadrare il tema

L'ACCURATEZZA È IL CONCETTO CHIAVE DELLE PAGINE DI QUESTA SEZIONE DI "TABLOID”: COME FARE GIORNALISMO DI PRECISIONE AI TEMPI DEI SOCIAL? COME VERIFICARE DATI E FATTI?

Nel 2020 la Fondazione Bruno Kessler di Trento ha avviato un osservatorio sulla infodemia, per studiare cioè il nesso tra l'evoluzione della pandemia e la diffusione di fake news su Twitter. La piattaforma online è tuttora aggiornata e la si può consultare all'indirizzo: covid19obs.fbk.eu/#/

Indici

L'Osservatorio ha creato due indici.

1. IRI - Indice di Rischio Infodemico, cioè la probabilità che un utente riceva messaggi da fonti potenzialmente fuorvianti.

2. Dynamic IRI - Dynamic Infodemic Risk Index, cioè la probabilità che un utente

interagisca con questi messaggi. I due indici forniscono prospettive opposte. L'IRI si concentra sulla produzione di disinformazione, l'IRI dinamico sull'impegno ad essa associato. Un alto valore dell'IRI significa che la disinformazione viene trasmessa da ua serie di account altamente rilevanti: l'infodemia può essere ridotta isolando quegli influencer (equivalente della quarantena). Un alto valore di Dynamic IRI significa che molti utenti interagiscono e ritrasmettono il potenziale contenuto disinformativo, e l'infodemia può essere ridotta aumentando la consapevolezza di tutti gli utenti sull'importanza di controllare attentamente le fonti e l'attività di reposting (equivalente di indossare una mascherina).

IN TRE PAESI Gli indici vanno da 0 (Rischio più basso) a 1 (Rischio più alto)

0.429 L'indice IRI al 21 febbraio in Italia

agli estremi della scala. L'Italia è al 35%, in calo di cinque punti rispetto a un anno prima. A influire su questa sfiducia è soprattutto la percezione da parte del pubblico di pregiudizi politici ed economici che rendono poco imparziale l'informazione online fornita dai media tradizionali.

1 L’indice IRI alla stessa data in Ucraina

Nel Report c'è però un punto che riguarda la crescente presenza di giornalisti nell'arena social e le conseguenze che ciò comporta in termini di fiducia o sfiducia.

0.543 L'indice IRI negli

Stati Uniti

Fiducia e imparzialità

Sarebbe fuorviante ipotizzare un nesso diretto tra l’infodemia social (non solo relativa al Covid 19) e il calo di fiducia nei confronti dell’informazione tradizionale, che dipende da molti fattori. Di certo questo calo esiste. Secondo il Digital News Report 2022 del Reuters Institute, in 21 dei 46 paesi analizzati si riscontra un livello più basso di fiducia nell'informazione, con una media del 46%, in discesa rispetto all'anno precedente. Finlandia

(69%) e Stati Uniti (26%) sono

«Circa la metà degli intervistati o più - è scritto nel Digital News Report 2022 - ritiene che i giornalisti dovrebbero attenersi alla segnalazione delle notizie», e non cioè fornire opinioni personali, ingaggiando "confronti muscolari” tipici dei social. Esistono tuttavia differenze tra le generazioni. «I più giovani preferiscono che i giornalisti esprimano liberamente le loro opinioni personali sui social media». Anche per questo «mentre molti gruppi editoriali stanno dando direttive alla presenza dei giornalisti sui social, nelle redazioni si riscontra la resistenza dei giornalisti più giovani, che vorrebbero fare a meno di questi limiti. E questo è un altro modo in cui il giornalismo viene sfidate dai social media».

L’INFORMAZIONE TRA INCERTEZZA E ACCURATEZZA

La terra di mezzo del «giornalismo di qualità»

In tempi di incertezza i giornalisti devono saper abitare la zona intermedia che sta tra teoria e mera raccolta dei fatti: né esperti, né influencer ma traduttori culturali. L’obiettivo: lavorare sui dati fattuali, cogliere le relazioni tra i fatti, inquadrarli in un contesto di Riccardo Sorrentino, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia

«Giornalismo di qualità». Quante volte abbiamo letto, detto, scritto queste parole. Siamo convinti, giustamente, che sia la soluzione dei problemi –professionali ed economici – del nostro mondo, l’unica strada perché i nostri articoli, le nostre foto, i nostri video acquistino valore. In concreto, però, cosa significano? Abbiamo detto talmente spesso queste parole che sono diventate una formula magica, e vuota. Difficilmente abbiamo cercato strade per fare davvero un “giornalismo di qualità”.

Sfiducia e disaffezione

Andare oltre è necessario. Occorre cercare un giornalismo nuovo che permetta di risolvere i problemi della professione. Sono problemi molto evidenti e si riassumono nella mancanza di fiducia nei nostri confronti e nel nostro modo di lavorare da parte del grande pubblico, e di conseguenza l’incapacità di far riconoscere il valore del nostro lavoro. Alcuni dati, che sono stati ricordati da Luca de Biase in un convegno a Venezia, mostra che sui social il 38% degli utenti, quando incontra un contenuto giornalistico, “scappa via”. Erano molti meno pochi anni fa. Il post dell’adolescente, imberbe o cresciutello, o anche quello

12 1. Crocevia
Sui social il 38% degli utenti, quando incontra un contenuto giornalistico, “scappa via”

Igiornalisti del Washington Post hanno «la responsabilità primaria di verificare le loro storie». Gli articoli sono soggetti a revisione su tre livelli: i caporedattori di settore; gli editor multipiattaforma (copy editor), che spesso forniscono una revisione sugli aggiornamenti dell’ultima ora; e i senior editors, che hanno la supervisione per la pubblicazione digitale durante il giorno e la responsabilità delle edizioni cartacee del Post. «Il numero di redattori che esaminano una storia e l’entità del loro coinvolgimento - si legge nella Policy and Standard Chart - variano a seconda della complessità, la rilevanza della storia e il fattore tempo».

scritto direttamente dal professore universitario tendono a essere preferiti a quello del miglior giornalista.

È evidente che la strada è quella di tentare di differenziare il nostro lavoro da quello degli altri. Da quello del ragazzino come da quello del docente esperto. Come? Le strade sono molte, evidentemente: vecchi luoghi comuni ci spingono ad avere un’idea monodimensionale del giornalismo. Il giornalismo è fatto di molte dimensioni diverse, di molti generi, di molti metodi.

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Erik S. Lesser / ANSA LA TRIPLA VERIFICA DEL “WASHINGTON POST”

Entrata in vigore nel gennaio 2022, la carta delle rettifiche di Le Monde «ha lo scopo di unificare la politica di correzione degli errori fattuali e dare maggiore trasparenza sugli aggiornamenti degli articoli. Si tratta di prendersi carico degli errori in modo chiaro e sistematico». La rettifica può avvenire «per un importante aggiornamento dell’articolo» oppure per un errore o una omissione significativa. «Nella rettifica occorre spiegare cosa è stato modificato senza ripetere l’errore» e qualificare la correzione differenziando le correzioni dagli errori commessi in precedenza.

Contesto, fatti, relazione tra i dati

L’elemento comune è però quello della concretezza dei fatti puntuali. Sarebbe in realtà un po’ naïf pensare che questi fatti siano fatti atomici, valutabili in modo isolato. Pensiamo ai grandi freddi di questo inverno. Sono la prova che il riscaldamento globale non esiste? Quante volte siamo caduti – e con noi il grande pubblico – nell’errore di crederlo. In realtà sono

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ANSA
COME “LE MONDE” CORREGGE I PROPRI ERRORI

esattamente il contrario: una prova, evidentemente indiretta, della validità di quella che non è più un’ipotesi. Pensiamo, ancora, a cosa accade dei fatti in un’indagine e in un processo, dove assumono un significato diverso man mano che emergono nuovi elementi e nuove argomentazioni giuridiche. Non ci sono i fatti da una parte e le parole dall’altra: viviamo in un mondo di interazione simboliche, in cui fatti, parole e pensieri sono strettamente legati, e noi stessi siamo parte attiva di tutto ciò. Tutto questo non significa che non esistono fatti, ma solo interpretazioni, come una cattiva filosofia e una pessima politica ci hanno fatto credere. Chi ha usato con un po’ di malizia ChatGTP, il nuovo chatbot iperintelligente, ha visto con chiarezza i limiti di quel software: sofisticato, ma incapace strutturalmente di far riferimento alla realtà. Al punto che, di fronte a una domanda che va al di là delle sue capacità, “mente”: indica la risposta più probabile, quella coerente con il suo “sapere”, non quella vera. Quando questi strumenti diventeranno di uso comune, una funzione del giornalista resterà in ogni caso necessaria: la verifica delle informazioni.

Il “giornalismo di precisione”

La strada da percorrere passa da qui. Da un confronto accurato con la realtà. Qualche anno fa, di fronte alla difficoltà di capire quei singoli fatti che vengono espressi con un numero, il giornalista – e docente di giornalismo – Philip Meyer ha coniato la formula del “giornalismo di precisione”. Una sorta di giornalismo iperaccurato (e computer-assisted), che, nella sua proposta – era il 1973 – si limitava a proporre alcune tecniche di analisi dei dati (in sostanza l’analisi esplorativa, oltre la quale il giornalismo ragionevolmente non può andare): sono proprio quelle tecniche che permettono di capire che un grande freddo, fosse anche il crollo della temperatura a -20° C nel Texas conferma e non confuta il riscaldamento climatico. Dalla sua proposta è nato il data journalism (ne parla Riccardo Saporiti a pagina 22), che a volte sembra trasformarsi in una forma sofisticata di giornalismo grafico: vive in una riserva ma non ha “illuminato” il metodo giornalistico nel suo complesso. L’idea che qualunque giornalista debba arricchire la propria professionalità con al-

Il data journalism non ha ancora illuminato il metodo giornalistico nel suo complesso

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cune conoscenze statistiche – quelle che permettono di avere un’idea più chiara dell’andamento dell’inflazione, o della disoccupazione, oppure dei contagi e delle morti di un’epidemia e di fare quindi le domande giuste – non è diventata patrimonio comune della professione, e non è un bene.

I fatti puntuali con i quali noi giornalisti siamo abituati a lavorare danno al nostro lavoro una concretezza che il ragazzino-influencer in erba e l’esperto non hanno

Essere cerniera tra teoria e raccolta dei fatti

C’è un mondo intermedio, concreto, tra le astrattezze, che a noi a volte appaiono vuote, della teoria e la mera raccolta di “fatti”

La formula, ampliata al di là dei dati, di un “giornalismo di precisione” – pur nella consapevolezza dei ritmi forsennati con i quali lavoriamo, e la difficoltà di acquisire una specializzazione nelle attuali redazioni, così povere – indica però una strada che va esplorata. I fatti puntuali con i quali noi giornalisti siamo abituati a lavorare danno al nostro lavoro una concretezza che il ragazzino-influencer in erba e l’esperto non hanno. Bisogna però sapere come usarli, trattarli; come nel contesto giusto, che sia il complesso mondo della procedura penale, della medicina, della ricerca scientifica, dell’economia, così come occorre saper individuare gli esperti giusti – quelli “davvero” esperti – a cui porre le domande. C’è un mondo intermedio, concreto, tra le astrattezze, che a noi a volte appaiono vuote, della teoria e la mera raccolta di “fatti”: nelle scuole di giornalismo francesi si studiano a lungo non il diritto amministrativo o la contabilità pubblica, ma i bilanci e i piani regolatori comunali, utilissimi per fare cronaca bianca. Nella discussione sulla presunzione di innocenza, l’avvocato Carlo Melzi d’Eril (potete leggere un suo intervento a pagina 39) ha proposto che i giornalisti studino non tanto la procedura penale (che pure, e non a caso, è materia di esame), ma la lettura degli atti processuali, la concreta esecuzione delle indagini e lo svolgimento concreto del dibattimento. In economia, è importante conoscere, e saper usare, la teoria dell’equilibrio economico generale, ma anche il funzionamento dei mercati concreti: in cosa si distingue il mercato dei servizi sanitari, per esempio, da un mercato perfetto, che può fare a meno di interventi pubblici? Non si tratta soltanto di acquisire competenze teoriche o criti-

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PHILIP MEYER E IL GIORNALISMO

DI PRECISIONE: SOCIOLOGIA E STATISTICA

APPLICATE AL RACCONTO DELLA REALTÀ

Philip Mayer, classe 1930, ha lavorato al Miami Herald e poi al Washington Post. Nel 1968 ha vinto il Pulitzer per un reportage sulla rivolta di Detroit del 1967. Ha scritto il libro "Giornalismo di precisione”, nel quale teorizza un metodo che unisce tecniche sociologiche, statistica ed esperimenti sul campo per analizzare fenomeni sociali di rilevanza giornalistica. L’Institute Reporters and Editors, ente no profit nato per elevare la qualità del giornalismo investigativo, assegna ogni anno un premio Meyer per i migliori reportage di "giornalismo di precisione”.

di dati»

che – che pure non guastano –ma di avere strumenti culturali più ampi per fare giornalismo. È, in parte, un mondo da inventare, soprattutto in Italia. L’Ordine dei giornalisti della Lombardia intende proporre anche questo tipo di formazione. Nella consapevolezza che altre strade esistono e nuove rotte possono essere tracciate, convinto però che “giornalismo di qualità” non può restare formula vuota.

Non si tratta soltanto di acquisire competenze teoriche o critiche – che pure non guastano – ma di avere strumenti culturali più ampi per fare giornalismo

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«Un tempo tutto ciò che serviva era dedizione, energia e talento. Oggi il giornalista deve essere un filtro e un interprete, uno che raccoglie e restituisce fatti. Deve essere un elaboratore e un analista
Wikimedia Commons

Otto cose che la pandemia ha insegnato ai giornalisti

La COVID-19 è stata una colossale prova di sforzo: abbiamo scelto un “pensiero giornalistico veloce” perché più facile e rassicurante. Abbiamo però imparato alcune cautele proprie della scienza. Che tornano utili ora che, apparentemente, siamo usciti dall’emergenza di Francesco Gaeta, giornalista, Innovation manager dell’OGL

Adesso che la polvere emotiva sollevata dalla pandemia pare depositarsi, è possibile chiedersi cosa ha rivelato questa esperienza alla (e sulla) categoria giornalistica. Una prima risposta, forse un po’ ostica: la Covid 19 è stata un colossale allenamento al tema dell’incertezza. Una prova di sforzo del metodo.

Nella pandemia anche per noi giornalisti l’incertezza è stata cognitivamente insopportabile. Eppure essa è parte strutturale del nostro mestiere

Non si parla di chi sta leggendo, e dunque nessuno si offenda, ma il virus ha fortemente affaticato la nostra capacità di sospendere il giudizio e di usare il dubbio critico come guida. Offrire ai lettori una certezza a qualunque costo, controfirmata da un qualunque esperto, è diventato il filo intermittente di un “pensiero giornalistico veloce” - per dirla con Daniel Kahneman – cioè forzatamente emotivo, data l’incapacità di adottare un pensiero lento, per definizione incerto, mentre tutto intorno sembrava precipitare. Anche per i giornalisti l’incertezza è stata cioè cognitivamente ed emotivamente insopportabile. Eppure l’incertezza dovrebbe essere un ingrediente costitutivo del giornalismo, quasi il presupposto del suo metodo di indagine.

Fine di questa premessa, un po’ malinconica. Guardiamo avanti: ci sono almeno otto cose che potremmo avere appreso dalla

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L’INFORMAZIONE
TRA INCERTEZZA E ACCURATEZZA

pandemia sull’accuratezza, sull’incertezza e sul modo in cui il giornalismo può farci i conti. Cose utili per il futuro.

1. La scienza procede per protocolli scientifici I protocolli sono un lavoro collettivo che richiede anni. Sia per chi elabora una teoria scientifica, sia per chi la sottopone a revisione tra pari. Nel 1971 Judah Folkman ipotizzò che occorresse colpire i tumori lavorando sulla vascolarizzazione. Il primo farmaco arrivò nel 2004. I tempi della scienza sono lunghi e, per quanto la cosa possa apparirci disdicevole, nessun giornale può accelerarli.

2. Nella scienza non vale il principio di autorità

Antonino Zichichi o Carlo Rubbia furono scettici in tema di riscaldamento climatico antropico. Non avevano compiuto ricerche specifiche sul tema. Un singolo scienziato può essere molto

WUHAN. I mammiferi vivi sensibili al virus Sars-Cov-2 sono stati venduti in questo mercato cinese alla fine del 2019.

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Roman Pilipey / EPA / ANSA

noto e giudicare sbagliato o falso il lavoro di centinaia di colleghi. Ma in assenza di specifiche competenze - e ponendosi fuori dal protocollo scientifico - la sua opinione è una opinione. Tra gli scienziati non esiste altra autorità se non guadagnata sul campo della ricerca. Anche noi dovremmo ricordarlo quando chiediamo un commento.

3. L’uso politico della scienza fa male a tutti Tutt’altro che infallibile, la scienza è strutturalmente incerta perché lavora su ipotesi da sottoporre a falsificazione. Da sempre, questo offre alla politica un argomento retorico per rivendicare un “primato sulla ricerca”. È accaduto anche sui vaccini. È importante che chi fa informazione sia consapevole di questa dinamica e possibilmente se ne sottragga (salvo che un giornalista preferisca fare politica, in tal caso basta dirlo). A dire il vero dovrebbero sottrarsene anche gli stessi scienziati (salvo che uno scienziato preferisca…).

4. Quando il giornalista parla di scienza affronta una asimmetria informativa Nessuno di noi è in grado di giudicare chi ci cura: tra noi e il nostro medico esiste una evidente asimmetria informativa. Come può un giornalista ridurre l’asimmetria informativa tra lo scienziato e il lettore? Facendo buona mediazione tra l’esperto e il grande pubblico, cioè evitando l’ipersemplificazione e soprattutto non sostituendosi all’esperto. Perché ogni nostra obiezione su una teoria scientifica sarà stata già vagliata dagli esperti o magari, se siamo stati davvero acuti, la verifica è in corso d’opera mentre la formuliamo. Non è fiducia cieca nella scienza, è come vanno le cose lì (vedi alla voce 1)

5. Il giornalismo non è fatto per produrre certezze

Non certezze facili, almeno. Perché come la scienza, anche il giornalismo dovrebbe procedere per ipotesi da falsificare. Nel caso della COVID-19 erano ipotesi molto difficili: durante la pandemia sapevamo tutti di non sapere. Ma accettarlo richiede umiltà e può renderci vulnerabili alla tentazione di creare o divulgare quelle che Alessandro Baricco (in The Game) definirebbe le “verità veloci”. Delle quasi verità, o dei falsi ben travestiti

20 1. Crocevia
In assenza di specifiche competenze il parere di un esperto è una semplice opinione.Tra gli scienziati non esiste autorità se non guadagnata sul campo

perché plausibili. Riducono l’ansia (o la fanno esplodere) ma restano falsi. Vanno forte sui social ma non sono giornalismo.

6. Ai giornalisti serve più formazione (e metodo) La pandemia ci dice che le nostre scuole di giornalismo dovranno in futuro occuparsi un po’ più di metodo e di accuratezza e magari un po’ meno di strumenti cioè canali, piattaforme, multimedialità. Un metodo (e potete leggerne da pag. 60 a 69) che abitui ad accettare l’incertezza, alleni a dare pesi giusti e diversificati a dati e opinioni, proceda per ipotesi da falsificare.

7. Al giornalismo servono nuovi protocolli. Come ha scritto il presidente dell’OgL Riccardo Sorrentino «alcuni vecchi protocolli - bastano due citazioni di persone diverse, cerca un’opinione a favore e un’opinione contro, sentiamo un uomo o una donna della strada, oppure un vip - sono oggi sicuramente superati, inadeguati». Lo sviluppo di un tema scientifico va costruito su altri protocolli, più simili a quelli della scienza, e pace se questo richiede tempo. Certi casi editoriali dimostrano che la scelta paga (potete leggerne a pag. 83). Paga cioè informare in modo “strategico”, non con articoli spot, né in una successione un po’ casuale di articoli.

8. Al giornalismo serve una diversa organizzazione del lavoro

È tema che meriterebbe un altro articolo, anzi un intero numero di questa rivista. Ma lo diciamo ugualmente: la pandemia ci ha insegnato che servono sempre più giornalisti e redazioni specializzate, che lavorino in team, addirittura in team di testate diverse. Redazioni grandi, strutturate, aperte. A cui sia concesso di approfondire. È difficile immaginare (e spingere per) un mondo ideale, significa fare i conti con lo scetticismo di molti di noi. Anche in questo la pandemia è stata un setaccio. Ci ha insegnato (dovrebbe avere insegnato soprattutto agli editori) che investire economicamente su un giornalismo ad alto valore aggiunto fa la differenza tra una società informata e una abbandonata agli influencer. Rassegnarsi vuol dire scegliere la seconda strada.

Sui temi scientifici servono redazioni specializzate, che lavorino in team, anche tra testate diverse. È forse un mondo ideale ma è l’unico possibile per fare oggi buon giornalismo

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Sulla Covid 19

all’informazione

i dati non tornano

Il virus ha evidenziato un problema di “alfabetizzazione numerica” nel trattare i dati. Abbiamo faticato a contestualizzarli e a renderli leggibili e utili per il pubblico. A volte non solo per nostra responsabilità di Riccardo Saporiti, giornalista esperto di Data Journalist

La pandemia è stata, almeno per l’Italia, la più grande esperienza data-driven della storia. Non solo per la quantità di dati raccolti a partire dal marzo 2020, ma anche perché alcune decisioni sono state affidate a modelli automatizzati che le elaboravano a partire proprio dai dati.

È il caso del Dpcm del novembre 2020 che ha introdotto le zone a colori (rosso, arancione, giallo e bianco), ciascuna delle quali con diverse limitazioni alle libertà personali. Il passaggio da una all’altra avveniva sulla base del numero di contagi. In una fase successiva, oltre al tasso di positività, si sono introdotti quelli di occupazione dei reparti ospedalieri destinati ai pazienti covid. Un’ulteriore conferma dell’importanza dei dati nell’ambito dell’esperienza pandemica.

Abbiamo vissuto la più grande esperienza “data driven” della storia: un esperimento che non sempre è riuscito

Oltre che in ambito sanitario e politico, i numeri legati alla diffusione del virus, alle ospedalizzazioni e purtroppo ai decessi, hanno avuto centralità anche nel racconto giornalistico. Per i giornalisti in generale, per quelli che si occupano di data journalism in particolare, questo contesto ha rappresentato una sfida per inserire l’impiego dei dati, la loro analisi e la loro visualizzazione all’interno dell’attività quotidiana delle redazioni. Un esperimento, se così vogliamo definirlo, che non sempre è riuscito.

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L’INFORMAZIONE TRA INCERTEZZA E ACCURATEZZA

DATA CHIAVE. Il 31 dicembre 2019, le autorità cinesi hanno notificato un focolaio di casi di polmonite ad eziologia non nota nella Provincia dell’Hubei.

La dittatura della derivata seconda È emerso infatti un serio problema di alfabetizzazione numerica, quella che in inglese si chiama data literacy, da parte della categoria. L’esempio plastico è il confronto tra il numero di casi di una data giornata con quello del giorno precedente, concludendo poi che la tendenza fosse in aumento o in diminuzione a seconda del risultato della differenza. Per definizione, una tendenza si calcola su un periodo più lungo di tempo. E in un quadro in cui alla domenica veniva effettuato un numero inferiore di tamponi, calcolandola giorno per giorno avremmo avuto curve pandemiche in calo la domenica e in risalita il lunedì. Altro aspetto problematico, il fatto che i numeri legati alla pandemia devono essere inseriti in un contesto. Nelle prime setti-

Una tendenza si calcola su un periodo più lungo di due giorni e va depurata dai “giorni deboli” come la domenica

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Roman Pilipey / EPA

mane del lockdown abbiamo assistito a quella che può essere definita come la dittatura della derivata seconda. La derivata seconda di una funzione, semplificando brutalmente il concetto, è quella che definisce lo sviluppo della curva che quella funzione rappresenta. È così che tanti hanno predetto la data in cui avremmo dovuto raggiungere il picco dei contagi. Questo tipo di analisi, però, prescinde da un elemento, appunto, imprescindibile: la realtà. Come incide, sulla diffusione di un contagio, l’anticipazione di stampa del lockdown che spinge centinaia di persone alla stazione Centrale di Milano per prendere gli ultimi treni verso il Mezzogiorno? Sarà anche per questo motivo che questa infatuazione per la derivata seconda non è andata oltre la prima ondata.

Non solo tabelle ma anche lettura delle tabelle

Sul fronte della visualizzazione, elemento cruciale per consentire ai lettori la comprensione dei dati, si sono registrate esperienze importanti, come la pagina alimentata dal visual lab del Sole24Ore. Ma ci sono anche importanti quotidiani che si sono limitati a pubblicare la tabella che la Protezione civile forniva quotidianamente senza alcuno sforzo grafico. Che pure è necessario quando si ha a che fare con i dati: si tratta di fornire al lettore uno strumento di comprensione. Un altro aspetto per cui la pandemia è stata, almeno in parte, un’occasione persa è quello relativo alla trasparenza. Sia reso imperituro merito alla Protezione civile per lo sforzo di pubblicare, quotidianamente, i dati relativi alla pandemia in formato aperto. Ovvero in open data: accessibili, leggibili da una macchina e con una licenza che ne garantisse il riuso. Uno sforzo che ha avuto però evidenti limiti: i dati relativi a ricoveri e decessi erano disponibili solo su base regionale. In un paese in cui un sesto degli abitanti vive in Lombardia, in cui la provincia di Bergamo ha gli stessi abitanti del Friuli Venezia Giulia e la città di Bergamo ha gli stessi residenti della Valle d’Aosta, non ha alcun senso.

Accesso ai dati. Serve, in altre parole, granularità nei dati. E serve che tutti vengano forniti: per mesi non è stato possibile

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La “derivata seconda” di una funzione definisce lo sviluppo di una curva ma va messa a confronto con la realtà I dati forniti dalla Protezione civile erano su base regionale, ma non erano pesati sul numero di abitanti

verificare il dato relativo al tasso di occupazione dei reparti di terapia intensiva perché non era noto il denominatore. Ovvero il numero dei posti effettivamente a disposizione. Così come non è mai stato comunicato il dato relativo ai pazienti non covid ricoverati nelle terapie intensive. Per chiedere trasparenza completa, un gruppo di attivisti ha lanciato la campagna DatiBeneComune, sottoscritta da oltre 50mila persone. Ma sono poche le testate giornalistiche, che pure di questa campagna avrebbero beneficiato per svolgere il proprio lavoro, che l’hanno sostenuta. Del resto, siamo il paese in cui il governo ha deciso di limitare il Foia, l’accesso documentale, durante la pandemia: un attacco alla libertà di stampa che pochi, a cominciare dai giornalisti, hanno denunciato.

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Alessandro Di Marco / ANSA DATI CHIAVE. A febbraio 2023 i vaccinati con una sola dose erano l’84,39% della popolazione italiana. I vaccinati con quattro dosi il 10,04%.

L’INFORMAZIONE TRA INCERTEZZA E ACCURATEZZA

Fare debunking è il vero lavoro dentro il lavoro

A un giornalista moderno non si richiede di diventare un informatico, ma di imparare a usare gli strumenti digitali per selezionare le informazioni affidabili e non farsi strumentalizzare

Il cervello usa scorciatoie per sopravvivere all’alluvione di dati ma questo comporta distorsioni che possono inficiare l’analisi

Il mondo dentro lo schermo rischia di dar ragione a Nietzsche quando diceva «quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro». Oggi quello schermo può restituire immagini e informazioni ambigue e falsanti. Già nel 2018 il Massachussets Institute of Technology rivelava che su Twitter le fake news erano diffuse sei volte più delle notizie vere e avevano il 70% di probabilità di essere ricondivise. Nel 2021, Facebook ha affermato di aver rimosso negli anni oltre 6.5 miliardi di account fake. Se poi parliamo di salute, è utile citare una ricerca del 2020 della Carnegie Mellon University che ha analizzato 200 milioni di tweet sul coronavirus: l’85% dei primi 50 retweet e il 62% dei primi 1000 erano rilanciati da bot.

Per fare fronte a questa alluvione di informazioni, ciascuno di noi utilizza euristiche, cioè scorciatoie cognitive per arrivare a una scelta di ciò che serve e vale selezionare. Ma come diceva il Nobel Daniel Kahneman in Pensieri lenti e pensieri veloci, le euristiche sono sì efficienti ma anche automatiche, semplici e abitudinarie. Il nostro cervello usa quelle scorciatoie per sopravvivere all’alluvione ma questo comporta una serie di distorsioni che inficiano l’analisi e possono limitare l’accuratezza di chi deve fare informazione.

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Eccoci al punto: l’accuratezza. Come è evidente non stiamo parlando di carenza di preparazione culturale ma di processi mentali, di mindset, di approccio, ingrediente ancora più essenziale della conoscenza in un mondo dove la produzione di strumenti è infinitamente più alta di quanto si possa immaginare con parametri novecenteschi. Il punto non è conoscere l’ultimo tool, ma sapercisi confrontare perché di strumenti per l’Open Source Intelligence (OSINT) ne vengono creati in continuazione. E alcuni pur molto validi vengono rapidamente sostituiti da altri più al passo con le esigenze del momento.

È un problema di approccio: il punto non è conoscere l’ultimo tool ma sapersi confrontare con esso

A un giornalista moderno che voglia essere accurato non si richiede per forza di diventare un informatico, ma di imparare a usare gli strumenti e non farsene usare. Proviamo a spiegare: il debunking (sfatare in inglese), cioè il controllo della veridicità di un contenuto online, dovrebbe essere alla base di ogni attività giornalistica. Molto spesso però nelle redazioni si corre a pubblicare un contenuto per farsi indicizzare meglio dai motori di ricerca e poi forse qualcuno, spesso senza input dalla testata, approfondisce e scopre che il nuovo video di cui parlano tutti è in rete da anni e non riguarda la guerra in Ucraina ma un conflitto in atto da un’altra parte del mondo. Allora il primo compito dei giornalisti non dovrebbe avere un sito web o una pagina Facebook dove convogliare un contenuto di cui non si sa nulla, ma avere dei protocolli fedeli alla deontologia giornalistica e alle basi del mestiere: prima di dare una notizia, verificare.

Come? Con gli strumenti più semplici possibili. Un esempio sono le email: quanti ancora prima di leggere una mail, verificano l’indirizzo da cui proviene? Non serve un grande sforzo, ma un click sulla freccetta di fianco al nome del mittente (tecnicamente si chiama header della mail). Se la mail proviene da un indirizzo che suona familiare, ma la parte dopo la @ è una serie come xgxmx è facile che sia materiale da cartella spam. Perché il dominio, termine che indica appunto cosa c’è scritto dopo la @, indica da chi viene la lettera. È, per fare un para-

Prima di leggere una mail quanti di noi verificano il dominio da cui proviene? È già una informazione utile per capirne l’attendibilità

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gone, come un francobollo che ti dice da dove effettivamente proviene il messaggio. Ma per attuare sempre questi protocolli è necessario come si diceva, il mindset giusto. Queste verifiche non proteggono del tutto il giornalista contemporaneo, ma gli evitano una buona metà delle trappole in rete. D’altronde per assurdo che sembri, il miglior amico del giornalista resta un taccuino: bisogna infatti sapere che qualunque sistema digitale è vulnerabile. Il taccuino invece se resta lontano da occhi umani e tecnologici è inviolabile. Risulta poi sorprendente che invece di avere “il sito web”, nelle redazioni non ci sia una sezione digital deputata alla selezione degli strumenti e dei contenuti online.

Per cercare rapidamente informazioni su internet la prima strada è quella di imparare a usare i motori di ricerca: sembra banale, ma quanti hanno mai aperto le impostazioni di ricerca di Google, giusto per citare il più usato e noto? Perché grazie a poche semplici mosse è possibile selezionare, ad esempio, i luoghi di provenienza di un certo video o foto o articolo. È tanto semplice come molte delle funzioni di base del pacchetto Office, ma quanti sanno usare almeno la metà delle potenzialità di Word? Non è poco, perché parliamo di sistemi per trascrivere in tempo reale intere conferenze stampa o convegni. Perché usare le macchine è sempre meglio che farsene usare. Il lavoro se si conoscono gli strumenti giusti diventa dunque più semplice. E più sicuro. Perché come accennavamo a proposito delle email, esistono molte trappole online: si pensi proprio alle questioni più complesse come gli scenari bellici. In quei casi gli attacchi informatici di tutte le parti in causa si moltiplicano. Allora con macchine virtuali, una sorta di computer dentro il computer, come le sandbox o il motore di ricerca “a cipolla” TOR è possibile essere più tutelati. Il sistema migliore dunque per cercare e trovare informazioni vere in sicurezza è rimanere aggiornati, programmando una formazione continua che permetta di mantenere il mindset giusto per gli operatori della comunicazione contemporanei.

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Conoscere le impostazioni di un motore di ricerca consente di selezionare la provenienza di un video o di una foto
Una “macchina virtuale”
può proteggere dal rischio di attacchi informatici

Come si verifica una notizia? Rallentando e dubitando

Il Verification Handbook curato da Craig Silverman traccia un metodo: «Nell’ambiente digitale i giornalisti devono essere cauti per non fidarsi troppo di una fonte». Ed evitare i tre mali di oggi: disinformazione, misinformazione, malinformazione

di Alberto

fondatore di Slow-new.com

Qual è l’unica cosa che distingue davvero il giornalismo da qualsiasi altro tipo di produzione di contenuti? Che cosa distingue il giornalismo dalla fiction? Dall’attivismo? Dalla comunicazione? Una persona che lavora come giornalista, cosa fa di diverso da un influencer o da una creator (per usare due termini molto di moda negli ultimi anni)?

Se la risposta a queste domande fosse scontata, probabilmente il giornalismo non soffrirebbe né crisi di identità né economiche, né, soprattutto, crisi di fiducia da parte del pubblico. Cosa che avviene sempre di più: nell’Edelman Trust Barometer 2023 la fiducia delle persone nel giornalismo è ai minimi storici.

È necessario, allora, ritornare alle basi di questo mestiere. In nostro soccorso vengono due grandi giornalisti e analisti dei media, Bill Kovach e Tom Rosenstiel.

Oggi abbiamo un problema di reputazione: secondo l’Edelman Trust

Barometer 2023, la fiducia delle persone nel giornalismo

è ai minimi storici

Nel loro “The Elements of Journalism” - tradotto in italiano fino all’edizione 2007 e nel frattempo riproposto in un’edizione del 2021 - scrivono molto chiaramente che l’essenza del giornalismo è la disciplina della verifica.

«Il metodo è oggettivo, non il giornalista», scrivono Kovach e Rosenstiel, ricordandoci che anche noi, come qualsiasi persona, siamo soggetti ai nostri pregiudizi, alle nostre idee preconcette. «Cercare più testimoni, rivelare il più possibile sulle fon-

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L’INFORMAZIONE
TRA INCERTEZZA E ACCURATEZZA

ti, chiedere commenti a persone diverse, sono tutti i segnali di questa disciplina di verifica, che è ciò che separa il giornalismo da altre forme di comunicazione come la propaganda, la pubblicità, la narrativa o l’intrattenimento».

Quando è meglio astenersi dal pubblicare

Ma cosa vuol dire verificare in un ecosistema complesso, veloce, sovraffollato come quello digitale? Cosa vuol dire verificare in un’era in cui affiorano a costi sempre più ridotti macchine generative in grado di creare contenuti di ogni formato (testuale, audio, fotografico, video)? Di quali strumenti ci dobbiamo dotare?

Sicuramente bisogna partire da due elementi ancora una volta di metodo: rallentare e dubitare. È difficile verificare sotto

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Diego Figone #ijf18 CRAIG SILVERMAN. È uno dei massimi esperti sul tema delle fake news. Qui è al Festival Internazionale di Giornalismo di Perugia.

pressione, e allora il dubbio è il miglior filtro possibile. Se non ho verificato, non pubblico, non twitto, non posto, non vado in onda. Per migliorare e accelerare il processo di verifica, poi, è importante fare “i compiti prima”. Cioè studiare, formarsi, apprendere gli strumenti che abbiamo a disposizione, mantenere un alto livello di aggiornamento per orientarsi in un mondo che cambia velocemente e non perdere la bussola.

Il dubbio è il miglior filtro: se non ho verificato, non twitto, non posto, non vado in onda. Ed è importante fare “i compiti prima”, cioè studiare

Un’ottima stella polare per orientarsi è sicuramente il Verification Handbook. È un manuale di verifica delle fonti digitali: è stato curato da Craig Silverman e prodotto da DataJournalism.com (European Journalism Centre) con il supporto della Craig Newmark Philanthropies. La versione in italiano è stata tradotta, per Slow News, da Andrea Coccia e revisionata da Elena Brilli, con il supporto di Pagella Politica e Facta News.

Nell’introduzione a questo manuale, Silverman parte ancora una volta dal metodo e dalle basi teoriche del dubbio: «La conoscenza può assumere molte forme. Nel nuovo ambiente digitale i giornalisti devono essere cauti prima di fidarsi troppo di una qualsiasi fonte di informazioni, anche se questa dovesse essere la loro stessa e diretta esperienza».

Diffidare anche della nostra esperienza ci aiuterà a non andare di fretta se troviamo uno screenshot o un video che ci sembrano credibili, per esempio. E ci aiuterà a contrastare ogni forma di disinformazione. La disinformazione non è solamente fake news (anzi: questa è un’etichetta abusata e mai capita fino in fondo, che dovremmo abbandonare al più presto), e per parlarne in Italia dobbiamo prendere a prestito anche alcune parole dall’inglese.

Bisogna diffidare della nostra stessa esperienza, sottoporla al dubbio metodico e non avere fretta

Un ripasso dei fondamentali

La disinformazione è un’informazione falsa e la persona che la diffonde sa che è falsa. È una bugia deliberata. La misinformazione, invece, è un’informazione falsa diffusa da persone che la ritengono vera (a volte capita anche ai giornalisti!). La malinformazione, infine, è un’informazione che si basa su elementi reali ma viene usata per danneggiare qualcuno o qualcosa. Capire questa classificazione teorica è importante per capire

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Il Verification Handbook è un manuale di verifica delle fonti digitali curato da Craig Silverman e prodotto da DataJournalism.com (European Journalism Centre) con il supporto della Craig Newmark Philanthropies. Si può scaricare dal sito verificationhandbook.com e in versione italiana sul sito slow-news.com, nella traduzione di Andrea Coccia, revisionata da Elena Brilli, con il supporto di Pagella Politica e Facta News.

anche le varie motivazioni di chi diffonde informazioni (vere o false che siano). Queste motivazioni possono andare dalla genuina intenzione di rivelare qualcosa davvero rilevante per la sfera pubblica al desiderio di avere un profitto personale (magari economico, o per il consenso politico, o per la soddisfazione di aver diffuso una burla).

Una volta che abbiamo messo le basi per la comprensione di questo ecosistema, potremo finalmente dedicarci alla comprensione degli strumenti digitali che abbiamo a disposizione. Sono tantissimi: da quelli che verificano la veridicità di una foto o di un video a quelli che ci permettono di capire da dove è stato pubblicato un contenuto, dagli strumenti che ci consentono di calcolare l’ora in cui è stata scattata una foto a partire dall’ombra fino alle più avanzate tecniche di ricerca e scavo sul web. Oltre a formare noi stessi, fare in modo che anche il pubblico abbia gli strumenti per comprendere i meccanismi dell’infosfera è un compito che dovremmo prendere molto sul serio. Un libro che si può utilizzare per diffondere queste conoscenze anche al pubblico dei non addetti ai lavori è “Chi ha rubato la marmellata?”, scritto sempre da Andrea Coccia e illustrato da Maicol&Mirco per Corraini Edizioni.

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UNO STRUMENTO DI LAVORO GRATIS IN RETE SU COME VERIFICARE LE NOTIZIE DELLA RETE
Aiutare il pubblico a capire i meccanismi dell’infosfera è un tema da prendere molto sul serio

Le nostre proposte sulla presunzione d’innocenza

Applicare il decreto alla sola cronaca giudiziaria, garantire una informazione istituzionale di base da parte delle Procure, consentire libero accesso agli atti pubblici, e per parte nostra rafforzare la formazione dei giornalisti specializzati

di Riccardo Sorrentino, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia

Non sparate sul messaggero. Non è colpa sua. Regola antica, ma difficile da applicare, a quanto sembra, quando il messaggero è un giornalista. Al punto che il decreto legislativo sulla “presunzione di innocenza” – principio giuridico e processuale di grande civiltà – ha colpito pesantemente la cronaca nera e giudiziaria, anche se non ha introdotto regole sulla nostra professione. Il “decreto Cartabia” è l’esempio di come una legge sia lo strumento meno indicato per cercare un equilibrio tra i grandi diritti. Destinata, con tutta probabilità, a colpire gli eccessi, soprattutto da parte delle forze dell’ordine, nella pubblicità delle indagini, ha creato una situazione abnorme. Non ha migliorato la comunicazione delle Procure e non ha tutelato gli indagati dal danno reputazionale – anche se molti penalisti applaudono alla legge, criticandola magari per la sua timidezza – che è, più della presunzione di innocenza, il vero problema oggi.

Il “decreto Cartabia” è l’esempio di come una legge sia lo strumento meno indicato per cercare un equilibrio tra i grandi diritti

La nostra risposta: un documento di proposta

L’Ordine dei giornalisti – il Consiglio nazionale e quelli regionali – si è attivato subito per protestare, per segnalare i problemi, per chiedere nuove norme. Incontrando un grande muro, segno che dall’altra parte si era creato un equilibrio, poco sano

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LIBERTÀ D’INFORMAZIONE

L’OgL ha costituito una commissione di colleghi, per esaminare le concrete modalità di applicazione nelle diverse circoscrizioni giudiziarie, e per elaborare un documento

e instabile, tra culture e interessi diversi. In un recente incontro, il Procuratore di Milano Marcello Viola – che interpreta le norme in maniera restrittiva – ha fatto chiaramente riferimento alle diverse sollecitazioni e alle diverse richieste a cui la Procura è sottoposta, persino al suo interno.

L’Ordine della Lombardia ha presto compreso che gli strumenti classici – la protesta, l’incontro con i magistrati – avrebbero prodotto ben poco. Occorreva una strategia di medio periodo che fosse all’altezza della sfida. Ha quindi costituito una commissione di colleghi, per esaminare le concrete modalità di applicazione nelle diverse circoscrizioni giudiziarie, e per elaborare un documento che andasse al di là della denuncia

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IL CASO. Enzo Carra, esponente della DC, fu arrestato il 4 marzo ‘93 e condotto in tribunale con le manette ai polsi a beneficio di fotografi e tv.
ANSA

e proponesse un percorso diverso rispetto alle interpretazioni dominanti. Il documento, approvato a fine dicembre, viene in queste settimane presentato in diverse occasioni pubbliche, a un uditorio di avvocati, magistrati, ex magistrati. Comincia a farsi strada, nella discussione: il sito dell'OgL terrà conto dei vari sviluppi. La strada individuata, agendo a livello regionale è stata quella di proporre un’interpretazione virtuosa delle norme esistenti, pur ribadendo la necessità di cambiare quelle regole, basandosi su alcuni documenti eleborati dalla stessa magistratura, italiana e europea. Uno il principio: applicare il decreto alla sola comunicazione istituzionale della procura e della polizia giudiziaria. La cronaca nera ne deve restare fuori, e così tutta l’attività di polizia. Allo stesso tempo, come era già stato proposto da altri colleghi, occorre che siano resi pubblici tutti i documenti depositati, in formato elettronico e con costi rivisti (per tutti, per evitare discriminazioni). La comunicazione istituzionale di qualunque ente pubblico non impedisce il rapporto diretto con i giornalisti, necessario per esempio, per verificare le notizie raccolte altrove. La comunicazione, inoltre, deve essere costante e completa. Il silenzio, insomma, non è una soluzione. Gli avvocati penalisti pensano che lo sia, ma nel silenzio si fanno strada le fonti più spregiudicate, e si creano rapporti anomali – “strategici” – tra magistrati e poliziotti, da una parte, e giornalisti dall’altra. Rapporti anomali che impediscono, soprattutto, un’analisi critica dell’operato di procure e polizie, nel timore di perdere rapporti privilegiati. Una comunicazione istituzionale di base potrebbe creare invece quel level playing field che non impedisce ai giornalisti più capaci di emergere –l’Ordine non lavora certo per l’appiattimento della professione – ma evita che qualcuno sia escluso dai flussi, per qualsiasi motivo.

Applicare il decreto alla sola comunicazione istituzionale della procura e della polizia giudiziaria. La cronaca nera ne deve restare fuori, e così tutta l’attività di polizia

Una comunicazione istituzionale di base potrebbe creare quel level playing field che non impedisce ai giornalisti più capaci di emergere

Non basta. Occorre – e questi aspetti sono emersi in maniera evidente nei colloqui pubblici con avvocati e magistrati – che si evitino equivoci tra diversi principi giuridici.

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La comunicazione delle Procure e della polizia giudiziaria non coincide con l’interesse pubblico, che sta ai giornalisti interpretare

I principi da salvaguardare Primo. L’”interesse pubblico” che le norme richiedono perché sia lecita la comunicazione delle Procure e della polizia giudiziaria non è l’interesse dei cittadini che sta ai giornalisti – giornalisti attivi e non passivi – riuscire a interpretare (oggi, peraltro, con l’aiuto di strumenti molecolari, come internet e social networks). Questa distinzione rafforza l’idea che la legge possa essere applicata alla comunicazione istituzionale, ma non a tutti i flussi di notizie rilevanti per un’informazione accurata e corretta; e, soprattutto, impone un’interpretazione decisamente estensiva dell’interesse pubblico.

Secondo. Il principio della presunzione di innocenza si rivolge agli organi dello Stato, non alla stampa: impone a magistrati e polizia di non trattare come colpevoli – di non sanzionare privando della libertà, quindi – le persone prima di una sentenza, a meno che non ci siano ragioni molto particolari e previste da una legge.

Il principio della presunzione di innocenza si rivolge agli organi dello Stato, non alla stampa

I giornalisti fanno il loro lavoro, e devono farlo in piena libertà. Anche perché le informazioni emerse in un processo, anche se portano a un proscioglimento dell’imputato, possono essere rilevanti sul piano politico, sociale, economico, etico, e devono essere libere. Sarebbe assurdo pensare che una legge imponga a tutti – o anche ai soli giornalisti – di essere innocentisti fino a sentenza e non semplicemente di segnalare, come è corretto fare in tutte le forme di giornalismo “a tesi”, fatti e ragionamenti che vanno in senso opposto alla posizione sostenuta. Verrebbe meno la possibilità di analisi critica delle procedure giudiziarie.

Il giornalismo diventa rilevante su un punto molto specifico: il danno reputazionale. Quando gli avvocati penalisti invocano il segreto su tutte le indagini è a questo aspetto, indubbiamente delicato, che fanno riferimento. Dimenticano che il silenzio farebbe emergere informazioni frammentarie, fuori contesto, in cui il danno reputazionale sarebbe decisamente maggiore. Viviamo in società in cui non solo vige di fatto – come ha sottolineato il giurista Glauco Giostra – una “presunzione di colpevolezza” nei confronti di chiunque cada nelle maglie del-

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la giustizia, ma in cui è costantemente alimentato dalla politica un populismo penale o, all’opposto, un giustizialismo law and order garantista solo con i potenti. In questo contesto va richiamato il principio “Non sparate sul messaggero”. Indagini più rapide, dibattimenti più veloci, un linguaggio – da parte di giudici magistrati e avvocati –sempre rigorosamente tecnico ma meno gergale, possono rendere un servizio migliore non solo al giornalismo ma anche alla società e alla giustizia.

Sappiamo tutti che abusi ci sono stati, ma siamo tutti convinti che l’errore di un singolo non deve –non dovrebbe – penalizzare tutta la categoria

Questo significa che i giornalisti non hanno nulla da rimproverarsi? Sappiamo tutti che abusi ci sono stati, ma siamo tutti convinti che l’errore di un singolo non deve – non dovrebbe –penalizzare tutta la categoria: è questa, del resto, la funzione della deontologia e dei consigli di disciplina, che devono essere messi in condizioni di dare pubblicità al loro operato, che nel

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ANSA
DANNO REPUTAZIONALE. Enzo Tortora fu arrestato il 17 giugno 1983 per associazione camorristica, condannato in primo grado e assolto in appello.

Il nostro lavoro va spostato su un altro piano: quello della selezione delle notizie rilevanti, l’inseguimento dei click ci colloca in un circolo vizioso in cui alla fine perdiamo tutti

sistema italiano – e in Lombardia in particolare – non è organizzato in modo da coprire i colleghi. La difesa corporativa, nel nostro caso del giornalismo, è esattamente questo: fare in modo che le responsabilità personali restino personali, e non diventino collettive. È vero anche che non bastano le formule di rito – il “presunto” assassino, l’indagato – per evitare il danno reputazionale. Deve essere evidente che le indagini sono l’argomentazione dell’accusa, non quella del giudice, tenendo anche conto della quantità elevata di errori giudiziari in Italia. La formazione continua diventa allora sempre più importante. Interpretare i vari passaggi della procedura, leggere le carte processuali, seguire criticamente le indagini, avere consapevolezza dei limiti dell’operato della Procura, sono cose fondamentali.

Soprattutto – e non vale solo per la cronaca giudiziaria, la quale assume però un valore paradigmatico – occorre essere protagonisti attivi dell’informazione. Non abbiamo più il ruolo di dar voce all’opinione pubblica e tantomeno ai vari orientamenti politici: a quello, ormai, ci pensano direttamente i social network. Il nostro lavoro va spostato su un altro piano: quello della selezione delle notizie rilevanti – l’inseguimento dei click ci colloca in un circolo vizioso in cui, alla fine, perdiamo – e quello della verifica di tutte le informazioni. È un percorso ricco e di grande soddisfazione, che vale la pena di fare.

MAGGIORE SPINTA ALLA FORMAZIONE SUL TEMA

Nel «Documento in tema di presunzione di innocenza» l’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha invitato le tre scuola di giornalismo che esso riconosce ad ampliare le ore di lezione dedicate al diritto processuale penale e alla criminologia. L’obiettivo è far sì che gli allievi possano approfondire le modalità corrette per seguire le attività di indagine e dei processi. La risposta delle tre scuole - dell’Università Statale, dell’Università Cattolica e dello Iulm - è stata di grande disponibilità. Nel 2023 l’Ordine amplierà anche l’offerta di corsi sul tema per gli iscritti.

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Un decreto che è pieno soltanto di buone intenzioni

Durante un’indagine penale prevale inevitabilmente la “versione” dalla Procura, e questo può sfavorire l’indagato. Le nuove norme però non risolvono il problema. Occorre rendere accessibili gli atti giudiziari non segreti e aumentare le competenze tecniche dei giornalisti di Carlo Melzi d’Eril, avvocato esperto di Diritto dell’informazione

Il decreto legislativo n. 188 del 2021 attuativo della direttiva sulla presunzione di innocenza intendeva far transitare il principio costituzionale dal piano del diritto a quello della sensibilità comune, giungendo a ottenere che, soprattutto sulla stampa, la persona non ancora condannata in via definitiva non sia trattata come se lo fosse.

Rimedi sbagliati per un problema reale

Ciò è sotto alcuni profili inevitabile: soprattutto nelle fasi embrionali del procedimento gli atti non sono conosciuti e l’impostazione degli inquirenti ancora non è stata posta in contraddittorio con quella della difesa. Anzi, a volte le indagini sono ancora segrete, sicché non solo non vi è stato un confronto sui temi di prova, ma non è nota quale sia la direzione assunta dall’inchiesta, su cui filtrano pochi e frammentari dati. Le notizie, quindi, in questa fase provengono inevitabilmente dalla Procura, unico soggetto che le possiede, con l’ovvio corollario di essere veicolate nella prospettiva di una conferma della tesi del pubblico ministero.

Nelle prime fasi di un’inchiesta l’impostazione degli inquirenti non è posta in contraddittorio con quella della difesa

Questo, che certamente è un problema, è stato affrontato con una disciplina che ha imposto limitazioni alle dichiarazioni di autorità pubbliche, stabilito regole rigide nei rapporti fra gior-

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LIBERTÀ DI INFORMAZIONE

I rimedi approntati non sono efficaci: si doveva intervenire innanzitutto sulla disponibilità delle fonti per i giornalisti, e porli in condizioni di parità

nalisti e Procure, introdotto un maggior controllo nel linguaggio dei magistrati. Tuttavia, come è ben noto, la mancanza di rispetto della presunzione di innocenza, sta soprattutto nella cronaca giudiziaria. Ai giornalisti, infatti, è affidato il compito di traduttori culturali: spiegare i tecnicismi del diritto e del processo, per svelarne il significato anche a chi non ha una preparazione specifica. Dai giornalisti, quindi, soprattutto, la persona non deve essere presentata come colpevole, se ancora un giudizio non l’ha definita tale in modo irrevocabile.

Rendere pienamente accessibili gli atti non segreti

In quest’ottica, sarebbe stato utile che il testo di legge intervenisse anzitutto sulla disponibilità delle fonti per i giornalisti. Il miglior servizio per la diffusione di una corretta cultura delle regole del processo è quello, come sostiene da tempo Luigi Ferrarella, di consentire un accesso libero agli atti non segreti, in condizioni di parità. Ciò avrebbe almeno un paio di conseguenze positive. La prima: contenere la coltivazione riservata di “gole profonde” che rivelano ciò a cui sono interessate, lasciando oscura l’intera vicenda, con il rischio di far veicolare un’informazione distorta. La seconda: consentire ai cronisti di concentrarsi non tanto nel collezionare brandelli di atti, ma nel comprendere il fatto. Ciò dovrebbe tendere altresì, nel medio periodo, all’emersione delle “penne” migliori.

Rafforziamo la specializzazione in tema di procedura penale dei giornalisti: sono dei “traduttori” per il pubblico, dunque devono conoscere la lingua di origine

Rafforzare la formazione dei giornalisti in ambito giuridico

Pare inoltre opportuno favorire una specializzazione dei professionisti dell’informazione giuridica. Ne esistono per l’informazione economica, è tempo che ci si attrezzi anche per un’altra materia dotata di non minore tecnicismo. Che nelle scuole di giornalismo, quindi, si dia spazio allo studio del sistema penale e che vengano promossi master nei quali siano approfondite se non altro giurisprudenza e prassi. Nessun traduttore può svolgere efficacemente la propria funzione se non conosce con precisione la lingua di origine.

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BOSSETTI-GAMBIRASIO: UN CASO GIUDIZIARIO E MEDIATICO NON ANCORA CONCLUSO

La vicenda di Yara Gambirasio è uno dei casi di cronaca giudiziaria più controversi degli ultimi anni, oggetto di polemiche tra giornalisti e addetti ai lavori. La vittima, 13 anni, scomparve il 26 novembre 2010 e fu ritrovata assassinata il 26 febbraio 2011. Il processo si concluse il 12 ottobre 2018, con la condanna definitiva all’ergastolo di Massimo Giuseppe Bossetti, il cui movente sarebbe stato di natura sessuale. Per dare un volto all’omicida fu realizzata la più complessa investigazioni scientifica mai effettuata: quasi 22.000 test del DNA in tre anni. Alla fine di dicembre scorso, tuttavia, il gip di Venezia ha disposto l’iscrizione nel registro degli indagati di Letizia Ruggeri, pubblico ministero del tribunale di Bergamo che si era occupata del caso. La difesa di Bossetti ha contestato il fatto che nel trasferimento dei campioni di DNA dall’ospedale San Raffaele di Milano all’Ufficio corpi di reato del tribunale di Bergamo sarebbe stata interrotta la catena del freddo dei reperti ( da conservare a -80°). Da qui la richiesta di riaprire il caso.

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ANSA

Una migliore conoscenza del diritto consentirebbe al giornalista di formulare domande precise e soprattutto la capacità di arrivare alla “seconda domanda” quella che mette in discussione la risposta alla prima

Una migliore conoscenza del diritto, inoltre, consentirebbe ai giornalisti di formulare domande più precise ai protagonisti, una verifica più severa di quanto viene loro riferito, nonché la capacità di rivolgere la “seconda domanda”, quella che mette in discussione la risposta alla prima. In quest’ottica, solo per fare un esempio, una migliore preparazione giuridica di base consentirebbe di smascherare facilmente i tentativi di coloro che, magari rivestendo cariche in politica o nella pubblica amministrazione, di fronte a elementi probatori a carico apparentemente schiaccianti, si limitano ad affermare la propria innocenza fino a condanna definitiva, pretendendo di opporre ciò a qualunque quesito. La pendenza del processo esclude che l’imputato possa essere trattato come colpevole, d’accordo. Ma ciò, naturalmente, non vieta di chiedere conto all’interessato, soprattutto se riveste un ruolo di interesse pubblico su cui incide l’imputazione, un commento sull’accusa o sulle prove anche prima della conclusione definitiva del processo. Certo, deve essere precisato il valore non definitivo del dato da cui si prendono le mosse, e certo la persona può anche limitarsi al silenzio. Tuttavia, da questo silenzio elettori e opinione pubblica possono senz’altro trarre elementi di giudizio.

Un “semilavorato normativo”

In presenza di un problema non è mai una buona soluzione introdurre un “semilavorato normativo” che smuova le acque e lasci a qualcun altro di sistemare meglio ciò che è stato raccapezzato alla meno peggio

A distanza di più di un anno dall’entrata in vigore, resta dunque la convinzione che il testo del decreto sia pieno di buone intenzioni, male realizzate. In presenza di un problema, non è mai una buona soluzione quella di introdurre un “semilavorato normativo”, sperando di smuovere le acque in attesa che poi una misteriosa “mano invisibile” sistemi meglio ciò che è stato raccapezzato alla meno peggio. I testi migliorabili possono essere destinati al dibattito parlamentare, non alla tipografia della Gazzetta Ufficiale.

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Bussole

Appunti di deontologia

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Tabloid
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Visto dai giornalisti: la via stretta dell’autodisciplina

Non c’è che l’interpretazione caso per caso per regolamentare il sottile confine tra informazione e pubblicità. Da qui l’importanza del Consiglio di Disciplina Territoriale come organo di orientamento per la categoria

di Vincenzo Ferrari, professore emerito di diritto dell’Università statale di Milano, componente del CDT dell’OgL

La moltiplicazione dei materiali d’ogni sorta che circolano nei media e in rete ha riproposto con urgenza il problema del confine tra informazione e pubblicità, argomento delicatissimo della deontologia giornalistica. Se l’informazione è diritto e dovere del giornalista, la ragion d’essere della professione, per contro è un principio etico consolidato quello che gli vieta di svolgere attività pubblicitaria se non in modo trasparente, come avviene con i “pubbliredazionali” ben noti ad ogni lettore di giornali. Peraltro, al di là di tali servizi, è chiaro che l’immissione sul mercato di prodotti, soprattutto se nuovi, costituisce di per sé una notizia degna di essere commentata e diffusa.

Questa ovvia considerazione riguarda tutti i settori economici, alcuni dei quali – moda, bellezza, motori – appaiono con maggiore evidenza, ma altri, meno palesi, sono comunque rilevanti: la pubblicità di un farmaco

margini di ingannevolezza non percepibili da un lettore medio e, per questo, risultare pericolosa. Ogni cultore di diritto della pubblicità conosce i casi, per esempio, delle lozioni contro la caduta dei capelli e soprattutto delle diete dimagranti, tante volte oggetto di controversia e censurate.

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può contenere
INFORMAZIONE
È un principio etico consolidato quello che vieta al giornalista di svolgere attività pubblicitaria se non in modo trasparente come avviene con i publiredazionali
VS PUBBLICITÀ

Il mondo del giornalismo in ritardo Va qui segnalato un paradosso. Il mondo della pubblicità si è dato delle regole dettagliate, che la legge non era mai riuscita a definire, ma ciò non è accaduto nel campo del giornalismo. Una pubblicità sospetta può essere segnalata all’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), organismo autonomo esistente in molti paesi fra cui, da più di 50 anni, anche l’Italia, e chiedere una inibitoria che sarà pronunciata o rifiutata in poche settimane; oppure portata dinanzi all’AGCM, organo amministrativo, che può anche comminare multe (Si vede all'articolo di Vincenzo Guggino, segretario generale dello IAP, a pagina 47). Lo IAP, in particolare, s’ispira a un codice che man mano è stato adattato alle nuove esigenze poste dalla rivoluzione nelle comunicazioni (da ultimo alle sfide dei social networks) e si pronuncia attraverso un “giurì” specializzato, composto di giuristi e di esperti di comunicazione, il quale decide secondo i principi-cardine del contraddittorio processuale.

Va segnalato un paradosso: il mondo della pubblicità si è dato delle regole dettagliate, che la legge non era mai riuscita a definire, ma ciò non è accaduto nel campo del giornalismo

Dal canto suo il giornalismo ha affrontato la questione della pubblicità con le poche parole che si leggono nell’art. 10, comma 1, del Testo unico dei doveri del giornalista: “Il giornalista: a) assicura ai cittadini il diritto di ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario attraverso chiare indicazioni; b) non presta il nome, la voce, l’immagine per iniziative pubblicitarie. Sono consentite, a titolo gratuito e previa comunicazione scritta all’Ordine di appartenenza, analoghe prestazioni per iniziative pubblicitarie volte a fini sociali, umanitari, culturali, religiosi, artistici“.

I labili confini dell’attività giornalistica

Questa norma è stata oggetto di precisazioni nella Carta Informazione e Pubblicità, concordata dalle rappresentanze sia del giornalismo sia della pubblicità, che riafferma i principi di trasparenza, riconoscibilità e indipendenza, disponendo inoltre l’obbligo di rispetto reciproco fra i due sistemi professionali e delle rispettive fonti normative, ma non risolve tutti i problemi di confine fra lecito e illecito. Dove deve fermarsi una redattrice di moda nel descrivere la presentazione di una

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Può un giornalista che segue

il Giro d’Italia dire di aver mangiato bene nel ristorante di un paese che è attraversato dalla gara?

collezione? Può un giornalista scientifico illustrare i benefici di una crema o di un integratore alimentare? E un giornalista sportivo che segue il Giro d’Italia può dire di aver mangiato bene nel ristorante di un paese attraversato? In tali casi, ci si deve astenere dal menzionare le case produttrici, come generalmente si fa in televisione, o il silenzio su tali particolari rende monca l’informazione? Certo, non si deve, per tali citazioni, ricevere un compenso, neppure indiretto: il capo di abbigliamento, la crema, il conto offerto dalla ditta. Questo è ovvio. Ma, come esprimersi, fuori da tali estremi?

Dal legislatore all’interprete della legge

In questo genere di controversie, dove si sperimenta che il linguaggio comune, ora verbale ora iconico, è “rotondo” e la norma giuridica “quadrata” (penso a un aureo libretto, La parola e il rispetto, scritto trent’anni fa da Richard L. Abel, notissimo giurista americano), fatalmente la questione si scarica dal “legislatore”, privato o pubblico, all’interprete che legge e applica la norma. E qui, non rimane in fondo che richiamarsi alla ragionevolezza del decisore, nel caso del giornalista i Consigli di disciplina.

Così si leggono massime “giurisprudenziali”, appunto ragionevoli, come “Il giornalista diffonde notizie in materia di salute solo se verificate con autorevoli fonti scientifiche”; oppure, “ha dunque violato il T.U. dei doveri del giornalista, prestando la propria immagine per pubblicizzare un prodotto alimentare: non conta che gli sia stato chiesto di farlo in ragione della notorietà acquisita nella professione di chef, piuttosto che in quella giornalistica”.

Il linguaggio comune è rotondo e la norma giuridica quadrata: fatalmente la questione si scarica dal legislatore privato o pubblico all’interprete che legge e applica la norma

Naturalmente, contare sull’interprete significa rassegnarsi all’idea che il diritto non è certo, anche se si deve sempre tendere alla massima certezza possibile. Ma non aveva torto Paolo Grossi, presidente emerito della Consulta, da poco scomparso: sono ampi i margini in cui il diritto deve essere inventum (trovato) in ogni singola circostanza, scavando nella cultura e nella coscienza.

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INFORMAZIONE

VS PUBBLICITÀ

Visto dalle aziende: il criterio sovrano è la riconoscibilità

Il codice di autodisciplina della comunicazione commerciale trova nel principio di trasparenza del messaggio pubblicitario il suo fondamento: l’utente deve essere “avvertito” che ciò che sta guardando è cosa diversa da un contenuto informativo

L’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario, oltre che a ricercarsi nei possibili contenuti scorretti del messaggio stesso, può emergere anche in relazione alla riconoscibilità o meno della sua natura commerciale. In altre parole se un messaggio viene diffuso con un obiettivo promozionale come la vendita di un bene o di un servizio, o semplicemente per far acquisire notorietà ad una marca, la natura commerciale deve essere sempre riconoscibile senza far sorgere dubbi o fraintendimenti rispetto ad altre forme di comunicazione, come ad esempio, la divulgazione di libere opinioni, di articoli giornalistici o quant’altro.

Il principio chiave

La ratio di tale vincolo è facilmente intuibile: il fruitore del messaggio deve poter essere posto in condizione di poter esercitare il proprio filtro critico nei confronti di un messaggio formulato a pagamento allo scopo di spingere il consumatore ad assumere un atteggiamento positivo verso una determinata marca. Il principio della trasparenza, così come si staglia nel contesto pubblicitario, risponde dunque ad una duplice esigenza di tutela: la tutela della libertà di autodeterminazione economica del con-

La natura commerciale del messaggio deve essere sempre riconoscibile senza fare sorgere fraintendimenti rispetto ad altre forme di comunicazione

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La comunicazione digitale commerciale richiede particolari accorgimenti per distinguersi da altri contenuti

sumatore e la tutela del corretto funzionamento del mercato. Questo principio viene tradotto in norma cogente sia dal Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, emanato dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria-IAP, sia dal Codice del consumo, applicato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Per esteso l’art. 7 del Codice IAP - Identificazione della comunicazione commerciale così recita:

«La comunicazione commerciale deve sempre essere riconoscibile come tale. Nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti.

Per quanto riguarda talune forme di comunicazione commerciale diffuse attraverso internet, i principali idonei accorgimenti sono indicati nel Regolamento Digital Chart».

La norma può essere così sintetizzata: a) la natura promozionale di un messaggio pubblicitario deve essere di tutta evidenza; b) qualora un messaggio pubblicitario sia diffuso contestualmente a contenuti di altra natura è necessario distinguere nettamente le due tipologie di comunicazione; c) la comunicazione commerciale digitale richiede particolari accorgimenti per distinguersi da altri contenuti.

Le tre tipologie di comunicazione commerciale La casistica autodisciplinare annovera fondamentalmente tre tipologie di comunicazione commerciale che possono impattare sul tema della trasparenza e quindi della riconoscibilità del messaggio: il product placement; la pubblicità redazionale; la pubblicità digitale.

Tre le tipologie sotto

osservazione: product placement, pubblicità redazionale e pubblicità digitale

Il product placement consiste nell’inserimento all’interno di un contesto narrativo non pubblicitario, di un prodotto o di un marchio. Intuibili i vantaggi di questo posizionamento: il filtro critico del consumatore naturalmente stimolato da un messaggio pubblicitario standard viene in questo caso di molto attenuato o addirittura eluso. Vasta la casistica e la giurisprudenza del Giurì a riguardo: rubriche giornalistiche, programmi televisivi, ecc. Va però detto

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che dal 2004 il product placement è legale per il cinema, poi successivamente anche per i programmi TV, allorché vengano rispettate le modalità e le regole previste ex lege, atte sostanzialmente a rendere edotto il fruitore della comunicazione che vi sono inserimenti di prodotto all’interno dello svolgimento narrativo. La pubblicità redazionale è quella forma di comunicazione commerciale che, inserita in un contesto di stampo giornalistico, ne assume le sembianze per essere in sintonia formale con l’aspetto dei contenuti non pubblicitari presenti nel medesimo contesto, ad esempio all’interno di una rivista periodica.

Il product placement è legale per il cinema del 2004 e anche per la TV a patto di rendere consapevole lo spettatore

Terza forma di comunicazione che richiede particolare attenzione in termini di trasparenza è la comunicazione commerciale digitale. Anche in questo caso il Codice di autodisciplina, con il collegato “Regolamento Digital Chart”, impone che si ricorra all’inserimento di disclaimer per consentire al consumatore medio senza alcun sforzo interpretativo di riconoscere una comunicazione commerciale. Ampia è la casistica e i relativi accorgimenti che la Digital Chart prevede per i vari format,

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ANSA ANTE LITTERAM. Rex Harrison in «The happy Thieves» (1961) mostra una bottiglia di Moët and Chandon, uno dei primi casi di product placement.

dall’influencer marketing al native advertising. Quest’ultimo ha, peraltro, le caratteristiche della tradizionale pubblicità redazionale ma per così dire evoluta in chiave 2.0: si tratta infatti di annunci commerciali veicolati attraverso una piattaforma digitale che si “mimetizzano” con i contenuti e il format della piattaforma stessa senza soluzione di continuità, leciti nella misura in cui siano distinguibili dagli altri contenuti.

Nessuna delle tre tipologie

è vietata in sé ma lo sono in assenza di accorgimenti che rendano netta la distinzione tra i diversi contenuti

Va precisato, a tal proposito, che alla luce del principio di trasparenza tutte e tre le tipologie di comunicazione indicate, caratterizzate dalla commistione di contenuti commerciali con contenuti di altro tipo (informativi, narrativi, di intrattenimento), non sono di per sé vietate ma lo sono solo in assenza degli idonei accorgimenti che rendano evidente una netta distinzione tra i diversi contenuti.

Gli indizi di una “impropria e sottesa committenza”

Da un punto di vista fattuale, se una pubblicità è occulta, se nasconde la propria vera natura, come si può desumere che un messaggio al di là delle apparenze sia pubblicitario?

Tra gli indizi di un rapporto di committenza: tono elogiativo, prodotti da un’unica impresa

La giurisprudenza autodisciplinare ha individuato numerosi “indizi” che possono portare a ritenere l’esistenza di un rapporto di committenza tra inserzionista e mezzo, di per sé di difficile o “impossibile” dimostrazione, a titolo esemplificativo: l’immagine di un prodotto all’interno di un articolo apparentemente di cronaca; il tono smaccatamente elogiativo utilizzato per un prodotto all’interno di un articolo; la segnalazione di prodotti provenienti da una unica impresa. Analoghi e ulteriori indizi valgono anche per la comunicazione commerciale online, allorché la natura pubblicitaria, ad esempio, di un post, non venga esplicitata dall’influencer tramite i disclaimer indicati dal regolamento Digital Chart, per rendere edotto il consumatore che il post è frutto di un accordo di natura commerciale tra l’influencer e il brand.

In conclusione il principio di riconoscibilità della comunicazione commerciale rispetto ad altre forme di comunicazione non pubblicitaria è un principio “antico” ma sempre valido e deve essere rispettato in ogni contesto comunicativo: potremmo dire, con una battuta, da Gutenberg al web.

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Una decisione in tema di violenza di genere e pubblicazione di atti giudiziari

Ovvero di quale relazione possa intercorrere fra il diritto di cronaca, il diritto di pubblicare atti giudiziari e i limiti che a tale diritto possano essere contrapposti

Decisione del Consiglio di disciplina territoriale della Lombardia dell’8 novembre 2022, proc. 42/21 ed altri, Presidente Giuseppe Guastella, Relatore Paolo Della Sala

Descrizione sommaria del fatto

Alcune testate a diffusione nazionale e alcuni siti on line hanno pubblicato, con diversi livelli di completezza e di enfasi grafica ma, in tutti i casi, con sufficiente ampiezza, stralci dei verbali resi da una persona che ha denunciato una violenza sessuale “di gruppo”.

Il procedimento penale si sta svolgendo (e, in precedenza si è svolto anche in fase di indagini preliminari) con la costante attenzione dei media anche in ragione dei profili di notorietà dei soggetti coinvolti.

Qualche tempo prima della pubblicazione degli articoli “incriminati” un soggetto di sicura notorietà e correlato ad uno dei protagonisti, ha reso dichiarazioni pubbliche (e riportate da stampa e media con grande evidenza) con cui contestava la versione della possibile vittima. Le testate in questione, dopo essere entrate in possesso delle dichiarazioni che descrivevano, dal punto di vista della possibile vittima, i fatti, le hanno pubblicate senza commenti particolari e con diverse scelte di richiamo ed enfasi grafica (anche con “strilli” in prima pagina).

Alcune testate e siti online hanno pubblicato stralci di verbali di una persona che ha denunciato una violenza sessuale

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L'intervento è stato sollecitato rispetto alla esigenza di non alimentare la spettacolarizzazione della violenza

L’intervento del Consiglio è stato sollecitato da varie associazioni che, in particolare, ritenevano integrate violazioni di carattere deontologico, su tutte quella di cui all’art. 5 bis del Testo Unico sui doveri del giornalista nella parte in cui obbliga «a non alimentare la spettacolarizzazione della violenza». Nello specifico non era in discussione il fatto che le dichiarazioni riportate fossero particolarmente inequivoche e impressionanti quanto alla descrizione dei particolari riportati.

Il quesito affrontato dal Consiglio

Il Consiglio, quindi, ha affrontato il problema di quale relazione possa intercorrere fra il diritto di cronaca, il diritto di pubblicare atti giudiziari e i limiti che a tale diritto possano essere contrapposti.

Principi di diritto affermati

Non è legittimo pubblicare contenuti che possano determinare

una amplificazione della violenza di genere

Il diritto di cronaca, anche con riferimento alla pubblicazione di atti giudiziari, può trovare dei limiti nell’ordinamento e, fra questi limiti, vi sono le norme deontologiche (oltre, in linea astratta, quelle di cui all’art. 528 c.p. o quelle di cui all’art. 15 della legge 8.2.48 n. 47, c.d. legge sulla stampa). Secondo il Consiglio non è deontologicamente legittimo pubblicare particolari contenuti in atti giudiziari che, per il contesto, la crudezza e la forza evocativa del fatto rappresentato possano determinare una amplificazione deteriore di episodi di violenza di genere, tali da rendersi portatori di una spettacolarizzazione della violenza medesima. Ciò indipendentemente dal fatto che tutto questo avvenga “senza commento” o “interpretazione” posto che, in materia di questa delicatezza, è il fatto in sé a rendere inopportuna la divulgazione non della notizia, bensì dei dettagli che di tale notizia rappresentano una evitabile espressione.

La cruda esposizione di una ricostruzione così particolareggiata finisce, infatti, con l’essere in sé potenzialmente portatrice di una carica “offensiva” in senso lato posto che, innegabilmente, rischia di consentire una lettura compiaciuta, distorta ed ammiccante che

LE MASSIME DEL CONSIGLIO DI DISCIPLINA 52

La provenienza da un fascicolo giudiziario non è di per sé garanzia di pubblicabilità: giornalista e direttore devono esercitare attenta valutazione

andrebbe a colpire la figura della donna (o di soggetto di altro sesso) in quanto tale. Ne consegue che la provenienza da un fascicolo giudiziario non è di per sé garanzia di pubblicabilità legittima e, in tal senso, sia il giornalista che il Direttore della testata devono esercitare una attenta valutazione per evitare che i limiti del lecito vengano superati.

Va, tuttavia, considerato che la compressione del diritto di cronaca ha carattere eccezionale: il fatto che la stampa non possa «essere soggetta ad autorizzazioni o censure» (art. 21, III comma, Cost.) ad esempio, rende ogni procedimento ermeneutico relativo alla applicazione di sanzioni disciplinari nella materia in questione di stretta osservanza, non potendosi consentire lo scivolamento su piani di opinione o valutazione soggettiva che, evidentemente, rischiano di rendere assai rischioso, incerto ed arbitrario il giudizio in subiecta materia.

In presenza di una situazione di fatto sottostante particolarmente complessa (nella specie: eccezionale notorietà della vicenda, rilevanza pubblica dei soggetti coinvolti, oggettiva esigenza di fornire questa informazione anche a valle di una dichiarazione pubblica resa nell’interesse di una delle parti coinvolte, genericità del precetto normativo di riferimento, ecc.) può essere applicata la disciplina sull’errore incolpevole secondo i dettami, qui richiamati per analogia, di alcune sentenze della Corte Costituzionale (in particolare: 364/1988, 325/89 e 61/95) e si afferma il principio di diritto secondo cui può non essere sottoposto a sanzione disciplinare il giornalista che, in presenza di condizioni oggettive comprovanti il sicuro rilievo di una notizia, dimostri (senza colpe evidenti o malafede) di avere esercitato il proprio diritto-dovere ad una corretta informazione pubblicando stralci di atti giudiziari a contenuto manifestamente scabroso e tali da determinare una possibile spettacolarizzazione dei fatti di cronaca oggetto di notizia. Fermo restando che la disciplina sull’errore è di stretta e rigorosa interpretazione.

Tuttavia data la notorietà della vicenda e la rilevanza pubblica dei soggetti può essere applicata la disciplina sull'errore incolpevole: nessuna sanzione

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Formazione

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Gli strumenti che ci servono Tabloid

Corsi di alta qualità a prezzi simbolici

Assicurare ai propri iscritti una formazione continua utile e non solo “dovuta”. È quello che l’Ordine della Lombardia intende fare. È un cambio di prospettiva. Significa democratizzare l’offerta, facendo accedere tutti a corsi che sul mercato costerebbero molto di più di Francesco Gaeta, giornalista, Innovation manager dell’OGL

All’inizio dello scorso novembre abbiamo inviato a tutti gli iscritti un questionario relativo ai fabbisogni formativi. Ci interessava chiedere - ed era la prima volta che l’Ordine lo faceva - informazioni sui temi di maggiore interesse, sulle aree da presidiare (canali; contenuti; tecniche). Abbiamo anche chiesto se fosse pensabile inserire nella nostra offerta alcuni corsi a pagamento, a un prezzo che abbiamo definito “simbolico” rispetto a quello di mercato. Sapevamo che quest’ultima domanda avrebbe suscitato reazioni contrastanti. Così è stato.

Infine abbiamo chiesto di aggiungere altri elementi di interesse su come e su cosa si possa oggi fare perché l’Ordine possa offrire una formazione davvero professionalizzante.

Il sondaggio si è chiuso a gennaio, ha visto quasi 800 risposte, ci ha fornito molti dati utili e qualche commento critico, che fa sempre bene. Sono arrivate anche diverse email: se non abbiamo risposto è perché volevamo farlo oggi, tirando un po’ le fila di questa operazione di ascolto, in questo e in altri articoli. Perché, lo diciamo subito, il nostro obiettivo è spiegare per quale motivo è arrivato il momento di aggiungere alla formazione gratuita dell’Ordine alcuni corsi a pagamento, come già accade in altre due Ordini regionali. Ri-

A novembre abbiamo diffuso un sondaggio tra gli iscritti sui fabbisogni formativi e su come migliorare i nostri corsi: abbiamo ricevuto quasi 800 risposte

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petiamo: alcuni corsi. Una quota da 1%, per intenderci, che non cancella nulla dell’offerta gratuita. Fine di questa premessa sulle puntate precedenti.

Social media, multimedialità, big data, intelligenza artificiale, metaverso sono emersi come temi da approfondire nei corsi da qui in avanti

Cosa è emerso dal sondaggio

In una e-mail un punto chiave che sollecita una riflessione: «Perché un giovane dovrebbe iscriversi all'Ordine?

Occorre fornire giustificazioni concrete»

Innanzitutto le parole social media (dunque, canali). È il tema prevalente: come i social possono rafforzare la produzione di contenuti giornalistici, come vanno adattati linguaggi e strumenti. Qualcuno ha scritto «come curare i contenuti su Instagram per un giornale online», un altro «come usare TIK TOK per parlare ai giovani creando contenuti». Servono poi - è il secondo punto - più corsi sulla multimedialità (dunque, strumenti), video e podcast innanzitutto. In terzo luogo si segnala l’esigenza di contenuti molto verticali, del mondo digitale: big data, intelligenza artificiale, metaverso. Tra le domande del questionario ce n’era una relativa alla auto-imprenditorialità, cioè la possibilità o la necessità di acquisire strumenti per gestire “in proprio” la professione quando non si lavora per un solo committente. Qui dobbiamo citare una mail di un pubblicista di 35 anni, W.F., a cui siamo grati: «Mi capita sempre più di sentire l’OdG affrontare il tema dell’“auto-imprenditorialità”. Trovo che questa tendenza, seppur vicina all’attuale mercato del lavoro, sia in controtendenza con i valori che l’OdG dovrebbe rappresentare. Perché un under 40 dovrebbe aderire all’OdG, se l’Ordine non si fa principale promotore di un modo etico e corretto di fare giornalismo? Molte aziende preferiscono avere a che fare con blogger e content creator, quindi l’appartenenza all’OdG non assicura canali preferenziali. Se davvero desiderate invertire la piramide, quello che serve è fornire giustificazioni concrete che spingano i giovani a tesserarsi, qualcosa che vada oltre ai fantasmi dei fasti passati e che è al momento del tutto assente».

Una prima risposta

Riprendiamo la domanda della email: perché un under 40 dovrebbe iscriversi all’ordine? Proprio per avere una formazione davvero di qualità e acquisire ciò che lo distingua per sempre

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da un blogger o un content creator. Non per far parte di una casta, dando argomenti a quegli editori che “combattono la casta” per giocare semplicemente al ribasso, ma per rivendicare davanti al pubblico diritti e doveri rafforzati proprio perché è iscritto a un Ordine che su quei diritti e doveri vigila a beneficio di una informazione accurata. Detto per inciso: se l’Ordine manca di centrare questi punti - formazione di qualità e vigilanza su diritti e doveriperde gran parte della sua ragion d’essere. Ma c’è un problema perché l’Ordine possa riuscirci, appunto la piramide di cui parla W.F. Sugli oltre 23 mila iscritti all’Ordine dei giornalisti della Lombardia, quelli con meno di 40 anni sono circa 3.700, con una media di professionisti del 20% (contro il 40% nelle altre fasce di età).

La risposta: l'Ordine può e deve fornire una vera formazione a costi accettabili rispetto a quelli di mercato, a beneficio dei più giovani

L’Ordine è una piramide rovesciata. Alla giuntura di quella cifra - chi oggi ha 40 anni - si colloca un discrimine formativo chiave: la trasformazione digitale che ha stravolto il mondo dell’informazione, innovando strumenti e processi. Come conciliare bisogni formativi di questi due pezzi della piramide? Offrendo ai giornalisti over 40 una formazione che consenta loro di padroneggiare le nuove tecnologie. E dimostrando a chi ha meno di 40 anni che una formazione che faccia la differenza può arrivare dal loro riferimento istituzionale. In ogni caso serve alzare la qualità e sfuggire a un meccanismo vizioso: spesso la formazione si risolve in uno scambio tra tempo libero e crediti formativi. Corsi percepiti come non davvero qualificanti in cambio di qualche ora passata mentre si fa anche dell’altro. Una cosa che non serve a nessuno.

Chi oggi vuol imparare come si fa un podcast spende sul mercato 1200 € per un corso. Noi vogliamo offrirlo a 40 €: la differenza la pagherà l'Ordine

Cosa si è fatto finora

Come abbiamo già scritto, fin qui l’Ordine ha organizzato in media oltre 400 corsi all’anno, poi scesi a causa del Covid negli anni 2020 (53) e 2021 (104), e nel 2022 risaliti a 178. Sono numeri notevoli, sui quali, lo ripetiamo, è importante alzare l’asticella. Molti corsi, anche molto frequentati, sono stati organizzati da enti terzi accreditati con prezzi variabili dai 100 ai 400 euro. Ovviamente, l’iscritto è libero di scegliere se pagare queste cifre. Noi vorremmo però che spendesse molto meno. Chi in questi giorni a Milano cercasse un corso di podcast ben

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fatto, ne troverebbe uno organizzato da un operatore del settore certamente tra i migliori In Italia che costa tra i 1.200€ e i 2.500 € (a seconda della tipologia). I podcast non sono una moda del momento, conoscerne i meccanismi è fondamentale per ogni giornalista. Ma queste cifre sono fuori dalla portata della stragrande maggioranza dei nostri iscritti. La nostra sfida è organizzare lo stesso corso, magari con lo stesso operatore, a un prezzo per l’iscritto di 40 €. Per quell’operatore costi e margini resterebbero uguali, perché la differenza sul prezzo la colmerebbe l’Ordine. Pensiamo sia un buon modo di spendere i soldi dell’Ordine. Perché vuol dire democratizzare l’offerta formativa, a beneficio soprattutto degli under 40, che hanno meno soldi degli altri.

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Unsplash NEGLI ANNI. L’Ordine ha organizzato oltre 400 corsi all’anno, poi scesi per il Covid a 53 nel 2020 e a 104 nel 2021. Nel 2022 sono risaliti a 178.

Fare finta che il mercato non esista e abbia certi prezzi sarebbe ipocrita. E sarebbe poco lungimirante non considerare che certa offerta sul mercato è ormai indispensabile. Non c’è che un modo allora: che quei temi, quei contenuti, quegli strumenti - con la stessa qualità con cui vengono proposti dal mercato - siano disponibili a tutti gli iscritti a prezzi non di mercato, cioè politici o se preferite “simbolici”.

Abbiamo già iniziato. Con il Politecnico di Milano (consorzio Cefriel) il 21 Marzo organizzeremo un corso di formazione sul sistema di intelligenza artificiale Chat GPT (trovate un articolo sul tema a pagina 75). Il relatore è il professore Luca Mari, docente alla Liuc di Castellanza e considerato uno dei massimi esperti sul tema. Parteciparvi costerà 35 €. Chi volesse acquistarlo direttamente dal Politecnico spenderebbe circa 15 volte di più.

Come già nel 2022, l’Ordine dei giornalisti della Lombardia organizza a Milano un percorso gratuito in quattro lezioni (modalità in presenza) dedicato al tema delle migrazioni. I temi dei quattro moduli sono i seguenti: a) i flussi e le rotte del viaggio; b) la condizione delle donne migranti; c) la condizione dei minori non accompagnati; d) il costo delle migrazioni tra violenza fisica e psicologica. Il percorso è organizzato in collaborazione con la Ong ResQ e con l’Atlante delle guerre, progetto di documentazione e sensibilizzazione sui conflitti nel mondo. Le date sono le seguenti: per il primo modulo il 14 Marzo; per il secondo modulo il 23 Marzo; per il terzo modulo il 28 di Marzo; per il quarto modulo il 4 Aprile. Ciascuno dei corsi è di tipo deontologico e concede 5 crediti.

Cambiamo tema: è in arrivo un percorso gratuito in cinque moduli organizzato con Google Italia e coordinato da Gabriele Cruciata, giornalista e Italy Teaching Fellow GoogleNews Lab. Le prime tre lezioni si terranno a Milano, la quarta a Bergamo e la quinta a Brescia. L’obiettivo è approfondire gli strumenti per il giornalismo forniti da Google: dall’uso di Pinpoint agli strumenti geospaziali per raccontare la crisi climatica, all’uso di strumenti open source per le inchieste. Ogni corso dà diritto a tre crediti. Date e sedi sulla piattaforma www.formazionegiornalisti.it.

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Fingere che il mercato non abbia certi prezzi sarebbe ipocrita, e così non considerare che quel che il mercato offre è indispensabile per questa professione
OPEN SOURCE PER IL GIORNALISMO D'INCHIESTA
IN ARRIVO CORSI SU MIGRAZIONI E STRUMENTI

«Cosa serve oggi ai nuovi giornalisti? Essere inquieti»

Parla Laura Silvia Battaglia, coordinatrice della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica di Milano: «Per chi arriva oggi a questa professione il giornalismo sarà sempre più ricerca: andare sul posto, fare quella telefonate in più che serve per riconquistare la fiducia del pubblico»

di Stefano Guarrera, allievo del master di giornalismo dell’Università Statale di Milano

Disintermediazione, molteplicità di piattaforme, flusso continuo di news. Sono queste alcune delle trasformazioni che l’innovazione sta apportando al lavoro del giornalista. Nascono così nuove sfide, opportunità e rischi. E si pongono nuovi problemi: come essere deontologicamente corretti mentre si fa informazione in un mondo sempre più complesso? Non solo. Pandemia e guerra in Ucraina hanno ricordato che viviamo in un mondo profondamente interconnesso. Un mondo globalizzato, in cui molti problemi sono comuni a tutti gli Stati. Proprio queste connessioni tra nazioni e tra cittadini e istituzioni sono assicurate dal mondo dell’informazione. Da qui l’importanza delle scuole di giornalismo.

«Oggi viviamo nell’abbondanza di comunicazione e informazione – spiega Laura Silvia Battaglia, coordinatrice della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica – E a produrre contenuti può essere ogni cittadino non solo i giornalisti. Questi ultimi, però, fanno la differenza con il loro bagaglio deontologico e la loro professionalità». La professionalità del giornalista si traduce «nella produzione di contenuti verificati e approfondimenti informati».

Le opportunità dei giornalisti nativi digitali si moltiplicano grazie alla nascita di nuove piattaforme: prima Internet e il web,

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In un mondo globalizzato in cui chiunque può produrre contenuti la differenza sta nel profilo deontologico di chi fa informazione
SCUOLE DI GIORNALISMO

poi i social network, ora l’intelligenza artificiale (si pensi a ChatGPT). Di fronte al giornalista, quindi, si aprono vasti scenari per una informazione di qualità: «La versatilità di questi nuovi strumenti garantisce la possibilità di imparare nuovi linguaggi. Bisogna solo volerlo fare. È quello che si fa nelle scuole di giornalismo, dove le nuove generazioni di praticanti imparano dai giornalisti affermati, che di rimando apprendono dai giovani» continua Battaglia. Più possibilità e quindi più rischi. Da qui la necessità di una accresciuta consapevolezza deontologica, che rimane la stella polare del giornalismo: «Nelle scuole di giornalismo i praticanti hanno una chance in più. Se prima si era costretti ad imparare le regole del mestiere lavorando, adesso nelle scuole i giovani possono apprendere norme e regolamenti in anticipo. Possono ragionare su casi studio concreti e commentare l’applicazione delle sanzioni in caso di violazione. Il tutto prima di essere gettati in situazioni in cui è facile sbagliare». Siamo spesso testimoni di casi in cui la professione è piegata ad interessi di parte, o affetta da sciatteria. Il rimedio? Per Battaglia «bisogna finirla di pensare ai giornalisti come degli impiegati. Giornalismo è ricerca, inquietudine e non rilassatezza. Veniamo da anni in cui è capitato di copiare e incollare le agenzie. Invece, bisogna sempre andare sul posto, fare quella telefonata in più. In questo modo, riconquisteremo la fiducia del pubblico», che per conseguenza, in Italia, è restìo a pagare per informarsi.

Nelle scuole si ha una chance in più: si ragiona su casi studio concreti per imparare bene prima di essere gettati in situazioni in cui è facile sbagliare

Il mondo

dell'informazione è un'industria ma non deve pensare soltanto a rientrare dalle spese: il giornalismo è servizio reso alla cittadinanza

«Il mondo dell’informazione è un’industria ma non deve pensare solo a rientrare dalle spese. Primo compito del giornalista è fare da cane da guardia del potere. Indagare su un tema se i conti non tornano. Un pubblico che non paga per informarsi rischia di ritrovarsi con un’informazione che soffre di sudditanza nei confronti della politica». C’è però spazio per uno sguardo ottimista verso il futuro, soprattutto sul fronte del giornalismo d’inchiesta, servizio reso alla cittadinanza che necessita di tempo e denaro ma che «i grant internazionali e i consorzi possono stimolare».

Futuro, però, significa anche confronto con le nuove tecnologie: «Io credo che il giornalista serva per adoperare la sospensione del giudizio e la ricerca approfondita, per “unire i puntini” o mettere insieme i pezzi di un puzzle. Perché inchieste come

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e

il caso Spotlight o il Watergate non le può realizzare un’intelligenza artificiale».

Nel frattempo, i social network sembrano agenzie: i politici, per esempio, annunciano comunicazioni su Twitter. È uno dei motivi per cui «il futuro non sta nelle breaking news ma nelle slow news. Cercare il clic facile o raccontare solo un pezzo della verità è qualcosa che alla lunga si paga, checché ne dica qualche editore». Durante la pandemia, infatti, qualcuno ha pensato che «inserire numeri o dati in un servizio o in un articolo significasse essere portatori di certezza assoluta: ma i dati e numeri vanno inseriti in un contesto».

Il futuro sta nelle slow news. Cercare il clic facile o raccontare solo un pezzo della verità alla lunga non paga, qualunque cosa ne dica qualche editore

Da qui il valore dell’accuracy, che le scuole di giornalismo si fanno carico di insegnare ai giovani praticanti. Cosa che non accade ovunque nel mondo: non sempre giornalismo è sinonimo di libertà di stampa e di informazione: «In molti Stati esistono leggi anti-terrorismo per le quali chi discute la capacità di una persona al governo di compiere bene il suo lavoro è arrestato per terrorismo».

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LAURA SILVIA BATTAGLIA AL-JALAL. È giornalista documentarista, lavora in aree di crisi dal 2007 ed è specializzata in Medio Oriente.

«Fiducia è la parola chiave del nostro lavoro»

Intervista a Venanzio Postiglione, direttore della Scuola di giornalismo Walter Tobagi: «Il compito dei nuovi giornalisti è saper distinguere il vero dal falso. Il lettore ha innanzitutto bisogno di capire se può fidarsi di quello che legge»

di Francesca Daria Boldo, allieva del XXI Master biennale di giornalismo Iulm di Milano

Viviamo in un presente che è sempre più saturo di voci, di opinioni, di notizie, dove la vera informazione rischia di perdersi tra altre mille notifiche che arrivano sui nostri dispositivi. Venanzio Postiglione, Direttore della Scuola di giornalismo W. Tobagi e vicedirettore del Corriere della Sera, sottolinea l’importanza di formare nuovi professionisti che sappiano essere mediatori e selezionatori di contenuti di valore in questo complesso ecosistema informativo che ci circonda. Il lettore è alla continua ricerca di risposte e punti di riferimento di cui fidarsi ed è proprio qui che il giornalista deve farsi trovare.

In un presente in cui tutti possiamo essere comunicatori, che cosa ci distingue come giornalisti?

Dobbiamo fornire al lettore chiavi di interpretazione per decifrare l'essenziale nel diluvio di informazioni

«Oggi, ancora più di prima, il compito del giornalismo è quello di distinguere il vero dal falso. Una cosa apparentemente semplice da dire ma molto difficile da fare, soprattutto nel diluvio di informazioni in cui siamo immersi. Il lettore, prima di tutto, vuole capire se può fidarsi di quello che legge. Poi ricerca, costantemente, delle chiavi che lo aiutino a comprendere l’attualità, la società, la politica, il costume per arrivare a semplificare la complessa realtà che lo circonda.

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SCUOLE DI GIORNALISMO

Non

Il lettore deve fidarsi di noi e perché questo accada è doveroso studiare. Il nostro è un mestiere dinamico dove dobbiamo continuare a informarci a nostra volta, a conoscere e approfondire per essere in grado di comunicare in modo rapido, diretto e chiaro a chi ci legge».

Che cosa significa essere un giornalista multimediale?

«L’avvento di Internet non è una semplice svolta: è la più grande rivoluzione della storia dell’umanità. Il processo di digitalizzazione ha cambiato il mondo intero e, di conseguenza, anche la nostra professione. La forza delle Scuole di giornalismo sta proprio nel saper formare a tutto campo i futuri giornalisti, insegnando loro a trattare le notizie su tutte le piattaforme. Dallo scrivere sulla carta a lavorare sul digitale, a fare radio, televisione ma anche podcast, montaggio video ed essere attivi sui social, portando così persone realmente competenti sul mercato del lavoro».

Nel digitale i tempi sono diventati infinitamente più rapidi e il sentire più stretto. In quale tempo si deve collocare il giornalista?

«Serve una giusta mediazione tra rapidità e verifica delle fonti. Da una parte non si può arrivare per ultimi ma nemmeno per primi con una notizia sbagliata, poco corretta e non verificata. Tutto questo porta solo a un enorme danno d’immagine per la propria testata e a nient’altro. Quindi, rapidi sì ma è sempre meglio un controllo in più che uno in meno».

Come si immagina il giornalismo del futuro?

«Noi non conosciamo il giornalismo del domani e questo rende il nostro mestiere ancora più interessante. Altrimenti sarebbero solo pagine già scritte e poco attraenti. Il bello del futuro sta proprio nel poter contribuire prima a immaginarlo e poi a costruirlo».

E l’intelligenza artificiale la preoccupa?

«No, non sono spaventato. Siamo consapevoli che è un fenomeno che esploderà e riguarderà tutti i campi. Alcuni giornali americani utilizzano l’IA per scrivere alcune noti-

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conosciamo il giornalismo di domani: il bello del futuro è contribuire a immaginarlo e costruirlo

zie brevi di sport in automatico. Dopodiché, proprio perché il fine ultimo del giornalismo riguarda sempre i fatti e la chiarezza come diceva Eugenio Torelli il 5 marzo 1876 nel primo editoriale del Corriere della Sera, a capire le notizie dobbiamo essere noi. Al di là dell’intelligenza artificiale, il nostro contributo sarà sempre determinante, così come la capacità di essere cristallini nella scrittura».

In un mondo social, qual è il giusto punto d’incontro tra diritto di cronaca, deontologia e etica?

«Il paradosso dei nostri tempi è che i giornalisti professionisti devono seguire tutte le norme previste dal Codice deontologico mentre dall’altra parte c’è una prateria infinita di persone che scrivono, urlano, si disperano, gioiscono al di fuori delle regole. Detto questo, noi dobbiamo continuare a rispettare i princi-

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VENANZIO POSTIGLIONE. Salernitano, una laurea in giurisprudenza, è vicedirettore del Corriere della Sera, quotidiano in cui è entrato nel 1989.

pi che fanno di noi giornalisti professionisti affidabili. Poi, ma questo spetta soprattutto al legislatore, andranno scritte nuove leggi sul digitale. Oggi incredibilmente, c’è ancora chi ritiene che reale e digitale siano cose diverse, invece tutto ci riguarda. Il nostro compito è e sarà sempre quello di pubblicare tutte le notizie che meritano di essere pubblicate e allo stesso tempo rispettare la dignità e la privacy delle persone».

In una società liquida come la nostra in cui l’attenzione al linguaggio, alle diversità, all’inclusione, all’integrazione è fondamentale, come è cambiata la sensibilità e la scelta di pubblicare o no una notizia?

L'attenzione al linguaggio deve diventare quasi maniacale per non offendere le persone: i giovani hanno su questo una elevata sensibilità

«La correttezza del linguaggio, per fortuna, fa sempre più parte del nostro mestiere. L’attenzione ai termini deve diventare quasi maniacale perché in nessun momento si possono offendere le persone. Affinché questo avvenga c’è bisogno di tantissima cultura. E qui voglio ritornare sull’importanza delle Scuole di giornalismo: i ragazzi che le frequentano sono già molto colti, laureati e hanno il pregio della curiosità. Vogliono capire a fondo il mondo e magari anche raccontarlo. Nessuno

meglio di loro, dei giovani del nostro tempo, capisce quanto un termine possa essere offensivo. Nuovo linguaggio significa nuova cultura e in questo siamo avvantaggiati perché ognuno è figlio del suo tempo e i ragazzi d’oggi hanno innata questa sensibilità».

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«Una scuola di metodo per affrontare le nuove sfide»

Intervista a Daniele Manca, direttore del master di giornalismo dello Iulm: «Non solo tecnologie e multimedialità: quello che serve ai giovani giornalisti è un approccio rigoroso e “scientifico” per avvicinarsi alla verità sostanziale dei fatti»

di Maria Colonnelli e Giorgio Colombo, allievi della Scuola di giornalismo dell’Università cattolica di Milano

Accuratezza, responsabilità e indipendenza. Sono le tre bussole per orientarsi nel mondo dell’informazione che cambia. Daniele Manca, vicedirettore del Corriere della Sera e direttore del Master in giornalismo dell’Università IULM di Milano, non ha dubbi. Per affrontare le grandi sfide che sembrano mettere a rischio questo mestiere - dall’intelligenza artificiale alla disintermediazione imposta dai social – non c’è che una strada: rendere più rigorosa la formazione dei nuovi professionisti, rinforzando la loro cassetta degli attrezzi: «I nostri Master formano persone che devono sapere inserire le notizie all’interno di un contesto più ampio».

Come si può progettare un giornalismo multimediale in cui tutte le piattaforme collaborano e si integrano?

Le nuove generazioni che escono dai Master in giornalismo sanno lavorare su tutte le piattaforme. È fondamentale: una notizia che dev’essere trattata per audience diverse ha bisogno di professionisti che sappiano mescolare varie forme di comunicazione. Sotto questo aspetto, in Italia abbiamo un passo in più, anche rispetto a quelle che consideriamo come scuole blasonate.

Le generazioni che escono dei master in giornalismo sanno lavorare su tutte le piattaforme: ogni notizia va trattata per audience diverse

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SCUOLE

Cosa insegna su questo la scuola di giornalismo della IULM ai suoi studenti?

La scuola della IULM nasce digitale: ha compiuto vent’anni nel 2021. È nata dalla convinzione che esistesse un prima e un dopo il digitale. Sono cambiate le piattaforme e, di conseguenza, il rapporto con l’audience: prima i giornalisti avevano il monopolio dell’informazione. Ora politica, imprenditoria e cittadini non hanno più bisogno della loro intermediazione. Una costante resta però il metodo giornalistico, che si può considerare assimilabile a quello scientifico per il suo continuo avvicinarsi alla verità sostanziale dei fatti, come dice la legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti. In questo contesto, una forte preparazione teorica sul metodo e una forte preparazione pratica sono fondamentali: i nostri giornalisti, come quelli di tutti gli altri Master, cominciano a fare prodotti sin dal primo giorno e li modellano per tutte le piattaforme di distribuzione dell’informazione.

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Il metodo giornalistico
è assimilabile a quello scientifico per il suo continuo avvicinarsi alla verità sostanziale dei fatti
DANIELE MANCA. Classe 1956, una laurea al Dams di Bologna, è vicedirettore del Corriere della Sera dove è arrivato nel 1994.

Oggi ci sono sistemi di intelligenza artificiale che producono testi in automatico. Quale rimane il valore aggiunto del giornalista?

Si è molto parlato in questi ultimi mesi di intelligenza artificiale. Si pensa che sia una produzione di contenuti, in realtà è un’interfaccia: all’IA si possono porre delle domande e si ottengono risposte. La vera produzione di contenuti si basa però sulla qualità che il giornalista interiorizza sin dall’inizio della sua carriera, cioè la capacità di contestualizzare l’informazione; di fornire una cornice interpretativa e non semplicemente una giustapposizione di frasi dotate di senso.

Un giornalista deve avere la capacità di contestualizzare l'informazione. Questo farà sempre la differenza con i sistemi di intelligenza artificiale

L’informazione digitale e l’intelligenza artificiale aprono a nuove sfide deontologiche. Come ci si orienta?

Tramite i valori di questa professione: accuratezza, responsabilità e indipendenza. Sono la bussola del giornalismo e aiutano le persone che stiamo formando nei Master ad orientarsi: i nostri studenti sono anzitutto delle persone con valori che, un domani, scriveranno articoli, produrranno servizi sulle varie piattaforme, seguendo la loro etica e deontologia. È fondamentale che i futuri professionisti conoscano in profondità le regole imprescindibili della professione e le applichino con attenzione.

Fare informazione di qualità sui social network. Come è possibile?

Il master dello IULM insegna a cogliere l’attenzione dei cittadini attraverso contenuti intelligenti, e non solo necessariamente accattivanti. Quando c’è intelligenza, anche chi è distratto verrà attratto dall’informazione. Le nostre scuole formano persone che sanno mettere l’informazione all’interno di un contesto ampio, sapendo indicare non soltanto la verità apparente ma anche quella sostanziale.

Quali sono le tre qualità del giornalista digitale che il master dello IULM insegna?

Umiltà, umiltà e umiltà. Qualità fondamentali non per un giornalista digitale, ma per un giornalista, punto.

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Giornalismi

Il futuro che c’è già: casi, storie, persone

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INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GIORNALISMO

L’articolo di Ryszard Kapuściński che non avete mai letto

Abbiamo chiesto a ChatGPT di mettersi nei panni del grande inviato per descrivere il sisma che colpì la Turchia nel 1939, il più grave prima di quello del febbraio scorso. Il risultato, errori compresi, dice alcune cose su come l’intelligenza artificiale può cambiare l’informazione di Francesco Gaeta e Chat GPT

«L’imponente moschea di Erzincan giace in uno stato di semi-rovine, le sue cupole sgretolate e le sue pareti inclinate. Era un simbolo di fede e di comunità per questa città colpita dal terremoto. Ora i suoi fedeli sono costretti a pregare tra le macerie e la polvere». Erzican, Turchia orientale, 31 dicembre 1939. Quattro giorni prima, alle 23.57, un terremoto di magnitudo 7.8 della scala Richter ha raso al suolo la cittadina. I collegamenti con la capitale si sono interrotti. I primi inviati hanno impiegato giorni per raggiungere l’epicentro e scrivere le prime corrispondenze. Quel che avete letto in alto è l’attacco dell’articolo scritto da Ryszard Kapuściński, uno dei primi ad arrivare sul posto. Sarebbe stato di sicuro uno dei primi, se il grande reporter in realtà non fosse nato nel 1932 e non avesse avuto che 7 anni a quella data. Eppure l’attacco di questo pezzo non solo è verosimile, e anche efficace. È scritto in un buon italiano ma ha anche il tono, lo stile, l’argomentare di Kapuściński. A scriverlo al posto suo è stato ChatGPT la rete neurale creata da OpenAI, resa disponibile nel novembre del 2022 in versione gratuita e poi nel febbraio scorso in una versione a pagamento.

Inizio dell'esperimento: chiediamo di raccontare il terremoto del 1939. Ne vien fuori un lead scritto con un tono e uno stile paragonabili a quello di un vero giornalista

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Nelle prime risposte ha un tono colloquiale ed empatico: «Mi dispiace sentire che c'è stato un recente terremoto simile a quello del ‘39, spero che si stia facendo tutto il possibile»

Come abbiamo letto in questi mesi, ChatGPT può fare molte cose. Può scrivere in codice informatico, tradurre un testo in lingue antiche, aiutare a risolvere problemi di matematica molto complessi, fare predizioni sull’andamento della malattia di un paziente. Può anche scrivere una corrispondenza su una tragedia avvenuta 84 anni fa, e di cui non esiste quasi alcuna corrispondenza, in un linguaggio e uno stile molto vicino a quello di un giornalista famoso.

Così è nata la corrispondenza da Erzincan, luogo del «terremoto più disastroso» prima di quello che ha colpito il Paese il 6 Febbraio scorso, secondo il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Oltre che un reportage, questa è un una piccola sperimentazione. Consente di intuire come l’intelligenza artificiale di ultima generazione può cambiare il lavoro di un giornalista. Per inciso: sulle risposte di CHATGPT non è stato fatto alcun lavoro di editing.

Cominciamo: c’è subito un errore

Le prime due cose che si notano è che ChatGPT è molto gentile. La seconda è che, se lo si induce in errore, sbaglia. In questo caso quasi subito. Non potendo chiedergli una corrispondenza sul terremoto del 6 febbraio 2023 - il suo “archivio” di dati si ferma al 2021 - gli proponiamo un viaggio nel tempo.

FG - «Di recente in Turchia c’è stato un terremoto devastante. È stato molto simile al terremoto del 1938. Allora l’epicentro fu a Erzincan, nel Nord-Est e fece 32.968 vittime. Risulta anche a te?».

ChatGPT - «Sì, so dell’esistenza del terremoto del 1938 in Turchia. Fu uno dei più devastanti terremoti che abbiano colpito il paese e causò un enorme danno e un gran numero di vittime. La Turchia è una delle regioni più soggette a terremoti a causa della sua posizione geologica all’incrocio di diversi plessi tettonici. Mi dispiace molto sentire che c’è stato un recente terremoto simile. Spero che le autorità e la comunità internazionale stiano facendo tutto il possibile per aiutare le persone colpite e che presto si possa riprendere la normalità».

Come segnalato dai neretti, emerge che il sistema sbaglia - il

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terremoto era del 1939 e non del 1938 - in questo caso ha preso per buono ciò che gli si chiedeva; che ha un tono un po’ didascalico, da bibliotecario; che mostra di avere sentimenti. Dettaglio questo non da poco, che anzi apre una porta su un tema rilevante - se e in che senso l’intelligenza artificiale di ultima generazione possa avere emozioni - che però meriterebbe un altro articolo.

L’avvio: stare sulla scena

Due cose si notano subito: la prima è che ChatGPT è gentile. La seconda è che se lo si induce in errore sbaglia. Nel nostro caso l'errore arriva quasi subito e sta in una data

Sorvoliamo sull’errore - chissà come avrebbe risposto se l’avessimo fatto notare - e andiamo avanti. Chiediamo a ChatGPT di scrivere tre capoversi, mettendosi nei panni di un giornalista

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OpenAi
QUESTE IMMAGINI. Sono state create con il sistema di intelligenza artificiale DALL E 2 di Open AI, la stessa società che ha creato Chat GPT.

appena arrivato a Erzincan. Un reporter senza nome, per ora.

FG - «Cosa vedresti intorno a te?»

ChatGPT - «Appena arrivato a Erzincan poche ore dopo il terremoto, la scena che mi si presenta davanti agli occhi è desolante. Le strade sono bloccate da macerie e detriti, mentre le persone camminano intorno in stato di shock, cercando di trovare i loro cari e salvare quante più cose possibile dalle loro case distrutte. Il panorama è dominato da edifici crollati e scheletri di case ancora in fiamme, con i vigili del fuoco che si sforzano di controllare le fiamme e cercare eventuali sopravvissuti. La polvere sollevata dalle macerie rende l’aria irrespirabile e la tensione è palpabile, con le persone che gridano e piangono per la perdita delle loro case e dei loro cari.

Aumentiamo il grado di difficoltà: chiediamo a Chat GPT di scrivere nello stile di Ryszard Kapuscinski. Per chi ha familiarità con quello stile il risultato è sorprendente

L’intera città sembra essere stata colpita dalla furia del sisma, e il bilancio delle vittime e dei danni sta ancora emergendo. Ma una cosa è certa: la Turchia sta affrontando una delle peggiori tragedie naturali della sua storia recente e la comunità internazionale dovrà unirsi per offrire supporto e aiuto a coloro che sono stati colpiti». Oltre alla velocità - meno di 30 secondi per scrivere tre capoversi - colpisce la capacità di “immersione nella scena”, di descrizione del paesaggio fisico ed emotivo. I dettagli non arrivano alla definizione e precisione di un occhio umano ma sono sufficienti a “dare l’idea”, a restituire un quadro. Chat GPT dimostra di essere entrato sulla scena. La frase finale ci dice anche che, nel chiudere, è uscito autonomamente dalla scena per guardare avanti, oltre.

Una prima prova di carico

Decidiamo di sottoporre ChatGPT a una prova di sforzo. FG - «Ora vorrei che tu riscrivessi tutto questo come lo scriverebbe il famoso inviato Ryszard Kapuściński, con il suo caratteristico stile, arrivando a Erzincan il 31 dicembre del 1938. Vorrei un attacco alla sua maniera».

La risposta è quella che avete letto all’inizio di questo articolo. Anche per chi non conosce nel dettaglio lo stile di Kapuściński

- il cui stile ChatGPT recupera pescando nel suo archivio da ciò che l’inviato ha scritto in decenni di lavoro - resta a nostro parere un buon lead.

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Gli chiediamo dunque di andare avanti con altri tre capoversi, dandogli qualche altra indicazione: un cenno al numero di vittime accertate al quarto giorno, una dichiarazione del sindaco, e una nuova scena osservata sul campo.

ChatGPT - «Le autorità hanno confermato che il bilancio delle vittime è salito a oltre 1.200 in questi primi giorni dal terremoto. La gente piange per i loro cari perduti e si unisce nel lutto per questa tragica perdita di vite umane.

“Stiamo facendo tutto il possibile per aiutare le vittime e per garantire la loro sicurezza”, ha dichiarato il sindaco della città. “Stiamo lavorando a stretto contatto con le agenzie di soccorso e di emergenza per portare aiuto dove è più necessario”.

Colpisce la sua capacità di ”immersione nella scena”, di descrizione del paesaggio fisico ed emotivo. I dettagli sono sufficienti a restituire un quadro realistico

Una madre sconvolta piange accanto alle macerie che una volta erano la sua casa, invocando misericordia per il figlio che ha perso tra le rovine. La sua angoscia è una rappresentazione del dolore che attanaglia questa città colpita dal terremoto. Il suo pianto è un grido di disperazione che echeggia nell’aria e un richiamo alla solidarietà umana per alleviare la sofferenza di questa comunità».

Chat GPT non cita il nome del sindaco della città - lo farà più tardi nella versione inglese che gli chiederemo - fornisce un numero di vittime probabilmente sottostimato, ma dimostra ancora una volta di “saper entrare in scena”, ad altezza uomo, in modalità reportage. Visto che questa ci sembra la sua capacità migliore, gli chiediamo altri tre capoversi dando qualche indicazione su un’operazione di salvataggio portata avanti da un uomo di circa cinquant’anni, molto magro, vestito in maniera tradizionale.

Chiediamo altri tre capoversi, dando degli input su una scena di salvataggio:

«In una intensa operazione di salvataggio, un uomo di circa cinquant’anni, molto magro e vestito in maniera tradizionale, sta scavando a mani nude. Con una determinazione fuori dal comune, lavora incessantemente sotto il sole cocente, sfidando la stanchezza e la paura. Ad un certo punto, nel silenzio più assoluto, si sente la voce di una bambina che piange e invoca aiuto. Questo grido, così debole e disperato, fa fremere le persone che stanno scavando. La tensione

«Nel silenzio più assoluto si sente la voce di una bambina che piange e invoca aiuto...»

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DUE O TRE COSE SU CHATGPT

Chat GPT - la rete neurale creata da OpenAI e capace di dialogare in lingue naturali, come l’italiano e l’inglese, praticamente su qualsiasi argomento - è stata resa disponibile il 30 novembre 2022 in una versione gratuita, e in febbraio 2023 in una versione ad abbonamento. Da allora, in accordo a statistiche non ufficiali oltre 100 milioni di persone ne hanno fatto uso, rendendolo il sistema con la più rapida diffusione nella storia del web. Il comportamento di ChatGPT, spesso così sofisticato da essere indistinguibile da quello di un esperto umano, è il risultato non di algoritmi programmati nel software, ma di un complesso processo di addestramento realizzato su un’enorme quantità di testi: la rete neurale è stata così istruita non solo su cosa rispondere ma anche su come farlo, e da questo deriva la sua capacità di usare diverse lingue e diversi registri linguistici, e perfino di saper dialogare su piani metalinguistici e metacognitivi. La principale novità di ChatGPT è la sua capacità di connessione dei dati. Si stima infatti che il cervello umano abbia 10^15 connessioni mentre GPT-3, su cui Chat GPT è basato, ne ha 10^11, ma è un numero destinato a crescere nelle prossime versioni. Pur non essendo né il primo né l’unico chatbot prodotto nei laboratori di ricerca e sviluppo di intelligenza artificiale, ChatGPT ci sta dimostrando concretamente che numerose attività intellettuali, incluse alcune rilevanti per la professione giornalistica, possono essere oggi realizzate con il supporto efficace di sistemi sintetici, che in qualche caso potrebbero anche sostituire gli esseri umani, prospettando scenari anche davvero rivoluzionari.

aumenta a tal punto che ogni suono sembra amplificarsi a dismisura.

L’agitazione delle persone che hanno ascoltato questo grido è incontenibile. Senza esitare, si danno da fare a mani nude a spostare le pietre che ostacolano il salvataggio. La solidarietà e la determinazione di questa gente comune è commovente. Ognuno di loro è animato da un unico obiettivo: salvare quella bambina».

ChatGPT dimostra di sapere prendere quasi alla lettera le indicazioni dando però una coloritura emotiva tutt’altro che scontata. La cosa che colpisce non è tanto la sua capacità di raccogliere dati - non è questa la nostra richiesta - ma di esprimere percezioni visive e uditive, di associarle a proprie sensazioni ed emozioni. Il tutto con la solita grande rapidità.

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Il

testo in inglese: meno di un minuto

L’ultima prova è ricordare a ChatGPT che Kapuściński scriveva (anche) in inglese. Gli chiediamo dunque di riscrivere l’intero articolo in inglese. In maniera sorprendente la prima cosa che fa è proporci un vero e proprio titolo:

Amidst

the Ruins of Erzincan: A City in Mourning

As I arrived in Erzincan, the devastation left by the recent earthquake was palpable. The city lay in ruins, its once proud buildings now reduced to rubble. The main mosque of Erzincan, a symbol of the city’s rich history, stood semidestroyed, its minaret teetering precariously. The scene was a haunting reminder of the magnitude of the tragedy that had struck this city.

La coloritura emotiva del testo è notevole, ChatGPT è in grado di esprimere percezioni visive e uditive e di aggiungervi ”le proprie emozioni” riguardo a ciò che vede e racconta

At least 2,000 lives have been lost so far, with many more still missing. The air was heavy with the smell of dust and smoke, and the sounds of grieving families echoed throughout the city. A mother, crying inconsolably, stood among the ruins of what was once her home. In a voice barely above a whisper, she cried out, “Oh, Allah have mercy! My son, my baby, is gone. How will I live without him?” Her words were a reminder of the immense human cost of this tragedy.

Mayor Mustafa Yalcin was quoted as saying, “We are doing everything in our power to help those affected by this tragedy. The world must come together to support us in our time of need.”

I met a mother who had lost her child in the rubble. She sat on the ground, tears streaming down her face, calling out for mercy from the heavens. The pain and despair in her voice was palpable, and it was a haunting reminder of the human toll this disaster has taken.

Al termine dell'articolo in italiano chiediamo di riscriverlo in inglese. Per prima cosa, pur non richiesto, ci propone un titolo «Amidst the Ruins of Erzincan: A City in Mourning»

The estimated cost of rebuilding the city is staggering, with some sources putting the number in the billions. Yet, as I watched the rescue teams work tirelessly to save lives, I was reminded that amidst the destruction and tragedy, there is still so much humanity and kindness in the world.

Just then, I saw a man in his early 50s, thin and dressed in traditional clothing, digging with his bare hands. The silence was broken by

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La versione inglese resta fedele a quella italiana salvo alcuni dettagli: cita nome e cognome del sindaco, sebbene non risulti che quell'uomo sia stato nel 1939 sindaco di Erzincan

the sound of a child’s cries, and everyone sprang into action, moving stones and debris with their bare hands in a desperate attempt to save the child. The urgency and determination in their movements was a testament to the human spirit in the face of adversity.

As I stood in the shadow of the semidestroyed mosque, I couldn’t help but think of the thousands of lives lost and forever changed by the devastating earthquake that struck this city. The death toll, now estimated to be over 32,000, continues to rise as rescue teams search through the rubble for any survivors.

As the day wore on, I couldn’t help but feel a sense of hope amidst the destruction. The resilience and courage of the people of Erzincan in the face of such tragedy was truly inspiring, and I had no doubt that they would rise from the ashes and rebuild a better future for themselves».

La versione inglese resta fedele a quella italiana salvo alcuni dettagli: il sindaco ha qui un nome - che peraltro non risulta quello del sindaco di Erzincan nel 1939 - e il numero delle vittime, che in un primo momento ammontano a 2000 (non a 1.200 come nella versione italiana) e aumentano poi a 32.000. Sentiamo comunque l’esigenza di manifestare il nostro stupore.

Alla fine ci viene in mente una frase del vero Kapuscinski: «Le nuove tecnologie non sostituiranno il nostro lavoro, la nostra dedizione, il nostro studio il nostro esplorare»

FG - Molto bene, ti ringrazio molto per questo reportage

Chat GPT- Di niente! Sono sempre qui per aiutare. Se hai bisogno di altro, non esitare a chiedere! Quanto a domande a e su Chat GPT siamo solo all’inizio. Ma siccome da Kapuściński siamo partiti val la pena di chiudere con le sue parole, stavolta vere: «Le nuove tecnologie facilitano enormemente il nostro lavoro ma non ne prendono il posto. Tutti i problemi della nostra professione e le nostre qualità rimangono inalterati. Qualsiasi miglioramento tecnico può aiutarci, ma non sostituirsi al nostro lavoro, alla nostra dedizione, al nostro studio, al nostro esplorare e ricercare». Era l’anno 2000, il libro è Il cinico non è adatto a questo mestiere (edizioni e/o) e pare scritto oggi.

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INTELLIGENZA ARTIFICIALE E DIRITTO D’AUTORE

Di chi è l’opera creata da Chat GPT? Criticità e prospettive

Il sistema di intelligenza artificiale più noto ha scelto di “assegnare” all’utente i diritti di proprietà intellettuale. Ma in futuro chi e come potrà contrattare con i colossi tecnologici? Solo i grandi gruppi editoriali riusciranno a spuntare condizioni eque?

di Alberto Contini, avvocato esperto di diritto della proprietà intellettuale - avv.albertocontini@gmail.com

L’avvento di sistemi di intelligenza artificiale sempre più evoluti ed in grado di realizzare su un input dell’utente testi scritti e immagini fotografiche pone importanti sfide di corretta gestione dei diritti di proprietà industriale e intellettuale.

Il contesto normativo

Sia l'art. 2576 del Codice Civile italiano, sia l'art. 6 della L. 633/41 (legge speciale sul diritto d'autore: di seguito anche LdA) stabiliscono che il diritto d'autore su un'opera letteraria o una fotografia sorge con la creazione dell’opera stessa (diversamente da quanto accade per marchi e brevetti, non occorre alcuna procedura di registrazione). Allo stesso tempo, l'art. 2580 del Codice Civile stabilisce che la titolarità del diritto d'autore appartiene all'autore e ai suoi aventi diritto. Nel caso di opere collettive si deve considerare come creatore la persona che ha organizzato la creazione stessa (art. 7 LdA). Se l'opera d'arte è stata creata con il contributo indistinguibile di più persone, il diritto d'autore appartiene congiuntamente a tutti gli autori (art. 10 LdA). Nel caso di software realizzato da un dipendente (ma il principio è applicabile a qualsiasi altro tipo di opera commissionata a terzi), la titolarità appartiene

Il diritto d'autore su un'opera letteraria o una fotografia sorge con la creazione dell’opera stessa

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Tra l’utente del sistema di intelligenza artificiale e lo sviluppatore, chi deve essere considerato autore o comunque titolare dei diritti?

al committente, salvo patto contrario (art. 12 bis LdA). Infine non va dimenticato che, almeno nel nostro ordinamento, per essere titolari di un diritto è necessario possedere “capacità giuridica” che, attualmente, è riconosciuta alle persone fisiche e ad alcune specifiche categorie di persone giuridiche (come società, fondazioni ecc.). Software e dispositivi vari, pertanto, non possiedono capacità giuridica e non possono essere titolari di diritti.

Riflessioni preliminari

La prima domanda è dunque: in caso di articolo o immagine generata da un sistema di intelligenza artificiale, sussiste un diritto d’autore sugli stessi? E se sì, chi ne è titolare?

La risposta alla prima domanda non può che essere sì, se sussistono i requisiti di legge previsti del resto per le opere create da giornalisti e fotografi in “carne e ossa”. Pertanto l’opera creata tramite un sistema di intelligenza artificiale, per essere tutelabile, dovrà avere carattere creativo, ossia essere nuova ed originale. Non si condivide pertanto l’impostazione che vorrebbe che le opere realizzate dai sistemi di intelligenza siano liberamente sfruttabili da chiunque.

La risposta alla seconda domanda è invece più complessa. Evidentemente, vista l’assenza di capacità giuridica in capo ad un sistema di intelligenza artificiale, il relativo diritto non potrà essere “rivendicato” dal sistema stesso, benché possa formalmente apparire come l’autore dell’opera.

Il tema è invece aperto (specie in assenza di pronunce giurisprudenziali in merito) rispetto a chi, tra l’utente del sistema di intelligenza artificiale e lo sviluppatore di quest’ultimo, debba essere considerato autore o comunque titolare dei diritti di sfruttamento economico dell’opera.

Nulla quaestio, se il rapporto tra questi due soggetti sia stato previamente disciplinato contrattualmente. Ad esempio, nei Term of Use di ChatGPT la scelta contrattuale è stata quella di “assegnare” all’utente la titolarità degli eventuali diritti di proprietà intellettuale sull’opera creata dal sistema, fatto salvo il solo diritto dello sviluppatore di usare il contenuto per la gestione ed il miglioramento del servizio offerto.

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MIX DI STILI. Immagine creata con il sistema di intelligenza artificiale DALL E

La differenza sta nell'input

Quale sarà, invece, la relativa disciplina in assenza di pattuizioni contrattuali esplicite? Personalmente ritengo che la soluzione al quesito dipenda dalla “qualità” dell’input fornito al sistema. Laddove tale input sia limitato alla semplice formulazione di una richiesta (ad es. “crea un articolo che riassuma i fatti legati a Tangentopoli” oppure “crea una fotografia che raffiguri due calciatori impegnati in un contrasto di gioco”) poi elaborata interamente dal sistema di intelligenza artificiale, la titolarità dovrebbe spettare allo sviluppatore in quanto soggetto che ha realizzato un sistema in grado di crearla.

Laddove invece l’input fornito dall’utente sia “sostanziale” - perché prevede la messa a disposizione di una serie di dati fattuali selezionati secondo una logica dall’utente, il quale poi chiede al sistema di riorganizzarli in forma testuale

81 new Tabloid OpenAi
2. L'input: rielaborare la Venere di Botticelli nello stile di Andy Warhol.
È rilevante la “qualità” dell’input fornito al sistema, se cioè sia una semplice richiesta o comporti selezionare dati complessi

o di immagine secondo una logica da lui imposta - allora la titolarità spetterebbe all’utente. O almeno dovrebbe essere gestita in comunione tra i soggetti, secondo quote da stabilire anche in base al concreto apporto delle rispettive attività alla creazione dell’opera. Come accennato, in assenza di una normativa e di una giurisprudenza specifica, si tratta di questione controversa. Allo stato, però, la tesi secondo cui un'opera realizzata da un sistema di intelligenza artificiale ma con il contributo determinante dell’utente debba essere trattata come un'opera collettiva (ovvero che il relativo diritto d'autore appartenga congiuntamente allo sviluppatore e all'utente) pare la più convincente. In base alle considerazioni precedenti, risulta però evidente l'importanza di gestire su base contrattuale la titolarità dei diritti. In particolare, laddove una testata giornalistica o singoli autori commissionino o acquisiscano in licenza un sistema di intelligenza artificiale, sarà importante regolare con consapevolezza la titolarità degli eventuali diritti d’autore sui “prodotti” del lavoro del sistema stesso. Qui la discussione si sposta sulla effettiva “forza contrattuale” dei singoli contendenti. È lecito immaginare che solo i grandi gruppi editoriali avranno la forza di negoziare simili clausole con i colossi informatici senza subire condizioni di utilizzo non negoziabili.

Diritti di terzi

Ulteriore criticità riguarda la possibilità che l’opera realizzata dai sistemi di AI violi diritti di terzi. Come noto, infatti, tali sistemi si fondano sulla loro capacità di acquisire ed elaborare una base di dati preesistente (ad esempio il contenuto della rete internet) con conseguente rischio che l’output fornito possa “derivare” da una o più opere preesistenti di cui potrebbe rappresentare una elaborazione non autorizzata. Non è un caso, insomma, che nei già citati Terms of Use di ChatGPT sia già prevista una procedura di complaint per episodi di violazione di diritti di terzi. Una volta di più, insomma, l’uso di sistemi di intelligenza artificiale (che rappresenta certamente una sfida ma anche un’opportunità per giornalisti e fotografi) impone una conoscenza della disciplina dei diritti immateriali per evitare conseguenze dannose.

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Sarà importante regolare contrattualmente la titolarità degli eventuali diritti d’autore sui “prodotti” del lavoro del sistema stesso

«I lettori sono nostri complici: facciamo le cose insieme a loro»

Luca Sofri, fondatore e direttore del Post, racconta come oggi il giornale digitale abbia superato 60.000 abbonamenti grazie al tono confidenziale di una chiacchierata tra persone che si conoscono di Francesco Gaeta

Tra i fattori che hanno portato il Post a essere un caso di studio su come si possa o si debba fare un giornale digitale vi è la capacità di costruire e manutenere una community. Per dirla con le parole del fondatore e direttore Luca Sofri l’attitudine ad alimentare «un rapporto complice con i nostri lettori». Questa complicità si traduce oggi in oltre 60.000 abbonamenti, che consentono al giornale di non dipendere interamente dalla pubblicità, di avere risorse per ingrandire la redazione (25 i giornalisti assunti) e di aggiungere prodotti per i propri lettori: oltre agli articoli, podcast, libri, eventi offline. Dal 2019, anno di introduzione degli abbonamenti (quello annuale costa 80 euro), il Post ha dunque imboccato un modello di sostenibilità basato sulla membership, fatto inedito per l’Italia. Segno che la formula dell’Explanatory Journalism, delle «cose spiegate bene», è diventata un fattore distintivo che si è tradotto in valore monetario.

Oggi il Post non dipende più interamente dalla pubblicità e ha risorse per ingrandire la redazione e aggiungere nuovi prodotti

Quali le leve per arrivare a 60mila abbonamenti?

Fare bene delle cose vecchie, cioè appunto spiegare le cose bene. Non è una cosa così innovativa, perché è molto antica. Il punto è che questa cosa non c’era in giro. Abbiamo dato risposta – e

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CASI DI STUDIO/1 - COME SI CREA UNA COMMUNITY

anche un po’ creato e alimentato - una domanda che appunto non aveva risposte.

Cosa altro ha aiutato?

Il fatto di partire da zero, piccoli e con rischi limitati. Se come si fa di solito fai un giornale senza occuparti troppo di chi ti legge, è poi molto più difficile indirizzarlo verso la creazione di un rapporto di fiducia con i lettori. Noi abbiamo lavorato su quella cosa lì da subito, con una comunità molto ridotta. Abbiamo curato “fisicamente” il nostro rapporto con i lettori, abbiamo risposto e comunicato moltissimo, e spiegato le cose che facevamo. Abbiamo colmato un bisogno insomma.

Cosa c’è esattamente dentro questo bisogno?

Non solo una domanda di informazione, ma un desiderio di partecipazione. È un fenomeno che non riguarda solo il Post. Oggi i vecchi luoghi di partecipazione lasciano il posto ad altri. Possono essere una trasmissione televisiva come Propaganda live oppure il Festival di giornalismo di Internazionale. Le persone sono desiderose e gratificate di partecipare a qualcosa in cui si riconoscono. L’importante è che non si sentano soltanto dei destinatari ma appunto partecipanti a un progetto comune.

«Tra i lettori non c'è solo una domanda d'informazione ma di partecipazione. Non si sentono destinatari ma parte di un progetto»

Ora che siete cresciuti cosa è cambiato in questo lavoro di manutenzione della community? È diventato più complesso. Abbiamo un pubblico più esteso, con profili identitari differenti e vari. Bisogna da una parte avvicinarlo ai nostri modi di fare le cose e dall’altra raggiungere persone che magari non sono così coerenti con lo zoccolo duro dei nostri lettori originari.

È come passare da una boutique a un grande negozio. Sì esatto. Tempo fa un amico giornalista di un grosso quotidiano mi chiese se questo approccio sartoriale del Post potesse essere replicato anche in un grande giornale. Gli dissi che mi sembrava molto difficile. Per crescere o rimanere grandi bisogna diventare più “industriali”. Allora devi fare una scelta, puoi anche decidere di rimanere sartoriale e fare le cose solo in quel modo lì.

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E qual è la vostra scelta?

Cerchiamo ancora di coltivare quell’approccio sartoriale ma stiamo appunto crescendo, e ovviamente la cosa ci piace. Però ci impone di lavorarci molto di più.

Qual è una descrizione sommaria della community del Post?

La nostra è una redazione di trentenni, e così anche i nostri lettori. Vivono molto più al Nord e nelle grandi città, innanzitutto Milano. Ci siamo ovviamente posti il tema di come allargare ad altri territori e ad altre fasce anagrafiche differenti. Appoggiarci a eventuali redazioni o collaborazioni esterne non è facile. Il Post è un progetto con una grandissima coerenza interna, il che può essere anche limitante. Ci sono cioè molte cose

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«Anche se siamo cresciuti
Cerchiamo di mantenere
l'approccio sartoriale che abbiamo avuto fin dall'inizio»
Mourad Balti Touati / ANSA LUCA SOFRI. Prima di fondare il Post ha scritto per Internazionale, Il Foglio, l'Unità, GQ, Panorama, Diario, Wired, Vanity Fair e La Gazzetta dello Sport.

che si possono fare e che anche a noi sembrano buone e interessanti ma non sono in sintonia con le cose come le facciamo noi.

Da lettore complice vedo due elementi che rendono il Post sartoriale. Il primo è un approccio “da conversazione” tra amici, quasi da aperitivo. Il secondo è un meccanismo che chiamerei da “cucina a vista”: i lettori sono informati su come la redazione fa quel che fa. Sì e aggiungerei una cosa a completamento di quel che dici: noi abbiamo sempre fatto il Post immaginando che i nostri lettori fossero simili a noi che lo facevamo. Da questo punto di vista è stato dunque importantissimo scegliere bene le persone che hanno fatto e fanno il Post, non solo per bravura e qualità, ma anche per la sintonia intorno a questo modo di fare le cose. Questa scelta è anche un rischio, significa limitare la diversità all’interno della redazione. Inoltre è anche vero che le persone a

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Il Post
IL GRUPPO DI LAVORO. Un'immagine di una riunione di redazione del Post. Oggi il giornale conta 25 giornalisti assunti.

cui ti rivolgi - soprattutto quando cresci - sono in parte diverse da te sotto moltissimi aspetti. E devi saperlo se ti interessa raggiungere pubblici ulteriori.

Ci sono stati momenti in cui vi siete accorti di avere un pubblico diverso da quello originario?

Sì, è stato durante la pandemia. Il Post è diventato conosciuto da una comunità molto più ampia di persone che volevano capire, essere rassicurate o comunque informate in maniera meno convulsa e meno contraddittoria. Cercavano chiarezza, accuratezza e affidabilità. Erano i nostri ingredienti, ma loro erano anche persone estranee ai nostri modi di fare le cose fino a quel momento.

Proprio a ridosso di quel momento, nel 2019, questa comunità si conta. C’erano dei timori sulla riuscita dell’esperimento abbonamenti?

«Il nostro progetto ha una grande coerenza interna e può essere un limite. Ci sono cose che si potrebbero fare e ci sembrano interessanti ma non sono in sintonia con il nostro modo di fare»

Ci avevamo ragionato da tempo, ed eravamo abbastanza rassicurati sulla disponibilità dei nostri lettori a sostenerci. I principali timori erano sul funzionamento della piattaforma, sulla tecnologia. Le cose sono andate molto meglio delle aspettative.

Ma è corretto parlare di abbonamenti? La gran parte dei contenuti è disponibile anche a chi non è abbonato. Sono due gli incentivi a sostenere il Post che abbiamo comunicato fin dall’inizio. Il primo: partecipare a un progetto di informazione di qualità. Il secondo: riservare alcuni servizi solo a chi si abbona. Inizialmente i servizi erano leggere il Post senza pubblicità, poter commentare gli articoli, ricevere la newsletter quotidiana, che aveva già una certa discreta popolarità. Si sono aggiunte nel tempo altre newsletter, dei podcast, e delle condizioni di privilegio rispetto agli eventi. Nei fatti per molto tempo il primo fattore è stato prevalente: le persone si sono abbonate al Post per sostenere il Post. Quello che ha po’ cambiato le cose è stata Morning, la rassegna stampa di Francesco Costa: c’è oggi una quota rilevante di persone che si abbonano per ascoltare Morning.

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Ci sono casi a cui vi siete ispirati per questo modello di membership?

L’unico esempio importante è stato il Guardian, che però incentiva molto il contributo una tantum anche in misure diverse e più libere. A noi da più garanzie la formula semplificata dei due tipi di abbonamento, mensile e annuale. E comunque, siccome la nostra priorità è che i nostri contenuti raggiungano più persone possibile non abbiamo mai messo in conto un paywall per limitare l’accesso.

E sul tono “confidenziale” la chiacchiera tra amici c’è qualche esempio che vi ha ispirati?

Anche qui la risposta è no. Semmai abbiamo preso molto dai blog, che è un mondo che conoscevo e frequentavo. La costruzione di un rapporto molto personale con chi legge, credo di averla ripresa da quella esperienza lì. Il primo annuncio che stava nascendo il Post è stato sul mio blog, 13 anni fa. L’approccio di cui stiamo parlando – del «facciamo una cosa insieme» - era già cominciato prima del Post.

Una leva per «fare le cose insieme» è la newsletter quotidiana. Una rassegna dei pezzi pubblicati, ma anche un pezzo in sé, piena di aneddoti sulla vita di redazione. Com’è nata l’idea e come la si alimenta oggi?

È stata un’idea mia, e quel tono lì è una cosa più caratteriale che commerciale. E se pensi che ormai quella newsletter arriva a circa 30.000 persone abbonate è diventata anche sproporzionata: ci sono persone magari appena abbonate al Post che si trovano dall’oggi al domani a ricevere una newsletter che dà per inteso una serie di cose a cui inevitabilmente sono estranee. La cosa che cerchiamo di fare è di evitare l’effetto biblioteca. Vogliamo evitare “l'effetto biblioteca”, cioè fare in modo che quando con la nostra newsletter qualcuno entra a casa nostra, per così dire, non si senta troppo a disagio, che insomma non ci sia troppo silenzio, che anzi se vuole si possa servire da bere.

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«Io conosco bene il mondo dei blog, e la costruzione di un rapporto molto personale con chi legge credo di averla presa da lì»
«La cosa che cerchiamo di fare è evitare che chi arriva da noi si senta in una biblioteca e che ci sia troppo silenzio o nulla da bere»

«Ascoltare chi ci legge, e astenersi dall’inseguire i click»

Parla Marco Giovannelli, fondatore e direttore di VareseNews: «Per i quotidiani locali un modello basato sulla membership come quello del Post è per ora impensabile. Ci si può arrivare solo restituendo qualità al nostro lavoro» di

Creare e alimentare una community intorno a un progetto di cronaca locale significa conoscere il territorio in cui si vive, ma soprattutto avere un’idea chiara della platea di riferimento, coglierne e interpretarne i bisogni informativi. Dinamiche interessanti se il territorio di riferimento è complesso, come nel caso della provincia di Varese, e se a osservarle è una testata digitale come VareseNews, che ha 25 anni di storia. Sono i numeri a dire che VareseNews, fondato e diretto da Marco Giovannelli, è un caso da studiare: in una provincia che conta 850.000 abitanti, VareseNews ha 5 milioni di visite al mese, 280.000 follower su Facebook e 80.000 su Instagram.

Partiamo dai dati: com'è fatta la vostra community?

C’è una prevalenza femminile, circa il 55%. Circa un quarto dei lettori ha meno di 35 anni e un altro quarto ne ha più di 55. Quindi il nostro zoccolo duro, circa il 50%, sta tra 35 e 54 anni.

E sul piano geografico?

Qui la faccenda si complica. La provincia ha due città di medie dimensioni, Varese e Busto Arsizio, che sono intorno agli 80.000 abitanti e poi altre due città, Gallarate e Saronno. Soprattutto è un territorio tutt’altro che omogeneo, molto differenziato.

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CASI
DI STUDIO/2 - COME SI CREA UNA COMMUNITY

Quali queste differenze?

La provincia di Varese ha tre anime. La prima è una zona montana prealpina, che copre metà del Lago Maggiore e fa circa 150.000 abitanti. La seconda è un’area centrale, dove si trova Varese, ed è quasi l’inizio di tutta la Pianura Padana: ci vivono circa 350.000 abitanti. La terza è la fascia pianeggiante, con paesi come Gallarate, Busto Arsizio, Saronno e Malpensa. Sono quasi tre province diverse.

Cosa intendi esattamente?

Un esempio: tutta la zona nord-nordest è confinante con la Svizzera. Ci vivono circa 35 mila varesotti che tutti i giorni vanno a lavorare in Svizzera. Hanno bisogni informativi e stili di vita molto più simili a quelli di chi vive a Como rispetto a quelli di chi abita a Gallarate o Busto Arsizio.

E quali invece i tratti omogenei di questo territorio?

La ricchezza di capitale umano, che è elevatissima. Nell’arco di 30 chilometri ci sono ben cinque atenei, a Varese esiste l’unica Scuola Europea in Italia, ci sono diversi ITS, gli istituti tecnici superiori post diploma. Altro dato saliente è una forte mobilità interna, che si deve a una rete fatta di tre autostrade e una miriade di linee ferroviarie. Infine un tessuto di aziende di caratura internazionale che qui hanno centri di produzione e ricerche: AerMacchi, Alenia, Leonardo, Whirlpool, B-Ticino.

In che modo tutto questo si riflette sul modo di fare informazione di VareseNews?

Noi abbiamo i numeri che abbiamo non soltanto perché conosciamo tutto questo ma anche perché abbiamo una relazione con tutto questo, che è in continuo movimento. Per riuscirci occorre avere uno sguardo “glocale”.

Termine creato dal Censis qualche anno fa. In che senso vale per questo territorio?

Quando parliamo di Whirlpool che ha casa madre a Chicago, Illinois, ma a Cassinetta ha un impianto di livello europeo parliamo di un’azienda mondiale o locale? E B-Ticino? È la più im-

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«Noi abbiamo i numeri che abbiamo non solo perché conosciamo il nostro territorio ma perché abbiamo una vera relazione con esso»

portante azienda mondiale di domotica, ha ormai la casa madre in Francia pur essendo nata qui. Sono aziende in cui puoi osservare dinamiche produttive internazionali. Su questo territorio tocchi con mano che vuol dire “villaggio globale”.

Per tutta una serie di motivi qui si incrocia una dimensione locale e una globale: ci tocca avere un piede saldo in questa provincia e uno sguardo molto più alto

Quindi chi fa informazione in un territorio “glocale” deve avere uno “sguardo strabico”.

È così. Ci tocca avere un piede saldo sul territorio e uno sguardo molto più alto. Pensa ai frontalieri: 35 mila lavoratori, ma considerando le famiglie forse 200.000 persone, che abitano in una trentina di comuni le cui casse comunali sono floride. Tenerne conto significa a volte dovere cambiare gerarchia alle notizie.

Puoi farci un esempio?

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MARCO GIOVANNELLI. È fondatore e direttore di VareseNews. Su Linkedin dice di sé: «Connettere mondi e narrarli è la mia passione».

La notizia dell’accordo fiscale siglato in Parlamento per recepire l’accordo bilaterale tra Italia e Svizzera. È una notizia nazionale ma è stata la più letta del giorno sulla nostra testata. Per il 95% dei media non significa nulla, perché non li riguarda.

Evitiamo di rincorrere i clic. Non demonizziamo né santifichiamo i social, semplicemente facciamo di tutto affinché da lì la gente sia invogliata a transitare sul giornale

Prima parlavi di tre province differenti. Raccontare la comunità vuol dire avere chiare le nostre microcomunità. La Valcuvia non ha niente a che vedere con quello che ti ho raccontato. Lì non c’è il treno, è una valle chiusa, ha tradizioni e vissuti incomprensibili per chi abita a Varese.

Come si fa ad ascoltare i lettori con queste differenze?

Abbiamo 20 giornalisti sul territorio, che sono delle antenne. Poi naturalmente ci sono i social. Dirette, eventi social, commenti ci offrono spunti su chi ci legge.

Come VareseNews utilizza i social?

Evitiamo di rincorrere i click. Abbiamo una presenza basata sul valore dell’informazione. Questo traccia un confine rispetto alla tipologia di relazione che tu vuoi costruire sui social. Noi siamo nati prima dei social e il nostro brand si era già affermato presso una fascia di lettori che oggi non ci perdonerebbe di rincorrere i trend dei social. Noi non demonizziamo né santifichiamo queste piattaforme. Facciamo di tutto, però, affinché dai social si sia invogliati a transitare sul giornale

Oggi i giornali tradizionali prendono le notizie dai social, le trattano senza criterio, scatenano la rissa e passano ad altro: io la trovo una follia

Che dati puoi portare su questo?

Nel 2022 abbiamo avuto quasi 60 milioni di visite, circa 5 milioni al mese. Per il 31% sono visite dirette, ed è il dato di cui sono più orgoglioso, per il 50,2% arrivano da Google, per il 17% arrivano dai social e per l’1,7%% da altri siti. Ma il dato più interessante è il “rimbalzo delle visite dirette”, che è al 53%. Vuol dire che tra le persone che sono arrivate cercando VareseNews, il 47% è rimasta per vedere altro dopo la prima notizia. Quelli che invece arrivano dai social se ne vanno in 84 casi

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su 100. Sono lettori più frettolosi e distratti. Anche per questo rincorrere i social da parte dei giornali tradizionali è una follia.

E cosa andrebbe fatto, invece?

I social devono riportare al giornale. Noi siamo VareseNews non Facebook o Instagram. Siamo giornalisti non influencer e questo fa una differenza enorme.

Spiegami meglio: qual è l’errore dei giornali?

Inseguire. Oggi un giornale, e parlo anche di grandi giornali, prende una notizia dai social, non la gestisce in maniera critica, fa circolare qualcosa che a volte non ha alcun fondamento, scatena una rissa per fare clic e poi passa ad altro. Superficialità e memoria corta. Io la trovo una follia.

Ci stiamo dicendo per l’ennesima volta: non facciamoci drogare dai click.

Sì alla fine la soluzione è sempre quella: dare bene le notizie.

FORMAZIONE. Al festival di giornalismo Glocal di novembre l'OgL ha contribuito organizzando cinque corsi di formazione su temi deontologici.

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Noi proviamo ad ascoltare i social, a prenderci degli elementi su cui costruire un racconto, ma mantenendoci fedeli a un’identità. Bisogna capire, ricordarsi che ruolo si ha. Il nostro è quello di favorire la crescita di una comunità intorno a un giornale locale.

Il festival Global è nato nel 2012 ed è stata una svolta: ogni anno diventiamo una sorta di hub per il mondo dei giornalisti, degli editori, degli studiosi di informazione

Quali altri strumenti o progetti negli anni avete sperimentato che hanno consentito di alimentare la community?

Il Festival Glocal sul giornalismo, anno di nascita 2012. È stata una svolta. Siamo usciti da una dimensione locale e siamo diventati un giornale glocale, che sta nel locale con un’attenzione alle dimensioni globali. Con Glocal, Varese diventa ogni anno una sorta di hub per una serie di mondi che sono quelli dei giornali, degli editori, degli studiosi dell’informazione.

Cosa vedi nel futuro di VareseNews?

La pubblicità rappresenta l'80% dei nostri ricavi (che da ultimo bilancio supera 1.600.000 euro). Assicurare la sostenibilità di questo sistema vuol dire puntare su progetti di comunicazione e su iniziative offline che consentano di sostenerci e fidelizzare i nostri lettori.

È possibile pensare per VareseNews a un modello membership come quello del Post?

Copiare il modello di membership de il Post? Per noi è impensabile: nell'informazione locale non puoi farti pagare per una cosa che è percepita come una commodity

Direi proprio di no. Il Post è un club di qualità, autorevole. Sono stati bravissimi a «spiegare bene le cose» e oggi raccolgono i frutti. Per un giornale locale è molto più complesso, il processo identitario da solo non basta. Noi dobbiamo dare notizie possibilmente prima degli altri, ma questo ha pochissimo valore rispetto alla costruzione di una membership, perché la notizia, dispiace doverlo dire, è sempre più una commodity. Io sono tenacemente convinto che bisognerà arrivare lì, però è un percorso complicato. La cosa da fare subito è restituire qualità al nostro lavoro.

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Medaglie alla carriera

Riunire chi ha 50 anni di iscrizione all'Ordine dei giornalisti della Lombardia è un riconoscimento alla passione di chi ha vissuto questa professione

Speciale a cura di Michele Februo

Foto di gruppo al termine della cerimonia di consegna del 29 novembre scorso

VOLTI E LE STORIE DEI GIORNALISTI 95
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Luciana, Claudio, Anna, Aldo, Renato, Federico, Maria Rita, Maurizio, Gaudenzio, Alberto, Luigi, Michele, Gigi, Bruno, Luciano, Dario, Massimo, Enrico, Sandro, Giuseppe, Massimo, Silvia, Gianna, Marina, Redento, Silvano, Renata, Camilla, Edgardo, Luciano S., Lina, Carlo, Giovanni A., Giorgio, Giovanni Bi., Giovanni Bo., Luciano B., Chiara, Antonio, Giuliano, Carlo, Giancarlo, Primo, Luca, Luigi, Giovanni Maria, Paolo (Pablo), Silvano, Manuela, Antonio, Paolo Marco. E poi Maria, Rosangela, Giuliano L. e Mariella.   E ancora Maria Grazia, Francesco B., Gaetano M., Renato, Vittorio, Silvana, Paolo L., Paolo P., Carmelo, Mario, Giancarlo, Lidia, Giovanni Riccardo, Alessandra ed Enrico R.. Eh sì, è proprio un bell’elenco di colleghe e colleghi che diventa bellissimo se, sfogliando e rileggendo le loro schede, si scopre in quali redazioni hanno lavorato: La Gazzetta di Mantova, Il Corriere della sera, Topolino, Ansa, Il Resto del Carlino, TV Sorrisi e Canzoni, Elle Decor, Rai, Il Giornale, Autotecnica, Mototecnica, Bell’Italia, Avanti, Il Giorno, Libero, Radio Televisione

Svizzera Italiana, La Notte, La Stampa, l’Eco di Bergamo, Uomo Vogue, Vogue

Italia, Il Tempo, Meridiani, Il Giornale di Brescia, La Provincia di Cremona, Meridiani, Il Mondo, Panorama, Il Secolo XIX e tantissime altre testate. Insomma un concentrato della nostra stampa passata e presente.

Strade e piazze di Milano, piuttosto che di altre cittadine, dove gli incontri -programmati o fortuiti- hanno segnato la loro e la nostra storia: scoop, esclusive, record, anteprime, interviste, chiacchierate a microfoni spenti, foto ufficiali o rubate o ancora fortunate, aneddoti e ricordi, bufale e refusi… Quanta storia -e che bella storia- nelle loro parole e nella loro esperienza. Quanto profumo di tipografia, quanto ticchettio delle macchine da scrivere, quanta carta finita nell’archivio C (soprattutto all’inizio!), quanti minuti, ore e giornate “rubate” per quella “maledetta ma splendida” professione! Magari gli incarichi sono stati diversi, c’è chi ha iniziato correggendo bozze (per la fortuna dei lettori) e chi ha avuto la fortuna di entrare subito in redazione, chi poi è diventato “leggenda”, “sconosciuto” caporedattore, direttore ed a volte anche editore, ma la passione, l’impegno e l’amore che hanno profuso in questa nostra professione li rende meritevoli non solo di un riconoscimento, ma anche e soprattutto di un grande rispetto. Rispetto che va al di là di quello mostrato il 29 novembre quando l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia le e li ha celebrati con una mattinata dedicata a loro e solo a loro aperta dalle parole del Presidente Riccardo Sorrentino e proseguita con la consegna della medaglia d’oro per i 50 anni di iscrizione all’Ordine.

Medaglie alla carriera 96

ALAGNA LUCIANA

Ha iniziato a collaborare a 17 anni alla cronaca del Corriere Lombardo con capocronista Carlo De Martino e quando, presa dall’emozione dei primi articoli, suonò al portone del carcere di San Vittore per scriverci un pezzo per poco non si fece arrestare. Passò quindi alla Notte di Nino Nutrizio e, dopo qualche anno di pausa, divenne corrispondente del Giornale d’Italia dove, nella redazione milanese, lavorò con Enzo Tortora profugo dalla Rai.

Erano gli anni di piombo e il momento buio delle gambizzazioni e dei sequestri da parte delle Brigate Rosse. Seguendo a Genova il caso del giudice Mario Sossi, fu l’unica che riuscì a intervistare il Procuratore Generale Francesco Coco. Nell’ottobre dell’80 andò al Giornale di Montanelli per poi trasferirsi a La Voce insieme al suo fondatore. Si occupò anche del disastro dell’Icmesa di Seveso.

ALTAROCCA CLAUDIO

Si iscrive all’Albo Pubblicisti nel 1972 a 32 anni, mentre collabora al Resto del Carlino ed è assistente al Corso di laurea DAMS nell’Università di Bologna. Nel 1977 è assunto al Giorno da Gaetano Afeltra come critico televisivo e responsabile della terza pagina e delle pagine letterarie. Con la direzione di Guglielmo Zucconi e di Pierluigi Magnaschi è caposervizio agli Spettacoli e caporedattore. Nel 1987 Gaetano Scardocchia lo chiama a La Stampa, dove è responsabile della redazione milanese e poi inviato culturale.

ATTINÀ GIOVANNI

Pi ccolo cronista dall’estrema periferia, come si definisce lui stesso quando racconta che la passione per il giornalismo è nata sui banchi della scuola superiore a Reggio Calabria. Arrivato al Nord, la passione è continuata e, appena ha avuto la possibilità, ha iniziato la collaborazione con L’Eco di Bergamo. Il primo pezzullo, una breve, è del 1969 e racconta di uno spettacolo musicale con Al Bano e suo fratello. Da fine ’69 sono iniziate le collaborazioni da Calolziocorte e Valle San Martino con il Corriere della Sera e poi via, con quelle con Il giornale di Lecco, La Notte, Il Giornale di Bergamo, Il Resegone, Radio Grignetta, Radio Alta, Radio Cristal, Tv Bergamo. Ancora oggi collabora con L’Eco di Bergamo tra cronaca nera, bianca con migliaia di sedute dei consigli comunali.

97 new Tabloid

BASSANI ANNABELLA

Vedova di Vieri Poggiali, ha cominciato con collaborazioni ad Amica con direttore Alberti, dove si occupò di rubriche di lettere delle lettrici, ma anche di lavoro e orientamento professionale. È poi a Repubblica (cronaca di Milano, quartieri, negozi, novità). Quando decide di cercare un lavoro fisso entra in Mondadori nel gruppo economia e tecnologie con Serra e svolge il ruolo di segreteria di redazione in occasione dell’uscita di Zerouno. Entra all’ufficio stampa e marketing della Honeywell ma dopo due anni torna in Mondadori a Segrate con il praticantato nel gruppo Cucina (3 testate: Guida Cucina, Cucina moderna e Sale e pepe, direttrice Bernasconi).

BESANA RENATO

Giornalista e scrittore, Besana si è occupato di editoria e, dal 1995 al 2015, di programmi culturali in Rai. A lungo caporedattore della rivista AD, ha collaborato, tra l’altro, al Giornale e al Tempo e attualmente scrive su Libero. Vicepresidente dei Pomeriggi Musicali di Milano dal 1998 al 2006, ha fatto parte del consiglio d’amministrazione della Triennale di Milano per due mandati, dal 2000 al 2005 e dal 2009 al 2013, e in seguito di quello del Teatro dell’Arte. Nel 2007 entra nel consiglio di amministrazione della Cineteca italiana fondata da Luigi Comencini. Tra i suoi libri, Lili Marleen (1981), Il Crociato (1983), entrambi con Marcello Staglieno, Frontiera di nebbia (1983, Premio Hemingway), Sconcerto italiano (2008), La grande T rossa, la Triennale di Miano 1923-2015 (2016).

BERNACCHI ALDO

Il refuso è un virus endemico mai estirpato e quindi ormai tollerato nella vita di un giornalista. Ma quando nella parola setaiolo la “t” viene sostituita dalla ”g” il refuso è pesante tanto più se è nel lead di un’intervista a un importante industriale comasco, allora - siamo nel 1980 - ai vertici della Federtessile. È quanto gli è successo al Giorno dove era da poco tornato dal Corriere della Sera come capo servizio di economia-finanza. Con Sergio Crippa, autore dell’intervista, erano soliti rientrare in redazione poco prima di mezzanotte per visionare la prima edizione stampata. Quella volta però, sbiancarono di fronte a quel refuso. Come sfuggì? Uno scherzo insensato del linotipista? L’importante fu bloccare tutto e ristampare la pagina. Così si fece. Ma quella notte Bernacchi non dormì pensando al “day after”. Fortunatamente andò meglio del temuto. Cercarono di limitare al massimo il danno. « Dottore, siamo desolati, abbiamo bloccato subito il giornale. Ci creda, sono pochissime le copie con quell’imperdonabile refuso » . « Sarà -gli rispose il setaiolo-, ma quelle con il “segaiolo comasco” sono purtroppo arrivate anche qui sul lago dove lavoro » .

98 Medaglie alla carriera

BERNARDINI DE PACE GIORGIO

Il suo percorso è iniziato in Condé Nast nel 1972, a 21 anni come assistente di Flavio Lucchini, direttore di Uomo Vogue e Vogue, cosa che gli ha permesso di lavorare con grandissimi fotografi e artisti conoscendo davvero il mondo e questo lavoro. Lì ha ricevuto la formazione professionale che lo ha accompagnato per i successivi 50 anni, quando il suo vero ruolo è stato quello di giornalista/editore. In questi 50 anni di lavoro ha diretto più di 100 diversi periodici nel settore del collezionabile, del tempo libero, dei lavori femminili e della salute. Attualmente dirige (da 7 anni circa) due riviste storiche ASTRA Speciale e OK Salute&Benessere.

BIANCHESSI GIOVANNI

Sc rivere per il giornale, cercare notizie, fatti e persone da pubblicare è una occupazione o meglio un modo di vivere che lo accompagna da oltre 50 anni, praticamente dal 1967, quando ha scritto le prime cronache sportive per La Provincia di Cremona. Naturalmente la vita è fatta di relazioni, interessi, impegni familiari e non che vanno oltre il lavoro vero e proprio e che assorbono spazi importanti all’interno di ogni giornata. Le emozioni e le gioie dei nipotini che giocano a calcio o a rugby sono impagabili e imperdibili.

BINI FEDERICO

Per Federico Bini l’esperienza giornalistica è stata un cammino. Ha iniziato da ragazzo di bottega a Calcio Illustrato e ha finito da direttore al mensile Meridiani. In mezzo ha lavorato per quotidiani, settimanali, radio e televisione. Un’avventura che gli ha permesso di vedere e vivere gli straordinari cambiamenti produttivi avvenuti negli anni. Dal piombo alla fotocomposizione e alle pagine soft, dall’analogico al digitale. Così se un tempo girava i servizi con le Betacam da 14 chili oggi basta un telefonino. Tutto questo lavorando per il Giornale di Montanelli, per il settimanale l’Europeo, per Mediaset sia in programmi che nei diversi tg, per Meridiani della Domus. Dopo la pensione ha scritto qualche libro, in particolare per i ragazzi.

99 new Tabloid

BISESTILE MARIA RITA

Maria Rita Bisestile, redattrice dell’Avanti dal ‘67 al ‘79 e poi caposervizio e inviato presso Il Sole 24 Ore sino al 1999, negli ultimi 20 anni non ha fatto nulla che possa interessare il pubblico. Si è soltanto dedicata ai suoi studi e alle sue ricerche personali, alle sue letture, ai suoi sport preferiti, alla sua famiglia, ai suoi amici e alla coltivazione di fiori e ortaggi.

BUONOCORE LUCIANO

Negli ultimi anni è stato direttore responsabile della rivista Lotta Europea. Una tesi di laurea su Lotta Europea è stata assegnata dal Professor Roberto Chiarini, Preside Facoltà di Scienze Politiche Statale di Milano, alla studentessa Elisabetta Cattini. Buonocore è stato direttore delle riviste Area, La Goccia, Noi Di Peschiera. Collaboratore della casa editrice Volpe. Autore del libro “La Maggioranza Silenziosa” e collaboratore del Secolo d’Italia.

CALZOLARI MAURIZIO

Assunto il primo aprile 1971 all’Ansa - dove è rimasto sino a metà ’86 - Maurizio Calzolari passa poi nel 1986 a ItaliaOggi - come inviato speciale - e alla Mondadori (1989-2001), nelle redazioni di Espansione, Il giornale della Banca e Casaviva. Nel frattempo diviene consigliere dell’Inpgi e va in pensione nel 2001 giovanissimo con 36 anni di contributi. Fa parte di un paio di Commissioni per gli esami professionali dell’Ordine e per tre anni è stato consigliere di amministrazione della Casagit.

CAPELLI GAUDENZIO

“Legend” della Walt Disney Europe e Walt Disney Company. Basterebbe questa definizione per “dipingere” Gaudenzio Capelli che, entrato come correttore, è divenuto direttore di Topolino portandolo (nel 1992) ad una tiratura di un milione di copie, per poi assumere la direzione di Barbie. Passato dalla Tv, Capelli si è anche occupato di sport con il Trofeo Topolino di Sci. Al di là dei numerosi aneddoti coi quali potrebbe allietarci, Capelli ci tiene a sottolineare quella qualifica dalla quale siamo partiti: “Legend – Leggenda Disney”, che campeggia all’ingresso di Eurodisney Parigi (insieme ai nomi di altre 25 leggende) e a Los Angeles davanti alla sede della Company dove il suo nome compare tra i “famosi” del mondo. Insomma, da…apprendista stregone a Topolino!

100 Medaglie alla carriera

CARLONI ALBERTO

Alberto Carloni, oggi 76enne, milanese, sposato, una figlia, un nipotino, studi classici al Leone XIII, laurea in Giurisprudenza, alla fine degli Anni 60 è correttore di bozze a Supercalcio di Alberto Ballarin (ma il suo vero lavoro è portare a spasso il cane lupo del direttore). Nel 1970 va alla Gazzetta di Mantova di Eramo e Bulbarelli. Ci resta 7 anni passando, fra l’altro, molte e molte domeniche a seguire le gesta calcistiche dei bianconeri del Suzzara. Nel 1977 torna a Milano ed entra nell’équipe di Sorrisi di Gigi Vesigna, dove resta per ben 32 anni (tanto che si parlava di “Tv Sorrisi e Carloni”), prima come caposervizio delle pagine delle emittenti locali e poi - per lunghi anni - come caporedattore di chiusura. Nel 2002 entra nell’Ordine religioso dei Servi di Maria e da alcuni anni vive con la moglie Miranda a Branzi dove si dedica alla predicazione e all’esegesi biblica.

CAVALIERI LUIGI

Dopo anni come pubblicista svolge il praticantato alla Gazzetta di Mantova e diventa professionista il 13 dicembre 1980. Come pubblicista ha fondato e diretto il settimanale Periferia ed è stato corrispondente del Resto del Carlino e del Giornale di Brescia. È stato addetto stampa dell’Amministrazione Provinciale di Brescia e dell’Unione Provinciale dell’Artigianato di Brescia, per cui ha curato e diretto la rivista Brescia Artigiana. Nel 2006 ha fondato la rivista ProfiloSalute (in precedenza Brescia Farmacia Futura e Farmacia Futura) che si occupa di Salute-Benessere-Bellezza e di cui è tuttora direttore responsabile così come è addetto stampa dell’Ordine dei Farmacisti della Provincia di Brescia e della Ge.SI Srl, società che si occupa della gestione di servizi integrati per le case popolari. Collaboratore fisso della rivista AreaBlu in distribuzione nell’area del Garda.

CELESTINI CHIARA

Iscritta da tempo all’albo dei pubblicisti (ma anche all’albo degli architetti, anche se non avrebbe potuto essere inserita in due albi professionali). In realtà da più di 15 anni non ha più collaborazioni a riviste di arredamento (si occupava soprattutto degli allestimenti fotografici per il settore casa in principio per Amica poi per Elle Decor e Brava Casa e per l’editore Rusconi). Ora fa solo l’architetto e neanche a pieno tempo.

101 new Tabloid

DA ROLD GIANLUIGI

Gigi Da Rold si avvicina al giornalismo nel 1970 con l’Avanti e diventa professionista nel 1972. Nel 1975 entra al Corriere della Sera, diventandone, nel 1980, inviato speciale. Amico personale di Walter Tobagi, nel 1978 dà vita assieme a lui a “Stampa Democratica”. Alla morte di Tobagi, Da Rold raccoglie i suoi scritti pubblicandoli col titolo “Il coraggio della ragione”. Entrato in Rai, assume la condirezione della sede lombarda nel 1994 passando successivamente alla direzione de L’Indipendente. Abbandonata l’esperienza dopo pochi mesi, diventa collaboratore de Il Giornale. Scrive sul Sussidiario. Ha scritto libri come Assalto alla diligenza. Il bottino delle privatizzazioni all’italiana (2012); Annientate Tobagi! (2000); L’ Italia svenduta. Intervista a Lorenzo Necci (2002); Da Ottone alla P2 (1982); Rapporto sul medio oriente: Israele e gli Stati Arabi (1970).

DE PRATO BRUNO

Grazie agli studi e al bilinguismo, è un divulgatore scientifico dell’ingegneria motoristica, dalle moto ai jet, e delle fonti energetiche alternative. Ha costantemente tenuto aggiornate le sue conoscenze scientifiche per sottoporre ai lettori analisi tecnico-scientifiche rigorose e appassionate. In campo TV ha curato per Rete 4 l’edizione italiana del programma ABC Wide World of Sports. Ha fondato due riviste tecnico-ingegneristiche di successo: Autotecnica e Mototecnica mentre ora svolge la libera professione collaborando a quotidiani, riviste e siti web, sia in Italia che negli USA. Cura anche un suo sito di analisi dei problemi energetici e ambientali e…non ha nessuna intenzione di ritirarsi.

DI PIETRO LUCIANO

Gli ultimi dodici anni della sua “carriera” li ha trascorsi come direttore di Bell’Italia, Bell’Europa e In Viaggio (Giorgio Mondadori-Cairo Editore). Per alcuni periodi la direzione delle tre testate si è svolta “in contemporanea”.

102 Medaglie alla carriera

FERTILIO DARIO

Nato nel 1949 Fertilio discende da una famiglia di origine dalmata e vive a Milano. Giornalista e scrittore, per anni uno dei responsabili al Corriere della Sera delle pagine politiche e culturali, oggi sperimenta diverse forme espressive alternando articoli su vari giornali italiani e internazionali, oltre a narrativa e saggistica.  Con il capo dei dissidenti antisovietici, Vladimir Bukovskij, ha lanciato il Memento Gulag, giornata della memoria per le vittime del comunismo e di tutti i totalitarismi, che si celebra il 7 novembre. Tra i suoi libri più noti, la raccolta di racconti “La morte rossa”, il saggio “Ultime notizie dal diavolo” e il romanzo storico “L’ultima notte dei Fratelli Cervi”, vincitore del Premio Acqui Storia 2013. Insegna Teorie e tecniche della comunicazione giornalistica all’università Statale di Milano.

FINI MASSIMO

Arriva al giornalismo nel 1970 all’Avanti, dove segue come cronista i più importanti fatti di criminalità politica di quegli anni. A fine 1972 passa, come inviato, all’Europeo di Tommaso Giglio e Oriana Fallaci che lascia nel giugno del 1979 «perché occupato dai socialisti di Claudio Martelli mentre la Rizzoli è in mano a Bruno Tassan Din». Nei primi anni ‘80 anima, insieme al fondatore Aldo Canale, il mensile di politica e cultura Pagina dove si sono formati tra gli altri Ernesto Galli della Loggia, Paolo Mieli, Giuliano Ferrara, Pier Luigi Battista e Giampiero Mughini, mentre nel 1982 entra al Giorno di Guglielmo Zucconi e Pier Luigi Magnaschi, come inviato ed editorialista, cominciando una solitaria battaglia contro la partitocrazia. Nel 1992 passa all’Indipendente di Vittorio Feltri e contribuisce alla crescita del quotidiano ma quando Feltri lascia si rifiuta di seguirlo al Giornale di Silvio Berlusconi. Oggi, dopo aver vinto il premio Montanelli e aver scritto molti libri, lavora per il Fatto Quotidiano, Il Gazzettino e dirige il mensile La Voce del Ribelle.

FOGLIO ANTONIO

Antonio Foglio laureato in economia all’Università Bocconi, in scienze politiche alla Statale di Milano) e lingue straniere (alla Bocconi), si è specializzato in marketing internazionale presso le Università di Tübingen ed Oxford. Ha un’esperienza ultra quarantennale di marketing, dapprima come dirigente di azienda e successivamente come docente in marketing (Università Bocconi-SDA, Università di Verona, Università Suffolk di Boston, Academy of Management di Almaty, Università Statale di Ashgabat, Università e Academy of Art di Vilnius, Università di Kaunas) e di consulente di organismi nazionali ed internazionali (Ue, Unesco), nonché di primarie industrie italiane, di enti regionali e pubblici. È giornalista pubblicista dal 1971 avendo pubblicato articoli di marketing ed economici su varie testate giornalistiche (Il Sole 24 Ore, Largo Consumo, Agricoop, Il Corriere Ortofrutticolo, ecc.).

103 new Tabloid

FORNIER GIULIANO

Fornier ha lavorato per oltre 40 anni per la Radio e Televisione della Svizzera Italiana, dove conduceva un programma “Broadway, Hollywood e Las Vegas”. Ha intervistato numerosi personaggi dello spettacolo (musica e cinema americano). Ha collaborato a trasmissioni RAI e Canale 5 con Mike Bongiorno, sempre conducendo interviste a cantanti e artisti. Ha scritto articoli su riviste di musica e ha condotto programmi radiofonici per varie emittenti italiane e straniere (Radio Meneghina, GMMY Radio in California e altre). Ha anche collaborato per anni ai festival del Jazz di Ascona e di Rimini.

GARDELLA MARIELLA

Mariella Gardella, milanese di nascita e caprese per scelta e per amore, è stata caporedattrice di Linea Italiana e Vogue Italia con Vogue Shopping del mitico direttore Franco Sartori. Dagli anni Settanta agli anni Novanta, ha collaborato con i più importanti fotografi di moda, fra cui Guy Bourdin, Helmut Newton e Norman Parkinson; ha intervistato i personaggi piu famosi della moda internazionale, da Diane Vreeland a Yves St.Laurent, da Armani a Missoni, e del design, come Ettore Sotsass, Philiph  Starck e Piero Pinto. È stata fashion contributor per numerose riviste italiane ed estere tra cui Harpers&Queen e The Protagonist magazine. Nella sua esperienza di appassionata viaggiatrice, per lavoro e per piacere (il suo motto: “viaggiare, vedere e poi tornare”), ha scritto il suo primo libro, “No hurry, no curry, don’t worry”, durante il suo meraviglioso viaggio in Rajasthan.

GERBI SANDRO

Nasce nel 1943 in Perù dove il padre Antonello, capo dell’Ufficio studi della Comit, era stato trasferito nel 1938 da Raffaele Mattioli per sottrarlo alle leggi razziali e rientra nella primavera 1948 a Milano. Si laurea in legge e lavora per un anno (1968) alla Banca Italo-Israeliana, trascorrendo poi 6 mesi negli Stati Uniti. Alla fine del 1969 è assunto dallo studio di agenti di cambio Scandellari-Ventura-Lanella come assistente di Renato Cantoni, come giornalista ed esperto finanziario associato allo stesso studio, che lo introduce nel mondo giornalistico e grazie al quale nel 1971 inizia a scrivere articoli di attualità di Borsa sul Mondo fino al 1975. Nel 1977 passa al Giorno dove resta un anno e mezzo, diventando giornalista professionista. Lasciato il posto fisso al Giorno, svolge un’intensa attività pubblicistica, come free-lance. Tra l’altro fonda e dirige dal 1978 al 1987 la Lettera SIGE, newsletter mensile dedicata ai mercati monetario e obbligazionario. Nel 1990 abbandona i temi finanziari e si dedica alla storia contemporanea. Scrive su La Stampa, poi nel 1992, passa al Corriere della Sera, fino al 2000 e quindi per 9 anni collabora al Domenicale del Sole-24 Ore per poi tornare, altri 3 anni al Corriere. Dal 2012 interrompe il lavoro giornalistico, per dedicarsi alla produzione di libri tra i quali “Raffaele Mattioli e il filosofo domato”, “Mattioli e Cuccia. Due banchieri del Novecento”, “Ebrei riluttanti”, “Giovanni Enriques, dalla Olivetti alla Zanichelli” e l’ultimo “Il selvaggio dell’Orinoco sulle orme del padre”.

104 Medaglie alla carriera

GRANGIOTTI GIUSEPPE

Negli ultimi anni ha provato a godersi la pensione dopo aver fatto il giornalista per oltre un terzo di secolo smettendo quando si è accorto che la professione non andava più d’accordo con la passionaccia che lo aveva ispirato. Collaboratore, pubblicista, poi - da professionista - redattore, capocronista, segretario di redazione e caporedattore, Grangiotti ha mosso i primi passi al Secolo XIX in esplosiva espansione sotto la direzione di Piero Ottone, grande motivatore di giovani. Nell’estate 1970 scovò a Laigueglia Gerd Müller, mitico centravanti della nazionale tedesca che aveva appena vinto la classifica dei marcatori ai Mondiali messicani e lo intervistò su un dondolo della pensioncina dov’era in vacanza con la moglie e, solo a cose fatte («ero giovanissimo -sottolinea- ma la sapevo lunga»), avvisò la redazione a Genova. Passò poi al Giornale di Brescia, negli anni della nascita della concorrenza di Bresciaoggi, creando anche una delle prime pagine dedicate al turismo nel panorama dei quotidiani italiani che ha curato per circa trent’anni.

LAUDI GIULIANO

Una naturale predisposizione alla brillantezza, unitamente al desiderio continuo dell’approfondimento sono stati i cardini che hanno guidato l’attività giornalistica di Giuliano Laudi, nel corso di lunghi anni, caratterizzati da un’inesausta voglia di sperimentare nuove vie perché i fatti da tradurre in notizie avessero senso compiuto e capacità di attrazione nei confronti del lettore. Il suo percorso si è snodato tra collaborazioni varie, dalla Provincia Pavese all’Arena di Verona a Panorama, ed è passato anche attraverso le onde radiofoniche della RSI - Radio della Svizzera Italiana (a Lugano) con interviste a personaggi famosi. Tutto questo ha consolidato un ricchissimo ventaglio di competenze entro i cui argini far confluire il flusso continuo di curiosità che Giuliano Laudi trasformava in propellente per conoscenze nuove. Tra le interviste ricordiamo quelle a Enzo Tortora, ad Ella Fitzgerald, e a Ivo Pitanguy, re mondiale della chirurgia plastica.

LODI MASSIMO

Nato l’11 febbraio 1950, ha passato mezzo secolo nelle periferie del giornalismo. Quasi quarant’anni alla Prealpina di Varese, da cronista a caporedattore centrale. Poi un decennio alla Provincia, firmando articoli di politica, cultura, sport. Infine direttore del sito RMFonline.it e editorialista di Malpensa 24.it. Corrispondente da Varese di varie testate: Rai, Stampa, Corriere dello Sport, Resto del Carlino, Guerin Sportivo. Ha scritto libri di storia locale, narrativa, sport. Tra quest’ultimi, “Il mio calcio, la mia Juve”, edito da Sperling&Kupfer, con Marcello Lippi. Fissato un appuntamento nella sede bianconera per avere conferma della prefazione di Umberto Agnelli, scambiò un elegante usciere in doppiopetto blu per il capufficio stampa. Ma la prefazione del Dottore, persino autografa, arrivò lo stesso.

105 new Tabloid

LURAGHI MARINA

Marina Luraghi nasce a Milano il 5 luglio 1939. Compiuti studi umanistici, entra come praticante giornalista a Linea Italiana della Mondadori. Il 2 maggio 1972 diviene giornalista professionista contribuendo nella sua carriera giornalistica alla affermazione della moda italiana. Passata alla Rizzoli diviene caporedattore e poi vicedirettore di Annabella. Successivamente viene nominata redattore capo di Uomo Vogue. Diventa poi direttore di Gardenia prima di tornare in Rizzoli come vicedirettore di Annabella e conclude la sua carriera giornalistica come vicedirettore di Bella. Sul finire del 2021 pubblica il libro “Avrei voluto fare il pittore…” dedicato alla vocazione pittorica del manager Luraghi.

MARTINENGHI SILVIA

Giornalista professionista e consulente di comunicazione, Silvia nel 1968 frequenta le redazioni di Amica, Linea Italiana e L’Uomo Vogue. Verso i primi anni novanta apre Regia press & media, ufficio stampa per comunicazione e PR e lavora come referente stampa in ambito fashion e accessori, tessile, benessere, cultura e design casa. Tuttora consulente ufficio stampa da Missoni per la Home (Rosita Missoni). Molti i contatti di collaborazione tra i quali alcuni gruppi fashion internazionali; brand moda; tessile; strutture termali. Cura anche l’ufficio stampa per eventi. Martinenghi ha curato la stesura e pubblicazione di due libri dedicati uno al gruppo Filpucci e l’altro al calzaturificio Baldinini. Da golfista Silvia ha vinto un campionato giornalisti.

MEAZZA CARLO

Da fotografo ha collaborato a giornali e riviste. Ha realizzato una novantina di libri legati all’ambiente, sia umano che naturale soprattutto in Lombardia. Recentemente ha realizzato un libro sulla transumanza delle pecore in Lombardia che si chiama “Rèmench”, uno sui luoghi della Resistenza nei romanzi di Calvino, Fenoglio e Meneghello e uno sui luoghi lombardi riconosciuti dall’Unesco come patrimonio della Umanità. Quest’anno ne escono due, uno sugli Ospizi e i passi alpini e l’altro sui luoghi di vita di Dante Isella e degli autori ai quali si è dedicato per buona parte della vita quali Porta, Tessa, Montale, Gadda, Manzoni, Sereni ecc. ecc. Vive a Varese, se gli capita fa qualche mostra e … gli piacciono le acrobate del circo.

106 Medaglie alla carriera

MILANO GIANNA

Giornalista scientifica del settimanale Panorama fino al 2009, e ora freelance per varie testate (L’Espresso, La Stampa, Salute Internazionale, Tag43, Capital, Recenti Progressi in Medicina), è stata research fellow alla Knight Science Journalism Program al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston e ha ottenuto una scholarship ad Harvard University, a Cambridge, negli Usa, per un progetto di ricerca su Biotecnologie e Bioetica. Dal 2001 al 2017 è docente al master di comunicazione scientifica alla Scuola Internazionale Studi Superiori Avanzati (SISSA) di Trieste. Dal 2002 al 2009 ha organizzato e coordinato il Corso di giornalismo scientifico presso il Laboratorio di biologia dello sviluppo alla Università di Pavia. È autrice di alcuni libri tra i quali ricordiamo “Puoi correre Rocco: Sangue e AIDS, Cronaca di uno scandalo italiano”, “Bioetica dalla A alla Z”, “La rivoluzione delle cellule staminali” e “Cronaca di una morte opportuna”.

MORI REDENTO

Debutta nel 1966 (quando esce il suo primo articolo firmato) nella redazione di Parma del Resto del Carlino per poi passare alla “concorrenza” della Gazzetta e, qualche mese dopo, ai periodici della Mondadori con collaborazioni a la Repubblica e Panorama. Nel 1978 diventa responsabile della redazione romana di Espansione che lascia dieci anni dopo, avendo nel frattempo assunto - come responsabile dell’informazione economica della Mondadori - la direzione dello stesso giornale, del Giornale delle Assicurazioni e dei trimestrali Harvard Espansione e Marketing. Nel 1988 diventa direttore responsabile de Il Mondo per poi assumere la direzione editoriale di RCS Periodici sino al 2005. Nel “durante” pubblica tra l’altro il “Dizionario dei termini economici” e svolge molte altre attività editoriali.

NAVA GIANCARLO

Incomincia a lavorare nel 1950 scrivendo di ciclismo su Il Lambro per passare poi a La Brianza, Tribuna monzese, Voce sport di Bergamo, Corriere di Monza, La settimana sportiva, Calcio lombardo. Ha fondato anche -da appassionato- il Circolo Fotografico Monzese. Non si fa mancare televisioni e radio (Teleradio Monza Brianza e Novaradio tra e altre) e nel 1985 assume la direzione di Noi pasticceri, periodico dell’Associazione pasticceri della provincia di Milano. Dal 1990 cura la realizzazione di Commercio 2000 il periodico dell’Unione commercianti di Monza e Brianza di cui è addetto stampa e di Monza sprint, periodico degli Amici dell’Autodromo e dell’USSM, Unione Società Sportive Monzesi. Attraverso le colonne de il Cittadino, Nava -che è stato anche consigliere della Cassa assistenza dei giornalisti italiani e proboviro della Federazione nazionale della stampa - ha curato ancora la “Storia di giornali e giornalisti” a Monza e il censimento delle cascine in città. Nel 1982 è premiato con la Corona ferrea per gli 11 anni trascorsi nella veste di cronista del Consiglio comunale di Monza.

107 new Tabloid

NOÈ PIETRO

In pensione dal 2009, Pietro Noè prima ha lavorato per Regione Lombardia redigendo comunicati e opuscoli nei settori Istruzione e Polizia Locale. Ha realizzato anche qualche collaborazione a periodici musicali e di auto storiche, ma saltuaria.

NOVELLI UGO

Ugo Lorenzo Novelli si è sempre firmato Luca Novelli, come scrittore, disegnatore e giornalista.  Collaboratore Rai dal 1986, anche delle trasmissioni di Enzo Biagi, non ha mai smesso di farlo.  Come autore e conduttore per Rai Educational ha realizzato le due serie televisive Lampi di genio in tv. Autore per Rizzoli della serie libri “In viaggio con Darwin”, sostiene tuttora il progetto su quotidiani e periodici e cura le sue collane di scienze per ragazzi, con conferenze e interventi su giornali di settore.  La sua collana “Lampi di genio, Biografie di Grandi Scienziati” per Editoriale Scienza/Giunti è tradotta in 28 lingue e la collana “i Genietti” (Brioschi Editore) in otto. Scrive spesso di scienza e ambiente sul periodico Andersen e sul suo blog www.lucanovelli.info

PEREGO LUIGI

Dopo un inizio - come accade spesso- nei piccoli giornali locali (nel suo caso Azione Socialista) ed un primo pezzo su L’Avanti nel 1966, Perego crea insieme a Maurizio Lozza il giornale comunale di Novate Milanese “Informazioni municipali” (edito ancora oggi). Dopo l’esperienza della direzione del giornale della Lega per le autonomie locali della Lombardia “Orientamenti amministrativi” e di sindaco della cittadina dal 1975 al 1990, Perego manda alle stampe il suo libro “Uomini e istituzioni a Novate Milanese. Dizionario dei consigli comunali e dintorni 1861-2005”, un tomo di 450 pagine entrato nella “storia” di Novate. Pubblica poi altri libri tra i quali “Un sentiero lungo 45 anni” dove racconta le sue numerose escursioni ed esperienze di alpinista sulle Dolomiti del Brenta trentine.

108 Medaglie alla carriera

PESENTI GIOVANNA MARIA

Anna Pesenti è stata per circa vent’anni, fino al 1995, direttore dell’Istituto Spumante Italiano Metodo Classico e proprio in quel periodo, i grandi Spumanti Italiani hanno progressivamente conquistato posizioni di alto rilievo e prestigio non solo nel nostro Paese ma anche all’estero. Ha poi lasciato l’Istituto ed è tornata alle sue attività iniziali: il giornalismo e le Relazioni Pubbliche nei settori dell’alimentazione, della moda, della cosmetica, dello spettacolo e delle manifestazioni in genere dei quali si era già occupata nei primi anni della sua attività. Bergamasca di origine, Pesenti ha fatto le sue prime esperienze nel Giornale di Bergamo e ha collaborato con importanti periodici come Gioia, Civiltà del Bere, Vini e Liquori, Mixer, Cucina Bella e Buona, Menu, Cambusa, Il Corriere Vinicolo ed altri.

PIACENTINI SILVANO

La sua carriera giornalistica inizia nel 1969 come praticante  nella redazione della rivista Motociclismo dopo aver corretto bozze alla Gazzetta dello Sport. Ha seguito per numerosi anni il campionato del mondo di motociclismo, dove spadroneggiava Giacomo Agostini, i mondiali di motocross e di trial. Dal 1988  ha diretto gli speciali Motociclismo d’Epoca,  Tutto le moto del mondo, Vacanze in moto, Motociclismo Fuoristrada sino al 1992 quando entra, sino al 2005, nella redazione di Automobilismo, sempre del gruppo Edisport, dedicandosi in particolare alla sicurezza stradale, un argomento che gli consente di vincere nel 1995 e nel 1996 un primo e un secondo premio in un concorso indetto dal Ministero dei Trasporti. Dal 2005 al 2010  su chiamata dal Direttore Ferruccio De Bortoli collabora alle pagine motori del  Sole 24 Ore.

PISU RENATA

Non voleva fare la giornalista da piccola, voleva fare la sinologa, occuparsi e scrivere della Cina dove nel 1957 era andata a studiare lingua e storia per tre anni all’Università di Pechino. Da poco tornata In Italia ricevette una telefonata del direttore di ABC, Gaetano Baldacci, il quale le propose di curare la prima storia fotografica della rivoluzione cinese, a dispense. Accettò e da lì cominciò la sua lunga avventura nel giornalismo, con un occhio alla Cina ma anche al costume, al sesso, alla cronaca, alla cultura, fino a che approdò al Radiocorriere TV, per passare poi alla Stampa che la inviò in Estremo Oriente come corrispondente da Tokyo per quattro anni. Credeva di aver chiuso il cerchio, invece arrivò un’altra telefonata a sorpresa, questa volta di Eugenio Scalfari, che aveva molto apprezzato una sua inchiesta sulle suore di clausura e le chiedeva se voleva passare a la Repubblica. E così fu, altri dieci anni come inviata di esteri sul fronte di tutte le disgrazie del mondo, dal Ruanda a Sarajevo, non dimenticando mai Cina ed Estremo Oriente «ma -come scrive lei- non occupandomi più, purtroppo, di suore».

109 new Tabloid

PORTA CARLA CAMILLA

Milanese, Carla Camilla Porta una volta terminati gli studi inizia subito a lavorare come psicologa e solo poi si avvicina alla carta stampata, iniziando a collaborare al Corriere della sera, Pagina della donna, con “Le nostre professioni” e articoli vari, anche su L’illustrato del Corsera e poi su Amica, il Mondo e Corriere d’Informazione. A queste prime esperienze se ne affiancano molte altre nel giornalismo, nell’editoria. Nel 1975 pubblica infatti presso Sonzogno editore “Senza distinzione di sesso. Guida al nuovo diritto di famiglia” e due anni dopo, “La donna e il diritto al lavoro”. Ricorda ancora quando si presentò al Presidente De Martino per l’iscrizione all’albo dei pubblicisti con una busta di ritagli di quanto pubblicato. «De Martino la prese in mano soppesandola mormorando “Un po’ leggerina” poi l’aprì e si affrettò a correggersi: “No, no, va bene, va bene».  Passò ai professionisti nel 1979 alle Pagine della Salute di Annabella, dove venne assunta nello stesso anno e dove è rimasta fino a quando, dopo essere finita in cassa integrazione, nel ‘97 ha raggiunto la pensione. Non è mancato il suo apporto al sindacato: ha partecipato più volte al comitato di redazione sia della testata sia aziendale.

ROSSI PAOLO (PABLO)

Pablo Rossi è nato a Buenos Aires, si è laureato in giurisprudenza a Milano ed è stato direttore della comunicazione e segretario generale in importanti imprese ed organizzazioni industriali private e pubbliche. Si è occupato di Terzo Settore come segretario generale di una Onlus. Dal 10 luglio 1972 è pubblicista. Ha scritto per volumi collettivi, per quotidiani e per periodici numerosi saggi e articoli su temi di comunicazione ed economici, nonché su argomenti culturali e artistici. È anche curatore degli Archivi storici Giuseppe Eugenio Luraghi (con Marina Luraghi) e Attilio Rossi. Ha pubblicato per Mursia i romanzi noir “L’ombra del poeta” e “Il sangue e l’oro” ambientati durante la Guerra civile spagnola. Scrive ed edita da un quarto di secolo una collana di libretti annuali non venali con i quali ripercorre vicende artistiche e culturali del secolo scorso, che hanno come protagonista il pittore e grafico Attilio Rossi.

RUSMINI SILVANO

Silvano Rusmini, milanese, da oltre 30 anni è residente a Carate Brianza. La sua attività giornalistica inizia, come freelance, negli anni ‘60 con collaborazioni con una rivista di motori Il Pilota e una musicale Tuttamusica (entrambe scomparse). L’ iscrizione all’albo, come pubblicista, avviene nel 1972 grazie a delle collaborazioni con riviste della Palazzi Editore: Tempo, Qui Giovani e Mare2000 (oggi scomparse). Nel 1983 ha fondato il mensile -tuttora esistente - Il mondo della birra (la prima pubblicazione al mondo sul tema) della quale è stato direttore responsabile fino al maggio 2020. Nel corso degli anni, si sono aggiunte altre pubblicazioni: Locali top (mensile recentemente chiuso) e Grossisti Bevande Italia (bimestrale, organo dei grossisti di food and beverage tuttora in essere).

110 Medaglie alla carriera

SCHIOPPA SALVADEGO MANUELA

Ha iniziato negli ultimi anni del Liceo, curando una rubrica di moda, “Per noi giovani” (e poi anche “Per voi Signore”), sul quotidiano milanese La Notte. Nel 1972 il direttore, Nino Nutrizio, la incoraggiò ad iscriversi all’Ordine dei Giornalisti (e fu una grande emozione e un grande onore). Durante l’Università (Facoltà di Architettura) collaborò con varie testate occupandosi sempre di Moda e introducendo poco alla volta il Design. Appena laureata, spostò la sua attività completamente su Architettura d’Interni e Design, sia come giornalista (per testate come Abitare o La mia casa), sia, sempre di più, come architetto libero professionista (aprendo il suo studio professionale) continuando però a collaborare con le testate di settore, curando i testi e le immagini dei progetti da lei realizzati come, recentemente, su Giardino Italiano nel 2019 ( Paysage Editore), per la pubblicazione del parco di un Resort nel Siracusano da lei curato, sulla rivista La casa di una volta  nel 2016 (Lotus Publishing), per un servizio su una dimora storica o ancora sulla rivista Casa chic nel 2014 ( Lotus Publishing), per un’abitazione che aveva realizzato a Parigi. E continua ancora, con l’entusiasmo di sempre, a coltivare un lavoro che non smette mai di appassionarla.

SIGNATI EDGARDO

Una vita passata alla Gazzetta dello Sport dove entra come giovane giornalista ed esce come caporedattore e responsabile degli speciali della rosea passando dal “tavolo” del calcio come caposervizio e segretario di redazione (nel 2006). Un immenso archivio di ricordi che spaziano dalla “figurina” in rosa che lo immortalò per l’uscita del Direttore Candido Cannavò, alle foto con Pelé e Maradona, dalle Champions ai Mondiali del 2006, dal Pallone d’oro di Andrij Sevcenko alla visita a casa di Adriano Celentano (un evento rarissimo). Ma l’aneddoto che più ricorda risale al 2007. «In quell’anno il mio Milan -racconta Vignati- vinse la Champions ad Atene contro il Liverpool e Galliani portò in Gazzetta la Coppa dalle grandi orecchie. Ebbene si pose il problema di dove conservarla per la notte visto che in redazione non avevamo un luogo sicuro. La soluzione? Semplice, la portai a casa mia e ci dormii accanto»

SIMONCELLI LUCIANO

Dopo la Laurea in Scienze Politiche, ha scritto sulle pagine de Il Mulino, dell’Avvenire, del Corriere della Sera e della Domenica del Corriere, del Reader’s Digest per Selezione, di Millelibri e della Stampa. Non soltanto cronaca e reportage ma anche una predilezione per il mondo dei libri che lo ha portato a scoprire e pubblicare testi inediti di Buzzati, Piovene, Emanuelli, Pasolini, Valeri, Guareschi. È così passato alla direzione editoriale di Rusconi Libri, Idealibri e poi ha creato - con Simonelli Editore - simonel.com, casa editrice fra le prime, nel 1997, ad introdurre gli eBook in Italia e ad avere una propria testata online, L’ISTRICE.

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Andata in pensione ha pensato di guadagnarsela aiutando la sua città (Milano). Ha parlato con Beppe Sala ed ha fondato Quartieri Tranquilli (www.quartieritranquilli.it), associazione impegnata a rendere i quartieri milanesi più sostenbili e solidali. Ha per sua fortuna molti collaboratori ex giornalisti del Corriere della Sera. L'associazione è presente in molti quartieri e «tenta di fare qualcosa, molto aiutata dalla Fondazione Cariplo, Enel Cuore e la Fondazione Ganassini». L’operazione più riuscita è il rifacimento dell’ospedale per bambini Buzzi che è stato affrescato dai ragazzi dell'Accademia di Brera, è stato dotato di sale ospedaliere e nuovi macchinari molto moderni e di camici per dottori ed infermieri firmati Armani. Ogni anno a Sant’Ambrogio l'associazione porta la Prima della Scala a San Vittore.

SOTIS LINA SPILLER ANTONIO

Grazie al giornalista Mario Mercuri, padre della sua adorata sposa Anita (ma lei frequentava la Cattolica, lui la Statale), iniziò a collaborare ad Aggiornamenti Sociali, la rivista dei padri di san Fedele sul tema della libertà d’informazione, quindi ad Avvenire e come critico cinematografico a Letture. Fatta la tessera, Sony Italia gli affidò la direzione di Millecanali tv, il giornale che nel triennio 1975-78 coronò lo skyline delle città con 8000 antenne trasmittenti (all’epoca Berlusconi a Segrate aveva soltanto un telecinema ma era un imprenditore lungimirante). Successivamente, premiato all’ESA di Norwijk e all’Intelsat di Washington prese a pubblicare con la South Publishing Co. di New York.

VEGETTI ROSANGELA

Giornalista professionista, impegnata nell’informazione della diocesi di Milano. Ma anche nel campo dell’ecumenismo, del dialogo interreligioso e nella promozione della figura e del ruolo della donna nella Chiesa. Come ha scritto il giornale Avvenire, ecco nei suoi tratti essenziali il ritratto di Rosangela Vegetti, morta all’età di 77 anni – era nata l’11 luglio 1945 – a causa di un male incurabile, che in pochi mesi l’ha strappata alla vita e all’impegno ecclesiale.

112 Medaglie alla carriera

VOLONTERIO PAOLO MARCO

Ha iniziato a scrivere i primi articoletti nel 1963 da studente sulle pagine di Seregno de Il Cittadino di Monza e Brianza e, dal 1967 alla soglia degli anni 2000, ha collaborato con Stadio e Corriere dello Sport. Nello stesso periodo entra a far parte del comitato di redazione del periodico I quaderni della Brianza, incarico che occupa tuttora. Nel gennaio 1972 entra nell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia. Nel 1975 fonda insieme ad altri l’emittente libera Radio Seregno -dove rimane sino alla chiusura nel 2010- con l’incarico di vice direttore e responsabili dei servizi giornalisti e sportivi continuando sempre la collaborazione con Il Cittadino di Monza e della Brianza per il quale crea e dirige Il Cittadino dei piccoli. Nel 1981 è chiamato come redattore al nascente quotidiano Ordine della Brianza (che durò solo due anni) e, nel 1982 diviene responsabile della redazione di Seregno del bisettimanale Il Cittadino di Monza e Brianza fino al 2006, anno del cambio di proprietà della testata, tornando poi tra i collaboratori dove si trova tuttora. Negli anni '80 e '90 ha collaborato anche con L’Eco di Monza, il Giornale di Monza e con l’emittente televisiva Canale 6. Per 20 anni ha collaborato con il Corriere della Sera (pagina Lombardia), La Stampa di Torino e Italpress. Coautore di “Il futuro nella tradizione e nella attualità”, “Seregno 1981”, “Giussano 1981” e “Seveso 1982”, ha diretto i periodici sportivi “Azzurro”, “Qui Seregno” e “Tutto hockey”.

ZANDA CARLO

«Sono stato anch’io un giornalista felice e sconosciuto e lo sono ancora oggi che posso occuparmi di ciò che mi interessa e scriverne. Devo a questo privilegio i tre libri pubblicati in questi anni. Ma un privilegio ancora più grande –ci ha scritto lo stesso Zanda- è stato poter lavorare da ragazzo per Paese Sera nella seconda metà dei Settanta e prima ancora al Globo, il piccolo giornale (direttori Antonio Ghirelli e Mario Pirani) condannato nel ’74 alla chiusura per l’appoggio dato al divorzio nel referendum. Giornalisti, impiegati e tipografi occuparono insieme la redazione per quattro mesi, giorno e notte, e riunendosi ogni pomeriggio in assemblea, dividendo i proventi delle collette secondo il numero di figli e tentando (invano) di salvare il giornale con una cooperativa. Ero nel Cdr, fu la mia università. Un altro mondo».

113 new Tabloid
Medaglie alla carriera 114
LEGGENDA. Gaudenzio Capelli, già direttore di Topolino e "Legend" della Disney.
www.odg.mi.it
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SPILLER ANTONIO

2min
pages 111-113

SOTIS LINA

1min
page 111

PESENTI GIOVANNA MARIA

5min
pages 108-111

BIANCHESSI GIOVANNI

15min
pages 98-107

ALTAROCCA CLAUDIO

3min
pages 96-98

ALAGNA LUCIANA

1min
page 96

Medaglie alla carriera

1min
pages 94-95

«Ascoltare chi ci legge, e astenersi dall’inseguire i click»

6min
pages 88-94

CASI DI STUDIO/1 - COME SI CREA UNA COMMUNITY «I lettori sono nostri complici: facciamo le cose insieme a loro»

6min
pages 82-87

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E DIRITTO D’AUTORE Di chi è l’opera creata da Chat GPT? Criticità e prospettive

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pages 78-81

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E GIORNALISMO L’articolo di Ryszard Kapuściński che non avete mai letto

11min
pages 70-77

«Una scuola di metodo per affrontare le nuove sfide»

2min
pages 66-69

SCUOLE DI GIORNALISMO «Fiducia è la parola chiave del nostro lavoro»

3min
pages 62-66

«Cosa serve oggi ai nuovi giornalisti? Essere inquieti»

3min
pages 59-61

Corsi di alta qualità a prezzi simbolici

6min
pages 54-58

Una decisione in tema di violenza di genere e pubblicazione di atti giudiziari

3min
pages 50-54

INFORMAZIONE VS PUBBLICITÀ Visto dalle aziende: il criterio sovrano è la riconoscibilità

4min
pages 46-49

Visto dai giornalisti: la via stretta dell’autodisciplina

3min
pages 43-45

Un decreto che è pieno soltanto di buone intenzioni

4min
pages 38-41

Le nostre proposte sulla presunzione d’innocenza

6min
pages 32-37

Come si verifica una notizia? Rallentando e dubitando

4min
pages 28-31

L’INFORMAZIONE TRA INCERTEZZA E ACCURATEZZA Fare debunking è il vero lavoro dentro il lavoro

4min
pages 25-27

i dati non tornano

3min
pages 21-25

Otto cose che la pandemia ha insegnato ai giornalisti

4min
pages 17-21

L’INFORMAZIONE TRA INCERTEZZA E ACCURATEZZA La terra di mezzo del «giornalismo di qualità»

6min
pages 11-17

Insight

2min
pages 9-10

SommarioSommario

1min
pages 5-7
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Tabloid 2023 - Numero 1 by OdgMi - Issuu