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Le nostre proposte sulla presunzione d’innocenza

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SPILLER ANTONIO

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Applicare il decreto alla sola cronaca giudiziaria, garantire una informazione istituzionale di base da parte delle Procure, consentire libero accesso agli atti pubblici, e per parte nostra rafforzare la formazione dei giornalisti specializzati di Riccardo Sorrentino, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia

Non sparate sul messaggero. Non è colpa sua. Regola antica, ma difficile da applicare, a quanto sembra, quando il messaggero è un giornalista. Al punto che il decreto legislativo sulla “presunzione di innocenza” – principio giuridico e processuale di grande civiltà – ha colpito pesantemente la cronaca nera e giudiziaria, anche se non ha introdotto regole sulla nostra professione. Il “decreto Cartabia” è l’esempio di come una legge sia lo strumento meno indicato per cercare un equilibrio tra i grandi diritti. Destinata, con tutta probabilità, a colpire gli eccessi, soprattutto da parte delle forze dell’ordine, nella pubblicità delle indagini, ha creato una situazione abnorme. Non ha migliorato la comunicazione delle Procure e non ha tutelato gli indagati dal danno reputazionale – anche se molti penalisti applaudono alla legge, criticandola magari per la sua timidezza – che è, più della presunzione di innocenza, il vero problema oggi.

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Il “decreto Cartabia” è l’esempio di come una legge sia lo strumento meno indicato per cercare un equilibrio tra i grandi diritti

La nostra risposta: un documento di proposta

L’Ordine dei giornalisti – il Consiglio nazionale e quelli regionali – si è attivato subito per protestare, per segnalare i problemi, per chiedere nuove norme. Incontrando un grande muro, segno che dall’altra parte si era creato un equilibrio, poco sano

L’OgL ha costituito una commissione di colleghi, per esaminare le concrete modalità di applicazione nelle diverse circoscrizioni giudiziarie, e per elaborare un documento e instabile, tra culture e interessi diversi. In un recente incontro, il Procuratore di Milano Marcello Viola – che interpreta le norme in maniera restrittiva – ha fatto chiaramente riferimento alle diverse sollecitazioni e alle diverse richieste a cui la Procura è sottoposta, persino al suo interno.

L’Ordine della Lombardia ha presto compreso che gli strumenti classici – la protesta, l’incontro con i magistrati – avrebbero prodotto ben poco. Occorreva una strategia di medio periodo che fosse all’altezza della sfida. Ha quindi costituito una commissione di colleghi, per esaminare le concrete modalità di applicazione nelle diverse circoscrizioni giudiziarie, e per elaborare un documento che andasse al di là della denuncia e proponesse un percorso diverso rispetto alle interpretazioni dominanti. Il documento, approvato a fine dicembre, viene in queste settimane presentato in diverse occasioni pubbliche, a un uditorio di avvocati, magistrati, ex magistrati. Comincia a farsi strada, nella discussione: il sito dell'OgL terrà conto dei vari sviluppi.

Applicare il decreto alla sola comunicazione istituzionale della procura e della polizia giudiziaria. La cronaca nera ne deve restare fuori, e così tutta l’attività di polizia

La strada individuata, agendo a livello regionale è stata quella di proporre un’interpretazione virtuosa delle norme esistenti, pur ribadendo la necessità di cambiare quelle regole, basandosi su alcuni documenti eleborati dalla stessa magistratura, italiana e europea. Uno il principio: applicare il decreto alla sola comunicazione istituzionale della procura e della polizia giudiziaria. La cronaca nera ne deve restare fuori, e così tutta l’attività di polizia. Allo stesso tempo, come era già stato proposto da altri colleghi, occorre che siano resi pubblici tutti i documenti depositati, in formato elettronico e con costi rivisti (per tutti, per evitare discriminazioni). La comunicazione istituzionale di qualunque ente pubblico non impedisce il rapporto diretto con i giornalisti, necessario per esempio, per verificare le notizie raccolte altrove. La comunicazione, inoltre, deve essere costante e completa. Il silenzio, insomma, non è una soluzione. Gli avvocati penalisti pensano che lo sia, ma nel silenzio si fanno strada le fonti più spregiudicate, e si creano rapporti anomali – “strategici” – tra magistrati e poliziotti, da una parte, e giornalisti dall’altra. Rapporti anomali che impediscono, soprattutto, un’analisi critica dell’operato di procure e polizie, nel timore di perdere rapporti privilegiati. Una comunicazione istituzionale di base potrebbe creare invece quel level playing field che non impedisce ai giornalisti più capaci di emergere –l’Ordine non lavora certo per l’appiattimento della professione – ma evita che qualcuno sia escluso dai flussi, per qualsiasi motivo.

Una comunicazione istituzionale di base potrebbe creare quel level playing field che non impedisce ai giornalisti più capaci di emergere

Non basta. Occorre – e questi aspetti sono emersi in maniera evidente nei colloqui pubblici con avvocati e magistrati – che si evitino equivoci tra diversi principi giuridici.

La comunicazione delle Procure e della polizia giudiziaria non coincide con l’interesse pubblico, che sta ai giornalisti interpretare

I principi da salvaguardare Primo. L’”interesse pubblico” che le norme richiedono perché sia lecita la comunicazione delle Procure e della polizia giudiziaria non è l’interesse dei cittadini che sta ai giornalisti – giornalisti attivi e non passivi – riuscire a interpretare (oggi, peraltro, con l’aiuto di strumenti molecolari, come internet e social networks). Questa distinzione rafforza l’idea che la legge possa essere applicata alla comunicazione istituzionale, ma non a tutti i flussi di notizie rilevanti per un’informazione accurata e corretta; e, soprattutto, impone un’interpretazione decisamente estensiva dell’interesse pubblico.

Il principio della presunzione di innocenza si rivolge agli organi dello Stato, non alla stampa

Secondo. Il principio della presunzione di innocenza si rivolge agli organi dello Stato, non alla stampa: impone a magistrati e polizia di non trattare come colpevoli – di non sanzionare privando della libertà, quindi – le persone prima di una sentenza, a meno che non ci siano ragioni molto particolari e previste da una legge. I giornalisti fanno il loro lavoro, e devono farlo in piena libertà. Anche perché le informazioni emerse in un processo, anche se portano a un proscioglimento dell’imputato, possono essere rilevanti sul piano politico, sociale, economico, etico, e devono essere libere. Sarebbe assurdo pensare che una legge imponga a tutti – o anche ai soli giornalisti – di essere innocentisti fino a sentenza e non semplicemente di segnalare, come è corretto fare in tutte le forme di giornalismo “a tesi”, fatti e ragionamenti che vanno in senso opposto alla posizione sostenuta. Verrebbe meno la possibilità di analisi critica delle procedure giudiziarie.

Il giornalismo diventa rilevante su un punto molto specifico: il danno reputazionale. Quando gli avvocati penalisti invocano il segreto su tutte le indagini è a questo aspetto, indubbiamente delicato, che fanno riferimento. Dimenticano che il silenzio farebbe emergere informazioni frammentarie, fuori contesto, in cui il danno reputazionale sarebbe decisamente maggiore. Viviamo in società in cui non solo vige di fatto – come ha sottolineato il giurista Glauco Giostra – una “presunzione di colpevolezza” nei confronti di chiunque cada nelle maglie del- la giustizia, ma in cui è costantemente alimentato dalla politica un populismo penale o, all’opposto, un giustizialismo law and order garantista solo con i potenti. In questo contesto va richiamato il principio “Non sparate sul messaggero”. Indagini più rapide, dibattimenti più veloci, un linguaggio – da parte di giudici magistrati e avvocati –sempre rigorosamente tecnico ma meno gergale, possono rendere un servizio migliore non solo al giornalismo ma anche alla società e alla giustizia.

Sappiamo tutti che abusi ci sono stati, ma siamo tutti convinti che l’errore di un singolo non deve –non dovrebbe – penalizzare tutta la categoria

Questo significa che i giornalisti non hanno nulla da rimproverarsi? Sappiamo tutti che abusi ci sono stati, ma siamo tutti convinti che l’errore di un singolo non deve – non dovrebbe –penalizzare tutta la categoria: è questa, del resto, la funzione della deontologia e dei consigli di disciplina, che devono essere messi in condizioni di dare pubblicità al loro operato, che nel

Il nostro lavoro va spostato su un altro piano: quello della selezione delle notizie rilevanti, l’inseguimento dei click ci colloca in un circolo vizioso in cui alla fine perdiamo tutti sistema italiano – e in Lombardia in particolare – non è organizzato in modo da coprire i colleghi. La difesa corporativa, nel nostro caso del giornalismo, è esattamente questo: fare in modo che le responsabilità personali restino personali, e non diventino collettive. È vero anche che non bastano le formule di rito – il “presunto” assassino, l’indagato – per evitare il danno reputazionale. Deve essere evidente che le indagini sono l’argomentazione dell’accusa, non quella del giudice, tenendo anche conto della quantità elevata di errori giudiziari in Italia. La formazione continua diventa allora sempre più importante. Interpretare i vari passaggi della procedura, leggere le carte processuali, seguire criticamente le indagini, avere consapevolezza dei limiti dell’operato della Procura, sono cose fondamentali.

Soprattutto – e non vale solo per la cronaca giudiziaria, la quale assume però un valore paradigmatico – occorre essere protagonisti attivi dell’informazione. Non abbiamo più il ruolo di dar voce all’opinione pubblica e tantomeno ai vari orientamenti politici: a quello, ormai, ci pensano direttamente i social network. Il nostro lavoro va spostato su un altro piano: quello della selezione delle notizie rilevanti – l’inseguimento dei click ci colloca in un circolo vizioso in cui, alla fine, perdiamo – e quello della verifica di tutte le informazioni. È un percorso ricco e di grande soddisfazione, che vale la pena di fare.

Nel «Documento in tema di presunzione di innocenza» l’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha invitato le tre scuola di giornalismo che esso riconosce ad ampliare le ore di lezione dedicate al diritto processuale penale e alla criminologia. L’obiettivo è far sì che gli allievi possano approfondire le modalità corrette per seguire le attività di indagine e dei processi. La risposta delle tre scuole - dell’Università Statale, dell’Università Cattolica e dello Iulm - è stata di grande disponibilità. Nel 2023 l’Ordine amplierà anche l’offerta di corsi sul tema per gli iscritti.

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