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Come si verifica una notizia? Rallentando e dubitando

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SPILLER ANTONIO

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Il Verification Handbook curato da Craig Silverman traccia un metodo: «Nell’ambiente digitale i giornalisti devono essere cauti per non fidarsi troppo di una fonte». Ed evitare i tre mali di oggi: disinformazione, misinformazione, malinformazione di Alberto Puliafito, fondatore di Slow-new.com

Qual è l’unica cosa che distingue davvero il giornalismo da qualsiasi altro tipo di produzione di contenuti? Che cosa distingue il giornalismo dalla fiction? Dall’attivismo? Dalla comunicazione? Una persona che lavora come giornalista, cosa fa di diverso da un influencer o da una creator (per usare due termini molto di moda negli ultimi anni)?

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Se la risposta a queste domande fosse scontata, probabilmente il giornalismo non soffrirebbe né crisi di identità né economiche, né, soprattutto, crisi di fiducia da parte del pubblico. Cosa che avviene sempre di più: nell’Edelman Trust Barometer 2023 la fiducia delle persone nel giornalismo è ai minimi storici.

È necessario, allora, ritornare alle basi di questo mestiere. In nostro soccorso vengono due grandi giornalisti e analisti dei media, Bill Kovach e Tom Rosenstiel.

Oggi abbiamo un problema di reputazione: secondo l’Edelman Trust Barometer 2023, la fiducia delle persone nel giornalismo è ai minimi storici

Nel loro “The Elements of Journalism” - tradotto in italiano fino all’edizione 2007 e nel frattempo riproposto in un’edizione del 2021 - scrivono molto chiaramente che l’essenza del giornalismo è la disciplina della verifica.

«Il metodo è oggettivo, non il giornalista», scrivono Kovach e Rosenstiel, ricordandoci che anche noi, come qualsiasi persona, siamo soggetti ai nostri pregiudizi, alle nostre idee preconcette. «Cercare più testimoni, rivelare il più possibile sulle fon- ti, chiedere commenti a persone diverse, sono tutti i segnali di questa disciplina di verifica, che è ciò che separa il giornalismo da altre forme di comunicazione come la propaganda, la pubblicità, la narrativa o l’intrattenimento».

Quando è meglio astenersi dal pubblicare Ma cosa vuol dire verificare in un ecosistema complesso, veloce, sovraffollato come quello digitale? Cosa vuol dire verificare in un’era in cui affiorano a costi sempre più ridotti macchine generative in grado di creare contenuti di ogni formato (testuale, audio, fotografico, video)? Di quali strumenti ci dobbiamo dotare?

Sicuramente bisogna partire da due elementi ancora una volta di metodo: rallentare e dubitare. È difficile verificare sotto pressione, e allora il dubbio è il miglior filtro possibile. Se non ho verificato, non pubblico, non twitto, non posto, non vado in onda. Per migliorare e accelerare il processo di verifica, poi, è importante fare “i compiti prima”. Cioè studiare, formarsi, apprendere gli strumenti che abbiamo a disposizione, mantenere un alto livello di aggiornamento per orientarsi in un mondo che cambia velocemente e non perdere la bussola.

Il dubbio è il miglior filtro: se non ho verificato, non twitto, non posto, non vado in onda. Ed è importante fare “i compiti prima”, cioè studiare

Un’ottima stella polare per orientarsi è sicuramente il Verification Handbook. È un manuale di verifica delle fonti digitali: è stato curato da Craig Silverman e prodotto da DataJournalism.com (European Journalism Centre) con il supporto della Craig Newmark Philanthropies. La versione in italiano è stata tradotta, per Slow News, da Andrea Coccia e revisionata da Elena Brilli, con il supporto di Pagella Politica e Facta News.

Nell’introduzione a questo manuale, Silverman parte ancora una volta dal metodo e dalle basi teoriche del dubbio: «La conoscenza può assumere molte forme. Nel nuovo ambiente digitale i giornalisti devono essere cauti prima di fidarsi troppo di una qualsiasi fonte di informazioni, anche se questa dovesse essere la loro stessa e diretta esperienza».

Diffidare anche della nostra esperienza ci aiuterà a non andare di fretta se troviamo uno screenshot o un video che ci sembrano credibili, per esempio. E ci aiuterà a contrastare ogni forma di disinformazione. La disinformazione non è solamente fake news (anzi: questa è un’etichetta abusata e mai capita fino in fondo, che dovremmo abbandonare al più presto), e per parlarne in Italia dobbiamo prendere a prestito anche alcune parole dall’inglese.

Bisogna diffidare della nostra stessa esperienza, sottoporla al dubbio metodico e non avere fretta

Un ripasso dei fondamentali

La disinformazione è un’informazione falsa e la persona che la diffonde sa che è falsa. È una bugia deliberata. La misinformazione, invece, è un’informazione falsa diffusa da persone che la ritengono vera (a volte capita anche ai giornalisti!). La malinformazione, infine, è un’informazione che si basa su elementi reali ma viene usata per danneggiare qualcuno o qualcosa. Capire questa classificazione teorica è importante per capire

Uno Strumento Di Lavoro Gratis In Rete Su Come Verificare Le Notizie Della Rete

Il Verification Handbook è un manuale di verifica delle fonti digitali curato da Craig Silverman e prodotto da DataJournalism.com (European Journalism Centre) con il supporto della Craig Newmark Philanthropies. Si può scaricare dal sito verificationhandbook.com e in versione italiana sul sito slow-news.com, nella traduzione di Andrea Coccia, revisionata da Elena Brilli, con il supporto di Pagella Politica e Facta News.

Aiutare il pubblico a capire i meccanismi dell’infosfera è un tema da prendere molto sul serio anche le varie motivazioni di chi diffonde informazioni (vere o false che siano). Queste motivazioni possono andare dalla genuina intenzione di rivelare qualcosa davvero rilevante per la sfera pubblica al desiderio di avere un profitto personale (magari economico, o per il consenso politico, o per la soddisfazione di aver diffuso una burla).

Una volta che abbiamo messo le basi per la comprensione di questo ecosistema, potremo finalmente dedicarci alla comprensione degli strumenti digitali che abbiamo a disposizione. Sono tantissimi: da quelli che verificano la veridicità di una foto o di un video a quelli che ci permettono di capire da dove è stato pubblicato un contenuto, dagli strumenti che ci consentono di calcolare l’ora in cui è stata scattata una foto a partire dall’ombra fino alle più avanzate tecniche di ricerca e scavo sul web.

Oltre a formare noi stessi, fare in modo che anche il pubblico abbia gli strumenti per comprendere i meccanismi dell’infosfera è un compito che dovremmo prendere molto sul serio. Un libro che si può utilizzare per diffondere queste conoscenze anche al pubblico dei non addetti ai lavori è “Chi ha rubato la marmellata?”, scritto sempre da Andrea Coccia e illustrato da Maicol&Mirco per Corraini Edizioni.

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