Tabloid n. 1/2024

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Periodico edito dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia

Inchiesta

anatomia di un genere Casi di scuola

Metodo

Generi

I lati oscuri del PNRR: come si misura l’impatto di un’indagine lunga due anni

Fare giornalismo investigativo in Europa lavorando in network

Selezionare fonti ricostruire contesti: le nuove strade del documentario

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Numero 1 / 2024 - numero 5 nuova serie

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New Tabloid - Periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia

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Poste Italiane S.p.a. Sped. Abb. Post.

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Numero 1 / 2024 - numero 5 nuova serie

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Dl n. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1 (comma 1). Filiale di Milano - Anno LI Direttore responsabile Riccardo Sorrentino Coordinamento editoriale Francesco Gaeta francesco.gaeta@odg.mi.it

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Inchiesta

anatomia di un genere Casi di scuola

Metodo

Generi

I lati oscuri del PNRR: come si misura l’impatto di un’indagine lunga due anni

Fare giornalismo investigativo in Europa lavorando in network

Selezionare fonti ricostruire contesti: le nuove strade del documentario

©Hugo Jehanne / Unsplash

Direzione, redazione e amministrazione Via Antonio da Recanate 1 20124 Milano Tel: 02/67.71.371 - Fax 02/66.71.24.18 Consiglio Ordine giornalisti Lombardia Riccardo Sorrentino: presidente professionista. Francesco Caroprese: vicepresidente pubblicista. Rosi Brandi: consigliere segretario professionista. Maurizia Bonvini: consigliere tesoriere professionista. Giuseppe Caffulli, Ester Castano, Fabio Cavalera: consiglieri professionisti. Paolo Brambilla, Roberto Di Sanzo: consiglieri pubblicisti Collegio dei revisori dei conti: Roberto Parmeggiani (presidente professionista), Monica Mainardi (professionista), Angela Battaglia (pubblicista). Direttore OgL: Elisabetta Graziani Registrazione n. 213 del 26-05-1970 presso il Tribunale di Milano. Testata iscritta al n. 6197 del Registro degli Operatori della Comunicazione (Roc) Tiratura: 300 copie. Progetto grafico: Chiara Athor Brolli Chiuso in redazione il 26 gennaio 2024. Stampa: Prograf Soluzioni Grafiche di Francesco Formica

Periodico edito dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia

N. 1/2024 (numero 5 nuova serie)

www.odg.mi.it


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Più metodo e deontologia per ricostruire i fatti Accumulare dati e verificare. E se si sbaglia, ammetterlo. È una ricetta antica e attualissima quella che serve per rispondere a chi vuole restringere l’autonomia del giornalismo

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editoriale

l mezzo non è più il del metodo che seguiamessaggio. Ammesmo. so che lo sia mai stato. Restando concreti come di Riccardo Sorrentino Oggi il giornalismo ha sempre. Abbiamo indiun compito necessario viduato nella realtà viva da svolgere per recuperare il suo ruolo e del mondo dell’informazione, ricchisla fiducia dei cittadini: distinguersi nelle simo, le tendenze più interessanti. Le forme e nei contenuti dalle molte forme nuove modalità di fare inchiesta sono di comunicazione di massa veicolate da- quindi al centro della nostra attenzione: gli strumenti, ormai non più nuovi, of- è nato un gruppo di lavoro, coordinato ferti dalla tecnologia. da Lorenzo Bagnoli di Irpimedia, e i vari C’è una funzione che non potrà venir aspetti dei nuovi metodi sono oggetto di meno: quella di riferire e ricostruire i corsi di formazione in arrivo. Presto sarà fatti, “ostinati e inemendabili”, come li pubblicato anche un Quaderno dell’Orchiamava Hannah Arendt, ma al tempo dine, su questo tema. In questo numero stesso quasi mai evidenti: la verità, in- di tabloid cerchiamo di esplorare diverse somma, va svelata, e discussa. Alla cono- angolazioni (alle pagg. 42 e 50 ma anche scenza della deontologia, occorre allora 94 e 100), mentre Ferruccio de Bortoli, affiancare una profonda consapevolezza nell’intervista rilasciata a Angelo Min3


editoriale

Interrogarsi sull’impatto del nostro lavoro è un’altra attività necessaria per recuperare ruolo e fiducia

cuzzi (a pag. 54) ricorda gli elementi invarianti del “vecchio” e del “nuovo” giornalismo. Distinguere il giornalismo da tutto il resto significa non abbandonare mai, neanche dopo la pubblicazione di un articolo, il fact checking, che però – almeno in Italia – viene svolto a volte in modi superficiali e altre volte diventa un’occasione per fare polemiche, sterili e anche acide. Riconoscere i propri errori da parte di una testata (ne parliamo a pag. 9) diventa allora uno strumento – sul piano della deontologia e quello del metodo – di grande dignità e coraggio. Altre forme di giornalismo provano a evitare un approccio acido basato sull’emotività e non su un discorso rigoroso, razionale. Per esempio il Giornalismo costruttivo, che punta a fare il passo successivo, con tutte le difficoltà che comporta: a esplorare insieme alle criticità (alle pagg. 27 e 31) le soluzioni. Un aspetto lo accomuna alle nuove modalità di fare inchiesta (a pag. 50): l’attenzione per l’impatto del proprio lavoro. Se nelle comunicazioni di massa non c’è spazio per “nobili menzogne”, non è sbagliato chiedersi quale siano gli effetti che gene-

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riamo. Per alimentarli, nel caso, e non solo per prendersene cura. Interrogarsi sull’impatto del nostro lavoro è un’altra attività necessaria per recuperare ruolo e fiducia. Molte critiche al giornalismo e molte iniziative legislative che vogliono limitare il nostro lavoro trovano alimento nelle nostre défaillance, più o meno autentiche. Pretesti? Spesso sì, ma non sempre. Anche in questo numero prosegue allora la nostra analisi delle regole del nostro lavoro allo scopo di mettere a punto tre aspetti importanti: la formazione necessaria per affrontare alcuni temi, come la cronaca giudiziaria e la cronaca nera che assumono un valore paradigmatico, esemplare (a pag. 63); il ruolo non impossibile della deontologia che vede l’Italia all’avanguardia su alcuni temi, come i minori (a pag. 68); e, non da ultimo, la necessità di un quadro normativo chiaro che, senza scendere in dettagli che possano ridurre gli spazi di libertà, definisca cosa sia cronaca allo scopo di farne una causa di non punibilità (a pag. 82).

Riccardo Sorrentino


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Sommario

Sommario

editoriale Più metodo e deontologia per ricostruire i fatti di Riccardo Sorrentino

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Crocevia

La questione del momento pag. 9

La guerra a Gaza: cosa succede quando una testata sbaglia di Francesco Gaeta pag. 17

Che possiamo farci con questa intelligenza artificiale? di Francesco Gaeta pag. 27

Dare anche prospettive: c’è un’informazione che pensa positivo di Marco Marturano

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pag. 31

Di cosa parliamo quando parliamo di giornalismo costruttivo di Giovanni Iozzia pag. 35

Per fare il freelance ci vuole un fisico bestiale di Alice Facchini pag. 42

Un caso di scuola: come si fa un’inchiesta sul PNRR di Francesca Cicculli pag. 50

Anche all’inchiesta serve una valutazione di impatto di Francesco Gaeta pag. 54

Ferruccio De Bortoli: «Fare inchieste è fare manutenzione della democrazia» di Angelo Mincuzzi

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Bussole

Appunti di deontologia pag. 63

Il parere del penalista: giornalisti, fate più attenzione al processo di Federico Riboldi pag. 68

Perché parlare di minori oggi richiede una certa attenzione di Giuseppe Guastella pag. 78

La deindicizzazione non può essere concessa in via automatica di Claudia Trombetti pag. 82

I vantaggi di definire cosa sia il giornalismo attraverso una legge di Guido Camera

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Formazione Gli strumenti che ci servono

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Giornalismi Il futuro che c’è già: casi, storie, persone

pag. 89

L’informazione si nutre di dati: un’idea per fare una buona dieta di Andrea Nelson Mauro

pag. 94

Inchieste, il metodo European Investigative Collaborations di Stefano Vergine pag. 100

Che possiamo farci con questa Intelligenza Artificiale?

«Se nella partita tra giornalismo e intelligenza artificiale le aziende editoriali trascureranno il fattore umano perderemo qualcosa in più di una occasione. Privilegiare il fattore umano significa continuare a fare agenda setting, interpretare i bisogni del pubblico che è cosa diversa dall’assecondarli, contestualizzare, cioè sapere creare connessioni tra dati e fatti, avere senso storico e formulare ipotesi sul futuro».

Il documentarista? E chi intorno ai fatti costruisce contesti di Silvia Lazzaris

pag. 102

Modelli di sostenibilità: cosa ha da dirvi la storia di Digit@all di Digit@ll

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Crocevia La questione del momento

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INFORMAZIONE E DEONTOLOGIA

La guerra a Gaza: cosa succede quando una testata sbaglia L’esplosione all’ospedale Al Ahli avvenuta in ottobre è un caso di studio che evidenzia una regola chiave: ammettere l’errore serve a riaffermare un patto con i lettori, è un fattore che distingue una testata accreditata e la rende più affidabile di Francesco Gaeta francesco.gaeta@odg.mi.it

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onti palestinesi riferiscono che ci sarebbero centinaia di morti e feriti in un attacco israeliano sull’ospedale di Gaza». Poco dopo le 19 del 17 ottobre 2023, la BBC riportava con questo tweet la notizia di un’esplosione avvenuta all’ospedale Al Ahli, al centro della città di Gaza. L’ospedale, gestito dalla chiesa anglicana, è in quel momento affollato di pazienti. Mentre sui social si diffondono le immagini delle vittime, il tweet della Bbc viene rilanciato tra gli altri dall’arcivescovo di Canterbury e dal primo ministro scozzese Humza Yousaf. «L’attacco israeliano» viene stigmatizzato da diverse Ong attive a Gaza, tra cui MSF. Nel frattempo, sul canale news della BBC il reporter Jon Donnison sottolinea Il primo tweet della che per quanto le forze armate israeliane neghino ogni BBC sull’episodio viene responsabilità «è tuttavia difficile vedere chi altri possa subito rilanciato come avere causato tutto questo». Una versione dell’accadu- «la versione dei fatti» to analoga a quella della BBC viene rilanciata a caldo anche da testate e agenzie di stampa come Associated Press, Reuters, Cnn, New York Times. La versione che dunque si diffonde per prima è quella fornita dal cosiddetto ministero della Salute di Gaza, gestito da Hamas. Nelle ore seguenti, quello che si accende è un microconflitto all’interno del grande conflitto, fatto di accuse e contro-accuse tra le parti in lotta, di testimonianze, pretesi documenti, ri9


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costruzioni e successive smentite. Per le testate internazionali che stanno seguendo la guerra, l’esplosione diventa di fatto un drammatico test sulla loro capacità di pesare, filtrare e valutare dati e informazioni. Meglio: di gestire e porre riparo all’errore. Perché qui il tema è proprio questo: cosa succede a una testata accreditata quando si accorge di aver sbagliato ? Primi cambi di rotta Già il giorno successivo, le ricostruzioni giornalistiche più accurate mettono infatti sul tavolo che, tra le diverse ipotesi, quella di un attacco missilistico israeliano appare la meno plausibile, come dimostra tra gli altri una accurata analisi del sito di giornalismo investigativo Bellingcat. Incrociando i video diffusi sui social e i rilevamenti del cratere, molte testaTra le diverse ipotesi te – la BBC tra queste – ipotizzano come più probabili quella di un attacco altre due piste alternative: che l’esplosione sia avvemissilistico israeliano nuta per effetto di un missile lanciato da Hamas e caappare presto come la duto per errore sopra l’ospedale, o esploso in aria permeno plausibile ché abbattuto dal sistema di contraerea israeliano. Sul proprio sito, per esempio, la AP dice di avere analizzato «più di una dozzina di video dei momenti prima, durante e dopo l’esplosione dell’ospedale, oltre a immagini e foto satellitari. L’analisi di AP mostra che il razzo che si è spezzato in aria è stato sparato dall’interno del territorio palestinese e che l’esplosione dell’ospedale è stata molto probabilmente causata quando parte di quel razzo si è schiantato al suolo». Di certo, l’esplosione è avvenuta nel parcheggio e non all’interno della struttura come si era detto inizialmente e ha causato un numero di vittime che, secondo una indagine indipendente di The Human Right Watch, sarebbe comunque inferiore al dato “ufficiale” di 471 morti, fornito a caldo da Hamas.

Il chiarimento: «Il linguaggio usato dall’emittente non è stato corretto»

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Le rettifiche A qualche ora di distanza dall’accaduto, mentre i fatti iniziano a cristallizzarsi, i vertici della BBC ritengono di dovere prendere posizione. Giovedì 19 ottobre, circa 48 ore dopo l’esplosione, il numero 2 di BBC News Jonathan Munro afferma che durante la copertura live «il linguaggio usato dall’emittente non è stato sufficientemente corretto» e che il corrispondente BBC


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MOHAMMED SABER / EPA

IL LUOGO. Il sito dell’ospedale Al Ahli a Gaza: l’esplosione avvenuta il 17 ottobre è stata oggetto di accuse reciproche tra israeliani e palestinesi.

Jon Donnison ha sbagliato nell’avanzare ipotesi circa le cause dell’esplosione nell’ospedale: «Pur non avendo mai detto che la causa dell’accaduto fossero gli israeliani», tuttavia è «importante per noi correggere» anche solo l’impressione che questo sia accaduto. Anche il New York Times decide di spiegare ai propri lettori di avere ecceduto nella valutazione di ciò che stava avvenendo nei minuti e nelle ore successive all’esplosione. Lo fa con un editoriale del 23 ottobre in cui riconosce che «i resoconti iniziali del Times attribuivano la rivendicazione della responsabilità israeliana a funzionari palestinesi e riferivano che l’esercito israe-

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1. Crocevia

liano aveva detto che stava indagando sull’esplosione. Tuttavia, le prime versioni dei fatti – e l’importanza che esse hanno ricevuto in un titolo – si basavano troppo pesantemente sulle affermazioni di Hamas e non chiarivano che tali affermazioni non potevano essere immediatamente verificate. Ciò ha lasciato ai lettori un’impressione errata su ciò che era noto e su quanto fosse credibile il resoconto». Data la natura altamente sensibile di ciò di cui si parlava, «i redattori del Times avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione a come venivano presentati i fatti ed essere più espliciti su quali informazioni potevano essere verificate».

Il New York Times: «Avremmo dovuto prestare maggiore attenzione a come venivano presentati i fatti»

Il patto di fiducia Il comportamento della BBC e del New York L’affidabilità non è soltanto Times sottintendono un approccio che consiun fatto deontologico, ha dera i propri lettori depositari di un “patto di anche e soprattutto un valore fiducia”. L’affidabilità non è soltanto un fatto economico deontologico, ha anche e soprattutto un valore economico: chi paga per avere una informazione affidabile deve essere certo di avere in cambio non l’infallibilità di chi produce informazione ma la tracciabilità dei comportamenti messi in campo. In un’ottica del genere, la testata sbaglierebbe due volte se sorvolasse sul proprio errore, e non chiarisse di avere fornito come acclarate e veritiere informazioni che in realtà erano di parte e ancora da verificare. La capacità di ammettere l’errore è dunque quasi un “fattore strategico distintivo” sul mercato, nel senso che distingue una testata dalle altre, e ancor più la distingue da chi non ha o non sente di avere alcun obbligo di tracciabilità, ciò che caratterizza gran parte della cosiddetta Chi paga per avere “informazione social”, fatta di rimbalzi più che informazione deve potere di fonti e di verifiche. Per quanto possa dunque verificare la tracciabilità di apparire paradossale, ammettere l’errore ha ciò che riceve un valore economico. Perché rafforza un patto di lealtà che, da parte del lettore, attraverso la rettifica può meritare di essere ancora valorizzato, cioè pagato. La BBC e il New York Times tuttavia non sono stati gli unici ad avere mancato di equilibrio nella copertura della esplosione all’ospedale Ali Ahli di Gaza. Nei giorni successivi al 17 ottobre 12


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Oliver Darcy, media reporter della CNN, ha interpellato alcune tra le principali testate internazionali circa la necessità di chiarire ai propri lettori quanto avevano fatto al riguardo. «Un portavoce del Wall Street Journal ha rifiutato di commentare - ha scritto Darcy -. E i portavoce dell’AP e di Al Jazeera hanno ignorato le mie richieste». Quanto alla Reuters, al di là della responsabilità inizialmente attribuita all’esercito israeliano «un

ANDY RAIN / ANSA

PROTESTE. Una manifestazione a Londra: l’emittente è stata criticata dai sostenitori di Israele di essere troppo indulgente verso Hamas.

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1. Crocevia

MILO HESS / ANSA-ZUMAPRESS

PER GAZA. Una manifestante nelle strade di Parigi durante una manifestazione a sostegno degli abitanti di Gaza.

portavoce mi ha detto che «sono stati aggiunti dettagli precisi e attribuzioni alle storie il più rapidamente possibile». Darcy ha anche interpellato CNN: «La CNN è andata anche oltre. Non solo all’inizio della storia ha amplificato le affermazioni di Hamas sui suoi canali, ma il suo iniziale articolo online ha affermato – senza alcuna attribuzione – Come avrebbero dovuto che Israele era responsabile dell’esplosione letale. La storia è stata successivamente modificata, ma comportarsi in un mondo l’errore non è mai stato riconosciuto in una correideale queste testate? zione o in una nota dell’editore». Come avrebbero dovuto comportarsi in un mondo ideale queste testate? Darcy cita il parere di Bill Grueskin, professore della Columbia Journalism School: «Avrebbero dovuto pubblicare note che spiegassero al loro pubblico esattamente come e perché dietro le quinte le cose erano andate storte. Note firmate, in cui fornire una comprensione più dettagliata di come e perché la redazione avesse sbagliato all’inizio, ma an14


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MILO HESS / ANSA-ZUMAPRESS

PER GLI OSTAGGI. Un corteo nelle strade di New York per chiedere il rilascio dei civili israeliani ancora nelle mani di Hamas.

che del perché ci fosse voluto così tanto tempo per correggersi. E avrebbero dovuto farlo fornendo tutti gli elementi necessari, poiché non ci si può aspettare che la maggior parte dei lettori ricordi tutti i dettagli di un episodio come questo». C’è un caso che meglio di altri racconta la natura e i costi del “patto con i propri lettori”. È un articolo apparso nel 2018 sul Washington Post che La madre di tutte le racconta la lotta di alcune famiglie di colore nello correzioni: l’articolo stato della Virginia per mantenere i terreni asse- del Washington Post gnati ai propri antenati dopo la guerra civile. Una pubblicato e rettificato in inchiesta “tormentata” perché piena di errori, tut- 15 punti nel 2018 ti corretti, per un totale di 579 righe in 15 passaggi del testo. Come raccontato da Poynter, l’allora direttore Marty Baron preferì percorrere una strada diversa dal cancellare dalla rete l’articolo: «Siamo imbarazzati dagli errori riportati in questo articolo - scrisse ai lettori -. Per ciascuno abbiamo pubblicato una correzione dettagliata». Come notato 15


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da Poynter la pubblicazione di una storia con così tanti errori avrebbe dovuto costringere la direzione a una riflessione sui processi di verifica del proprio desk, e di sicuro «la direzione sapeva bene che pubblicare un tale numero di correzioni avrebbe rasentato il ridicolo. Tuttavia, il giornale ha anteposto la verità all’orgoglio. E questo dovrebbe essere riconosciuto e applaudito».

MOHAMMED SABER / EPA

VERSO IL CONFINE. Una famiglia accampata nei pressi di Rafah, nel sud della striscia di Gaza, a pochi chilometri dal valico con l’Egitto.

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FRONTIERE

Che possiamo farci con questa Intelligenza Artificiale? La causa New York Times contro OpenAI segna una tappa importante nelle relazioni tra i produttori di sistemi di AI e le aziende editoriali. In realtà, allarmi a parte, queste tecnologie sono già entrate nel processo di produzione giornalistica. Ecco alcuni casi di Francesco Gaeta francesco.gaeta@odg.mi.it

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el gennaio 1996 sul sito della Microsoft veniva pubblicato un articolo a firma Bill Gates intitolato «Content is king», formula che negli anni sarebbe diventata una sorta di mantra manageriale. Il fondatore dell’azienda teorizzava che i contenuti sarebbero stati «l’oggetto da cui arriveranno la maggior parte dei guadagni su Internet». Sono passati quasi trent’anni e la profezia si è rivelata centrata. Anzi, a dirla tutta, oggi chiede il conto a chi l’ha pronunciata. A fine dicembre 2023, il New York Times ha infatti citato in giudizio OpenAI, la società che ha creato ChatGPT e su cui Microsoft ha investito 13 miliardi di dollari. L’accusa, che sarà esaminata dal tribunale distrettuale federale di Manhattan, è di avere usato senza autorizzazione né corrispettivo economico gli articoli online della L’accusa è avere testata per addestrare il sistema di intelligenza ar- creato prodotti che tificiale utilizzato da Bing, il browser di Microsoft. «sostituiscono» la testata OpenAI è cioè accusata di avere «creato prodotti e le rubano pubblico che sostituiscono il Times e gli rubano pubblico». A questo si aggiunge il danno reputazionale derivante dalle cosiddette allucinazioni, cioè i dati o i fatti falsi ed erroneamente attribuiti dal chatbot alla testata stessa. Qualunque sarà la sentenza, la causa NYT-OpenAI sarà un punto di svolta per capire quanto davvero Content is king, cioè se 17


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e come, nel confronto con ChatGPT e i suoi fratelli - il mondo editoriale riuscirà a continuare a valorizzare economicamente i contenuti che produce. Quanto cioè si riuscirà a evitare che l’era dell’intelligenza artificiale generativa – che si prospetta come la terza rivoluzione digitale, dopo quella del web e dei social – si traduca in un altro e definitivo danno economico ai danni dell’informazione. Quella del Times sembra essere la soluzione più drastica: il muro contro muro tra editoria e l’industria dell’AI. Ma non è l’unica soluzione praticata fin qui. Nel luglio scorso, il gruppo Associated Press e OpenAI hanno infatti firmato un accordo che traccia una strada diversa. La AP ha concesso alla società finanziata da Microsoft l’uso dell’archivio per consentire l’addestramento di ChatGPT. In cambio, OpenAI si è impegnata a sviluppare sistemi di intelligenza artificiale che possano aiutare i giornalisti del gruppo a migliorare l’efficienza, l’efficacia e l’accuratezza del loro lavoro. «Siamo lieti che OpenAI rispetti il valore della nostra proprietà intellettuale» ha affermato Kristin Heitmann, vicepresidente e chief revenue officer di AP. «AP sostiene fermamente un quadro che garantirà che la proprietà intellettuale sia protetta e che i creatori di contenuti siano equamente compensati per il loro lavoro». In assenza dei dettagli finanziari dell’accordo - che non sono stati forniti - si può dire che potrebbe essere questo un ponte possibile tra i due mondi: contenuti (e archivi) a pagamento e partnership tecnologiche. È quanto A luglio, il gruppo accaduto a dicembre 2023 anche nell’accordo siAssociated Press e OpenAI glato da OpenAI con il gruppo Axel Springer, che hanno firmato un accordo pubblica testate come Bild, Welt, Politico e Busiche traccia una strada ness Insider. ChatGPT potrà accedere all’archivio diversa e pare delineare del gruppo editoriale e fornirà agli utenti sintesi uno scambio possibile degli articoli pubblicati anche dietro paywall, a patto di citare la fonte e rimandare con un link all’articolo stesso. Per Mathias Döpfner, CEO di Axel Springer, il patto segna la possibilità di «esplorare le opportunità di un “giornalismo potenziato dall’intelligenza artificiale”, per portare il modello di business del giornalismo a un gradino superiore». 18

Questo caso configura l’opzione più drastica: il muro contro muro tra editoria e industria dell’AI. Ma non è l’unica soluzione praticata fin qui


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JOHN G. MABANGLO / ANSA

SOCIETÀ LEADER. Sam Altman è l’uomo al vertice di OpenAi, la società che ha creato ChatGPT, il chatbot di intelligenza artificiale generativa più noto.

Proviamo a tirare una linea I grandi gruppi editoriali stanno insomma esplorando come ristrutturare le loro relazioni con i player tecnologici mettendosi al riparo dagli errori commessi alla na- Il punto chiave oggi è scita del web e dei social, che hanno segnato la fine evitare che il contenuto dei tradizionali modelli di business e il declino della diventi commodity, un mediazione giornalistica per come l’avevamo cono- bene gratuito sciuta fino ad allora. Il punto chiave oggi è evitare che il contenuto diventi commodity, un bene gratuito. Per l’editoria che sceglie di non arroccarsi nel rifiuto dell’emergente, è dunque essenziale cogliere le potenzialità dei sistemi di AI per rendere più efficienti i processi, migliorare l’accuratezza dei contenuti, raggiungere target di pubblico differenti. È questo il punto saliente dello scambio possibile tra player tecnologici e mondo dell’informazione. Possiamo sintetizzarlo 19


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in una domanda: cosa potremo davvero farcene, noi giornalisti, dell’intelligenza artificiale? Avvertenza: la risposta più onesta da qui sarebbe che non lo sappiamo. Non lo sappiamo perché non esiste un modello affidabile per inquadrare qualcosa che si muove con una velocità esponenziale come la tecnologia AI. Dunque, per avvicinarci a una risposta, formuliamo una seconda domanda: cosa sta già accadendo nelle redazioni che usano l’intelligenza artificiale nel proprio lavoro quotidiano? Possiamo distinguere tre fasi in cui qualcosa sta accadendo. Prima fase: la preparazione Nella fase di preparazione di un prodotto giornalistico - raccogliere e analizzare dati, individuare temi rilevanti e punti di vista salienti per un pubblico (News Gathering) - l’intelligenza artificiale può aiutare a estrarre informazioni dai dati grezzi o a rendere omogenei dati eterogenei, cioè provenienti da fonti e metriche diverse. A dire il vero lo fa già da qualche tempo, cioè prima dell’ultima generazione di LLM (Large Language Model), quelli cioè della AI “generativa”, alla ChatGPT. Già da anni esistono software “intelligenti”, che servono a passare da un formato a un altro attraverso sistemi di riconoscimento ottico (OCR, Optical Character Recognition) o di trascrizione da un discorso in testo scritto (speech to text). Sono strumenti che di fatto automatizzano parti della preparazione di un prodotto di informazione. Il Breinerd Dispatch, testata locale del Minnesota, gestisce così i casi di denunce che arrivano alla polizia locale: un sistema di AI raccoglie i verbali che giungono in formato PDF alla redazione via mail, li inserisce in un database, Non esiste un modello segnala ed estrae gli incidenti degni di nota. La cosa affidabile per inquadrare consente un guadagno di tempo per i reporter di qualcosa che si muove a una velocità esponenziale cronaca nera che può arrivare fino a 3 ore al giorno. La Michigan radio – la radio della Università del come la tecnologia AI Michigan – ha avviato invece un servizio di trascrizione in tempo reale delle sedute del consiglio comunale. Il sistema, curato da OpenAI, invia un alert ai redattori in presenza di alcune parole chiave per segnalare temi di interesse. Anche questa applicazione, chiamata Minutes, consente alla redazione un risparmio di tempo da destinare ad altre attività. A proposito di trascrizioni, l’archivio della Reuters ha attivato 20


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KAILASH U. / WIKIMEDIA COMMONS

A GIUDIZIO. La redazione del New York Times: la causa che oppone la testata a OpenAi si svolge davanti al tribunale distrettuale di Manhattan.

fin dal 2020 un sistema di trascrizione vocale dei video storici – dal primo volo dei fratelli Wright nel 1903 a momenti significativi della Seconda Guerra Mondiale – che permette di identificare i personaggi pubblici che vi compaiono trascrivendo le parole pronunciate in 11 lingue, in modo da consentire agli utenti di avere un accesso migliore e più efficace ai contenuti.

Nella preparazione di un prodotto giornalistico l’AI può aiutare a estrarre informazioni dai dati grezzi

Seconda fase: la produzione Nella fase di produzione di un contenuto, i sistemi di intelligenza artificiale aiutano a rendere efficienti il processo e migliorare i prodotti. Possono per esempio effettuare riassunti e sintesi di testi molto lunghi, aiutare il processo di titolazione per ren-

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derlo più aderente ai principi SEO, strutturare contenuti e linguaggio di una newsletter per renderla funzionale ai lettori che si vogliono raggiungere. Possono anche svolgere un controllo sulla qualità della scrittura, evidenziando frasi che presentano un eccesso di avverbi o di aggettivi o un numero di subordinate che rende difficile la lettura. Si può naturalmente discutere sull’opportunità di intervenire su alcune di queste fasi, e se farlo sottragga o meno creatività al processo. Ma intanto è ciò che sta accadendo. E non solo in piccole e innovative redazioni di nerd. Alla redazione web di Die Welt, fin dal 2020, si sono chiesti cosa sarebbe successo se un sistema avesse permesso di generare in automatico titoli ottimizzati SEO. «La composizione del titolo SEO - hanno spiegato Hanna Behnke e Sarah Lueck, che hanno seguito il progetto per conto della redazione - è un’attività di routine che sottrae tempo al processo di scrittura. I titoli SEO devono essere grammaticalmente corretti, informativi, catturare l’attenzione e generare traffico senza essere “clickbait” o “fake news”». Da qui l’idea di farsi aiutare da un sistema di AI. «Oggi siamo felici di dire che siamo riusciti a costruire un sistema pilota che produce risultati all’avanguardia ed è attualmente usato (ndr. anno 2020) nella redazione di WELT». Dall’aprile del 2022, il Toronto Star ha invece automatizzato la confezione di alcuni articoli, quelli relativi alle irruzioni con scasso nelle case della città. I dati sono L’innovazione può del Toronto Police Service e gli articoli - da cui sono servire a risparmiare eliminati i dati sensibili come nomi e indirizzi - setempo da destinare a guono tutti lo stesso format: nel titolo viene riporfunzioni a più alto valore tato il numero di effrazioni in un distretto nell’ultio a «sostituire» il fattore ma settimana, nel primo paragrafo viene fornito il umano numero totale di episodi dall’inizio dell’anno, con l’incremento o il decremento percentuale rispetto all’anno precedente. Nell’ultimo paragrafo viene sempre chiarito che «i recenti dati sulla criminalità sono preliminari e soggetti a modifiche in seguito a ulteriori indagini della polizia». Il Toronto Star pubblica circa sei storie a settimana su questo argomento, coprendo settimanalmente i sei distretti della città. Per il giornale non si tratta di una novità. In precedenza, aveva automatizzato la produzione di notizie relative alle chiusure 22

Nella fase di produzione di un contenuto, i sistemi di intelligenza artificiale aiutano a rendere efficiente il processo


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delle autostrade, ai prezzi delle case e alle ispezioni dei ristoranti. Per tutti questi casi si pone lo stesso tema: se a un giornale locale spetta selezionare cosa è rilevante per il proprio lettore, non c’è il rischio che automatizzare tutto porti a rendere tutto - cioè nulla - rilevante? La risposta, come vedremo meglio più avanti, è: dipende. Come abbiamo ormai imparato, l’innovazione è neutra. Il punto decisivo è come i singoli giornalisti e le aziende editoriali gestiranno questo tipo di automazione. Se per risparmiare tempo da destinare a funzioni a più alto valore aggiunto (esempio: analisi sui dati) oppure per inserire un pilota automatico e rinunciare a una lettura critica che i dati così efficentemente raccolti possono consentire. Al Wall Street Journal hanno deciso per esempio di automatizzare il trattamento dei risultati dei mercati di borsa e gli indici dei prezzi, dati che appaiono quotidianamente sull’home page della testata online. A questi report di sintesi creati in automatico, si affiancano ovviamente le analisi dei giornalisti e dei commentatori esperti di finanza, che hanno più dati a disposizione e più velocemente rispetto a un tempo.

MALTE OSSOWSKI / SVEN SIMON / ANSA-DPA

PATTO. Mathias Döpfner, CEO di Axel Springer, ha firmato un accordo con OpenAi per utilizzare in modo sistematico l’intelligenza artificiale.

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RAYSONHO @ OPEN GRID SCHEDULER / GRID ENGINE / WIKIMEDIA COMMONS

PRECURSORI. La redazione del Toronto Star: da diversi anni il giornale ha automatizzato alcuni servizi di cronaca grazie a sistemi di AI.

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Terza fase: l’ingaggio Nella fase di distribuzione dei contenuti (News distribution), l’AI serve a rafforzare l’ingaggio con il proprio pubblico o ad allargarne il perimetro, per esempio fornendo contenuti personalizzati per un segmento demografico (tipicamente età e luogo di residenza) o intercettando topic trend sui social su cui sviluppare punti di vista inediti e distintivi. Al New York Times hanno appena creato la figura del direttore per le iniziative di intelligenza artificiale, chiamando un giornalista molto noto come Zach Seward, fondatore e direttore di Quarz. Ma già dal 2017 la testata affianca ai 15 giornalisti del Community Desk che ogni giorno moderano i commenti agli articoli un sistema di AI chiamato Perspective.


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Perspective assegna a ogni commento un pun- Nella distribuzione dei teggio in base a una serie di parametri, per contenuti, l’AI può rafforzare classificare quelli che si presentano più tossici l’ingaggio col pubblico o o osceni. La cosa avviene in base al contenuto allargarne il perimetro del testo, e non all’identità del commentatore. Perspective identifica anche frasi specifiche e potenzialmente problematiche. Sulla dashboard del Community Desk appaiono i punteggi e le frasi potenzialmente problematiche, oltre a informazioni sul contesto relativo all’articolo commentato. La moderazione risulta più rapida e il numero di commenti moderati e approvati è molto maggiore rispetto a quanto accadeva nell’era della moderazione interamente manuale. È anche rilevante - per il valore che la testata attribuisce al compito che assolvono - il fatto che i moderatori sono tutti giornalisti senior, con diversi anni di esperienza al Times e una conoscenza approfondita degli standard di qualità del giornale. Questo modello ibrido, che combina intelligenza artificiale con l’intervento e la valutazione umana, pare una buona sintesi di un modo di usare l’AI al servizio del giornalismo. Come dicono gli stessi giornalisti del New York Times che hanno seguito il progetto «Perspective non è perfetto come non lo sono i moderatori umani. Ma creare un sistema che massimizzi il numero di storie del Times che consentono commenti, promuovendo al contempo un forum di discussione sano e sicuro, richiedeva dei compromessi». Un modello completamente umano limiterebbe il numero di storie aperte ai commenti e un modello di apprendimento automatico non sarebbe in grado di moderare secondo gli standard Al New York Times usano l’intelligenza artificiale per del Times. facilitare e migliorare la moderazione dei commenti Qualche (incerta) conclusione Forse è questa una strada: aumentare efficienza e produttività (e velocità) per liberare tempo ed energia da destinare a fasi del processo giornalistico a più alto valore aggiunto. Come ogni innovazione radicale, i nuovi sistemi di intelligenza artificiale creeranno un prima e un dopo nel nostro modo di lavorare e nella qualità del nostro lavoro. Non basterà conoscere e usare gli strumenti perché i contenuti siano ancora “sovrani”. Se le aziende editoriali trascureranno il fattore umano, se non 25


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INNOVATORE. Zach Seward è il direttore editoriale dei progetti di AI del New York Times.

riusciranno a valorizzare le competenze delle proprie redazioni ibridandole con il fattore tecnologico perderemo qualcosa in più di una occasione. Privilegiare il fattore umano significa continuare ad avere il controllo dell’agenda setting, avere Da preservare il controllo percezione dei bisogni del pubblico interpretandell’agenda setting e la doli, che è cosa diversa dall’assecondarli. Signifitrasparenza su dati e fonti ca contestualizzare, cioè sapere creare connessioni tra dati e fatti, avere senso storico e formulare ipotesi sugli esiti dei fatti che si analizzano. Significa ancora essere trasparenti sulle fonti e sui dati ma anche sul processo, cioè rendere il giornalismo che si fa una cucina a vista a disposizione del lettore, eventualmente scusandosi per gli errori che inevitabilmente si commettono. Tutto questo non è altro che buon giornalismo. L’intelligenza artificiale alza l’asticella di tutto questo. È un’occasione per scegliere se vogliamo continuare a farlo bene, con cura. 26


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INFORMAZIONE E SOCIAL MEDIA/1

Dare anche prospettive: c’è un’informazione che pensa positivo Leggere la complessità significa rinunciare a parlare alla pancia dei lettori e farsi interpreti del loro bisogno di soluzioni ai contrasti in cui sono immersi. Non è un approccio buonista, è quasi una richiesta di mercato di Marco Marturano

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tefano Benni apriva più di 40 anni fa un suo libro geniale, “Bar Sport”, con un racconto metaforico che aveva come protagonista una pasta da colazione, la Luisona. Un oggetto che doveva rimanere dentro la teca senza che nessuno lo toccasse, perché farlo significava sottoporsi ad una punizione sia sociale che fisica. E a pagarne il prezzo era un rappresentante commerciale di Milano. Tra i tanti mondi che si sono avvicinati ad una identificazione con la Luisona c’è anche il giornalismo, che, come tutte le professioni, vive a tratti di convenzioni e di riti che rischiano di ingessarlo. Per anni il giornalismo ha cercato di contrastare o mitigare la concorrenza dell’online per poi adeguarsi con tutte le forme che oggi conosciamo. Anche le scelte di timone e di stile degli articoli e delle impostazioni La ricerca della nota visive si sono calibrate sul modo di guardare prima critica-polemica è che di leggere, cosa che caratterizza tutti i media su cresciuta perché è ogni tipo di device. sempre più indispensabile incrementare la risposta La trappola dell’emotività emotiva di chi legge Questo adeguamento ai tempi però ha anche favorito ancora di più una caratteristica genetica di una parte di giornalismo. Parliamo della propensione all’impatto emotivo e alla reazione di pancia, che è stata da sempre anche 27


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una funziona sanissima del giornalismo. Perché da sempre i media vendono su tutte le piattaforme possibili sia per la loro credibilità che per la loro capacità di suscitare ondate di opinione e di farlo con battaglie e stili giornalistici ad alta interazione emotiva, anche a costo di rinunciare ad una parte di complessità che è insita in tutti i fatti. Una tendenza che ha contribuito, tra i mille fattori storici, a ridurre l’affezione a determinati media da parte dei cittadini e che ha spinto a cercare altre metodologie di informazione giornalistica sia nei giornali on line che direttamente tra blog e social. Il tasso di ricerca della nota critica-polemica è dunque cresciuto perché è indispensabile incrementare l’emotività e la polemica per agganciare pubblico e pubblicità. Comunicazione e giornalismo costruttivo Esiste però una strada per aiutare comunque il giornalismo ad aumentare la propria capacità di stare nella contemporaneità. Una strada che nella comunicazione anche commerciale e in quella istituzionale si sta diffondendo sempre di più e per ragioni di mercato e non di “buonismo”. È la comunicazione “costruttiva”, che qualcuno ha chiamato anche “socialmente responsabile” e qualcun altro ha definito “sostenibile”. Parliamo di una comunicazione tesa ad offrire tanto emozioni quanto completezza informativa e con un obiettivo che, anche nella narrazione di vicende negative, cerchi sempre di aggiungere un più anziché un meno nell’effetto sociale che produce. Perché in una fase di crisi e transizione come questa esiste sempre più pubblico alla ricerca di riferimenti positivi e costruttivi . Riferimenti che siano in grado di portare il Esiste una quota pubblico dentro un clima di soluzione dei problemi crescente di pubblico e non di sviluppo della loro criticità. alla ricerca di riferimenti Ecco allora che dentro un mondo della comunicapositivi zione extra-giornalistica che sta cercando in questa “terza via” una nuova dimensione integrativa (e non sostitutiva, anzi) alle altre perché non deve essere proprio il giornalismo a cercare qui una parte delle proprie opportunità di rilancio? Se, come diceva Angelo Agostini, non esiste un giornalismo ma tanti giornalismi, perché non sviluppare in questa epoca di incertezza e fragilità il giornalismo costruttivo per parlare a chi vuole strumenti positivi per sapere e per decidere? 28


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La stessa definizione di giornalismo costruttivo è figlia di questa epoca e della ricerca di una nuova strada di ricerca e di opportunità. L’obiettivo è la narrazione dei fenomeni dinamici della società che richiedono un contributo informativo teso a offrire strumenti conoscitivi completi Non c’è ambito del e con linguaggio divulgativo e capace di aiutare la giornalismo che non coesione sociale. Non esiste un ambito del giornapossa essere occasione di lismo che non possa essere anche una occasione di giornalismo costruttivo giornalismo costruttivo : da quello sportivo a quello culturale, da quello economico a quello politico, da quello di costume alla cronaca a tutti gli altri. Perché in tutti questi ambiti si attraversa una transizione e in parte una crisi che richiede un’informazione che attrezzi i cittadini con una visione completa e costruttiva, utile ad affrontare il viaggio e non a perdersi tra le sue difficoltà. Qualche esempio Di esempi di giornalismo costruttivo già ne esistono molti in Italia e nel mondo. La Fondazione Pensiero Solido – nata nel 2022 - ha lavorato per un anno a studiare in particolare il terreno della comunicazione del digitale e diversi format di giornalismo costruttivo. Da questi studi sono nate le scelte che hanno portato ai premiati nell’edizione 2023 del Premio Comunicazione Costruttiva. Bastano tre esempi per calare la definizione generale di giornalismo costruttivo nell’attualità del giornalismo italiano. Come fare a comunicare Un primo caso è quello di Massimo Cerofolini, giormaterie che per loro nalista conduttore di Etabeta su RadioUno Rai, che natura sono respingenti da anni esplora il mondo delle nuove tecnologie. In per le persone? occasione della sua premiazione ha affermato qualcosa che può essere indicativo di cosa sia il giornalismo costruttivo. «Basta, la tecnologia ci distrugge. Ecco, questo è un po’ il realistico feedback che io ho dalla gente. Quindi, il problema è: come fare a comunicare una materia che per sua natura è respingente per la maggior parte delle persone? Il lavoro che cerco di fare è quello di trovare questo giusto bilanciamento tra ascolto delle preoccupazioni e contrasto alle cose che non ci piacciono, però sempre accompagnato da un messaggio che possa suscitare quantomeno interesse». Un altro esempio è quello di Francesco Oggiano, dal giornalismo 29


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formato social e non solo di Will Italia alla newsletter Digital Journalism ai podcast. Quando parla della sua idea di giornalismo costruttivo è molto chiaro. «È quello che cerca di preservare la complessità. Non è solo mettere degli elementi positivi in evidenza ma stimolare provocare e anche sì coltivare il dubbio». Infine un terzo caso è quello di MediaDuemila, la rivista creata da Giovanni Giovannini e guidata da tanti anni dal direttore Maria Pia Rossignaud e dal direttore scientifico Derrick de Kerckhove, che coordina l’Osservatorio Tutti Media. «L’Osservatorio Tutti Media – dice de Kerckhove - da quando è nato nel ‘96, fa comunicazione costruttiva. Nel senso che noi abbiamo messo allo stesso tavolo tutti i componenti della società e del mondo della comunicazione. Voi potete pensare che sia follia, invece noi lo facciamo, lo facciamo ogni giorno, mettendo insieme Rai, Mediaset, Google, Facebook, gli editori, i giornalisti. Non bisogna alzare steccati, non bisogna enfatizzare troppo né condannare quello che di nuovo succede, ma bisogna sedersi e capire». Quasi un antidoto Esiste quindi lo spazio per tutto il giornalismo per lavorare in questa direzione, non con lo spirito della nicchia ma con una contaminazione costruttiva che attraversi in verticale tutti i mondi del giornalismo. E se c’è un momento per farlo è questo, in primo luogo per la complessità storica che viviamo e che non può essere raccontata senza leggerla in modo La complessità socialmente responsabile. In secondo luogo è ancora storica che viviamo più questione di sopravvivenza, perché il giornalismo non può essere costruttivo rappresenta anche un antidoto ai rischi di raccontata se non in “competizione” che soprattutto nell’informazione può modo socialmente portare lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. Come responsabile in tutti i mondi che l’evoluzione della tecnologia sta attraversando, la strada per gestirla e non subirla è oggi più che mai quella che mette al centro il fattore umano. E su questa strada il giornalismo costruttivo può utilizzare l’intelligenza artificiale, ma non può esserne sostituito. È una delle strade più concrete per guidare il cambiamento portato dall’innovazione tecnologica e non subirlo. E soprattutto è una opzione per gestirlo a vantaggio della crescita della professionalità dei giornalisti. 30


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INFORMAZIONE E SOCIAL MEDIA/2

Di cosa parliamo quando parliamo di giornalismo costruttivo Di format e approcci che non sono nati ieri, come quello del “giornalismo di precisione”, del Data Journalism o del Citizen Journalism. E anche di una diversa relazione con la comunità di riferimento, che viene coinvolta per fornire notizie, dati, esperienze di Giovanni Iozzia

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a notizia della morte del giornalismo è fortemente esagerata, potremmo dire parafrasando Mark Twain. È da oltre un quarto di secolo, quindi grosso modo dalla diffusione di Internet, che leggiamo previsioni di scomparsa della professione, in molti casi addirittura con l’indicazione della data di scadenza dei giornali. Scambiare la crisi e la trasformazione con l’estinzione è una distorsione cognitiva che va moderata con una diversa lettura dei fatti e, soprattutto, con una proposta di cambiamento che porti a una nuova identità del giornalismo. In questo senso torna utile ragionare sulla comunicazione costruttiva e sul suo modello, capace di dare al giornalismo un rinnovato ruolo nel mondo dei contenuti digitali, adesso generati anche con le intelligenze artificiali. Una “rifondazione” del giornalismo deve partire dall’accettazione delle sfide poste dai La prima cosa è affrontare cambiamenti (tecnologici, sociali, culturali) e dal- un paradosso solo la rivalutazione dei principi fondativi della profes- apparente: il giornalismo sione per rispondere ai bisogni della nuova civiltà senza giornali che le tecnologie esponenziali (l’intelligenza artificiale in primis, ma non solo) stanno definendo. La prima cosa da fare è distinguere il giornalismo dall’industria delle notizie (soprattutto della carta stampata) e affrontare le implicazioni di un paradosso solo apparente: il giornalismo 31


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senza giornali. Da tempo il giornalismo vive ormai fuori dai giornali e, con la crescita dei canali digitali (soprattutto i social network ma anche delle newsletter), ha visto indebolirsi la sua identità rischiando di smarrirsi fuori dai media tradizionali. Un punto va fissato con chiarezza: la Il giornalismo non troverà crisi di un’industria non comporta necessariamennuova identità senza una te la crisi o addirittura la fine di un’attività umana, consapevolezza di sé e specie se di grande rilevanza sociale. I nuovi canali delle sue qualità rappresentano opportunità un tempo impensabili, anche per chi produce informazione, ma servono nuove competenze, diversi modelli organizzativi e una rinnovata relazione con chi legge, ascolta, guarda. Non si può trovare una nuova identità senza una consapevolezza di sé, delle proprie qualità e dei propri limiti. Se andiamo all’essenza del giornalismo, troviamo un formato di narrazione caratterizzato da uno stile (chiarezza, precisione, immediatezza, obiettività, originalità) e guidato da un’etica. E ciò che viene ancora riconosciuto al giornalismo è il ruolo di abilitatore sociale e di garante di veridicità e trasparenza. Quindi, in grande sintesi, il valore del giornalismo sta nella capacità di fornire notizie e informazioni utili; di controllare il potere (il watchdog di tradizione anglosassone) ma anche la veridicità delle notizie (il fact checking). La dieta informativa degli italiani (e non solo) è ormai digitale: la stragrande maggioranza si informa sul web o sui social e dei canali tradizionali resiste solo la televisione: lo dicono i dati del diciottesimo rapporto sulla comunicazione del Censis, che nel suo recente 57° Rapporto sulla situazione sociale del Paese ricorda il continuo arretramento della carta stampata e una certa disaffezione verso un’informazione considerata confusa e, forse, poco utile. Il cambiamento dei canali e delle abitudini di lettura impone un profondo ripensaIl cambiamento dei canali mento : da sacerdote dell’informazione (il giornae delle abitudini di lettura le preghiera del mattino di hegeliana memoria) a impone un profondo mediatore esclusivo, nella dimensione digitale il ripensamento giornalista è diventato un abilitatore di conversazioni nella grande piazza virtuale e adesso può e deve indossare un nuovo abito per superare l’inevitabile stress da cambiamento, quello di garante della qualità in un mercato in cui le fonti si moltiplicano e si confondono, le notizie circola32


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no velocemente e in maniera incontrollata e il verosimile appare sempre più vero anche quando non è reale. Con lo sviluppo tecnologico delle intelligenze artificiali generative, che sono potenti ma hanno molti limiti, sarà sempre più forte nel corpo sociale un bisogno di “certificazione”, di garanzia della verità, di rispetto della privacy, e della reputazione altrui. Sono tutti elementi propri della professione giornalistica che ha quindi davanti l’opportunità di un’importante rivalutazione del proprio ruolo, a patto di trovare nuove modalità di espressione e di intervento. Ed Occorre non solo cercare è proprio qui che può aiutare il modello della cociò che interessa al municazione costruttiva, basato su trasparenza, pubblico ma ciò che è autocontrollo, ascolto attento alle esigenze altrui, rilevante per costruire costruzione di relazioni solide e durature, fiducia. una utilità collettiva Per farlo proprio il giornalismo deve, però, cambiare lo status di notizia, che è tradizionalmente il suo core business: non ciò che interessa il pubblico (con tutte le distorsioni che conosciamo bene fino alla deriva dei “gattini”) ma ciò che è rilevante per creare costruzione di senso e utilità per l’audience. Che cosa significa fare giornalismo costruttivo? Qui vogliamo evidenziare alcuni formati in cui può prendere forma la nuova dimensione del giornalismo che punta a proporre prospettive, generare comprensione della realtà, favorire il confronto e la crescita di relazioni. L’obiettivo: far crescere la coesione sociale, la consapevolezza e la conoscenza Far crescere la coesione dei cambiamenti in atto nella società. Le cose da sociale, la consapevolezza evitare? Produrre allarmi sociali, isolare gli eventi e la conoscenza dei dal loro contesto, speculare sull’emotività, genecambiamenti in atto nella rare paura del futuro e del cambiamento. Il primo format è quello del data journalism, che società non è certo una novità, visto che si può fare risalire alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso negli Stati Uniti con il “precision journalism”, quando non c’era ancora Internet. La prima svolta è arrivata con il web, adesso si può contare sulla potenza dell’intelligenza artificiale che permette di trattare enormi quantità di dati per fare inchieste o produrre report. Il Data Journalism è giornalismo assistito dalle macchine, che richiede team in cui siano presenti competenze di programmazione. In questa prospettiva l’intelligenza artificiale, se 33


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affrontata senza paura, può diventare un grande asset (e questo è tutto un altro discorso che merita spazio e approfondimento). Se si fa poco data journalism è perché serve tempo, è vero, così come per il Longform journalism, che è in qualche modo il prodotto di un paradosso: il web e i social riducono l’attenzione e i tempi di permanenza su un contenuto, ma questo non esclude l’interesse per testi di maggiore respiro e storie approfondite, anche online. È una versione contemporanea della lezione e dell’esperienza del New Journalism, il Uno degli elementi giornalismo con il passo della letteratura che ridistintivi di questo chiede un grande lavoro di ricerca sulle fonti e i approccio è la relazione protagonisti delle storie. con l’audience, con la Uno degli elementi distintivi del giornalismo cocomunità di riferimento struttivo è la relazione con l’audience, con la comunità di riferimento, che viene coinvolta per fornire notizie, dati, esperienze per migliorare la qualità delle informazioni diffuse. Il community engagment non può, però, essere solo una dichiarazione d’intenti, come spesso capita. Serve capacità di ascolto e tempo per dare risposte, non basta comunicare. E serve una leadership: il giornalista ha la responsabilità di guidare la conversazione con la comunità e gestire le interazioni. Questo approccio può prendere diverse forme: dal citizen journalism (il primo citizen journal europeo è Agoravox, che dal 2008 ha una versione italiana) all’hyperlocal journalism, una tendenza assai interessante che arriva dagli Stati Uniti. La stampa locale è in crisi anche lì, ma si sta creando uno spazio digitale per progetti di giornalismo di vicinanza che spesso prende le mosse dai social Nella informazione locale network (magari una pagina Facebook): Washinsi stanno creando spazi gton Post e New York Times hanno lanciato diversi per progetti siti di informazione hyperlocal. Siamo di fronte a di giornalismo di vicinanza un modello che parte dalle notizie per arrivare alle interazioni, dalle città per coinvolgere i cittadini, dalle mappe per entrare nella vita quotidiana. È un percorso in buona parte da costruire, facendo buon giornalismo senza rimpiangere quello dell’era pre-digitale e accettando l’ibridazione con le tecnologie oggi a disposizione dei professionisti. Un percorso, il giornalismo costruttivo, che dà anche una prospettiva affascinante a chi si avvicina adesso al lavoro più bello del mondo. 34


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STUDI

Per fare il freelance ci vuole un fisico bestiale La prima indagine sulla salute mentale di chi fa informazione senza un contratto stabile documenta una sindrome da stress legata a retribuzioni insufficienti e alla precarietà delle condizioni di lavoro. Le iniziative e i network per condividere esperienze e proposte di Alice Facchini

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tress, ansia, insonnia, abuso di cibo e sostanze, dipendenza da internet, attacchi di panico, burnout. Sono allarmanti i risultati emersi dall’indagine «Come ti senti», condotta da IrpiMedia per approfondire lo stato della salute mentale dei giornalisti freelance in Italia. La raccolta dati si è svolta da luglio a ottobre 2023 attraverso un questionario anonimo, a cui hanno risposto 558 giornalisti Tra i disturbi più comuni da tutta Italia. Tra loro, il 75% è iscritto all’Ordine dei l’87% afferma di soffrire giornalisti e il 23% ha la cassa di assistenza sanitaria di stress, il 73% di ansia, della professione Casagit. Tra i disturbi più comuni il 68% vive un senso di l’87% afferma di soffrire di stress, il 73% di ansia, il inadeguatezza 68% vive un senso di inadeguatezza. Il 42% afferma di soffrire di sindrome da burnout, di avere attacchi di rabbia immotivati e di essere dipendente da internet e dai social network. Uno su tre parla esplicitamente di depressione. Il 28% denuncia perdita di appetito o abuso di cibo, il 27% ha attacchi di panico e il 26% ha difficoltà a intraprendere e mantenere relazioni di coppia. Il 15% dice di aver subito disturbi da stress post traumatico. Solo il 2% dichiara di non aver mai sofferto di nessuno di questi problemi. Interessante anche analizzare le risposte che sono state segnalate all’interno della casella “altro”, dove diverse persone scrivono di avere difficoltà legate all’abuso di alcol, tabacco o sostanze. 35


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«Lo stress in sé non è negativo, il problema è la continuità e l’intensità di quello stress», afferma Francesco Pace, presidente della Società italiana di psicologia del lavoro e dell’organizzazione (Siplo) e professore di Psicologia del lavoro all’università di Palermo. «Negli ultimi anni si è rilevata una ampissima diffusione di disagi connessi alla sfera professionale, tra cui stati d’ansia, disturbi del sonno, disturbi del comportamento alimentare, dipendenze patologiche». Dal 2008, la valutazione del rischio stress lavoro-correlato è stata inserita tra gli obblighi delle aziende per tutelare la salute dei dipendenti.

Lo stress in sé non è negativo, il problema è la continuità e l’intensità di quello stress

Analizzando le cause del malessere vissuto dai giornalisti, i compensi troppo bassi sono considerati il fattore più impattante sul benessere psicologico della categoria: su una scala da 1 a 4, dove 1 significa che quel fattore non impatta per nulla e 4 significa che impatta molto, l’85% dei rispondenti dichiara che incidono “abbastanza” o “molto” sulla propria salute mentale. Subito dopo viene la precarietà lavorativa, con una percentuale dell’83% di giornalisti che hanno risposto “abbastanza” o “molto”, seguita dal rimanere sempre connessi e reperibili (76%), dai ritmi frenetici (70%), dall’ipercompetitività (65%) e dall’ambiente giudicante (57%).

Dietro ai numeri, le storie «Per anni ho lavorato senza essere pagato. Mi dicevano: “Sai come vanno queste cose, siamo un po’ in difficoltà, prima o poi arriveranno gli sponsor”. Io ingenuamente ci speravo, e intanto provavo ad arrangiarmi anche con altri lavori». Giacomo (il nome è di fantasia), 34 anni, dopo la «Per anni ho lavorato laurea ha lasciato un contratto a tempo indetermisenza essere retribuito. nato per inseguire il sogno di diventare giornalista. Mi dicevano: Sai come va Grazie a un tirocinio è entrato nella redazione di qui, siamo in difficoltà...» un giornale locale: «Investigavo sui movimenti di estrema destra, la mafia nigeriana, i diritti dei lavoratori sfruttati. Più volte mi sono trovato in situazioni pericolose, sono stato minacciato. A un certo punto però ho dovuto smettere perché non avevo nessuno alle spalle: non avevo soldi e non potevo permettermi di essere querelato. Il direttore mi ha detto chiaramente: “Fai come vuoi, ma sappi che non abbiamo avvocati per aiutarti”». Giacomo è solo uno dei tanti giornalisti freelance che vivono sul 36


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filo del rasoio: gli articoli dei giornali sono pagati Gli articoli dei giornali sempre meno e le collaborazioni raramente hanno sono pagati sempre una continuità che permetta di avere certezze sul meno e le collaborazioni futuro. «Vivevo schiacciato da una pressione che raramente hanno una veniva da più parti: la pressione del caporedattore continuità che permetta che aspettava l’articolo, la pressione di chi voleva di avere certezze sul che quell’articolo non venisse pubblicato, la presfuturo sione dell’affitto e delle bollette da pagare – racconta Giacomo –. Ho sofferto di tachicardia, facevo fatica a respirare, avevo la gastrite, la pressione alta, una continua fame nervosa». Con il tempo, Giacomo si è allontanato dalle persone care. Ha smesso di parlare con sua madre, ha chiuso

CLAUDIO CAPELLINI / IRPI

SUL SITO. L’indagine «Come ti senti» di IrpiMedia si basa su un questionario a cui hanno risposto 558 giornalisti.

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la sua relazione sentimentale. A un certo punto si è trovato solo. Ha capito di avere un problema un giorno in cui è andato a fare un servizio sul caporalato nei campi intorno alla sua città: «I braccianti mi raccontavano che lavoravano sotto il sole per tre euro all’ora, e invece di provare empatia sentivo solo una grande rabbia: io guadagnavo zero euro all’ora, eppure la mia storia non la raccontava nessuno. Se mi fossi ammazzato, ci sarebbe stato solo un trafiletto sul giornale e sarebbe finita lì». Con l’arrivo della pandemia, Giacomo non riusciva più a sostenere le spese e così è tornato a casa dei suoi genitori. Ha chiuso con il giornalismo e ha cercato altri lavori, ma per ora è disoccupato. «Ho 34 anni, adesso da dove ricomincio? In me c’è una grande amarezza: volevo semplicemente lavorare, non mi è stato permesso». L’importanza di chiedere aiuto Il dato positivo che si ricava dal questionario riguarda la capacità dei giornalisti di chiedere aiuto. L’89% Non esistono sostegni adeguati: dei professionisti che hanno risposto ha raccontato le proprie difficoltà ad amisolo il 5% ha ricevuto supporto ci, partner e familiari. L’81% si è confidato sul lavoro rispetto al proprio anche con altri giornalisti e giornaliste: di malessere psicologico questi, l’83% ne ha parlato con colleghi e colleghe, mentre solo il 19% ha espresso le proprie difficoltà con i superiori. Il 52% è stato già seguito da uno psicoterapeuta. Purtroppo, però, a fronte delle difficoltà e delle necessità di supporto, attualmente non esistono sostegni adeguati: solo il 5% ha ricevuto aiuto sul lavoro rispetto al proprio benessere psicologico. La percentuale non varia in maniera rilevante tra diverse tipologie di giornalista: si va dal 4% dei freelance al 6% dei giornalisti contrattualizzati. Il 62% riterrebbe utile accedere a sedute individuali gratuite di psicoterapia, il 50% vorrebbe gruppi di condivisione e auto-mutuo aiuto, il 37% workshop e training su giornalismo e wellbeing, il 20% un numero verde e una chat di supporto. Quali di questi aiuti esistono oggi? Nessuno, purtroppo. L’Ordine dei giornalisti mette a disposizione degli iscritti alcuni strumenti come lo sportello legale, ma ancora non prevede sostegni specifici dal punto di vista della salute mentale. A fornire assistenza sanitaria agli iscritti all’Ordine è Casagit 38


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Salute, ma attualmente solo alcuni piani Quest’anno Casagit ha lanciato prevedono la copertura delle spese per per- un piano finanziato dall’Inpgi corsi di psicoterapia (fino a un certo limite che copre le spese mediche annuale), e comunque si tratta di piani sota oltre 2.700 giornalisti liberi toscrivibili solo da giornalisti che hanno un professionisti a basso reddito contratto: i liberi professionisti non possono accedervi. Chi lavora come freelance può sottoscrivere invece uno dei piani sanitari cosiddetti “aperti”, ossia indirizzati a tutte le categorie di lavoratori: ne esistono quattro tipologie, ma in nessun caso sono coperte le spese per le visite psicologiche. Quest’anno Casagit ha lanciato anche il piano W-in Plus, prosecuzione del precedente W-in: si tratta di un piano finanziato dall’Inpgi (l’ente previdenziale dei giornalisti) che copre le spese mediche a oltre 2.700 giornalisti liberi professionisti con un reddito annuo tra 2.100 e 30.767 euro lordi. Anche in questo caso, però, tra le prestazioni incluse non ci sono le visite psicologiche o psicoterapeutiche. «Il tema dello stress da lavoro correlato è sempre più centrale oggi», afferma Andrea Artizzu, consigliere del cda di Casagit. «Il malessere è tanto. Nelle redazioni ci sono molti pensionamenti, mentre le assunzioni sono poche: il risultato è che il carico di lavoro per persona aumenta». Per questo nel 2022 Casagit ha lanciato la prima indagine sullo stress da lavoro correlato, realizzata insieme al Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi (Cnop) e rivolta solo a giornalisti con contratto. La ricerca, che è stata supervisionata da un comitato scientifico, è stata svilup- Nelle redazioni ci sono molti pata dallo spin off dell’Università di Bo- pensionamenti, mentre le logna Unveil Consulting: a partire da una assunzioni sono poche: il serie di focus group realizzati con gruppi risultato è che il carico di lavoro di giornalisti divisi in tre aree geografiche per persona aumenta (nord, centro e sud Italia), si è poi strutturata un’intervista scritta somministrata a 50 giornalisti selezionati. In questa fase sono stati registrati i fattori di rischio maggiormente percepiti: sulla base di essi sono state selezionate le scale psicologiche di riferimento ed è stato elaborato un questionario, che ora viene diffuso tra i giornalisti contrattualizzati iscritti a Casagit. I risultati verranno pubblicati nel 2024. «L’obiettivo è anche di individuare 39


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dei correttivi e offrire nuove possibilità a chi prova un disagio sul posto di lavoro – spiega Artizzu –. Grazie a un accordo con il Cnop, daremo l’opportunità agli iscritti a Casagit di usufruire di uno sconto del 20% sui servizi di supporto psicologico e psicoterapia con i professionisti che hanno aderito alla convenzione». Network e proposte Ma cosa può fare chi non è iscritto a Casagit? Un’opzione è quella di rivolgersi al Servizio sanitario nazionale per chiedere assistenza psicologica, ma attualmente è molto difficile ottenere un appuntamento, a meno che non si abbia un disturbo di una certa gravità. Per Il gruppo Linkedin Giornalisti questo stanno nascendo diversi progetti italiani, è uno spazio sicuro dal basso, per creare una rete di supporto «di confronto, di conforto e di e mutuo aiuto tra giornalisti. Tra questi c’è dibattito» – come si legge nella il gruppo Linkedin Giornalisti italiani, uno descrizione – per persone che spazio sicuro «di confronto, di conforto e di lavorano nel giornalismo dibattito» – come si legge nella descrizione – per persone che lavorano nel giornalismo. «Ci interroghiamo su molte questioni: quanto sono utili le scuole di giornalismo? Che vantaggi dà l’iscrizione all’Ordine? Quale dovrebbe essere l’equo compenso per il nostro lavoro?», spiega il fondatore Francesco Guidotti, che in precedenza aveva creato il progetto Lo Spioncino dei Freelance, con l’obiettivo di rendere trasparenti le tariffe delle testate attraverso un database pubblico alimentato dalle segnalazioni degli stessi freelance. «Alla base c’è l’idea di scardinare le dinamiche competitive per favorire la collaborazione tra colleghi. Nel gruppo tutti possono chiedere indicazioni e suggerimenti, oppure avviare una discussione su temi che hanno a che fare con il lavoro, le redazioni, il precaLa rete di Fada Collective è riato, le innovazioni nel giornalismo». pensata per chi vuole uscire Con lo stesso spirito nasce la rete creata da dalla competizione ed entrare Fada Collective, pensata per chi vuole uscire in una logica di aiuto reciproco dalla competizione ed entrare in una logica di aiuto reciproco, condividendo sia risorse concrete che riflessioni su compensi e diritti. Negli ultimi mesi la rete, che usa un gruppo Whatsapp e un canale Slack, si sta strutturando per diventare anche uno spa40


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zio sicuro per condividere questioni legate alla salute mentale. Parallelamente, anche il Centro di giornalismo permanente ha avviato un gruppo di lavoro sulla condizione dei freelance in Italia, che mette insieme Anche il sindacato dei una serie di organizzazioni e professionisti giornalisti Fnsi dà un supporto per raccogliere informazioni e realizzare un report. Tra i punti toccati c’è anche quello ai liberi professionisti attraverso la Commissione della salute mentale. Parallelamente anche il sindacato dei gior- lavoro autonomo nalisti Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana) dà un supporto ai liberi professionisti attraverso la Commissione lavoro autonomo, che ha il compito di monitorare le condizioni di lavoro dei giornalisti freelance e fornire assistenza sindacale, legale e previdenziale. «Quando si parla di freelance, la difficoltà è riuscire a organizzarsi e costruire una rappresentanza collettiva, per farsi riconoscere dalla controparte», spiega il consigliere di Fnsi Mattia Motta, che è anche rappresentante per l’Italia all’interno del Freelance rights expert group della European Federation of Journalists. «Quando si riescono a creare coordinamenti di giornalisti freelance di un gruppo o una testata, il tema della salute mentale emerge sistematicamente e con forza: si tratta di una vera propria emergenza, che va in parallelo all’emergenza del lavoro dignitoso». I freelance possono anche scegliere di rivolgersi a reti internazionali che aiutano i giornalisti indipendenti, come quella del progetto Media Freedom Rapid Response, che fornisce sostegni con- «Per i freelance, la difficoltà creti come la sostituzione dell’attrezzatura è riuscire a organizzarsi per danneggiata, l’assistenza medica e anche il costruire una rappresentanza supporto psicologico. Il sostegno è rivolto collettiva, per farsi riconoscere ai giornalisti che lavorano nei paesi membri dalla controparte» dell’Unione europea e nei paesi candidati ad aderirvi: per fare domanda è sufficiente mandare la propria candidatura sul sito. «Ogni intervento è ritagliato su misura per venire incontro ai bisogni del singolo giornalista», spiega Serena Epis, che lavora al progetto per conto di Osservatorio Balcani e Caucaso. «Il nostro sostegno è rivolto a chi per via del proprio lavoro subisce minacce di vario tipo, tra cui violenza, molestie e intimidazioni». 41


1. Crocevia GIORNALISMO DI APPROFONDIMENTO/1

Un caso di scuola: come si fa un’inchiesta sul Pnrr #LeManiSullaRipartenza è la serie di approfondimenti realizzata da IrpiMedia che evidenzia le opacità del Piano, i ritardi e i conflitti di interesse. Il metodo di lavoro e i risultati raccontati da chi per due anni ha lavorato sul tema di Francesca Cicculli, IrpiMedia

L’

Italia è la maggiore beneficiaria del Recovery Fund: il piano da 723,8 miliardi di euro messo a disposizione dall’Unione Europea per sostenere la ripresa economica post-Covid e la transizione ecologica degli Stati membri. Un pacchetto di aiuti senza precedenti che ha messo il nostro Paese sotto la lente di valutazione non solo della Commissione Europea, ma anche di cittadine e cittadini e di giornaliste e giornalisti, che da subito hanno provato a monitorare l’utilizzo di questi fondi. IrpiMedia lo ha fatto con #LeManiSullaRipartenza, una serie di inchieste finanziate grazie a una raccolta fondi promossa da The Good Lobby Italia, con cui abbiamo fatto luce su situazioni dubbie nella gestione dei 191 miliarRitardi, infiltrazioni di di euro che l’Europa ha stanziato per l’Italia, atcriminali, mancanza di traverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza professionalità nella (Pnrr). PA potevano vanificare Il monitoraggio civico e giornalistico è fondamenl’efficacia del Pnrr tale per un Piano di lunga durata, vincolato al rispetto di principi e scadenze: i ritardi, le infiltrazioni criminali, la mancanza di professionalità interne alle pubbliche amministrazioni e i conflitti di interesse potevano trasformare il Pnrr in una replica di vecchi vizi e cronicità. In due anni abbiamo raccontato diversi problemi legati al Pnrr, 42


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FILIPPO ATTILI/US PALAZZO CHIGI / ANSA

LE DATE. Il PNRR è stato proposto dal Governo di Mario Draghi il 25 aprile 2021 e approvato dal Consiglio dell’Unione Europea il 13 luglio 2021.

tra cui la poca trasparenza e la poca imparzialità nei processi decisionali, la mancanza di dati accessibili, diversi conflitti di interesse, una scarsa progettualità generale e la sottovalutazione degli impatti ambientali di alcune grandi opere. Il lavoro seriale sul tema ci ha fatto mettere a sistema strutture e criticità italiane, scoprendo dinamiche e problemi che si ripetono e, in alcuni casi, riuscendo ad anticipare gli eventi. In Italia abbiamo sempre pensato di avere progetti e professionalità, ma non le risorse economiche necessarie. Quando sono arrivati Quando sono arrivati i soldi, abbiamo scoperto di non i soldi, abbiamo avere le progettualità. scoperto di non avere le progettualità Un Piano opaco Il lavoro di inchiesta è partito da uno studio approfondito dei documenti a disposizione. La prima criticità che abbiamo segnalato riguardava l’iter parlamentare poco trasparente, tanto che il testo del Pnrr inviato in Europa per l’approvazio43


1. Crocevia

ne si discostava da quello presentato e votato dalle Camere. A mancare nella versione italiana erano alcuni allegati. Il documento recapitato all’Ue non è stato reso pubblico da subito, né dal Governo, né dalla Commissione europea. IrpiMedia è riuscita a consultarlo grazie all’associazione onData che l’ha reso disponibile su Archive.org, e ha messo in risalto le sue principali incongruenze. Ci sono differenze tra il testo Una delle differenze trovate riguarda il dirottamento di fondi da una missione all’altra e in del Piano inviato in Europa particolare 410 milioni passati dalla digitalizzaper l’approvazione e quello zione a infrastrutture e transizione ecologica. votato dalle Camere La seconda differenza riguarda proprio la Missione 2 sulla rivoluzione verde. Se la versione italiana fissava gli obiettivi che questa transizione doveva perseguire, la versione inglese specificava anche le modalità di attuazione. È in quest’ultima che scopriamo che l’Italia ha intenzione di investire anche nell’idrogeno blu, cioè prodotto da fonti fossili, e non solo nelle rinnovabili, come invece dichiarato nella versione italiana. Ma l’idrogeno blu è completamente inutile per la transizione energetica, come già dimostrato da IrpiMedia in altre inchieste della serie #GreenWashing. Le pagine in inglese specificano anche che Al capitolo transizione l’idrogeno passi all’interno dei gasdotti, in miscela ecologica si scopre che con il metano, trasportato da aziende come Snam, l’Italia intende investire responsabili di una grande quota di emissioni inanche nell’idrogeno blu, quinanti non dichiarate. Nella versione italiaprodotto da fonti fossili na mancano dunque dei dettagli progettuali che avrebbero potuto modificare anche le intenzioni di voto dei parlamentari. Ma il Pnrr italiano era opaco già dalla sua stesura: a marzo 2021, il premier Mario Draghi ingaggiò la società di consulenza McKinsey stipulando un contratto da 30.000 euro che «prevedeva l’attività di confronto con gli altri piani europei e anche di project management e di monitoraggio sull’avanzamento dei progetti». Attività che potevano essere svolte gratuitamente dalla Commissione, come stabilito dal regolamento sul Recovery Fund. Ma quella di McKinsey non è stata l’unica consulenza di cui si è avvalsa l’Italia. Consultando il Transparency System europeo, una sorta di registro finanziario dell’Ue, abbiamo scoperto che anche KPMG ha stipulato undici contratti 44


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con la Commissione europea, per fornire supporto tecnico alle pubbliche amministrazioni italiane. Sul sito del Technical Support Instrument (SST) è riportato però un solo contratto. L’SST è un fondo utilizzato per la gran parte per sostenere le riforme interne che gli Stati membri devono implementare per spendere i soldi del Recovery e contiene anche fondi per le consulenze. Abbiamo chiesto alla Commissio- Sono stati firmati contratti ne come mai i conti non tornassero, ma non abper consulenze che biamo ricevuto risposta, così come non ci sono potevano essere svolte stati forniti i contratti di consulenza stipulati gratuitamente dalla tra KPMG e l’Italia. Commissione Europea Monitoraggio impossibile Dopo l’approvazione del testo da parte del Parlamento italiano e della Commissione europea i ministeri e le pubbliche amministrazioni detentrici dei fondi si sono messi alla ricerca di progetti e aziende disposte a realizzarli. Irpi Media ha provato quindi a capire dove stessero andando questi soldi. Nel maggio 2022 abbiamo inviato una prima richiesta al governo per sapere se avrebbero reso pubblici i beneficiari delle prime tranche del Pnrr. Già a metà aprile 2022, Openpolis aveva denunciato una mancanza di trasparenza e una carenza di informazioni sullo stato di avanzamento delle misure. Alcuni dati, finalmente, compaiono su Italia Domani il 13 maggio. Italia Domani è il portale creato per aggiornare il paese sui progressi del Pnrr attraverso «schede intuitive e chiare». Contiene un Catalogo Open Data che ha lo scopo di rendere trasparente il processo di selezione ed erogazione dei fondi e di attuazione dei progetti. Al contrario, però, i file del catalogo, nella primavera del 2022, contenevano pochi dati riportati in modo tecnico e poco leggibile per un portale rivolto a tutti i cittadini . I dati consultabili erano infatti aggiornati a dicembre 2021 ed erano relativi esclusivamente alle prime assegnazioni di fondi di un sub-investimento della Missione 1: un elenco di 5mila aziende che avrebbero preso da un minimo di 100 euro a un massimo di 300 mila. Dalle informazioni presenti sul sito non era chiaro se i beneficiari avessero già ottenuto una parte dei fondi e a che stato di attuazione fossero i progetti. Dati pubblicati in modo frammentario e incompleto rendono difficile da parte della società civile mettere in pratica le funzioni di con-

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1. Crocevia

trollo e vigilanza indipendente che tanto spesso sono state il più efficace argine contro tentativi di frode. Da questa breve lista di beneficiari siamo comunque riusciti a far emergere delle criticità. Incrociando i nomi dei destinatari dei fondi su piattaforme come Datacros e Sayari, che permettono di visionare gli assetti societari e proprietari delle aziende, e i dati provenienti dai registri imprese, abbiamo scoperto che questa sub-misura della Missione 1 era andata anche a imprenditori già condannati in passato Il portale Italia Domani per bancarotta fraudolenta, o con un passato in avrebbe dovuto aggiornare politica. Molti dei fondi sono poi finiti a società il Paese sui progressi del diverse, ma guidate dallo stesso proprietario, Piano ma i dati sono parziali nonostante non sia previsto un doppio finanziae poco leggibili mento per una stessa sub-misura. Impossibile sapere, per i dati a disposizione, come fossero stati selezionati i vincitori del bando in questione e se ci fossero dei requisiti di accessibilità da rispettare. Normalmente, i criteri di esclusione o meno dai finanziamenti sono definiti in un bando di gara. In questo caso però i fondi andavano richiesti tramite un “portale” a cui non è più possibile avere accesso perché il termine è scaduto. A distanza di due anni dalla prima pubblicazione di IrpiMedia sul Pnrr, Italia Domani si è arricchito di dati, ma mancano ancora i dettagli dei progetti finanziati Il portale non è quindi sufficiente. Le informazioni legate al Pnrr vanno recuperate altrove: sui siti dei ministeri, nei report della Corte dei Conti italiana ed europea, nei documenti a disposizioni di fonti interne alle amministrazioni pubbliche.

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Il Pnrr trascura ambiente e clima Supportata da Patagonia, azienda tessile impegnata sui temi della sostenibilità, #LeManiSullaRipartenza è una serie che si è concentra molto sull’impatto ambientale che alcuni progetti finanziati dai fondi europei potrebbero avere sui territori. Per monitorare l’andamento della missione dedicata alla rivoluzione verde, abbiamo provato ad aggirare i limiti di Italia Domani, rifacendoci direttamente al sito dell’allora Ministero della transizione ecologica, dove a marzo 2022, per esempio, vengono pubblicati i bandi relativi ai finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo dell’idrogeno. A vincere, sia come proponenti


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che come co-proponenti dei progetti, i principali atenei statali, tra cui l’Università di Bologna, e le più grandi aziende fossili, come Eni e Snam, che in passato si erano già contraddistinte in Europa per un’intensa attività di lobbying a favore della produzione di idrogeno da gas. Pochissimi sono i dettagli disponibili sui progetti vincitori, i quali spesso non sono neanche stati inseriti sul sito OpenCUP, la piattaforma della Presidenza del consiglio dei ministri dove è possibile ricercare i progetti che hanno ottenuto finanziamenti pubblici, inclusi i fondi del Pnrr. Il CUP (codice unico di progetto), che è uno dei principali strumenti adottati per garantire la trasparenza e la tracciabilità dei flussi finanziari, in questo caso e in molti altri legati al Pnrr, non ci è stato molto d’aiuto. Sul portale, infatti, la ricerca dei progetti tramite CUP spesso non ha dato risultati. Eppure conoscere i dettagli di questi progetti è fondamentale: finanziare l’idrogeno blu vuol dire infatti finanziare ancora i combustibili fossili con fondi destinati alla transizione. Tuttavia neanche i partner, che sono Pochi i dettagli sui progetti pressoché tutte università pubbliche italiane, rilavincitori, che spesso non sciano dichiarazioni o dettagli, rifiutando persino sono neanche stati inseriti le richieste di accesso civico agli atti da parte dei sul sito OpenCUP giornalisti. E il Pnrr rischia di essere un piano che ci terrà ancora legati al gas per decenni a venire. Un’altra criticità legata al rapporto tra ambiente e clima arriva da una peculiarità che abbiamo riscontrato soprattutto nelle Grandi Opere, quelle infrastrutture ferroviarie, marittime e stradali a cui sono destinati gran parte dei fondi del Pnrr. A vigilare su queste opere il Governo ha nominato alcuni commissari straordinari. Abbiamo scoperto che almeno quattro di quelli scelti dal governo Draghi sono sotto indagine, a volte anche per reati gravi. Vincenzo Macello e Maurizio Gentile, ad esempio, sono sotto processo per omicidio colposo per il deragliamento di Pioltello del 2018, in cui morirono quattro persone. Macello, dirigente di Rete ferroviaria italiana, che è anche la prima beneficiaria in assoluto dei fondi del Pnrr, dovrà vigilare su sette grandi opere ferroviarie. Massimo Simonini controllerà la sistemazione della Ss 106 Ionica, la stessa opera che ha gestito come Ad di Anas, e per la quale la Corte dei Conti ha evidenziato gravi sprechi. Vincenzo Marzi, funzionario Anas di lungo corso, è stato no47


1. Crocevia

minato commissario per la Fondovalle del Biferno. In passato era stato rinviato a giudizio per il crollo del ponte ad Albiano Magra, frazione del comune toscano di Aulla. Conflitti di interesse e condanne sono solo la punta dell’iceberg. Dietro ad alcune di queste opere si nascondono progetti vecchi di decenni, in passato già bocciati perché potenzialmente dannosi per il territorio e ora improvvisamente tornati in auge e finanziati grazie al Pnrr. A facilitarne le approvazioni ci ha pensato il Decreto Semplificazioni del 28 luglio 2021, nato proprio a sostengo del Pnrr, che ha ridotto le tempestiche delle Valutazioni di Impatto Ambientale (Via), necessarie a far partire i progetti. Un esempio è la Circonvallazione di Trento, proIl codice unico di progetto, posta da Rete ferroviaria italiana (Rfi) nel 2003 uno degli strumenti per per potenziare il trasporto merci e poi bocciagarantire trasparenza ta. Viene ripresentata con alcune modifiche nel 2021, appena la società intravede la possibilità e tracciabilità dei di ottenere i finanziamenti del Pnrr. L’opera rifinanziamenti, di fatto non è ceve 930 milioni di euro, circa due terzi delle ridi aiuto sorse Pnrr totali assegnate al Trentino, ma sarà inutile finché non si completa il tunnel del Brennero, probabilmente fino al 2032. I lavori per la Circonvallazione di Trento devono invece rispettare i tempi previsti dal Pnrr che la finanzia e quindi concludersi entro il 30 giugno 2026. Nel frattempo gli scavi per la ferrovia potrebbero esporre la popolazione al piombo tetraetile, un metallo molto tossico. L’opera attraverserà infatti due Siti di interesse nazionale (Sin), luoghi inquinati che andrebbero bonificati dal 2005. Nonostante questo , Rfi sostiene che l’opera rispetti il principio di «non arrecare un danno significativo» all’ambiente, come richiesto dal Pnrr e in generale dai regolamenti europei. Grazie a una fonte siamo riusciti a consultare i documenti presentati per la Via, incluse le valutazioni espresse dagli enti Perfino le università regionali e locali interessati, confermando che le pubbliche non rilasciano tempistiche ridotte per l’ottenimento del nulla dichiarazioni o dettagli, osta avrebbero permesso di sorvolare su alcuni rifiutando anche le richieste pericoli segnalati dal territorio. di accesso civico agli atti E infatti, cinque mesi dopo la pubblicazione della nostra inchiesta, a luglio 2023, una parte del cantiere è stato posto sotto sequestro preventivo ed è stato 48


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GIUSEPPE LAMI / ANSA

REGISTA. Il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto ha dal 12 novembre 2022 la delega sull’attuazione del Pnrr.

aperto un fascicolo contro ignoti per inquinamento e disastro ambientale, a causa della fuoriuscita di sostanze oleose dal terreno. L’Agenzia Provinciale per la protezione dell’ambiente sta svolgendo le sue indagini. In un contesto fatto di assenza di dati e procedure decisionali trasparenti, dove trovare una storia da raccontare sembrava a volte impossibile, è stato necesA vigilare sulle Grandi sario prendersi il tempo giusto per approfondire Opere sono stati scelti i temi, trovare le incongruenze e i problemi, ma in certi casi commissari anche sviluppare metodi per aggirare gli ostacoli straordinari su cui esistono imposti dall’opacità del Piano. Essenziale, inoltre, curare il rapporto con le fonti, spesso unica indagini in corso possibilità per ottenere informazioni e documenti. È stata fondamentale infine la collaborazione con colleghe e colleghi e con le associazioni che per prime lavorano sui dati. 49


1. Crocevia GIORNALISMO DI APPROFONDIMENTO/2

Anche alle inchieste serve una valutazione d’impatto La serie #LeManiSullaRipartenza realizzata da Irpi Media sul PNRR è stata finanziata da una campagna di advocay di The Good Lobby: ecco come è stata organizzata e quali parametri si adottano per valutare gli effetti dell’indagine di Francesco Gaeta francesco.gaeta@odg.mi.it

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l 30 giugno di tre anni fa, mentre nell’aula di Montecitorio si discuteva del PNRR, qualcuno in piazza distribuiva uno strano giornale di carta. Si chiamava «Senno di poi» e raccontava il destino del Pnrr visto dal 2042. «Dovevamo ripartire e rilanciare, invece siamo rimasti impantanati nella palude dei conflitti di interessi e delle lobby opache» si leggeva sulla prima pagina. Era un giornale distopico, arrivava cioè da un futuro immaginario. A distribuirlo erano gli attivisti di The Good Lobby (TGL). Fondata nel 2015, TGL è una organizzazione che intende «dare voce ai progetti della società civile», influenzando le decisioni pubbliche con iniziative di advocacy. «Siamo promotori di mobilitazione» spiega Martina Turola, The good lobby (TGL) Head of Communication dell’organizzazione. The progetta campagne good lobby (TGL) progetta e gestisce campagne di volte ad assicurare trasparenza alle decisioni opinione pubblica volte ad assicurare trasparenza alle decisioni politiche sui temi chiave della cittadipolitiche nanza. In quest’opera di pressione sui decisori pubblici, TGL non produce solo giornali distopici per far parlare di sè, ma collabora anche con testate giornalistiche per parlare di cose rilevanti dal suo punto di vista. A fine 2021 ha infatti finanziato la serie di inchieste di Irpi Media #Lemanisullaripartenza dedicata al PNRR, di cui avete letto 50


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nell’articolo a pagina 40. In un paio di mesi sono stati raccolti 17.000 € attraverso due canali: una donazione da parte dell’azienda Patagonia, sensibile ai temi ambientali e alle voci di spesa del PNRR su questo tema, e una campagna di crowdfunding tra i simpatizzanti dell’organizzazione. Con 927 donatori sono stati raccolti 7.500 euro sul totale. La cosa ha reso possibile il lavoro di due giornaliste che per un anno si sono dedicate a documentare i conflitti di interesse che condizionano l’uso dei fondi e a fare luce sulle attività di lobbing L’idea che una dei soggetti coinvolti nel Piano. Secondo Laura Ghiassociazione che fa sellini, content manager e digital fundraiser di TGL, advocacy finanzi un «l’obiettivo dell’operazione era non solo informare progetto giornalistico ma anche sensibilizzare, coinvolgere, attivare». pone alcuni temi a nostro L’idea che una associazione che fa lobbying finanzi un progetto giornalistico pone alcuni temi di rilie- avviso di rilievo vo . Il primo è come garantire un allineamento degli obiettivi tra chi intende mobilitare – cioè appunto vuole «sensibilizzare, coinvolgere, attivare» - e chi ha per mestiere quello di informare, cioè mettere sul tavolo gli elementi di un problema senza avere tesi ma ipotesi da sottoporre a verifica. Detto in altri termini: a quali condizioni può esistere un “giornalismo ingaggiato (e per questo finanziato) su una buona causa” che in questo ingaggio mantenga autonomia su modi, tempi e obiettivi dell’inchiesta? Secondo quanto spiegano Turola e Ghisellini tra questi due mondi non c’è che conoscersi, fidarsi del metodo di ciascuno, garantirsi reciproca autonomia e rispettare tempi e modi del lavoro altrui. «Dal nostro punto di vista è stata una scommessa nuova, rilevante e necessaria. A noi ha permesso di acquisire dati e competenze che non avremmo avuto le forze e il metodo per portare avanti da soli. Non era tutto L’Italia è ancora qui, ovviamente: il nostro obiettivo era soprattutto sprovvista di una alzare la sensibilità collettiva sul tema del lobbying e del conflitto di interessi, che in un Piano da 191 mi- normativa organica liardi hanno un enorme impatto per la collettività». sull’attività di lobbying Nonostante i tentativi di regolamentare i rapporti tra i portatori di interessi e i decisori pubblici, l’Italia è ancora sprovvista di una normativa organica sull’attività di lobbying. «Serve una regolamentazione per rendere più trasparenti i processi decisionali, e per allargare la platea degli stakeholder in 51


1. Crocevia

grado di offrire al decisore pubblico dati, informazioni, punti di vista che lo aiutino a valutare l’impatto potenziale delle sue scelte». Questo permetterebbe di «rendere più conoscibili i processi decisionali, e aumentare la fiducia nei confronti delle istituzioni». Una lacuna normativa esiste anche sul tema del conflitto di interessi tra decisori pubblici e mondo dell’impresa. Gli eletti e i nominati dovrebbero dichiarare gli interessi privati potenzialmente in conflitto con la loro attività pubblica. E andrebbero «introdotte misure per frenare il fenomeno delle porte girevoli (revolving doors) in politica, prescrivendo un periodo di raffreddamento (cooling off) di almeno The Good Lobby ha due anni prima che si possa effettuare il “salto” dal messo a punto un settore pubblico a quello privato». modello per tracciare

l’impatto dell’inchiesta

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Una idea di matrice Per The Good Lobby era importante rendere conto ai propri finanziatori dell’impatto raggiunto dall’inchiesta. Occorreva chiarire in origine gli obiettivi e monitorarne gli esiti. È un tema che si pone sempre in occasioni di partnership come questa. Nel 2022, il Center for Comparative Media School of Communication and Media della Montclair State University ha


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censito 155 collaborazioni intersettoriali tra giornalisti e organizzazioni della società civile. Undici di queste coinvolgono organizzazioni non profit e organizzazioni giornalistiche (testate, collettivi di giornalisti) basate in Italia e focalizzate sull’Italia stessa. Sulla scia di queste esperienze, The Good Lobby ha dunque messo a punto un modello per tracciare l’impatto della serie #Lemanisullaripartenza. La matrice di impatto ha inquadrato i potenziali effetti - positivi e negativi - sul pubblico (es. numero di pagine viste e commenti); sulle organizzazioni coinvolte nella collaborazione (effetti dell’inchiesta per chi la realizza); sul mondo della politica (eventuali audizioni o interpellanze scaturite dall’inchiesta); sulle organizzazioni esterne alla collaborazione (convegnistica, richieste di consulenza). «Sapevamo in partenza - spiegano Turola e Ghisellini - che non sarebbe stato possibile assegnare ad ognuna di queste voci un dato quantitativo. Ma una valutazione qualitativa, a serie conclusa, è possibile farla. In sintesi: abbiamo dato fastidio e abbiamo avuto sostegno sul nostro lavoro per varare nuove norme sul lobbying e sul conflitto di interesse. Siamo stati anche auditi in Parlamento». La difficoltà è stata semmai conquistare nuovo pubblico, uno degli obiettivi che ci si era prefissati. «Poche testate hanno ripreso l’inchiesta di IrpiMedia, La difficoltà è stata perché ha prevalso il vizio tutto italiano di non conquistare nuovo pubblico, dare conto del lavoro di un concorrente». uno degli obiettivi che ci si Ci sono molte lezioni da capitalizzare da questo era prefissati esperimento per eventuali nuove iniziative. «Noi dovremo imparare a usare meglio la comunicazione in termini di advocacy per fare nascere microcampagne efficaci su singoli aspetti di un tema. Sarà importante anche incentivare segnalazioni dal basso che diano input all’inchiesta: è un punto delicato perché le segnalazioni vanno gestite e selezionate. C’è poi un secondo versante di miglioramento. «L’inchiesta è un genere faticoso: bisognerebbe fare un lavoro di traduzione di questi contenuti per renderli alla portata di un lettore medio. Adottare cioè un tono cioè più coinvolgente, lavorare sull’aspetto narrativo per esempio con minivideo per raccontare l’inchiesta scritta». 53


1. Crocevia GIORNALISMO DI APPROFONDIMENTO/3

Condurre inchieste è fare manutenzione della democrazia Una chiacchierata con Ferruccio De Bortoli: una stampa libera, preparata e indipendente serve a mettere in discussione il potere e permette a una società di non considerare ineluttabili le proprie paure e le proprie ingiustizie di Angelo Mincuzzi

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l giornalismo d’inchiesta illumina quelle parti della realtà che sono paradossalmente sempre più oscure in una società che invece è sempre più digitale, dove tutto sembra a portata di mano e tutto sembra visto. Ma in realtà non vediamo quasi più nulla e non siamo più in grado di discernere. E invece una democrazia vive proprio sulla capacità del cittadino di capire cosa è importante. Ma se il cittadino è totalmente assuefatto, se è totalmente accecato, non è più un cittadino consapevole e la democrazia muore». Democracy dies in darkness, la democrazia muore Una democrazia vive nell’oscurità, c’è scritto sotto la testata del Washinproprio sulla capacità del gton Post. Ferruccio De Bortoli non ha bisogno di cittadino di capire cosa nominare il quotidiano statunitense che negli anni è importante. Ma se il ‘70 condusse una coraggiosa inchiesta sullo scancittadino è accecato la dalo Watergate fino alle dimissioni dell’allora predemocrazia muore sidente Richard Nixon. Direttore del Corriere della Sera dal 1997 al 2003 e dal 2009 al 2015 e alla guida del Sole 24 Ore tra il 2005 e il 2009, De Bortoli – infatti - va subito al punto: «La manutenzione di un sistema democratico dovrebbe essere la funzione primaria di un giornalismo di qualità».

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Una difesa della democrazia. È questo, dunque, l’impatto che le grandi inchieste giornalistiche sortiscono?


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NICCOLÒ CARANTI / WIKIMEDIA COMMONS

DIREZIONI. Ferruccio De Bortoli ha diretto il Corriere della Sera dal 1997 al 2003 e dal 2009 al 2015, e Il Sole 24 Ore dal 2005 al 2009.

Partiamo da Wikileaks e dai Panama Papers. Intanto, che cosa dimostrano? Che - anche con metodi discutibili di acquisizione di documenti e di informazioni - un sistema democratico ha in sé gli anticorpi che sono in grado, se c’è una stampa libera, autorevole e preparata, di mettere in discussione qualsiasi potere. E questo è un elemento di forza di una democrazia, non di debolezza. Quando si indeboliscono le democrazie?

Wikileaks e Panama Papers dimostrano la funzione di una stampa libera: mettere in discussione qualsiasi potere

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1. Crocevia

WIKIMEDIA COMMONS

IL CASO. Julian Assange ha avviato nel 2006 il sito Wikileaks. Nel 2010 ha divulgato documenti statunitensi sulle guerra in Iraq e Afghanistan.

Si indeboliscono quando non si fanno i conti con la storia, quando si accantonano e si mettono sotto la superficie o sotto il tappeto i problemi irrisolti. La funzione salvifica di un’informazione di qualità è quella di porre davanti alla classe dirigente e all’opinione pubblica dei propri Paesi le verità scomode, perché ci sono sempre tante ragioni per non pubblicare e per non fare qualcosa. Nella mia esperienza mi sono sempre trovato di fronte a buone ragioni per non fare e per non andare a indagare. Ma sono sempre state pessime ragioni, alla fine, perché poi se non ci si occupa di un problema importante, diventa talmente grave da essere irrisolvibile.

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Qui entrano in gioco la stampa e il giornalismo d’inchiesta? Questi grandi fatti, pur nascendo al di fuori dall’albero tradizionale del giornalismo, alla fine hanno avuto bisogno dei grandi quotidiani, dei giornalisti professionisti, addirittura riuniti in pool. Quelle notizie sono diventate inchieste, hanno avuto cre-


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dibilità e autorevolezza proprio perché sono passate attraverso un’intermediazione professionale di giornalisti di qualità e di giornali con una storia. Questo ci deve insegnare ciò che è avvenuto da Wikileaks Bisogna investire non ai Panama Papers. Alcune delle grandi cose che soltanto in risorse hanno turbato l’opinione pubblica negli ultimi professionali ma anche anni derivano dall’attività di inchiesta giornali- nella difesa della qualità e stica di qualità. Per fare questo, però, bisogna in- onorabilità dei giornalisti vestire non soltanto in risorse professionali ma anche nella difesa della qualità, dell’onorabilità e della dignità dei giornalisti che sono impegnati nelle inchieste. In che modo? Non li si può abbandonare al primo errore. Gli errori si commettono. Degli errori si chiede scusa ma non si può pensare poi che coloro che fanno le inchieste possano essere il bersaglio della

CLEMENS BILAN / EPA

IN MEMORIA. Daphne Caruana Galizia, giornalista maltese, è stata uccisa nel 2017, dopo avere divulgato notizie sul governo maltese contenute nei Panama Papers.

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1. Crocevia

prima forma di difesa del potere. Che è quella di dire che sono tesi precostituite, oppure che qualcuno ha avuto l’interesse a promuovere alcune inchieste per fini esclusivamente di potere. Una delle malattie di questo PaLa prima forma di difesa ese è che la classe dirigente, ma anche per certi del potere di fronte a una versi la pubblica opinione, ritengono l’informainchiesta è parlare di “tesi zione un male necessario. Dobbiamo superare precostituite” questa barriera culturale. Dobbiamo considerare la trasparenza un valore e l’informazione una funzione pubblica di grande importanza, non un fastidio. Non dobbiamo coltivare il retropensiero che se a un certo punto non si parlasse di uno specifico argomento sarebbe più facile risolverlo. Perché questo è quello che mi hanno sempre detto: «Se tu non ne parli sarà più facile risolvere quella situazione». Al contrario: se tu ne parli, fai emergere l’importanza di quel problema, metti la classe dirigente nella condizione di poterlo affrontare, forse ancora con la possibilità di poterlo risolvere. Tutto ciò di cui non ci occupiamo, alla fine diventa un difetto genetico della nostra democrazia. E non è più risolvibile. Nella storia del nostro Paese ci sono troppi misteri, che riguardano la vita pubblica, il terrorismo, i servizi deviati. Sono misteri che rappresentano ancora uno spazio infinito per il giornalismo d’inchiesta e non soltanto per gli storici. Perché quello è un pezzo di verità che ci manca ed è come se noi andassimo in giro con gli occhi bendati perché non aver risolto dei problemi storici vuol dire non essere capaci di guardare al futuro». Le inchieste vivono un momento di difficoltà, che è un po’ lo specchio anche della fase di sofferenza della stampa italiana. È così? Intanto è chiaro che se fai delle inchieste, specialmente nell’ambito economico, urti delle sensibilità e attacchi di fatto delle situazioni di potere. Ed essendo i giornali in difficoltà dal punto di vista economico con I giornali non dovrebbero una barriera tra la redazione e la pubblicità molaccettare il ricatto del ritiro to sottile, se non in qualche caso del tutto inesidella pubblicità stente, è chiaro che forse c’è un po’ di timore. Se chi fa informazione non ha i conti a posto e vede assottigliarsi i propri ricavi, a questo punto forse si muove con una certa cautela. Tuttavia penso che anche l’investitore pub58


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blicitario non abbia alcun interesse a investire in un giornale che è addomesticabile. Ha l’interesse a investire in un giornale di cui è provata la credibilità, l’autorevolezza. Perché sennò di fatto svaluta il proprio messaggio pubblicitario. Penso che i giornali non dovrebbero accettare il ricatto del ritiro della pubblicità. Dopo di che dobbiamo porci il problema se la manutenzione della nostra democrazia rappresentativa non sia messa in dubbio dal fatto che esistono sempre più parti della nostra società che per convenienza, per paura, per pigrizia, non andiamo ad indagare. Per esempio? Perché ci stiamo deindustrializzando? Perché abbiamo perso i grandi gruppi imprenditoriali? Perché il più grande gruppo industriale del Paese se n’è andato - e questo riferimento va a quella che è stata la Fiat - senza che ci sia stata una discussione? Negli altri Paesi ci sarebbe stato un dibattito ampio. Qui non se ne è minimamente parlato. Perché continuiamo ad accettare di avere un’evasione fiscale così estesa? L’abbiamo accettato, perché il nero è considerato sostanzialmente una via di sopravvivenza. Poi possiamo andare nell’ambito sanitario a vedere il rapporto tra pubblico e privato. Ce ne sarebbero tantissimi di spunti. Che però spesso non vengono colti dai giornali. Dobbiamo far sì che crescano delle professionalità, che ci siano delle direzioni che incoraggino giornalisti a fare delle inchieste scomode e non che ne abbiano timore. Se penso alla Rai, la tv pubblica dovrebbe essere orgogliosa di avere una trasmissione come Report. Non dovrebbe dare la sensazione di non poterla gestire. Se un tuo prodotto è di qualiDobbiamo far sì tà, tu che sei l’editore, devi esserne fiero e non dire: che crescano delle «Facciamo questo prodotto di successo, però tutto professionalità e ci sommato questo prodotto non va». È chiaro che in questo modo tu non incoraggi un giornalismo d’in- siano delle direzioni che chiesta. Lo sopporti. Dopodiché, per carità, ci sono incoraggino i giornalisti a gli errori, ci sono anche le strumentalità. Il giorna- fare inchieste scomode lismo d’inchiesta ha avuto però pagine memorabili di grande coraggio in cui le persone hanno persino perso la loro vita. Certo che, se invece il giornalismo è qualcosa 59


1. Crocevia

di comodo, allora è una variabile della comunicazione pubblico-privata e di potere. Ma ha un’altra funzione. Il giornalismo d’inchiesta tiene viva l’anima del giornalismo come missione civile. Sentiamo dire da destra a sinistra che tutto sommato il giornalismo d’inchiesta se non c’è non è una perdita. Questa è una semplificazione della realSentiamo dire da destra a tà. Però la semplificazione porta al semplicismo sinistra che tutto sommato e poi dal semplicismo all’anticamera della dittail giornalismo d’inchiesta se tura. non c’è non è una perdita: Quali sono state le inchieste che hanno è una semplificazione avuto un impatto maggiore sulla vita civile pericolosa del nostro Paese? Diciamo tutta la stagione dei diritti, dal divorzio all’aborto, alla legge 180, alla sanità. E poi tutto il tema dei diritti del lavoro, ma potremmo fare una lista infinita. Insomma, prendiamo tutti i diritti soggettivi che sono tutelati dalla prima parte della nostra Costituzione, li mettiamo sulla colonna di sinistra e sulla colonna di destra possiamo collocare le grandi inchieste e le grandi opinioni scritte da giornalisti di qualità che hanno rivolto l’opinione pubblica verso il futuro. Perché questa è la funzione del giornalismo di qualità: far capire a una società che non può vivere delle proprie paure, dei propri difetti, delle proprie ingiustizie, non può accettarle come qualcosa di ineluttabile ma deve avere lo sguardo rivolto verso il futuro. Invece noi pensiamo che la miopia comoda di un Paese in declino demografico possa essere preferibile alla sveglia che arriva da un’inchiesta per sua natura scomoda. E le inchieste sono utili se sono scomode e se interrompono il flusso della quotidianità più comoda e a volte più passiva.

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È giusto porsi il dilemma dell’impatto che un’inchiesta giornalistica potrà avere sull’opinione pubblica, sulla società o sulla politica, nel momento in cui si comincia a scriverla? È chiaro che il rischio delle inchieste è che possano favorire qualcuno. A volte finiscono persino per danneggiare ingiustamente qualcuno. Quando tu parli di un’impresa puoi mettere anche in pericolo il posto di lavoro di persone del tutto innocenti rispetto alle vicende di cui si parla. È chiaro che possono


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esserci delle conseguenze negative. Io però mi porrei sempre questa domanda: «Ma se io non pubblico niente, le conseguenze sono più negative o più positive?». Io penso che, sempre che si tratti di qualcosa di reale, le conseguenze sono molto più negative di quanto non possano essere negativi gli effetti di una buona inchiesta. Perché quando i riflettori si spengono, la patologia di un sistema trova più vigore. Le forze negative hanno più spazio e possono operare in maniera indisturbata.

WIKIMEDIA COMMONS

INCHIESTE E DIRITTI CIVILI. Una manifestazioni del 1962 per l’introduzione del divorzio: la legge che lo istituisce sarà varata nel dicembre del 1970.

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Bussole Appunti di deontologia


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GIUSTIZIA MEDIATICA

Il parere del penalista: giornalisti, fate più attenzione al processo Nel fare cronaca giudiziaria troppo spesso i media danno voce a una diffusa aspettativa colpevolista: sarebbe meglio se frequentassero le aule del dibattimento oltre che le stanze dei PM di Federico Riboldi, avvocato

L’

avvocato penalista è un osservatore privilegiato dei modi e delle forme attraverso cui quotidianamente vicende giudiziarie, selezionate dai media come meritevoli d’interesse per il pubblico, sono ricostruite e poi rappresentate sui mezzi d’informazione. Questa osservazione, restituisce una realtà articolata e offre diversi spunti di riflessione sull’effettiva capacità del nostro sistema di coniugare interessi di rango primario, spesso tra loro in conflitto. In questa osservazione occorre muovere dallo smar- Spesso vi è uno iato rimento che, non di rado, coglie l’avvocato quando evidente tra vede raccontata sui mezzi d’informazione una vicen- la ricostruzione offerta da giudiziaria di cui egli sia, per il ruolo professionale dai media e i fatti sottesi svolto, parte attiva. Spesso, se non sempre, vi è uno iato evidente tra la ricostruzione offerta dai media e i fatti sottesi. Una distanza per certi versi fisiologica. Proprio l’esperienza interna ai procedimenti giudiziari offre infatti un esempio emblematico di questa fisiologia: uno stesso fatto osservato o percepito da diversi soggetti viene rappresentato, nelle testimonianze, in modi diversi e talvolta persino opposti. Alla distanza fisiologica, tuttavia, se ne accosta spesso una patologica che ha un’eziologia multifattoriale. Proprio su queste cause occorre riflettere per cercare soluzioni che riconducano il rapporto tra informazione e processo penale all’interno di un 63


2. Bussole

alveo protetto, in cui gli argini normativi, deontologici e culturali consentano di coniugare la tutela della persona (sia essa un indagato, una persona offesa, un ente giuridico La delicatezza degli interessi o un soggetto incidentalmente coinvolto da una vicenda giudiziaria) con il diritto di cronaca. in gioco in un processo La prima area d’intervento è quella delle compeimpone una conoscenza tenze. Il diritto penale e il processo costituiscodegli istituti che regolano la no una materia complessa, regolata da norme materia contraddistinte spesso da notevole tecnicismo e da un linguaggio peculiare, non sempre agevole da “tradurre” in favore del lettore “profano”. Tuttavia, la delicatezza degli interessi in gioco non autorizza semplificazioni o superficialità e impone una conoscenza degli istituti che regolano la materia , delle scansioni che caratterizzano la vicenda processuale e dei principi, molti dei quali di rilevanza costituzionale, sottesi alla stessa. In questa prospettiva, l’istituzione di percorsi formativi specializzanti per chi tratta di cronaca giudiziaria, rappresenterebbe una garanzia per il giornalista, che potrà criticamente valutare i fatti senza dipendere da rappresentazioni spesso interessate provenienti dai soggetti processuali, ma anche per il lettore, che potrà fare affidamento sulla competenza del cronista/commentatore. Non meno rilevante la garanzia che quel percorso offrirebbe agli attori della vicenda processuale, posti al riparo - quantomeno - dal rischio di narrazioni tecnicamente improprie come quelle in cui ad esempio gli atti di una parte (il Pubblico Ministero) vengono invece rappresentate, magari per ignoranza dei meccanismi processuali, quali decisioni di un La condivisione tra soggetto terzo ed imparziale (quale è il Giudioperatori del diritto e ce). In questa prospettiva, una collaborazione giornalisti sarebbe utile tra operatori del diritto (avvocati e magistrati) a creare un linguaggio e giornalisti, volta a creare percorsi formativi ad comune hoc, rappresenterebbe l’occasione per la condivisione di conoscenze e per la costruzione di un linguaggio comune , attento ai delicatissimi equilibri che caratterizzano la funzione giurisdizionale. Il secondo ambito d’intervento richiederebbe, invece, un radicale mutamento culturale da parte dei media e, più in generale, della società civile. Negli ultimi decenni, le spinte populiste hanno individuato nel diritto penale lo strumento attraverso 64


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cui dare risposta – spesso in termini puramente simbolici – ad istanze sociali e a presunte emergenze, non di rado evocate strumentalmente per ragioni di consenso, ma sganciate dai dati della realtà. Ciò ha determinato una delega, altrettanto impropria, alla magistratura, chiamata non solo e non tanto ad accertare i fatti, ma a re- Le garanzie per indagati primere - addirittura a combattere nel gergo un po’ ed imputati vengono bellicista ormai adottato dalla politica e sposato dai percepite come un media - i fenomeni illegali. Ne è scaturita, così, una ostacolo, l’inreresse diffusa aspettativa colpevolista, rispetto alla quale talvolta esclusivo è alla le garanzie per indagati ed imputati vengono perce- fase delle indagini pite come un ostacolo, mentre le decisioni che disattendono quell’aspettativa sono considerate un fallimento del sistema giudiziario. La ricaduta di questa tendenza è rappresentata dall’interesse preponderante, talvolta esclusivo, dei mezzi d’informazione per la fase delle indagini, ove l’interprete principale è l’accusatore (il PM e la Polizia Giudiziaria), la 65


2. Bussole

contestazione ha carattere provvisorio oltre che unilaterale e in cui il ruolo della difesa - che trova la sua piena espressione solo nel contraddittorio avanti un giudice terzo - è per definizione limitata. D’altra parte, l’espressione più plastica di questa tendenza la si rinviene nella scelta, trasversale ormai a molti media, di sovrapporsi o addirittura sostituirsi ai giudici, celebrando - spesso in concomitanza con lo svolgimento dell’indagine - simulacri di processi in trasmissioni televisive che si arrogano, con titoli e format mutuati dal linguaggio legale, la funzione del giudizio. Per modificare questo schema non solo occorre avere chiari i principi che presiedono all’accertamento penale – in primis la presunzione d’innocenza – ma è La diffusione d’informazioni necessario acquisire consapevolezza, in una proriservate (anche coperte da spettiva deontologica, degli effetti, deflagranti e segreto) possono incidere spesso irrimediabili, che conseguono al processullo sviluppo dell’indagine so mediatico. Allo stravolgimento della vita personale, famigliare e professionale, cui nemmeno successive archiviazioni o assoluzioni riescono a porre rimedio, si associa il rischio d’interferenze con l’ordinario meccanismo 66


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processuale, attraverso la diffusione d’informazioni riservate (anche coperte da segreto) che, una volta veicolate al di fuori dalla loro sede naturale, possono incidere negativamente sullo sviluppo dell’indagine e sul processo di formazione del convincimento giudiziale. Un concreto contributo al superamento di queste derive potrebbe venire da una diversa percezione, da parte dei media, di ciò che è centrale: non più e non solo l’indagine, ma bensì il processo. Senza pretendere scelte radicali, Sarebbe rivoluzionario come quella di Emanuele Carrère - scrittore, dive- se i giornalisti nuto cronista per l’occasione - che ha seguito tutte invece di affollare i le (centinaia) di udienze in cui si è articolato il proluoghi dell’indagine cesso per i fatti del Bataclan, sarebbe quasi rivolufrequentassero le aule zionario se i giornalisti, invece di affollare i luoghi dei dibattimenti penali dell’indagine alla ricerca di spigolature delle parti interessate (fossero anche gli avvocati), frequentassero le aule in cui si celebrano i dibattimenti penali. Certo, al di là delle divergenti letture circa la nozione d’interesse pubblico, oggi normativamente recepita dal D. Lgs. 188/2021 in tema di presunzione d’innocenza, sarà bene che avvocatura e mezzi d’informazione proseguano nel confronto, serrato e anche aspro, per costruire una sensibilità comune e cercare di delineare i confini del bilanciamento tra interessi per loro natura in conflitto.

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2. Bussole DEONTOLOGIA E LINGUAGGIO

Perché parlare di minori oggi richiede più attenzione Dietro le prescrizioni del testo unico sui doveri del giornalista vi sono ragioni storiche, culturali e anche “editoriali”. E oggi non sarebbe possibile scrivere un articolo come 30 anni fa: la sensibilità sul tema è aumentata, ma tra chi fa informazione dovrebbe aumentare ancora di Giuseppe Guastella, giornalista del Corriere della Sera, componente del Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia

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e c’è di mezzo un minorenne che delinque, che ha comportamenti devianti, che comunque è coinvolto in un fatto di cronaca di un certo rilievo, preferibilmente se di cronaca nera, il livello di attenzione di giornali e tv aumenta. È un dato di fatto. Ciò che solletica l’attenzione dei media sono gli adulti, è a loro che parlano. La sensibilità della stampa italiana nei confronti dei minorenni che “fanno” notizia negli ultimi anni è aumentata in modo progressivo a livello sia quantitativo che qualitativo. Basta sfogliare un giornale e confrontarlo con uno di 20 o 30 anni fa per rendersi conto di questo. Questo cambiamento è partito dalla metà degli anni novanta. Da quando, cioè, le dosi di sensazionalismo e, diciamo così, l’indagine “introspettiva” sui comportamenti dei ragazzi che fanno notizia sono via via andate salendo negli articoli a prescindere dal fatto che i giovani siano protagonisti attivi o passivi di una vicenda, se vi abbiano contribuito direttamente o se ne siano soltanto dei testimoni.

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Le ragioni di interesse Perché tutto questo è accaduto? Per almeno un paio di ragioni. La prima, perché i giornalisti vivono nella società. Quanto più il lettore è interessato ad un determinato genere di conoscenza,


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ANNIE SPRATT / UNSPLASH

tanto più i media tendono ad appagare il suo bisogno L’interesse dei media di informazione in un gioco di specchi in cui, alla fin sul tema è motivato dal fine, il principale obiettivo degli editori è di vendere mutato atteggiamento più giornali, di catturare il maggior numero possibi- dei genitori verso i figli le di spettatori-ascoltatori o di visualizzazioni nei siti. Nell’azione di rimando in questo circolo, c’è un’altra componente di grande importanza, che è l’azione della politica la quale tende ad esaltare o a minimizzare i fenomeni a seconda delle proprie convenienze. La seconda ragione che cattura l’interesse dei media sui minorenni è molto “italiana”. Nella società di questo paese, che è tra 69


2. Bussole

JORDAN WHITT / UNSPLASH

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le più vecchie al mondo e che fa registrare un tasso di natalità che la colloca agli ultimi posti nel panorama internazionale, da tempo è profondamente cambiato il modo in cui i genitori guardano ai loro figli e la rappresentazione che dei loro figli danno a sé stessi e all’esterno. I genitori sono l’obiettivo dell’informazione classica, e non già i giovani, neppure quelli già adulti. I minorenni e i giovani adulti fino ai 24 anni, che sono gli utenti principali di internet, non solo non leggono più i giornali ma non guardano neppure la tv (tranne le piattaforme digitali in streaming) e si informano essenzialmente attraverso i social network o i blog. L’Istat certifica che (dati 2021) a leggere i quotidiani e a stare davanti alla tv generalista oggi sono in stragrande maggioranza persone di età superiore ai 44 anni. Questo dato spiega perché il pubblico di riferimento dei giornali e della tv, il loro “target”, in questo momento storico sono, giocoforza, principalmente i “vecchi” dei quali, per le ragioni già dette in precedenza, cercano di com-


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prendere, intercettare e appagare interessi ed ansie. Accade lo stesso in tutto il mondo. In Italia c’è anche il problema del basso tasso di natalità. Si fanno sempre meno figli e quei pochi che nascono sono considerati dai genitori come una sorta di patrimonio affettivo e materiale al quale affidare il compito di perpetuare geneticamente la stirpe e di conservare ed incrementare il capitale materiale che hanno accumulato. I genitori proiettano sé stessi sui figli oggi più che nel passato, imponendo loro di primeggiare in tutto, a cominciare dalla scuola. I giovani italiani oggi soffrono degli stessi incubi che da molti anni rovinano le notti di quelli americani costretti, non solo nelle scuole più blasonate, ad inseguire obiettivi sempre più difficili da raggiungere in una costante gara con gli altri studenti per tagliare il traguardo del successo. Tutto questo fa sì che la scuola (lo si è visto chiaramente durante la pandemia) sia diventato uno dei principali settori di cui si occupano i media che, come si diceva, affrontano guardando più ai genitori che ai figli. In ogni caso, tutto il filone delle notizie che coinvolgono in varia misura i minorenni è terreno fertile dell’informazione. Ci si riferisce, ad esempio, al fenomeno delle imprese criminali delle baby gang che, approdato in Italia in ritardo rispetto ad altri paesi europei come la Gran Bretagna, sta assumendo contorni allarmanti nelle grandi città come in provincia. Si dà spazio alle risse a mano armata, alle manifestazioni di sopraffazione che possono anche sfociare, come è purtroppo accaduto, in reati molto gravi come l’omicidio, Il filone di ciò che fa notizia al bullismo, alle violenze sessuali che arrivano va dalle baby gang alle risse a vedere protagonisti perfino quattordicenni, a mano armata, dal bullismo agli atteggiamenti irrispettosi e sempre più alle violenze sessuali spesso violenti verso gli insegnati che spopolano in rete e agli hikikomori. Un filone che attira l’attenzione per nulla disinteressata della stampa è anche quello rappresentato da tutto ciò che è connesso in qualsiasi modo al web, visto che revenge porn, traffico di immagini pedopornografiche, estorsioni sessuali sono sempre più all’ordine del giorno tra i minorenni. Tutto ciò si ripercuote in maniera diretta sulla stampa. I giornalisti che per lavoro percepiscono e come spugne assorbono il respiro dell’opinione pubblica tendono a veicolare le notizie 71


2. Bussole

che suscitano l’interesse delle madri e dei padri angosciati, specialmente quelle angoscianti che attraggono di più. Quando il minorenne o il giovane adulto (in Italia i figli restano in casa fino ed oltre i 30 anni) delinque, quando assume comportamenti devianti, quando esce dal terreno delle regole è lì che l’attenzione dei giornali e delle tv aumenta di intensità. Maggiori cautele Questo meccanismo di concentrazione mediatica ha anche avuto come risultato l’innalzamenNegli ultimi 30 anni il modo to progressivo (e sacrosanto) delle cautele che con cui i media seguono i i giornalisti devono usare per la protezione dei minori è mutato dal punto di soggetti minorenni che finiscono nel tritacarne vista dei metodi narrativi dell’informazione. Negli ultimi 30 anni il modo con cui i media italiani seguono i fatti che riguardano giovani sotto i 18 anni è enormemente cambiato, non solo nella quantità e nei contenuti, ma anche dal punto di vista dei metodi narrativi. Per fortuna in modo positivo. Nel 1988 un giovane corrispondente dell’agenzia di stampa Ansa da Sulmona, cittadina di 23mila abitanti in provincia dell’Aquila, riportando l’arresto di un padre accusato di aver abusato per anni delle sue figlie, scriveva: «Un uomo di XX anni, XXXX YYYY di Pratola Peligna (L’Aquila) è stato arrestato dai Carabinieri su ordine di cattura della Procura della Repubblica di Sulmona con l’accusa di aver ripetutamente violentato nel corso degli ultimi quattro anni due sue figlie minorenni, AAAA e BBBB, di XX e XX anni. (…) Anche la moglie, CCCC DDDD, di XX anni, era a conoscenza delle violenze ma aveva taciuto per paura. Lo scorso anno la donna aveva abortito a seguito di un calcio al ventre ricevuto dal marito. (….) La vicenda è emersa dalla confessione fatta dalla figlia più grande ad una suora dell’Istituto FFFF che ospita tutti i sei figli di XXXX YYYY». Se oggi scrivessi le stesse cose, perché quel giornalista ero io, o addirittura se ripubblicassi quell’articolo esattamente come era l’originale senza cambiare una virgola, nonostante siano passati ben 35 anni potrei giustamente incorrere nei rigori dell’Ordine dei giornalisti e rischiare conseguenze disciplinari sicuramente pesanti. Perché violerei il diritto all’oblio delle persone allora coinvolte e perché, nel caso delle vittime, farei a pezzi la loro privacy rivelando anche dopo tanto tempo che 72


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subirono abusi. Infatti, ho omissato i nomi dei protagonisti ed ogni altro elemento che ancora oggi potrebbe ricondurre a loro. Nel 1988 scrivere un articolo in quel modo e con quei particolari atroci non solo era possibile, come è evidente che avvenne, ma i giovani cronisti venivano addirittura spronati dai superiori a scovare la maggiore quantità di elementi con cui soddisfare la curiosità del pubblico, anche la più morbosa. Oggi, grazie al cielo, le cose sono profondamente cambiate grazie all’introduzione della Carta di Treviso approvata nel 1990 dall’Ordine nazionale dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa d’intesa con telefono Azzurro. Essa si basa sulla Costituzione italiana, sulla Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e su normative internazionali ed europee. Rivista più volte con aggiunte di prescrizioni fino al 2021, la Carta fa parte integrante del Testo unico dei doveri del giornalista, Le cose sono cambiate che è la bibbia etica della stampa italiana, con- grazie all’introduzione della tenente tutte le norme alle quali devono indero- Carta di Treviso approvata gabilmente attenersi gli iscritti all’Ordine. Non nel 1990 dall’Ordine è un obbligo solamente formale, ma anche so- nazionale dei giornalisti

KELLY SIKKEMA / UNSPLASH

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stanziale. Se non lo rispettano, i giornalisti possono incorrere nelle conseguenze di un procedimento disciplinare di fronte al Consiglio di disciplina che può comportare, in caso di riconosciuta responsabilità, sanzioni professionali anche molto gravi che arrivano fino alla sospensione da due mesi ad un anno dalla professione e alla radiazione. Nonostante dall’entrata in vigore siano trascorsi ormai parecchi anni, le violazioni alla Carta di Treviso (che viene richiamata all’art.5 del Testo unico) non sono per niente rare richiedendo l’intervento dei consigli territoriali di disciplina. Molteplici su questi argomenti anche le azioni del Garante della Privacy che più volte è dovuto intervenire con provvedimenti inibitori per bloccare la diffusione di notizie come, ad esempio, quando c’è stato il rischio che attraverso la stampa potesse essere identificato un minore vittima, come è avvenuto in una vicenda di abusi sessuali. Il principale obbligo stabilito dalla Carta è di «tutelare l’armonico sviluppo dell’identità del minorenne senza distinzione di genere, status sociale, origine etnica, nazionalità, lingua, religione e credo politico». Evitando che possa «essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o Il giornalista deve evitare le illecite nella sua vita privata» o subisca «offese forme di sovraesposizione all’onore e alla reputazione». Deve, cioè, prevamediatica dei minorenni lere il più che noto “superiore interesse” di bamanche se auspicato o bini e adolescenti rispetto a quello del medium. concesso dagli stessi Al giornalista è anche richiesto di operare «atgenitori traverso il bilanciamento responsabile dei principi costituzionali riguardanti la libertà di informazione e la protezione dei bambini e degli adolescenti» facendo attenzione ad «evitare le forme di sovraesposizione mediatica dei minorenni». Dei quali «non va assecondato né sfruttato il loro desiderio di protagonismo o di visibilità attraverso qualsiasi mezzo d’informazione», anche «in caso di autorizzazione di chi esercita la responsabilità genitoriale».

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La Carta di Treviso in concreto Come si rispettano concretamente questi fondamenti? Tra le regole più importanti, la principale è ovviamente quella di non pubblicare mai le generalità dei minorenni coinvolti in fatti di cronaca. All’articolo 2 della Carta, infatti, si legge che «vanno


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VITOLDA KLEIN / UNSPLASH

garantiti l’anonimato, la riservatezza, la protezione dei dati personali e dell’immagine del minorenne in qualsiasi veste coinvolto in fatti di cronaca, anche non aventi rilevanza penale ma lesivi della sua personalità, come autore, vittima o teste». Una garanzia che viene meno solo se «la pubblicazione sia tesa a dare positivo risalto a qualità del minore e/o al contesto familiare e sociale in cui si sta formando», che però può trasformarsi in un terreno scivoloso. All’articolo successivo si aggiunge che «va altresì evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possano portare alla identificazione del minorenne, quali ad esempio le generalità dei genitori, l’indirizzo dell’abitazione o della residenza, la scuola, la parrocchia o il sodalizio frequentati e qualsiasi altra indicazione o elemento: foto e filmati non schermati, messaggi e immagini online che possano contribuire alla sua individuazione». Particolare attenzione va riservata ai casi di affidamento o adozione e alle vicende che riguardano genitori separati in cui va tutelato il minorenne «per non incidere sull’armonico sviluppo della sua personalità, evitando sensazionalismi e qualsiasi forma di speculazione». Conseguentemente, il «bambino non va inter- Il bambino non va vistato o impegnato in trasmissioni televisive intervistato o impegnato e radiofoniche che possano lederne la dignità o in trasmissioni radio tv che turbare il suo equilibrio psico-fisico, né va coin- possano lederne la dignità o volto in forme di comunicazioni lesive dell’ar- turbarne l’equilibrio 75


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monico sviluppo della sua personalitໂ anche, come detto in precedenza, se i suoi genitori o chi esercita la patria potestà danno il proprio consenso. Esattamente il contrario di quanto è accaduto, purtroppo, a marzo 2019 quando un uomo di origini senegalesi e cittadinanza italiana dirottò da Crema verso l’aeroporto milanese di Linate l’autobus con 51 studenti di scuola media che stava guidando. Bloccato alla periferia di Milano dai carabinieri chiamati dagli stessi studenti che erano riusciti ad usare il cellulare nonostante le minacce, l’uomo appiccò il fuoco al mezzo. Una volta liberati, i ragazzi furono considerati come eroi e rimasero a lungo sotto i riflettori. Fatti positivi, che consentivano di pubblicare le loro generalità e le loro immagini. Ad anni di distanza, alcuni di loro stanno ancora facendo i conti con le conseguenze psicologiche dovute a quell’eccesso di esposizione. Infine, la Carta di Treviso scrimina i casi, come i rapimenti o le scomparse di bambini, in cui immagini e nomi possono essere pubblicati per facilitare le ricerche, ma sempre tenendo “comunque in considerazione il parere dei genitori e delle autorità competenti”. Anche l’art. 114 del Codice di procedura penale vieta «la pubblicazione delle generalità e dell’immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. Il Tribunale per i minorenni, nell’interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione». Non si fa cenno ai minori che compaiono in un procedimento penale nella veste di imputati, ma in questo caso interviene in ogni caso, come detto, la Carta di Treviso. All’estero Alla luce di tutto questo, è del tutto evidente quali siano oggi le norme che impediscono a quel giornalista di fare ciò che fece nel 1988 riportando le generalità delle vittime e dei loro genitori, l’indirizzo dell’abitazione della famiglia e tutto il resto. E negli altri paesi? Come per la giustizia minorile, anche sulle regole cui deve attenersi la stampa su questo tema l’Italia è all’avanguardia. Negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna, ad esem-

L’Italia è all’avanguardia: negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna, ad esempio, si possono pubblicare nomi e volti dei minori

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pio, si possono pubblicare nomi e volti dei minori. Tutte quelle minuziose D’altronde, negli Usa l’imputabilità del minoren- e a volte farraginose ne scende in molti stati addirittura fino ai 10 anni regole etiche previste per i reati più gravi. Gli over 10 (o 13 in alcuni stati) per giornalisti italiani non vengono equiparati agli adulti anche nel procevalgono, anzi non esistono dimento penale grazie ad una norma draconiana sul web varata nel 1978. In questi paesi, come quasi tutti quelli europei in cui non c’è un Ordine (soggetto pubblico per legge) di fronte al quale i giornalisti possano essere chiamati a rispondere, le questioni etiche vengono valutate dalle associazioni di categoria privatistiche oppure da comitati interni alle singole testate. Al New York Times, per esempio, si decide caso per caso ed in base alle singole circostanze. Solo se non si tratta di crimini, generalmente i giornalisti chiedono ai genitori dei protagonisti il permesso di pubblicare nomi e particolari, anche quando si occupano di giovani adulti, come gli studenti universitari. La Associated Press, una delle maggiori agenzie di stampa mondiali, non dà nomi e immagini di minorenni che hanno subito violenze sessuali o abusi gravi anche quando sono le stesse vittime a rivelare pubblicamente la loro identità. Per quanto riguarda i minori accusati di crimini o che ne sono testimoni, le regole interne dell’Ap dicono che la loro identificazione deve essere approvata dal responsabile del board etico che valuta in base alla gravità dell’ipotesi d’accusa, al fatto che la polizia abbia formalmente comunicato il nome del minore e al fatto che il minore sia stato formalmente ritenuto imputabile al pari di un adulto. Come detto, purtroppo i giovani leggono poco o niente i giornali cartacei, consultano pochissimo i siti internet delle principali testate giornalistiche e non guardano la tv generalista. Si informano principalmente dai social o dai blog tenuti molto spesso da soggetti non iscritti all’Ordine dei giornalisti. È questo il far west dell’informazione dove tutte quelle minuziose e a volte farraginose regole etiche previste per giornalisti italiani non valgono, semplicemente non esistono. Una terra di nessuno che paradossalmente viene considerata la vera patria della libertà e del giornalismo puro. Bisognerebbe mandare qualcuno ad esplorarla, ha bisogno della legge. 77


2. Bussole DIGITALE

La deindicizzazione non può essere concessa in via automatica In caso di proscioglimento o archiviazione la riforma Cartabia prevede la facoltà di richiedere la rimozione dal web dei dati personali contenuti nel provvedimento giudiziario. Ma, come ha chiarito il Garante Privacy, ciò non va inteso come un fatto dovuto: occorre sempre bilanciare il diritto all’oblio con il diritto di cronaca di Claudia Trombetti, avvocata

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on la riforma del processo penale, comunemente nota come Riforma Cartabia, è entrato in vigore l’art. 64-ter del codice di procedura penale (“Diritto all’oblio degli imputati delle persone sottoposte a indagini”). La persona nei confronti della quale sia stata pronunciata una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere o un decreto di archiviazione, ha la facoltà di chiedere che sia inibita l’indicizzazione o sia disposta la deindicizzazione sulla rete internet dei dati personali contenuti nel provvedimento giudiziario ai sensi e nei limiti dell’art. 17 del Regolamento UE n. 679/2016 (GDPR). La cancelleria del giudice ha il compito di apporre, su richiesta dell’interessato, un’annotazione in calce al provvedimento stesso al fine di renderlo titolo idoneo per l’ottenimento della deindicizzazione o inibizione all’indicizzazione. Nel caso degli articoli di giornale, la deindicizzazione si riferirebbe non solo a tutti gli articoli aventi ad oggetto le fasi pregresse del procedimento penale, ma anche all’articolo relativo alla notizia dell’intervenuta archiviazione/assoluzione. Quindi, nella maggioranza di casi, si tratterebbe di articoli di recentissima pubblicazione. Quella prevista dalla riforma Cartabia potrebbe certamente definirsi una procedura facile, veloce e, si pensava, anche automatica, stante l’assenza di qualsivoglia verifica a monte da parte del Giudice circa la fondatezza o meno


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FIRMBEE

dell’istanza, in termini di bilanciamento tra diritto all’oblio e diritto di cronaca. Proprio quell’automatismo a cui sembrava propendere la norma in commento è stato oggetto di pesanti e legittime critiche. Infatti, nonostante l’annotazione ex art. 64 ter richiamasse espressamente il limite di cui all’art. 17 del GDPR, lasciando di fatto trasparire un residuo margine di discrezionalità in capo al titolare del trattamento, la percezione generale è stata quella di un’accettazione automatica delle richieste di oblio. La conferma di tale presunzione assoluta di accoglimento emergerebbe chiaramente dall’esame di un caso portato all’attenzione dell’Autorità Garante per la La percezione protezione dei dati personali (in seguito “Garante generale è stata quella Privacy”). Il caso ha avuto origine da un reclamo predi un’accettazione sentato da una persona dopo che il motore di ricerca Google aveva respinto la richiesta di rimozione dal generalizzata delle web di alcuni articoli di giornale che la riguardava- richieste di oblio no. Tali articoli, si precisa, avevano ad oggetto una vicenda giudiziaria poi conclusasi con l’archiviazione del procedimento penale. In tal caso, il reclamante riteneva di godere di un diritto assoluto alla deindicizzazione in virtù dell’annotazione ex art. 64 ter e, quindi, che il titolare del trattamento fosse tenuto a rispet79


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tare una legge dello Stato, con effetto sul procedimento penale che avrebbe dovuto essere valutato come mai verificatosi. Non sarebbe da biasimare l’atteggiamento del reclamante, non foss’altro per il fatto che la percezione comune fosse quella di una procedura “rivoluzionaria” stante il suo “automatismo”. Sarebbe sufficiente fare qualche ricerca sul web per notare il grande entusiasmo manifestato per l’introduzione di una procedura semplice e agevolata finalizzata, per l’appunto, all’ottenimento della deindicizzazione di ogni contenuto ivi presente. In effetti, se fosse rimasto in capo al titolare del trattamento un margine di discrezionalità nell’accoglimento dell’istanza, quale sarebbe stata la novità rispetto al passato? Quale sarebbe stata l’esigenza di “sponsorizzare” a gran voce la nuova norma se, nei fatti, nulla aggiungeva rispetto a quello che già avveniva quotidianamente? La mancanza di chiarezza, come sempre, non ha fatto altro che generare caos nelle richieste di oblio, portando alcuni editori a cancellare rapidamente contenuti editoriali, sacrificando il diritto di cronaca. Tornando al nostro caso, il Garante Privacy, con il provvedimento del 28 settembre 2023 n. 9946736, ha finalmente chiarito che non vi è alcun automatismo rispetto alla


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previsione ex art. 64 ter. Infatti, sebbene alcuni Secondo il Garante provvedimenti citati dalla norma possano costi- Privacy la richiesta tuire titolo idoneo all’ottenimento della deindi- dovrà comunque essere cizzazione, la richiesta dovrà comunque essere valutata nei limiti del valutata «ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del diritto di espressione e di regolamento Ue 2016», e, quindi, nei limiti del diinformazione ritto fondamentale alla libertà di espressione e di informazione. Il Garante Privacy ha pertanto enfatizzato l’importanza di un equo bilanciamento tra il diritto della collettività all’informazione e il diritto all’oblio. L’art. 64-ter determinerebbe, dunque, una presunzione relativa, e non assoluta, circa l’accoglimento delle richieste di deindicizzazione. In definitiva, la citata norma sembrerebbe non rappresentare più una minaccia al diritto di cronaca e agli editori. Come di consueto, il titolare del trattamento continuerebbe ad avere l’arduo compito di operare un corretto bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio ogni qualvolta fosse destinatario di un’istanza di deindicizzazione. Se, da un lato, uno dei tanti dubbi potrebbe finalmente dirsi risolto, sarebbe comunque lecito interrogarsi su quale potrebbe essere il quid pluris della Riforma Cartabia rispetto alla disciplina previgente. Sarà forse l’istanza rivolta alla cancelleria del Giudice che, per il suo accoglimento, dovrebbe comunque passare dalla discrezionalità in capo al titolare del trattamento?

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2. Bussole INFORMAZIONE E DIRITTO

I vantaggi di definire cosa sia «giornalismo» attraverso una legge È una mediazione intellettuale tra fatti e opinione pubblica che comporta diritti e responsabilità rafforzati. Questa definizione andrebbe prevista in una norma primaria, che avrebbe anche l’effetto di definire e difendere meglio il perimetro del diritto di cronaca di Guido Camera, avvocato esperto di diritto dell’informazione1

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a libertà di espressione è, e rimane, uno dei diritti fondamentali e inviolabili dell’individuo, all’interno delle società democratiche. Ma con il passare degli anni, e il cambiare della società e dei mezzi di comunicazione e di informazione, ha progressivamente sempre più preso piede la consapevolezza dell’importanza di riuscire a tutelare maggiormente altri concorrenti diritti indiviLa Corte Costituzionale, duali di non minore rilevanza, tra i quali vi sono e poi il legislatore, stanno la protezione della reputazione e la presunzione di disegnando a macchia innocenza. Mentre non si riesce a raggiungere un di leopardo delle nuove equilibrio che porti alla nascita di una riforma siregole di fatto stematica e organica all’interno dell’ordinamento, la Corte costituzionale, e poi il legislatore, stanno disegnando a macchia di leopardo delle nuove regole di fatto . Nuove regole che scontano, come fisiologico, molte contraddizioni – visto che non si collocano in un corpo normativo omogeneo – e che non possono pertanto consentire agli interpreti e agli addetti ai lavori di guardare con certezza e precisione al futuro. L’esempio più, recente, ed eclatante, di questo modo di procedere è l’approvazione da parte della Camera dei

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1. L’articolo è un estratto dell’aggiornamento, di prossima pubblicazione, alle “Lezioni di diritto dell’informazione e deontologia della professione giornalistica”, liberamente consultabili al seguente indirizzo URL: https://shorturl.at/cjkKT


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deputati di un emendamento nella legge di delegazione volto a vietare la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare2. Che obiettivo dobbiamo porci, in questo difficile contesto, per raggiungere un ambizioso bilanciamento Manca una definizione tra i vari diritti in gioco? Credo che una risposta ade- legislativa di ciò che guata non arriverà fino a quando non si focalizzeran- rientra nel perimetro di no chiaramente le carenze normative che, all’interno “attività giornalistica” dell’ordinamento, indeboliscono la tutela della professione di giornalista. La prima è sicuramente quella determinata dalla mancanza di una definizione legislativa di giornalismo, ai fini dei diritti e delle responsabilità. Definire in modo chiaro l’esatto perimetro della professione è condizione essenziale per garantire libertà, doveri e qualità dell’informazione. La mia convinzione è che, a prescindere dal mezzo utilizzato, il legislatore debba scolpire all’interno di una norma primaria una definizione di “attività giornalsitica”, sancendo che si tratta di una mediazione intellettuale tra fatti e opinione pubblica, che può dirsi effettivamente tale solo se è il frutto di un’attenta ricerca delle fonti delle notizie e dei relativi riscontri. Notizie che poi debbono poter essere sempre pubblicate secondo valutazioni che siano esclusiva prerogativa del giorna- Il codice penale deve lista, che è esercitata legittimamente ogni qual volta prevedere una causa vengono rispettate le norme di comportamento con- speciale di esclusione tenute nelle regole deontologiche. di antigiuridicità per La seconda modifica basilare – e come tale propedeu- l’esercizio del diritto di tica a ogni successivo intervento sulle modalità di cronaca accesso e diffusione agli atti giudiziari, e più in generale della pubblica amministrazione – è quella di prevedere, all’interno del Codice penale, una causa speciale di esclusione dell’antigiuridicità per l’esercizio del diritto di cronaca. Oggi è la giurisprudenza a far rientrare all’interno dell’esimente dell’”esercizio di un diritto” prevista dall’art. 51, com2. Nel dettaglio, l’emendamento si trova all’interno della “Legge di delegazione Europea 2022/2023”, ed è stato approvato il 19.12.2023 su proposta dell’on. Enrico Costa. Con la legge in questione, il Parlamento ha delegato il Governo, nei sei mesi successivi alla pubblicazione della legge medesima, a modificare l’art. 114 del Codice di procedura penale prevedendo il “divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, in coerenza con quanto disposto dagli artt. 3 e 4 della direttiva UE 2016/343 del Parlamento europeo del 9 marzo 2016”.

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ma 1, prima parte del Codice penale il diritto di cronaca3. Si tratta di un riconoscimento che deriva da un sistema integrato di fonti nazionali, europee e internazionali. Si può dunque affermare che, in base ai principi solcati dalla giurisprudenza, l’esercizio del diritto di cronaca esclude la responsabilità del giornalista per diffamazione, o anche per altri reati che può aver commesso nella ricerca delle notizie, al verificarsi delle seguenti condizioni: le informazioni divulgate corrispondano al vero; riguardino temi di interesse La libertà di espressione generale; non si concretizzino unicamente in come cardine di una società attacchi personali; vengono esposte nel rispetto è stata ben valorizzata dalla dei principi di continenza logica ed espressiva. giurisprudenza La più attenta giurisprudenza ha ben colto che la libertà di espressione costituisce uno dei cardini essenziali di una società democratica e una delle condizioni primarie del suo progresso e dello sviluppo di ciascuno. Libertà di espressione che si estende anche alle “informazioni” e alle “idee” che possano offendere, ferire o turbare qualcuno, perché così esigono il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura, senza i quali non vi è una “società democratica”. La stampa, infatti, ha una funzione sociale rilevante: benché non debba travalicare alcuni limiti, in particolare relativamente alla protezione della reputazione e dei diritti altrui, nonché alla necessità d’impedire la divulgazione di informazioni riservate, le compete nondimeno il compito di comunicare, nel rispetto dei propri doveri e responsabilità, Le restrizioni alla libertà informazioni ed idee su tutti i temi d’interesse di espressione devono generale. Alle autorità nazionali può essere atessere motivate in modo tribuito il potere di valutare se ragioni di “preconvincente valente necessità sociale” legittimino restrizioni all’esercizio della libertà di espressione, ma, “di regola”, la “necessità” d’imporre restrizioni all’esercizio della libertà di espressione deve essere provata in modo convincente: tuttavia, il predetto potere si pone in conflitto con l’interesse della società democratica ad assicurare e mantenere integra la 3. Il Codice penale prevede che escludono la punibilità di un reato le seguenti cause: difesa legittima (art. 52); consenso dell’avente diritto (art. 50); esercizio di un diritto o adempimento di un dovere (art. 51); uso legittimo delle armi (art. 53) e stato di necessità (art. 54). Giurisprudenza e dottrina, in applicazione del principio generale penalistico del favor rei hanno esteso ad altre cause di fatto hanno creato delle c.d. cause di giustificazione non codificate, tra le quali esercizio dell’attività medico chirurgica, esercizio di attività sportiva e, appunto, diritto di cronaca.

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libertà di stampa e, per tale ragione, quando si trat- Le cause di esclusione ti di valutare se le restrizioni imposte dalle autorità della punibilità vanno siano proporzionali rispetto allo scopo perseguito è inserite nel codice come opportuno conferire alla libertà di stampa grande ri- già previsto dal decreto levanza4. legislativo 216/2017 La positivizzazione della descritta causa di esclusione della punibilità, del resto, non sarebbe novità assoluta nell’ordinamento. Il d. lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 ha già infatti esplicitamente escluso la punibilità del delitto di “diffusione di riprese e registrazioni fraudolente” ogni qualvolta “la diffusione delle riprese delle registrazioni deriva in via diretta ed immediata della loro utilizzazione per l’esercizio del diritto di cronaca5”. Tirando le fila sul punto: la modifica che appare pregiudiziale - in un’ottica di razionalità sistematica ed effettivo riconosci4. Si veda, sul punto Cass. Pen., sez. II, n. 38277/2019, che ha riconosciuto l’astratta configurabilità della scriminante del diritto di cronaca anche in relazione al reato di ricettazione eventualmente commesso dai giornalisti nella fase di procacciamento delle notizie 5. Per comodità di lettura, riporto di seguito il testo integrale dell’art. 617 septies c.p.: “Chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione, è punito con la reclusione fino a quattro anni. La punibilità è esclusa se la diffusione delle riprese o delle registrazioni deriva in via diretta ed immediata dalla loro utilizzazione in un procedimento amministrativo o giudiziario o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.”

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mento dell’importanza sociale della professione di giornalista - è proprio quella dell’invocata nuova causa di giustificazione derivante dall’esercizio del diritto di cronaca da parte di un giornalista regolarmente iscritto all’albo che abbia agito, in tutte le fasi della sua attività, nel rispetto delle norme deontologiche e nel bilanciamento consapevole e responsabile dell’esercizio della libertà di espressione con gli altri diritti indicati nell’art. 10, comma 2 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e cioè: la sicurezza nazionale; l’integrità territoriale; la pubblica sicurezza; a prevenire la commissione di reati; a proteggere la salute e la morale pubblica; la reputazione o i diritti dei terzi; ad impedire la divulgazione

Sarebbe anche da precisare l’art. 116 del codice di procedura penale sull’accesso agli atti

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di informazioni riservate; a garantire l’autorità e Il richiamo in una fonte l’imparzialità del potere giudiziario. normativa rafforzerebbe la Il necessario corollario di tale modificazione saqualità del giornalismo e le rebbe un intervento sull’art. 116 del Codice di sue responsabilità procedura penale, che attribuisca espressamente al giornalista il diritto di ottenere le copie degli atti dei procedimenti penali; detta norma, già oggi, stabilisce che “chiunque vi abbia interesse” possa ottenere dal magistrato che procede il rilascio degli atti giudiziari, sempre che non coperti dal segreto investigativo. Si tratta di una disposizione certamente generica, ma che ha già stimolato alcune prassi nel senso da me indicato6. Non bisogna cadere nell’errore di pensare che un panorama legislativo come sopra sinteticamente delineato sarebbe un “liberti tutti”, a discapito della presunzione di innocenza e della reputazione individuale. Al contrario potrebbe essere una novità essenziale per rilanciare la professione di giornalista e il ruolo che essa ha per il buon funzionamento dello Stato di diritto. Il richiamo – diretto e chiaro - contenuto in una fonte normativa rafforzerebbe la qualità del giornalismo e le responsabilità derivanti dal suo esercizio. Oneri e onori, in altre parole, come ha ben detto la Corte costituzionale nella sentenza n. 150/2021. Sono assolutamente convinto che l’onere di verificare quale sia l’interesse pubblico di una notizia, e le modalità con cui essa possa essere diffusa senza ledere ingiustificatamente gli altri diritti in gioco, debba essere pre- L’onere di verificare rogativa esclusiva del giornalista, e non di altri l’interesse pubblico di una soggetti come può essere il pubblico ministero notizia deve essere esclusiva o la polizia giudiziaria. Se si riconoscono al giorprerogativa del giornalista nalista questi diritti, non si deve neanche demonizzare l’idea che le violazioni più gravi e lesive degli altri diritti fondamentali protetti dall’art. 10 comma 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, possano essere sanzionate anche con lo strumento penale all’interno del perimetro ben definito dalla Corte costituzionale precedentemente citata.

6. Si veda, ad esempio, la circolare del procuratore della Repubblica di Perugia del 1° giugno 2022 n. 179 (https://shorturl.at/zEIMR). Sul punto, si veda anche L. Ferrarella, “Giustizia: trasparenza, un diritto conveniente”, in Corriere della Sera, 3 giugno 2022.

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Formazione Gli strumenti che ci servono


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METODOLOGIE DI FORMAZIONE

L’informazione si nutre di dati: un’idea per fare una buona dieta Raccogliere, pulire, analizzare, visualizzare. Sono i passaggi necessari per usare in modo corretto cifre e fatti. Sono anche gli elementi di un corso di Data Journalism online aperto a giornalisti europei che ha alcune caratteristiche innovative: è asincrono, collaborativo e project based di Andrea Nelson Mauro, Dataninja

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a trasformazione digitale ha cambiato tantissimo il giornalismo negli ultimi vent’anni, circa. Dai computer sempre più performanti per modificare l’impaginazione, all’arrivo di internet come luogo in cui trovare informazioni, condividere contenuti e interagire con il pubblico, passando per le fotocamere digitali in mano a redattori e freelance che hanno moltiplicato esponenzialmente la possibilità di catturare frammenti di realtà da raccontare sui giornali. Il data journalism è un tipo di giornalismo che si in- Il Data Journalism non castra in questo filone. Non è però né uno strumento, è uno strumento, né un né un insieme di strumenti: è un concetto che presup- insieme di strumenti: è pone la capacità di utilizzare un nuovo metodo di la- un metodo di lavoro per voro nel racconto della realtà, una questione non solo raccontare la realtà tecnica ma anche culturale. È questo il fulcro del corso in Data Journalism che come Dataninja stiamo portando avanti all’interno dell’European Data Journalism Network. Questo Network, ideato dall’Osservatorio Balcani-Caucaso e finanziato dalla Commissione Europea, raggruppa circa 30 testate da tutta Europa, che in questi anni hanno creato collaborativamente delle inchieste pan-europee. Ultima in ordine di tempo “Femicides in Europe”, frutto della collaborazione tra 18 redazioni diverse. All’interno di questo Network, con Dataninja abbiamo orga89


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nizzato un corso pan-europeo sul Data Journalism, con alcune caratteristiche precise:

• È in inglese, che è la lingua principale quando si avviano collaborazioni internazionali • È asincrono, che vuol dire che una parte della didattica è gestita in totale autonomia da chi partecipa al corso • È collaborativo, nel senso che i/le partecipanti sono chiamate/i a collaborare tra di loro in precisi task ed ambienti online • È project-based, perché oltre alla teoria, c’è tantissima pratica e tutti/e i/le partecipanti devono creare alla fine del corso una presentazione/proposta di inchiesta giornalistica (che noi chiamiamo Data Pitch).

La metodologia del Data Journalism al centro del corso ha due principali elementi costituenti:

1. Il primo è l’applicazione di una versione “giornalistica” del metodo scientifico come processo di lavoro. Partire da un’ipotesi, trovare i dati, analizzarli, confrontarli, raccontarli e - fondamentale - renderli accessibili al lettore che può verificarli. 2. Il secondo è l’acquisizione progressiva di competenze tecnologiche: soprattutto comprendere sempre di più quali sono le potenzialità dei dati e delle tecnologie a nostra disposizione.

Un vecchio amico, Aaron Pilhofer, il giornalista che ha creato il team di Data Journalism del New York Times, diceva sempre: per un giornalista non è fondamentale saper sviluppare software, ma è cruciale che sappia cosa si può Per un giornalista non fare con le tecnologie. è fondamentale saper Operativamente, il corso è stato aperto al pubblico sviluppare software, ma gratuitamente (in quanto finanziato dalla Commisè cruciale che sappia sione Europea) e ha ricevuto oltre 800 candidature cosa si può fare con le di potenziali partecipanti da tutta Europa e oltre. tecnologie Dura tra i 4 e i 6 mesi, durante i quali i/le partecipanti vengono instradati verso il percorso didattico e supportati da un team di tutor e istruttori/trici. Rispetto al giornalismo diciamo così “tradizionale”, nel Data Journalism i passaggi sono abbastanza schematici: 1. Il primo è trovare i dati: dove e come cercare, sfruttando le risorse online e facendo richieste di accesso generalizzato (previste per legge in Italia e all’estero, con il nome di FOIA - Freedom on Information Act) 2. Il secondo è pulire i dati: significa organizzarli bene, come

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rassettare la casa. Sono formattati allo stesso modo? Sono trascritti in modo corretto? I dati devono essere organizzati in maniera tale da poter essere usati al meglio con un foglio di calcolo come Excel. 3. Il terzo è analizzare i dati: si tratta di applicare tecniche come l’ordinamento, i filtri, i raggruppamenti (tabelle pivot) per estrarre quelli che in gergo tecnico chiamiamo “Insights”, e cioè le principali informazioni che i dati ci danno. 4. Il quarto è visualizzare i dati: Alberto Cairo, uno degli esperti più quotati al mondo (autore di diversi libri che hanno fatto scuola) dice che «visualizzare i dati può aiutare a far venire fuori notizie che, prima, dentro i dati erano nascoste». Creare un grafico rende i dati più comprensibili. 5. Infine raccontare i dati: è quello che oggi viene definito “storytelling” e altro non è che il racconto giornalistico, la cronaca o ricostruzione dei fatti, organizzati in una storia.

Non sono tanti i data journalist in Italia e nel mondo e non sono tanti, tra i giornalisti, ad avere le competenze citate sopra, né

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quelli in grado di applicarli in modo sistemico. Ma queste competenze sono cruciali nel racconto della contemporaneità che è fatta largamente di dati, numeri, informazioni codificate e digitali per le quali non è più sufficiente la formazione umanistica tradizionale. Se assistiamo a un dibattito in TV, ci capita spesso di sentire il politico del Partito Blu che cita un dato, e il politico del Partito Bianco che cita un altro dato che dice esattamente l’opposto. Chi ha ragione e chi sbaglia? Chi dice la verità e chi una fake news? È altamente probabile che entrambi stiano dicendo la verità, e che la differenza stia nel fatto che i dati che citano raccontano prospettive diverse dello stesso fenomeno, tengono conto o meno di alcuni fattori, hanno metodologie di raccolta diverse. Potrebbero avere ragione entrambi, ma le competenze di data journalism e questo approccio “giornalistico” al metodo scientifico sono gli unici strumenti in grado di farci capire quale delle due letture opposte sia più attendibile. C’è un salto culturale insomma che dobbiamo fare come sistema informativo. Aumentare e arricchire l’offerta didattica per diventare giornalisti con competenze più attinenti a quanto detto fin qui, che attraversino tutte le discipline e non come materia “stand alone” da inserire in un corso di giornalismo. Finora in Italia è stato fatto molto poco, mentre nel Regno Unito esistono da anni i cosiddetti Tutti i contenuti giornalistici Master in Data Journalism, come per esempio creati con la metodologia quello della Birmingham University. del Data Journalism possono È una strada, questa, per diffondere sempre di più tra i giornalisti e le giornaliste alcune comessere smontati e rimontati petenze necessarie per fronteggiare le sfide di da chi ne fruisce, e ciò li oggi, e che permette al giornalismo e all’inforrende più attendibili mazione di riacquistare alcune delle sue caratteristiche cruciali: affidabilità, attendibilità, verificabilità, trasparenza, perché tutti i contenuti giornalistici creati con la metodologia del Data Journalism possono essere smontati e rimontati da chi ne fruisce, e ciò li rende più attendibili e permette alle testate di riacquistare ciò che giorno dopo giorno sembra sfumare sempre di più: la fiducia delle lettrici e dei lettori. 92

Il racconto della contemporaneità è fatto di dati, numeri, informazioni codificate e digitali: non basta più la formazione umanistica tradizionale


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Giornalismi Il futuro che c’è già: casi, storie, persone 93


4. Giornalismi LAVORARE IN NETWORK

Inchieste, il metodo European Investigative Collaborations L’EIC è un consorzio che raggruppa 14 testate di diversi Paesi, lavora su temi transnazionali in chiave collaborativa e ha portato alla luce Football Leaks, la più grande fuga di notizie nella storia dello sport. Risorse e approcci raccontati da chi ne fa parte di Stefano Vergine

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anama Papers, pubblicata nel 2016 dall’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) e premiata con il Pulitzer, è probabilmente la più conosciuta a causa dell’effetto politico che ha avuto: l’indagine ha infatti permesso di rivelare i nomi di decine di Negli ultimi anni sono società offshore appartenenti a ministri e capi di state moltissime le Stato di varie nazioni del mondo, dall’Islanda alla indagini giornalistiche Russia, dall’Argentina al Regno Unito. Negli ultimi realizzate in gruppo, da anni sono state però moltissime le inchieste giorcronisti di varie nazioni nalistiche realizzate in gruppo, da cronisti di varie nazioni. Sono i cosiddetti consorzi. Una formula relativamente nuova, usata per produrre ricerche internazionali con l’obiettivo di massimizzare la raccolta di informazioni e l’impatto sui lettori.

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La rete EIC Chi scrive collabora da diversi anni con EIC, acronimo di European Investigative Collaborations. Creata nel 2016, è una associazione con sede ad Amburgo e attualmente composta da 14 testate: De Standaard (Belgio), Der Spiegel (Germania), Domani (Italia), Expresso (Portogallo), Le Soir (Belgio), Mediapart (Francia), Nacional (Croazia), Nrc (Paesi Bassi), Infolibre (Spagna), Politiken (Danimarca), Reporters United (Grecia),


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Rts (Svizzera), Shomrim (Israele), Vg (Norvegia). La squadra è dunque variegata, con un misto di gruppi editoriali tradizionali, organizzazioni no-profit e testate online. Non mancano le collaborazioni con realtà Nei suoi sette anni di vita che possono aiutare a sviluppare meglio il EIC ha realizzato 15 progetti singolo progetto d’indagine. Ne sono state realizzate con testate giornalistiche, come di inchiesta, equivalenti a BBC e Bloomberg, ma anche con associazio- centinaia di articoli ni di attivisti come Amnesty International Security Lab. Complessivamente, nei suoi sette anni di vita EIC ha realizzato 15 progetti di inchiesta, equivalenti a centinaia di articoli . Il più noto è probabilmente Football Leaks. È stata la più grande fuga di notizie nella storia dello sport: 1,9 terabyte di dati, pari a circa 18,6 milioni di documenti, grazie ai quali le testate che compongono EIC hanno potuto rivelare, tra le tante notizie, l’evasione fiscale realizzata da alcuni dei protagonisti del calcio mondiale, i pagamenti segreti ottenuti da allenatori e agenti, il ruolo occulto dei fondi d’investimento nella proprietà dei giocatori, i tentativi di aggirare le regole del fairplay finanziario da parte di alcuni club europei. Ma cosa significa concretamente lavorare in consorzio? Quali sono gli strumenti e i metodi utilizzati per collaborare con colleghi di varie nazioni su documenti riservati, forniti da fonti che vogliono rimanere anonime e vanno dunque protette? Da concorrenti a partner Alla base ci dev’essere soprattutto la volontà di collaborare. Rispetto al passato, il punto di svolta che ha permesso di costituire un consorzio come EIC è stata la scelta, da parte delle varie testate che lo compongono, di non farsi concorrenza, ma anzi di aiutarsi. Questione Il punto di svolta è stata la (anche) di necessità. La quantità di dati alla scelta, da parte delle varie base di indagini come Football Leaks, Malta testate che lo compongono, Files o Abu Dhabi Secrets era imponente. La di non farsi concorrenza e al testata che per prima li ha ottenuti avrebbe contrario aiutarsi potuto in teoria fare tutto da sola, ma con un grosso limite: sarebbe probabilmente riuscita con facilità ad analizzare, verificare e approfondire i contenuti relativi alla propria nazione di appartenenza, ma avrebbe rischiato di buttare al vento buona parte di ciò che riguarda-

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va altri Paesi, vuoi per questioni di lingua o per mancanza di conoscenze. E magari la notizia principale si nascondeva proprio lì. Prendiamo Malta Files, un’inchiesta che ha permesso di rivelare decine di società registrate sull’isola ed intestate a personaggi legati alle mafie italiane. Per un giornalista nostrano non è stato impossibile Poter pubblicare un’inchiesta riconoscere e verificare i nomi degli italiani insieme ad altri giornali collegati a queste imprese, ma per un collega internazionali permette di tedesco o francese il lavoro non sarebbe starafforzare il messaggio e to altrettanto agevole. L’altro grande vanaccresce l’autorevolezza della taggio di lavorare in consorzio riguarda l’impropria testata patto. Poter pubblicare un’inchiesta insieme a tanti altri giornali internazionali permette di rafforzare il messaggio e di accrescere l’autorevolezza della propria testata agli occhi del lettore. Ovvio, i problemi di concorrenza rimangono. Per questo i consorzi internazionali come EIC non hanno mai al loro interno più di una testata per nazione (fa eccezione nel nostro caso il Belgio, dove però si parla sia fiammingo che francese). Come funziona A differenza di ICIJ o OCCRP, EIC non ha una redazione: sono i giornalisti delle varie testate a costituire i lavoratori del gruppo, e sono poi le stesse testate a pubblicare i pezzi in forma scritta, audio o video. Il principio è dunque quello della collaborazione distribuita, piuttosto che della centralizzazione. Mettere d’accordo così tante teste non è facile, anche perché tra i vari partner ci sono differenze di stazza, forma comunicativa, tempi di pubblicazione, tipologie organizzative, ordinamento giuridico del Paese d’appartenenza. L’esperienza e la volontà di venirLa comunicazione interna tra si incontro hanno aiutato a superare molti chi svolge l’indagine avviene degli ostacoli incontrati. Importanti sono quotidianamente su canali state però anche le regole che le testate del criptati network si sono date. Gli interessati possono leggerle sul sito di EIC (https://eic.network/) scaricando la “Lettera di Intesa”, un documento firmato ogni anno dai vari partner per definire il flusso di lavoro, i ruoli delle persone coinvolte e gli strumenti utilizzati. Ciascun media deve nominare un coordinatore, cui possono essere affiancati altri reporter a 96


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seconda dell’indagine in corso e della forza lavoro messa a disposizione dalla singola testata. La comunicazione interna tra chi svolge l’indagine si svolge quotidianamente su canali criptati. Una volta alla settimana i coordinatori si ritrovano online per una riunione in cui fare il punto della situazione. Se ci sono disaccordi, eventualità che di solito si materializza prima della pubblicazione dei progetti e riguarda la data di uscita, la regola è una: ogni partner dice la sua, ma l’ultima parola spetta a chi ha portato i documenti da cui è nato il progetto. L’associazione EIC è gestita da un consiglio di amministrazione, il cui mandato dura due anni. Il coordinamento delle operazioni, cioè dei progetti investigativi e dello sviluppo di strumenti e partnership esterne, è gestito sin dal 2016 dal giornalista Stefan Candea. Una volta all’anno i coordinatori delle varie testate partner si riuniscono fisicamente per discutere dei nuovi progetti (quest’anno l’incontro è avvenuto a Lisbona, nella sede del gruppo Expresso), analizzare lo stato dell’arte e discutere del budget operativo di EIC, a cui i partner contribuiscono annualmente con una quota associativa. Sebbene non abbia una redazione, il network ha infatti dei costi rappresentati dal coordinamento esecutivo delle operazioni, da eventuali giornalisti freelance ingaggiati per svolgere parte delle ricerche e, soprattutto, dallo sviluppo e dal mantenimento dell’infrastruttura tecnologica. Uno dei punti chiave di EIC, così come di molti altri consorzi del genere, è rappresentato proprio dal sistema informatico in cui immagazzinare i documenti, spesso molto pesanti, e al quale decine di giornalisti sparsi per il mondo possono accedere per le Una volta all’anno i coordinatori proprie ricerche. delle varie testate partner si riuniscono fisicamente per La sicurezza informatica discutere dei nuovi progetti Dopo le rivelazioni di Edward Snowden sulle attività illecite di spionaggio della NSA, i reporter sono diventati sempre più timorosi che governi e aziende informatiche possano accedere ai loro dati e monitorare le comunicazioni, mettendo così a rischio l’incolumità delle fonti. La condanna nel 2018 di Reality Winner, accusata dalla giustizia statunitense di aver inviato alla testata The Intercept un rapporto top secret della stessa NSA (per la quale la donna lavorava come fornitrice esterna), non ha fatto altro che aumentare queste paure. 97


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Per questo EIC ha creato una piattaforma decentralizzata, che consente ai giornalisti di condurre le inchieste senza pericoli di interferenze o sorveglianza. Per un potenziale hacker, l’archiviazione di tutti i dati e Uno dei punti chiave di le comunicazioni di un’inchiesta giornaliEIC è rappresentato dal stica su un’unica piattaforma rappresenta sistema informatico in cui un bersaglio facile. Se la piattaforma viene immagazzinare i documenti bucata, tutto il materiale accumulato per l’inchiesta rischia di essere compromesso, inclusa la cronologia delle ricerche dei giornalisti e i documenti a cui hanno avuto accesso. Per ridurre al minimo i rischi, EIC ha deciso di prendere alcune contromisure: non archivia i dati su cloud, usa server propri con diversi livelli di sicurezza ; inoltre le comunicazioni e-mail vengono effettuate utilizzando la crittografia Pgp. All’inizio di un’inchiesta, i giornalisti di EIC s’incontrano faccia a faccia per discutere come analizzare in modo indipendente il materiale trapelato, senza depositare i dati in un formato online centralizzato. Vengono dunque create copie crittografate dei dati grezzi. Offrire a tutti i media-partner accesso ai dati grezzi è ciò che distingue il nostro approccio da quello di consorzi che utilizzano piattaforme centralizzate. EIC punta dunque sul controllo distribuito dei dati, condividendo con tutti i partner i diritti sulle piattaforme. Per l’analisi dei documenti è stato sviluppato internamente un motore di ricerca, una specie di Per ridurre al minimo i rischi di Google che attinge ai dati caricati sui nostri hackeraggio, EIC non archivia i server. Si chiama Hoover: il codice è open dati su cloud, usa server propri source, non memorizza le query di ricerca e con diversi livelli di sicurezza non registra l’identità di chi accede ai dati. Di conseguenza, nessuno può entrare nella piattaforma per profilare le ricerche di un giornalista. Neanche gli amministratori possono monitorare le attività degli utenti. Per accedere a Hoover è richiesta una verifica in due passaggi, l’accesso scade ogni tre ore e il sistema opera su scala internazionale. Se un’autorità nazionale dovesse quindi trovare un modo legale per chiuderlo, i partner di EIC potrebbero renderlo disponibile da un altro Paese. Per fortuna non è mai successo, ma la posizione del server cambia comunque di tanto in tanto, così da limitare al massimo i rischi. 98


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Disponiamo inoltre di un’altra piattaforma, per comunicazioni interne e scambio di dati. Lo schema è simile a quello pensato per Hoover: in caso di emergenza, la posizione del server di hosting può essere spostata rapidamente. Questa piattaforma gira su Liquid, che ospita una serie di app open source tra cui Rocket.Chat, Nextcloud e, cosa più importante fra tutte, DokuWiki. Si tratta di un software che permette di crea- Nessuno può entrare nella re le pagine su cui l’inchiesta prende forma. piattaforma per profilare In sostanza, ogni volta che nei documenti le ricerche di un giornalista. qualcuno trova delle potenziali notizie, crea Neanche gli amministratori una pagina in cui elenca i fatti scoperti . Per capirci, è come un foglio di word a cui tutti i membri di una redazione possono accedere, modificabile all’infinito, ma sicuro per via del sistema sottostante. È la base delle inchieste di EIC e, solitamente, per ogni progetto ne vengono create decine. Non tutte diventano articoli, perché bisogna poi fare le verifiche usando banche dati, visure camerali, ricerche open source, visite sul campo e interviste ai soggetti su cui si sta indagando. Strumenti tecnologici a parte, però, realizzare inchieste con consorzi internazionali permette di raccontare fenomeni globali con un livello di profondità che, da soli, sarebbe impossibile raggiungere. Oltre a una lingua comune e a una buona dose di flessibilità, è necessario però avere parecchio tempo da dedicarci. Merce rarissima, nel giornalismo di oggi.

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Il documentarista? È chi intorno ai fatti costruisce contesti In un mondo sommerso di immagini, il reportage di inchiesta deve non solo proporre contenuti originali ma selezionare temi e fonti a beneficio di chi guarda. Per chi racconta, questo si traduce nel chiarire i criteri delle proprie scelte e nel lasciarsi giudicare dallo spettatore. Come qui spiega un’autrice di Silvia Lazzaris

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o iniziato dalla carta stampata e dalla radio. Poi mi sono ritrovata a fare reportage video perché volevo vedere da vicino gli argomenti che trattavo e sentivo il bisogno di dedicare più tempo allo studio. Mi sembrava l’unico modo in cui avrei potuto fare giornalismo per la mia generazione, nella quale ho sempre percepito una diffidenza nei confronti del giornalismo tradizionale. Negli anni ci siamo sentiti preda, più che beneficiari, di un certo giornalismo clickbait. E quella diffidenza oggi è esacerbata dall’onnipresenza di dati e informazioni che consentono di supportare ogni genere di tesi. Nell’audiovisivo ho trovato le risorse e lo spazio – difficili da ottenere dalla carta e dalla radio a meno che non Nell’audiovisivo ho ci si occupi di esteri – per poter dedicare il giusto trovato le risorse e tempo all’approfondimento. lo spazio per poter Negli ultimi anni ho tentato di scoprire e disegnare dedicare il giusto tempo la rete delle interazioni tra scienza e potere, tra le all’approfondimento nostre società e gli ecosistemi naturali di cui fanno parte. Ho raccontato il cibo dal punto di vista politico, sociale, ambientale ed economico in una docuserie che si chiama What we eat e si trova sul canale Youtube di Will Media. I fondi dell’Unione Europea ci hanno consentito di fare una cartografia del sistema alimentare globale e delle sue storture: dalla deforestazione dell’Amazzonia brasiliana alle contraddizioni 100


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CLIMA. Yatapita è un documentario prodotto da Will Media insieme ad Action Aid e ai fondi europei del progetto Food Wave. Si trova sulla pagina Youtube di Will Media. La regia è di Olga Galati, le immagini di Olga Galati e Nicolò Gasperi

del porto di Rotterdam, dalla baraccopoli di braccianti a Borgo Mezzanone ai deserti alimentari della California, dagli ulivi colpiti dalla Xylella a una nave che insegue i bracconieri della pesca illegale in mezzo al Mar Mediterraneo. Per il mio ultimo lavoro, Yatapita, sono stata in Tanzania. Lì ho documentato il fenomeno dell’ingiustizia climatica e le richieste di una nuova generazione che pretende compensa- Qualcuno non userebbe zioni dalla comunità internazionale: non più come la parola “documentario” aiuto volontario ma come un proprio diritto. per i miei lavori: io sono presente come guida e Anche il documentarista è sotto la lente proxy per chi guarda Sono sicura che qualcuno non sarebbe d’accordo sull’uso della parola “documentario” per i miei lavori. Si tratta di reportage in cui io sono presente come guida e proxy per chi guarda. I puristi del genere di realtà preferirebbe101


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ro che l’autore sparisse, che il film desse l’impressione di prendere forma da solo. Eppure credo che oggi il pubblico senta più forte la necessità di scrutinare anche l’autore attraverso l’obiettivo. Per poter contestualizzare la realtà catturata dalle telecamere, serve capire come ragioIl pubblico sente più forte la na chi le accende e direziona. In fondo oggi tutti necessità di scrutinare anche hanno la possibilità di documentare qualcosa di vero. Non serve più una forte professionali- l’autore attraverso l’obiettivo: tà per tirare fuori un contenuto di importanza per contestualizzare la realtà giornalistica. Per quello basta un cellulare e in- catturata dalle telecamere fatti siamo sommersi di fonti. Ed è vero anche il vuole capire chi le accende contrario: oggi tutti hanno la possibilità di fabbricare qualcosa di falso che però sembra vero. Così il documentarista può assumere un nuovo ruolo. Non è più necessariamente pioniere di contenuti originali ma setaccio dei temi e delle fonti, costruttore di contesto. Forse anche per questa esigenza negli ultimi anni c’è stata un’espansione della forma, dello stile e dei generi del documentario. Queste novità di linguaggio sono state adottate con entu103


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siasmo per affrontare temi ambientali. Sono Uno spartiacque nel forse i temi più importanti del nostro tempo, documentario sui temi ma non sono mai la notizia più importante di ambientali: Before The ogni giorno. Così serve un continuo sforzo di riFlood (2016) con Leonardo di cerca per trovare narrazioni fresche ed efficaci che riportino questi temi in alto sulla lista delle Caprio priorità della nostra società. Uno spartiacque, ora già datato ma al tempo piuttosto nuovo, è stato il documentario Before The Flood. È uscito nel 2016 e documenta un Leonardo di Caprio che gira il mondo per capirne di più sul cambiamento climatico. Da allora le piattaforme di streaming (dalla generalista Netflix alla tematica Waterbear) hanno incentivato forme simili, che mescolano l’inchiesta con il giornalismo esplicativo e con la cultura pop. Youtube invece, che non pone alcuna barriera all’ingresso né per chi produce né per chi guarda, ha garantito libertà e accessibilità ed è diventato 105


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La differenza tra giornalismo e attivismo ha iniziato a evaporare: il focus non è la materia né il metodo, ma il messaggio

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un vasto contenitore di lavoro indipendente e approcci non convenzionali.

Il documentario a tesi Ma insieme ai benefici di questi nuovi modelli di distribuzione sono arrivati anche effetti collaterali indesiderati. La differenza tra giornalismo e attivismo ha iniziato a evaporare. Ha preso forma un


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filone di documentari molto popolari che trattano problemi ambientali e si somigliano per una ragione: il centro attorno a cui gravita l’attività dei loro produttori e autori non è la materia né il metodo, ma il messaggio. Anzi, in questi lavori materia e metodo sono funzionali al messaggio. In produzioni come Seaspiracy, Cowspiracy e What the Health il messaggio è: dobbiamo diventare vegani. Sono narrazioni chirurgiche, che per la loro semplicità riescono a creare una grande spinta di mobi-

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CIBO. What We Eat è una docuserie in sei episodi prodotta da Will Media e FoodUnfolded con fondi dell’Unione Europea. Si trova sulla pagina Youtube di Will Media. La regia è di Arturo Vicario, le immagini di Arturo Vicario e Federico Vaccarono

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litazione nel pubblico ma generano solo l’illusione di una comprensione profonda del tema. In questi casi il documentario fallisce nel creare uno spazio per il dibattito e non lascia al suo pubblico la possibilità di formulare conclusioni indipendenti. Presenta invece il suo punto di vista facendosi depositario di una verità incontestabile e genera una sorta di scetticismo dogmatico che può essere direzionato verso qualsiasi fonte tranne il documentario stesso. Il tema della sostenibilità Questo fenomeno è intrecciato a un modello di Un altro fattore di rischio: business basato sull’attenzione del pubblico: le piattaforme di streaming piattaforme come Netflix o Youtube sono estreoffrono finanziamenti, ma mamente competitive, e questa competizione ponendo vincoli e condizioni intensa per l’attenzione spinge chi fa e commissiona documentari a enfatizzare aspetti sensazionali o controversi delle storie trattate, rischiando di compromettere la completezza e l’obiettività dell’informazione che presentano. E qui si arriva alla questione della sostenibilità economica, forse la sfida più importante per il mondo dei documentari. Alcune piattaforme di streaming offrono opportunità di finanziamento attraverso accordi di licenza, ma con vincoli e condizioni. È anche sempre più diffusa la pratica del cosiddetto “branded content”, ovvero collaborazioni dirette con aziende che finanziano la produzione di documentari in cambio di esposizione del marchio o di un coinvolgimento più diretto nel contenuto. Il problema è che il marchio viene spesso integrato nel tessuto stesso del documentario, attraverso la sponsorizzazione di una particolare narrativa. Se non è gestito con attenzione, un finanziamento di questo tipo può fare perdere credibilità e fiducia nel metodo. Si fa sempre più ricorso Ma è anche vero che grazie alla rete esistono a strumenti come il sempre più mezzi alternativi per produrre do- finanziamento partecipativo cumentari. Si fa sempre più ricorso a strumenti (crowdfunding) su come il finanziamento partecipativo (crowdfun- piattaforme ding) su Kickstarter o piattaforme simili. Questi modelli, insieme ai fondi per il giornalismo da parte dell’Unione Europea e di diverse fondazioni filantropiche, possono ancora garantire indipendenza editoriale. Se si trovano finanziamenti di questo tipo, Youtube diventa un alle109


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ato perché consente a chi fa documentari di trovare un pubblico senza dover passare attraverso i tradizionali gatekeeper dei media, come le reti televisive o i distributori cinematografici. Festival internazionali e piattaforme come Vimeo poi consentono di incontrare i distributori tradizionali alla fine del processo quando il lavoro è fatto e confezionato. Il meraviglioso documentario Terra Contesa di Alex Pritz, che racconta la deforestazione in Amazzonia in contemporanea dal lato degli invasori e da quello degli indigeni che vivono nella foresta, ha ricevuto diversi finanziamenti filantropici per poter essere realizzato in modo indipendente. Gli autori lo hanno prima presentato al Sundance Festival e lì, solo a editing chiuso, National Geographic lo ha comprato. Ma non dobbiamo andare lontano per trovare esempi di distribuzione alternativa. In Italia, nessun attore tradizionale voleva distribuire il documentario sul caporalato One Day One Day di Olmo Parenti e del collettivo A Thing By. Pareva troppo pesante per quello che cerca il pubblico italiano, dicevano i distributori. Così A Thing By, insieme a Will Media che ne è diventato distributore alternativo, ha pensato di trasformarlo in un film “vietato agli adulti”. Il documentario sarebbe stato mostrato solo nelle scuole che decidevano di iscriversi per la proiezione. Dopo un tour di un mese in giro per più di 500 scuole in Italia e proiettando il documentario davanti a circa 7000 studenti, Will Media ha pubblicato il video online. Non è dietro paywall, ma è possibile fare una donazione spontanea, che a sua volta serve per finanziare una scuola Non basta più essere autori di italiano per le vittime del caporalato in Pue filmmaker: bisogna glia. essere anche imprenditori, narratori di sé stessi e gestori Nonostante le difficoltà, con uno sforzo di immaginazione possiamo trovare molti più modi di risorse per intercettare un pubblico con i nostri documentari. Ma in un contesto così frammentato e competitivo, se si vuole fare qualcosa di valore, non basta più essere autori e filmmaker. Bisogna rimboccarsi le maniche ed essere anche imprenditori, narratori di sé stessi, scrittori di risposte a bandi istituzionali, gestori di risorse finanziarie limitate. Per questo credo che l’abilità nel bilanciare la creatività artistica e l’indipendenza giornalistica con una visione imprenditoriale sarà un elemento chiave per riuscire a realizzare lavori di cui andare orgogliosi nel mondo dei documentari indipendenti. 110


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AUTOIMPRENDITORIALITÀ

Modelli di sostenibilità: cosa ha da dirvi la storia di Digit@all Nato sette anni fa da quattro allievi della Walter Tobagi è uno studio associato di giornalisti che ha oggi 11 collaboratori stabili e lavora come service per quattro clienti. Gli ingredienti chiave: smartworking, pochi costi fissi, multimedialità di Digit@ll

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igit@ll nasce nel gennaio 2017 come esperimento giornalistico al 100% in smart working. Nei primi mesi vede coinvolti solo i quattro soci fondatori, due under 30 e due poco più che 30enni, giornalisti professionisti ed ex studenti della Scuola di Giornalismo Walter Tobagi dell’Università Statale di Milano: Pietro Pruneddu, Federica Scutari, Valeria Valeriano e Federica Villa. A quasi 7 anni di distanza, Digit@ ll è un’attività giornalistica strutturata che conta, oltre ai soci, 11 collaboratori, tutti giornalisti professionisti che lavorano per uno o più clienti del service con diverse modalità: dalla copertura di breaking news alla realizzazione di approfondimenti su base settimanale o mensile. La fondazione Digit@ll è uno studio professionale associato con I servizi vanno dalla codice fiscale e Partita Iva presso l’Agenzia delle Encopertura di breaking trate. I quattro soci fondatori, prima di costituire lo news alla realizzazione di studio, erano dei singoli collaboratori del sito di Sky TG24, dove erano approdati in momenti diversi, o approfondimenti su base grazie a uno stage avviato dalla Scuola di Giorna- settimanale o mensile lismo Walter Tobagi o perché contattati dall’allora caporedattore del sito. A fine 2016 l’azienda ha proposto di unire le forze, ovvero che i quattro giornalisti costituissero insieme 111


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un service. Ed è qui che il lavoro è diventato un ibrido fra quello di giornalista e quello di imprenditore. I futuri soci si sono rivolti a un commercialista che ha suggerito loro la forma dello studio professionale associato, più “snella” rispetto a una società come può essere ad esempio una Srl iscritta alla Camera di Commercio. Nel frattempo è proseguita la trattativa con Sky Italia per il contratto: ne è nato un accordo che ha dato vita a una redazione parallela, con un ammontare di ore giornaliere prestabilito e un tariffario basato sulla tipologia di contenuti forniti, dai pezzi alle gallery fotografiche fino ai longform e ai contenuti multimediali con grafici e mappe. Il 1° gennaio 2017 Digit@ll è entrato ufficialmente in attività. Lo sviluppo La sfida a quel punto è diventata imparare a gestire gli aspetti imprenditoriali accanto al lavoro giornalistico. Gli adempimenti burocratici, sempre gestiti con il supporto del commercialista, sono aumentati con La sfida è stata imparare l’allargamento del service e non tutti hanno a gestire gli aspetti riguardato aspetti fiscali ed economici. Nel imprenditoriali accanto al settembre 2017 Digit@ll inizia a espandersi lavoro giornalistico con i primi due collaboratori a Partita Iva e comincia a produrre per il sito di Sky TG24 un numero maggiore di contenuti. Negli anni successivi la richiesta di Sky aumenta progressivamente e con essa il numero di componenti del service, mentre iniziano ad arrivare proposte anche da altre aziende. Dal 2017 Digit@ll ha avuto in totale 28 collaboratori (esclusi i soci), a oggi ne conta 11 che lavorano per un totale di quattro clienti del mondo dei media. Ed è questo un altro degli aspetti extra-giornalistici che i fondatori hanno dovuto imparare a gestire: ogni collaboratore viene scelto personalmente da loro, in alcuni casi anche formato sugli aspetti operativi del lavoro, e poi messo in contatto con il cliente che ha avanzato la richiesta.

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Il lavoro Dall’1 gennaio 2017 Digit@ll continua a lavorare per quello che è stato il suo primo cliente, il sito di Sky TG24. Il service ha il funzionamento di una redazione parallela, presente ogni giorno dalle 7 alle 23 con cinque persone al giorno che coprono tur-


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ENGIN AKYURT / PIXABAY

ALWAYS ON. Il service Digit@ll funziona come una redazione parallela a quelle che affianca dalle 7 alle 23.

ni di otto ore. Per il sito di Sky TG24 lavorano Ogni nuovo collaboratore viene in totale 10 persone, compresi i quattro soci, scelto personalmente dai soci alcuni full time e altri con formule part time e in alcuni casi formato sugli di due o tre giorni alla settimana. La produ- aspetti operativi del lavoro zione comprende articoli, fotogallery, infografiche, mappe, long form, copertura live di eventi internazionali e nazionali - spaziando dalla cronaca alla politica, dagli esteri allo sport, dall’economia allo spettacolo - e progetti speciali com’è stata ad esempio la campagna “Sky Ocean Rescue”​ dedicata all’inquinamento dei mari e degli oceani. 113


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Nel maggio 2021 Digit@ll inizia a produrre contenuti anche per Mediaset Infinity e TGCOM24: sono tre i collaboratori che si occupano, alternandosi 7 giorni su 7, di seguire i programmi indicati dalla redazione e scrivere i relativi articoli per i siti. Nello stesso anno il service, su richiesta di Rcs, inizia anche a fornire contenuti per la sezione “La Scelta Giusta” del sito de Il Corriere della Sera: anche qui sono tre i collaboratori operativi che si coordinano con la redazione di via Solferino. Da ottobre 2021 a luglio 2023 Digit@ll si è inoltre occupato della gestione della comunicazione social di Gabriella Pravettoni - direttore della Divisione di Psiconcologia dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) - e di We Will Care Onlus, associazione senza scopo di lucro che fornisce supporto psicologico alle persone che sono o sono state malate di tumore e ai loro familiari. Nel dicembre 2022 il service ha infine avviato la collaborazione con Uniti nel Dono, sito della Conferenza Episcopale Italiana, per il quale due collaboratori si occupano di proporre e raccontare storie e iniziative provenienti da tutta Italia. I punti di forza di Digit@ll Nato come una scommessa di quattro giovani giornalisti, Digit@ll in quasi sette anni di attività ha avuto un’espansione progressiva e oggi dà lavoro a un totale di 15 professionisti. Le ragioni delTra le ragioni della crescita la crescita sono molteplici, a partire anche quella di fare tutto in dalla formula del 100% smart working smartworking, scelta molto adottata in tempi abbondantemente apprezzata dai collaboratori pre-pandemia in cui il lavoro da remoto non era ancora la normalità. Un sistema economicamente sostenibile, perché non comprende costi fissi come ad esempio l’affitto per una sede fisica, e molto apprezzato dai collaboratori che spesso scelgono di lavorare per il service anche perché non obbligati a trasferirsi in una determinata città. Anzi, in molti nel corso degli anni hanno girato il mondo senza mai interrompere l’attività: basta una buona connessione internet. Infine, molto apprezzato dal lato dei clienti è il fatto di poter usufruire del lavoro di molteplici giornalisti stipulando un unico contratto con Digit@ll e potendo interagire per le questioni burocratiche e organizzative con un unico interlocutore. 114


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