Tabloid numero 6/2024

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Tabloid

Informazione e giustizia

Indagini

La cronaca giudiziaria tra presunzione di innocenza e diritto a essere informati

Giustizia riparativa

Dal reato alle persone: un cambio di sguardo per ricucire il legame sociale

Carceri

Quando un giornale serve ad abbassare i confini tra dentro e fuori: due storie

Tabloid

New Tabloid - Periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia

Poste Italiane S.p.a. Sped. Abb. Post.

Dl n. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1 (comma 1). Filiale di Milano - Anno LI N. 2/2024 (numero 6 nuova serie)

Direttore responsabile Riccardo Sorrentino

Coordinamento editoriale Francesco Gaeta francesco.gaeta@odg.mi.it

Direzione, redazione e amministrazione Via Antonio da Recanate 1 20124 Milano

Tel: 02/67.71.371 - Fax 02/66.71.24.18

Consiglio Ordine giornalisti Lombardia Riccardo Sorrentino: presidente professionista. Francesco Caroprese: vicepresidente pubblicista. Rosi Brandi: consigliere segretario professionista. Maurizia Bonvini: consigliere tesoriere professionista. Giuseppe Caffulli, Ester Castano, Fabio Cavalera: consiglieri professionisti. Paolo Brambilla, Roberto Di Sanzo: consiglieri pubblicisti

Collegio dei revisori dei conti: Roberto Parmeggiani (presidente professionista), Monica Mainardi (professionista), Angela Battaglia (pubblicista).

Registrazione n. 213 del 26-05-1970 presso il Tribunale di Milano. Testata iscritta al n. 6197 del Registro degli Operatori della Comunicazione (Roc) Tiratura: 600 copie.

Progetto grafico: Chiara Athor Brolli

Chiuso in redazione il 16 settembre 2024.

Stampa: Prograf Soluzioni Grafiche di Francesco Formica

©Mounish Raja / Unsplash
Informazione e giustizia Dialogo di interesse

Giustizia e carcere, mondi da illuminare

Difendere il diritto di cronaca, evitare processi mediatici: è lo spazio entro cui si gioca oggi un giornalismo responsabile e accurato

Né vittime, né carnefici. Un giornalismo sano, quando è chiamato a occuparsi di crimine, di violenza, del processo penale e del carcere, non può che ambire a evitare i due estremi, come ha invitato a fare un grande giornalista – e filosofo, e scrittore… - come Albert Camus.

editoriale

a fine 2021: l’unico risultato dei vari “segreti” introdotti dal legislatore è quello di rendere più difficile fare giornalismo corretto. L’eterogenesi dei fini è sempre in agguato.

Non può e non vuole essere vittima del contrasto tra politica e magistratura sul tema dei reati dei colletti bianchi, perché di questo si tratta, che si è spesso tradotta nel desiderio di risolvere vere o presunte patologie del giornalismo bloccando l’accesso o limitando la pubblicazione degli atti giudiziari. Un’illusione, lo abbiamo detto fin dall’entrata in vigore del decreto legislativo Cartabia,

Il giornalismo non vuole neanche essere carnefice. La cronaca giudiziaria – l’Ordine dei giornalisti lo ha spiegato più volte, nei tanti incontri con magistrati, giudici e avvocati – ha uno sguardo molto diverso rispetto a quello del diritto. Occorre una cultura dell’informazione e del giornalismo che ci renda più consapevoli del nostro ruolo L’interpretazione dell’”Interesse pubblico”, evocato da molte norme è un esempio molto concreto di questa differenza(a pag. 13).

Occorre una cultura dell’informazione e del giornalismo che ci renda più consapevoli del nostro ruolo

Deve evitare però di sostituirsi alla giustizia. Il “processo mediatico”, quando non indica semplicemente un’inchiesta sgradita, va evitato, e il principio in dubio pro reo – più preciso e meno retorico di quello della presunzione di non colpevolezza che può avere davvero un senso soltanto nelle aule giudiziarie – deve diventare patrimonio deontologico di tutti noi (pag. 7). Più che le leggi, e insieme alle decisioni deontologiche – che non mancano – per evitare i due estremi occorre una cultura dell’informazione, del giornalismo che ci renda più consapevoli del nostro ruolo, pur nel rispetto del principio “fondamentalissimo” della libertà di stampa, oggi spesso negato, come in Russia (pag. 96). Anche i magistrati, del resto, si sono resi conto della necessità di saper comunicare con la stampa, in vista di un interesse comune, e generale (a pag. 26).

La necessità di una maggiore cultura giornalistica, che si aggiorni (pag. 60) e vada al di là della formazione continua è molto sentita dall’Ordine dei giornalisti. Non a caso è stata costituita, come erede dell’Associazione Walter Tobagi, la Fondazione Walter Tobagi per la cultura giornalistica. Più in concreto, sono

stati predisposti due “toolkit” digitali a disposizione dei colleghi: uno sulla giustizia riparativa, la cui novità è fonte di grandi equivoci (pag. 65 e 69), già online; e uno sulla giustizia penale, che sarà presentato l’11 ottobre. Non dimentichiamo inoltre il tema delle carceri. Anche come luogo nel quale il giornalismo può dare un contributo alla rieducazione dei condannati (pag. 74 e 78).

Per svolgere questo ruolo sempre più ampio di traduttore culturale, di mediatore tra una realtà divisa in compartimenti iperspecializzati e l’opinione pubblica, occorrono anche risorse. La crisi del settore – in Italia, dove domanda e offerta di informazione sembrano divergere – resta ampia. L’Ordine, che non è il sindacato e non ha rapporti con gli editori, dovrà occuparsi sempre più di questo tema e di dare visibilità, e dove è possibile sostegno, alle nuove forme di giornalismo: continua quindi, in questo numero, la nostra esplorazione degli esperimenti di successo, dal giornalismo investigativo (pag. 86) al giornalismo sociale (pag. 106).

SommarioSommario

1 editoriale

Giustizia e carcere, mondi da illuminare di Riccardo Sorrentino

6 Crocevia

La questione del momento pag. 7

Il presunto colpevole non diventi chi deve informare di Riccardo Sorrentino pag. 13

Di cosa parliamo quando parliamo di «interesse pubblico» di Guido Camera pag. 21

Ciò che si può sapere su una indagine non è uguale dappertutto di Riccardo Sorrentino

pag. 26

Pari accesso alle fonti per una comunicazione più trasparente

di Edmondo Bruti Liberati

pag. 30

Gestione economica, iscritti e formazione: come sta andando di Riccardo Sorrentino

pag. 39

pag. 53

LE MASSIME DEL CONSIGLIO DI DISCIPLINA

Della responsabilità dei direttori in tema di locandine e cronaca giudiziaria del Consiglio di Disciplina Territoriale

Servizi e formazione: le cose che vogliamo fare di Francesco Gaeta 44

Appunti di deontologia

pag. 45

Essere più consapevoli dei nostri doveri verso il pubblico

di Paolo Della Sala

59

Formazione

Gli strumenti che ci servono

pag. 60

Non è più tempo di «suole da consumare»

di Gianni Antoniella, Elisabetta Muritti, Luciano Scalettari, Paolo Zucca

pag. 65

Perché saperne di più in tema di giustizia riparativa

di Riccardo Sorrentino

pag. 69

Cambiare sguardo: dal reato commesso guardare alle persone

di Federica Brunelli

pag. 74

Il ristretto confine tra bene e male si può descrivere e superare di Ornella Favero

pag. 78

«La parola qui difende e guarisce, perché mette in movimento il dolore» di Antonetta Carrabs

pag. 81

Cosa vogliamo farcene (in concreto) di questa intelligenza artificiale?

di Alberto Puliafito

Giustizia riparativa: dal reato alle persone

«La giustizia riparativa chiede un “cambiamento di sguardo”: guardare il reato non soltanto come la violazione di una norma del codice penale, ma primariamente come la rottura di una relazione significativa fra due persone, di un patto sociale di carattere fiduciario, abbandonando una visione solamente reo-centrica e restituendo un posto anche alle vittime e alla comunità ferita. pag. 71

Giornalismi

Il futuro che c’è già: casi, storie, persone pag. 86

Inchieste senza frontiere: Investigate Europe e i suoi fratelli di Alessia Cerantola pag. 96

Cosa possiamo sapere della Russia tra le maglie della censura di Silvia Lazzaris pag. 106

Il metodo Bullone per un nuovo giornalismo sociale di Elisa Tomassoli

Crocevia Tabloid

La questione del momento

INFORMAZIONE E GIUSTIZIA

Il presunto colpevole non diventi chi deve informare

Limitare i danni reputazionali all’indagato e assicurare il diritto di cronaca. È l’eterno compromesso che regola la cronaca giudiziaria, reso più difficile dalle norme sulla comunicazione delle Procure. Discussione in corso a Milano di Riccardo Sorrentino

Quella sulle norme in tema di presunzione di innocenza avviata a Milano tra giudici, magistrati inquirenti, avvocati e giornalisti è stata una discussione aperta, leale. Dopo esser arrivata a definire un documento e un articolato si è fermata – al momento: speriamo in una ripresa – su un dettaglio non certo irrilevante, ma che ha messo in ombra tutto il lavoro svolto. Sarebbe un peccato se tutto si fermasse qui. Il Tribunale di Milano, su iniziativa del presidente Fabio Roia, ha avuto e ha l’ambizione di dar vita a un documento sulla «corretta informazione giudiziaria», che ha coinvolto anche l’Ordine dei giornalisti della Lombardia, insieme alla Procura, all’Ordine degli Avvocati di Milano e alla Camera penale di Milano. Contiene aperture importanti, per il mondo del giornalismo, compatibili con le nuove regole del decreto legislativo 188/2021 che penalizzano sempre di più il nostro lavoro, e in qualche modo “correttive” dei limiti che ha imposto. Aprono a una visione più ampia di quel presupposto di “interesse pubblico” evocato da diverse norme rispetto a quello adottato in un contesto, per così dire, strettamente “amministrativo”. Il punto ancora in discussione riguarda l’ampiezza della comunicazione ufficiale da parte della Procura. L’Ordine dei giornalisti è evidentemente favorevole a una maggiore apertura, ma

Avviato un tavolo di discussione su impulso della presidenza del Tribunale

La divergenza tra le posizioni degli avvocati e quella degli inquirenti

lo stallo si è creato tra le posizioni degli avvocati e quella degli inquirenti. Nulla di insuperabile, a nostro avviso, ma l’impasse è rivelatrice. Perché la discussione ha fatto emergere non solo una divergenza di interessi da comporre, ma la diffusione di una cultura sulla quale è opportuno, anche da parte nostra, discutere apertamente. Sappiamo quale è il problema, dal punto di vista degli avvocati: il danno reputazionale dei cittadini coinvolti in una inchiesta. Il giornalismo, con le sue caratteristiche ineludibili – la rapidità, la sintesi, la sequenzialità delle pubblicazioni, l’approccio non limitato agli aspetti giuridici e procedurali – può avere un impatto molto forte, persino dirompente. A volte va anche fuori rotta: se è fondamentale l’attività di informazione e anche di inchiesta, non è accettabile che i giornalisti si sostituiscano ai giudici emanando proprie “sentenze”.

L’impatto del giornalismo sulla vita delle persone va sempre tenuto presente. Il testo unico dei doveri del giornalista impone molti obblighi sulla cronaca giudiziaria. L’Ordine lombardo sta preparando strumenti a disposizione dei colleghi per migliorare la propria conoscenza del processo e favorire la giusta distinzione tra gli aspetti procedurali e quelli più ampiamente informativi. L’ambizione di lungo periodo è quella di dar vita a un master lombardo sulla cronaca giudiziaria, che formi giornalisti competenti e consapevoli.

Confusione tra strumenti e obiettivi a danno dell’attività giornalistica

La discussione che si è tenuta al tribunale ha però suggerito un’altra idea. È possibile che si sia creata – anche attorno al tema della “presunzione di innocenza”, diventato centrale – una confusione tra strumenti e obiettivi che danneggia, alla fine, l’attività giornalistica, eretta a capro espiatorio? È evidente quale sia il problema da risolvere: nella società, come ha spiegato Glauco Giostra, docente di procedura penale, esiste in realtà una presunzione di colpevolezza: chi cade nelle maglie della magistratura inquirente è considerato – da molti? da tutti? la questione non è secondaria – colpevole anche dove la giustizia è poco credibile: «Qualcosa avrà pur fatto», sembra essere il pensiero recondito di molti. Già Adam Smith, nel XVIII secolo, notava che la frase «giustizia è fatta» si riferisce sempre alle condanne, mai alle assoluzioni, e le cose non sono cambiate da allora.

DIRITTO DI SAPERE. Marzo 2024, nel carcere minorile Beccaria di Milano agenti picchiano un detenuto di 15 anni. Le immagini sono diffuse dall’Ansa

Sono considerazioni che oscurano però il vero principio su cui si basa la presunzione di non colpevolezza, che riguarda lo Stato e i suoi rapporti con i cittadini: la violenza statale non è vendetta, può essere esercitata solo alla fine di un processo di attenta verifica dei fatti e delle norme applicabili e il minimo dubbio impone di fermare la macchina sanzionatoria. Una delle prime formulazioni di questo principio resta molto concreta, più vicina alla realtà: non c’è presunzione, non viene coinvolto alcun “giudizio”. «Nessuna persona – dice il quinto emendamento della Costituzione Usa, proposto nel 1789 – […] sarà privata della vita, della libertà, o della proprietà senza un giusto processo». L’enfasi cade sulle conseguenze dell’essere giudicato colpevole. All’opposto, in un sistema tirannico, il principio non viene rispettato. Le leggi fasciste, per esempio, non hanno più imposto una presunzione di non colpevolezza che era invece già prevista nel codice penale del 1913. Ora l’Unione Europea intende andare oltre una normativa che regoli i rapporti tra Stato e cittadini: diffondere la presunzione di colpevolezza nella società. Farla uscire dalle aule dei tri-

ANSA / POLIZIA PENITENZIARIA

Ridurre il flusso di informazioni fornite

dalla Procura non può essere una soluzione

bunali. Il giornalismo è chiamato a contribuire, e il decreto Cartabia sembra rispondere a questo obiettivo; ma può mai essere una soluzione, come prevede quel provvedimento, quella di ridurre il flusso di informazioni fornite dalla Procura, ridimensionandone una trasparenza già limitata dalla necessaria segretezza delle indagini, o quelle “pubblicabili”?

Non ci è mai sembrato, per diverse ragioni, ma durante la discussione – sempre ad alto livello – con gli operatori del diritto si è affacciata un’idea più radicale. Forse l’obiettivo di far uscire la presunzione di innocenza dalle aule del tribunale è inopportuno. In uno dei nostri corsi sulla cronaca giudiziaria, un’avvocata ha argomentato che la presunzione impone ai giornalisti di sposare una visione innocentista, e non semplicemente garantista, per ciascuna inchiesta. All’inizio è sembrata una piccola provocazione, ma a ben vedere è proprio questo l’esito di questo progetto. Un esito impossibile, almeno in un sistema liberaldemocratico, perché cancellerebbe una parte importante della discussione pubblica - ci saranno sempre cittadini innocentisti e colpevolisti, su qualunque caso rilevante per l’opinione pubblica, anche dopo le sentenze di assoluzione – insieme al compito del giornalismo di garantire la trasparenza dell’amministrazione giudiziaria, che non può che basarsi su un ampio diritto di critica, intesa come analisi razionale, del suo operato, durante un processo e dopo.

Il principio «in dubio pro reo» va trasformato in un principio metodologico e deontologico del giornalista

Cosa allora può davvero “uscire dalle aule giudiziarie”? Forse puntare alla presunzione di innocenza è troppo ambizioso. Alla Costituente Giovanni Lombardi, nelle discussioni sull’articolo 27 della Costituzione, ricordava rifacendosi alla scuola di Enrico Ferri e di Lodovico Mortara che la presunzione di innocenza è un concetto politico, non giuridico. Giovanni Leone parlava di una “visione romantica” sottostante la presunzione di innocenza, mentre la formula poi adottata “presunzione di non colpevolezza”, più correttamente, esprimeva in modo diverso il principio “in dubio pro reo”.

Forse la soluzione è qui: la natura procedurale del principio “in dubio pro reo” può essere più facilmente trasformato in un principio metodologico e deontologico del corretto giornali-

smo giudiziario e ne garantisce pienamente il ruolo. Questo principio può anche venire incontro, nei limiti del possibile, anche all’esigenza di ridurre il “danno reputazionale”, che non è un capriccio: la proliferazione delle norme penali e il numero di errori giudiziari fanno sì che nessuno di noi può davvero pensare di non correre questo rischio (che pure impallidisce di fronte a quello di essere ingiustamente indagato, accusato, magari assolto solo al secondo o al terzo grado di giudizio). Una cosa deve essere chiara, per concretezza: il danno reputazionale non è eliminabile.

Così, per quanto possibile, si può anche venire incontro all’esigenza di ridurre il «danno reputazionale»

Il diritto sovrano alla libertà di espressione Emerge qui l’ultimo aspetto: l’idea della composizione dei diversi diritti che guida tutta la discussione sui rapporti tra giustizia e informazione (e che sono state a volte, in modo opportunistico, il grimaldello per ridurre gli spazi del giornalismo). Sono tutti, davvero, sullo stesso piano? È chiaro che non è possibile definire una gerarchia. Nessuno prevale tout court sugli altri. Alcuni diritti – in una società liberaldemocratica – vengono però prima, come ci ha insegnato John Rawls, e in un senso lessicografico: così come la lettera A viene prima della lettera B nelle ricerche sui dizionari. Quali? I diritti di libertà, e i pilastri del sistema liberaldemocratico, quelle che tengono insieme la res publica. La Corte costituzionale italiana ha definito, nella sentenza 84 del 1969, la libertà di espressione, «pietra angolare dell’ordine democratico». Molti giuristi, sfidando la logica con un po’ di retorica, lo considerano un «diritto fondamentalissimo». L’accountability e la trasparenza della magistratura inquirente sono principi altrettanto centrali; e nessuno, oggi, può dire che il mondo della giustizia abbia un trattamento privilegiato da parte della stampa e della politica. Nessuno, nell’ambito delle nostre discussioni, ha mai messo in discussione la libertà di espressione, e la cosa non può che farci piacere. I colloqui sono stati però condizionati da questi due aspetti: la mancata chiarezza degli obiettivi – l’ampliamento del principio di non colpevolezza, correttamente inteso, la riduzione del danno reputazionale – l’effettiva utilità degli strumenti adotta-

Nella scala dei diritti alcuni giuristi parlano della libertà di espressione come «diritto fondamentalissimo»

ti, i diversi piani giuridici su cui si muovono libertà pubbliche, perché fondamentali, e diritti dei privati. La cultura giornalistica deve oggi mettere in chiaro le diverse dimensioni del problema: la nostra non è una categoria che difende corporativamente i propri interessi, ma una professione che vive e incarna un interesse generale; e forse l’”interesse pubblico” di cui si è discusso finora, va interpretato, e proprio per il mutato contesto in cui lo si vuole inserire, proprio come interesse generale (si veda l’articolo nella pagina seguente). Le conseguenze, anche in termini di chiarezza, sarebbero enormi.

Direttiva Ue 9/3/2016 sul “rafforzamento della presunzione di innocenza”

Stabilisce al punto 16 che «la presunzione di innocenza sarebbe violata se dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentassero l’indagato o imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata».

Decreto legislativo 188/2021 Recependo la direttiva, il «Dlgs Cartabia» prevede che le informazioni sui procedimenti giudiziari siano fornite «esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenza stampa».

Prescrive inoltre che «la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico». Nel comma 3-bis dell’art. 3 del DLgs 188/2001 viene specificato che «è il capo della Procura ad autorizzare gli ufficiali di polizia giudiziaria a fornire informazioni sugli atti di indagine.

La norma non chiarisce - e ovviamente non potrebbe farlocosa si intenda esattamente per interesse pubblico. Il rischio è che, assegnando il compito di regolare la comunicazione esclusivamente al capo della Procura, l’interesse pubblico venga a coincidere con l’interesse dell’inquirente e non della collettività a conoscere i fatti in questione.

IL «DECRETO CARTABIA»

Di cosa parliamo quando parliamo di «interesse pubblico»

È il concetto che regola la comunicazione delle Procure e le norme in tema di presunzione d’innocenza, ma l’interesse del giornalista a informare e del pubblico a essere informato non coincide con quello del magistrato inquirente di Guido Camera, avvocato, esperto di diritto dell’informazione

Un equivoco in cui non bisogna mai cadere è quello di confondere la comunicazione del Procuratore della Repubblica con la cronaca giudiziaria. La prima, infatti, proviene da un soggetto pubblico che non è terzo rispetto all’inchiesta. Pertanto, è fisiologico che l’ordinamento circoscriva il catalogo delle informazioni che possono essere rese pubbliche da una Procura rispetto ad atti di indagine compiuti, soprattutto se ancora non sono stati sottoposti al filtro del processo, ovvero la sede in cui, secondo quanto prevede l’articolo 111 della Costituzione, un giudice terzo e imparziale deve decidere della responsabilità dell’accusato al di là di ogni ragionevole dubbio. Viceversa, la cronaca giudiziaria ha presupposti e finalità differenti. Il giornalista è prima di tutto soggetto terzo rispetto all’inchiesta – e sempre deve rimanere tale - e il suo dovere professionale è quello di informare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo in un determinato momento storico, non appiattendosi sulle informazioni che provengono dalla parte pubblica. Per evitare di farlo – trasformandosi in grancassa dell’accusa, a discapito della presunzione di innocenza - deve fisiologicamente cercare di avere accesso al maggior numero di riscontri, in modo da accertare il più possibile la verità del fatto narrato, INFORMAZIONE

Chi fa informazione è soggetto terzo rispetto all’inchiesta: punta ad avere accesso al maggior numero di riscontri

secondo criteri di pertinenza, interesse pubblico e continenza espressiva, e nel pieno rispetto della presunzione di innocenza. L’interesse pubblico che deve pertanto valutare il Procuratore della Repubblica nei suoi comunicati o nelle conferenze stampa è differente da quello che legittima l’attività del giornalista. Il monito vale in particolare quando si cerca di fare un esame obiettivo delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 188/2021, che ha recepito la direttiva UE 2016/343 sul rafforzamento della presunzione di innocenza nei procedimenti penali

L’interesse pubblico nell’ottica del Procuratore

La norma centrale è quella che disciplina la comunicazione del Procuratore della Repubblica, sulla quale il decreto n.188/2021 è intervenuto. Si tratta dell’articolo 5 del decreto legislativo nu-

«PASSI PERDUTI». I corridoi del Tribunale di Milano

mero n. 106 del 2006: «I rapporti del Procuratore della Repubblica con gli organi di informazione». La disposizione sancisce due principi. Il primo è quello per cui la regola deve essere il riserbo del Procuratore sulle inchieste; la seconda è che questa regola può essere derogata solo in presenza di specifiche «ragioni di interesse pubblico», che quando sono di «particolare rilevanza» possono consentire i rapporti con gli organi di informazione tramite comunicati ufficiali o anche conferenze stampa. Del resto, il pericolo di lesione della presunzione di innocenza che può derivare da una conferenza stampa del capo di una Procura, o anche solo da un comunicato, è evidente. Nelle conferenze stampa l’accusato non ha mai il diritto di replica (anche perché non di rado è stato privato della libertà personale) e viene divulgata solo la ricostruzione dell’accusa, magari quando il processo è ben al di là da iniziare.

Nelle conferenze stampa l’accusato non ha mai il diritto di replica

La casistica dell’interesse pubblico che può legittimare la comunicazione del Procuratore della Repubblica è indicata nella direttiva UE 2016/343 al considerando 18, ovvero quando la divulgazione di informazioni «sia strettamente necessaria per motivi connessi all’indagine penale, come nel caso in cui venga diffuso materiale video e si inviti il pubblico a collaborare nell’individuazione del presunto autore del reato; o per l’interesse pubblico, come nel caso in cui, per motivi di sicurezza, agli abitanti di una zona interessata da un presunto reato ambientale siano fornite informazioni; o la pubblica accusa o un’altra autorità competente fornisca informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell’ordine pubblico. Il ricorso a tali ragioni dovrebbe essere limitato a situazioni in cui ciò sia ragionevole e proporzionato, tenendo conto di tutti gli interessi. In ogni caso, la modalità e il contesto di divulgazione delle informazioni non dovrebbero dare l’impressione della colpevolezza dell’interessato prima che questa sia stata legalmente provata». Fuori da questi casi il Procuratore deve evitare di innescare una comunicazione circa l’inchiesta che sta svolgendo, soprattutto per cercare consenso alla sua fondatezza. Ancor meno deve parlare il giudice, per evitare che un’anticipazione di giudizio lo esponga ad essere ricusato per il venir meno della sua terzietà,

Nel decreto

legislativo n. 188/2021

l’attività giornalistica non è nominata

imparzialità e indipendenza. Ma è palesemente sbagliato pensare di applicare queste regole ai giornalisti che si occupano di cronaca giudiziaria, come del resto dimostra il fatto che nel decreto legislativo n. 188/2021 l’attività giornalistica non è mai nominata. È dunque utile comprendere esattamente quale sia l’interesse pubblico che legittima la cronaca giudiziaria.

L’attività giornalistica e l’interesse pubblico È un principio consolidato nella giurisprudenza quello per cui i valori individuali della riservatezza e della dignità possono essere in qualche modo compressi nel bilanciamento con il diritto all’informazione espresso dal pubblico interesse della notizia. Il limite oltre il quale non può spingersi il giornalista, per non incorrere in diffamazione, è quello della destinazione della notizia a soddisfare un bisogno sociale quando non vi sia alcun interesse pubblico alla divulgazione dell’informazione1 . In assenza di una definizione normativa di interesse pubblico, è rimessa al giudice, caso per caso, la valutazione della sua sussistenza. Alcune rilevanti linee interpretative sono state fornite dalla Cassazione nel 20192, con una sentenza che ha riconosciuto la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca nel caso di un giornalista che aveva dato notizia della trasmissione di un esposto anonimo all’autorità amministrativa, e da questa trasmesso alla Procura, nonchè dell’esistenza di accertamenti sui fatti da parte dell’autorità giudiziaria e di quella amministrativa, assicurando anche la replica degli interessati. La citata sentenza ha infatti ricordato che una delle ragioni che fonda «l’esclusione della antigiuridicità della condotta lesiva dell’altrui reputazione viene individuata proprio nell’interesse generale alla conoscenza del fatto nel momento storico e, quindi, nell’attitudine dell’informazione comune a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che il cittadino possa liberamente orientare le proprie scelte nel campo della formazione sociale, culturale e scientifica (…) con la conseguenza che, se la verità processuale si atteggia diversamente nel cor-

1. Si veda, Cass. pen. n. 27616/2019; conforme, n. 46395/2007. 2. Cass. pen. n. 22825/2019, e l’ampia giurisprudenza ivi citata.

RAINEWS.IT

CASISTICA. Il Procuratore di Milano Marcello Viola durante una conferenza stampa. Il decreto legislativo 188/2021 accoglie la direttiva UE 2016/343 che descrive i casi in cui il magistrato inquirente può comunicare dati dell’inchiesta: a) se la cosa è utile alle indagine; b) se esiste un superiore interesse pubblico; c) per prevenire turbative dell’ordine pubblico

Valutare «l’interesse pubblico» è rimesso al giudice, caso per caso so dei successivi sviluppi, relativi ad indagini, istruttoria dibattimentale, o a seguito della pronuncia di provvedimenti, tali eventi solo se precedenti alla stesura dell’articolo non possono essere ignorati dal cronista ai fini della completezza dell’informazione. Tuttavia l’aggiornamento della verifica di fondatezza deve essere attuale rispetto al momento della diffusione della notizia, in ragione del non prevedibile percorso procedimentale della vicenda». Allo stesso tempo, va ricordato che non opera l’esimente del diritto di cronaca quando l’articolo di giornale, nell’affrontare un argomento di pubblico interesse, contenga dati eccedenti lo scopo

La divulgazione della notizia deve essere improntata al criterio deontologico della essenzialità

informativo, in quanto riferiti alla vita privata della parte offesa, e tali da ledere la reputazione in assenza di notorietà della stessa3 . Emerge dunque evidente la non sovrapponibilità dell’interesse pubblico che deve improntare la comunicazione del Procuratore della Repubblica da quello che deve muovere l’attività del giornalista: quest’ultimo, infatti, ha una funzione di controllo dell’operato dei pubblici poteri che non può limitarsi a una presa d’atto delle informazioni, necessariamente scarne, che provengono dall’organo d’accusa. Per potere fare bene il suo mestiere, il giornalista deve avere accesso agli atti e alle fonti, senza però dimenticare che questa è solo la prima fase del suo lavoro: le maggiori problematiche si possono infatti porre nella successiva divulgazione della notizia, che deve essere improntata al fondamentale criterio deontologico della essenzialità. Di recente, la Cassazione4 ha escluso l’esimente del diritto di cronaca per un articolo di un quotidiano locale che, nel dare notizia di un decesso in un incidente stradale, aveva fatto riferimento al suicidio del fratello della vittima, occorso anni prima, e lo aveva causalmente ricollegato alla separazione dalla coniuge. Nella motivazione, la Corte ha ricordato che i limiti dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico, che circoscrivono la possibilità di diffusione dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, comportano il dovere di evitare riferimenti alla vita privata dei congiunti del soggetto interessato da detti fatti, se non hanno attinenza con la notizia principale e se sono del tutto privi di interesse pubblico. In altra decisione5, la Suprema Corte ha ritenuto lecita la pubblicazione di un articolo sulle vacanze in un resort di lusso di un giornalista, noto per la trattazione di temi sociali, corredato da foto che lo ritraevano insieme alla moglie in luoghi esposti alla visibilità di terzi, stabilendo che alla diffusione o alla comunicazione per finalità giornalistiche dei dati personali acquisiti senza il consenso dell’interessato si applicano i limiti del diritto

3. Cass. pen. n. 42987/2016.

4. Cass. civ. n. 22741/2021.

5. Cass. civ. n. 29583/2020.

di cronaca e, in particolare, quello relativo all’attinenza a fatti di interesse pubblico, «intesa nel senso che i dati abbiano la funzione di veicolare una notizia di interesse pubblico, ancorché parametrato a un tipo di pubblicazione leggera o perfino scandalistica, prediletta dal giornale o dal periodico di riferimento, in base al pubblico al quale esso è destinato, ferma restando la necessità del rispetto dei requisiti di continenza di espressione e degli accorgimenti imposti dalla natura dei dati divulgati».

Verso una definzione

Vanno evitati riferimenti

alla vita privata dei parenti del soggetto interessato se non hanno attinenza con la notizia

Per garantire rinnovata centralità al ruolo del giornalismo nella moderna società dell’informazione, è opportuno dunque provare a riempire di contenuti la definizione di interesse pubblico, in modo da tipizzare un catalogo di situazioni in presenza delle quali l’interesse pubblico sia presunto nel fatto: situazioni nelle quali il giornalista potrà avanzare richiesta di accesso agli atti di un procedimento penale - senza essere vincolato alla comunicazione del Procuratore della Repubblica - ai sensi dell’articolo 116 del Codice di procedura penale, ove è chiaramente stabilito il seguente principio: «Durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti». Questa esigenza è stata ben raccolta dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia nel tavolo di lavoro sull’informazione giudiziaria aperto con il Tribunale di Milano, la Procura Di Milano, l’Ordine degli avvocati di Milano e la Camera penale di Milano. La proposta che è stata avanzata è proprio quella di scindere chiaramente la comunicazione della Procura da quella dei giornalisti, dando la possibilità a quest’ultimi di avanzare all’autorità giudiziaria una richiesta di accesso agli atti ogni qualvolta sia presente, a livello nazionale o a livello locale, una delle seguenti situazioni:

È importante tipizzare situazioni nelle quali il giornalista può chiedere di accedere agli atti di un procedimento penale

1. Il crimine è molto grave o ha caratteristiche tali da incidere nella quotidianità di una comunità o nella visione del mondo dei lettori, anche sotto il profilo etico e di costume;

2. C’è una connessione o una contraddizione tra un ufficio, un mandato, un ruolo sociale o una funzione anche professionale di una persona e l’azione per la quale è accusata;

La proposta dell’Ordine: otto casi in cui l’interesse dei cittadini a essere informati prevale sull’interesse delle parti

3. C’è una connessione tra la posizione di una persona nota, anche a livello locale o in ambienti ristretti ma rilevanti per la vita sociale, e il crimine di cui è accusato oppure se il crimine di cui una persona è accusata è contraria alla sua immagine pubblica;

4. Un crimine grave è commesso in pubblico;

5. È stato effettuato un arresto in flagranza;

6. È stato emesso un mandato d’arresto o un fermo su iniziativa della polizia giudiziaria;

7. In tutti gli altri casi in cui l’attenzione del pubblico abbia inequivocabilmente mostrato una solida rilevanza sociale e civile per il procedimento;

8. In tutti quei casi dove l’azione del potere giudiziario limita la libertà personale dell’individuo e dunque è soggetta all’interesse giornalistico in funzione democratica, sia in fase di indagine preliminare sia in fase processuale, anche con specifico riferimento alla tutela della presunzione di innocenza nel processo penale.

L’accesso agli atti in una di queste situazioni non comporta un diritto di acritica pubblicazione

Sono tutti casi in cui evidentemente esiste un interesse pubblico alla conoscenza del fatto e delle modalità con cui viene gestito dalla magistratura. Attenzione però: la possibilità di accesso agli atti in presenza di una di queste situazioni non comporta automaticamente un diritto di acritica pubblicazione. Per non incorrere in responsabilità derivanti dalla divulgazione della notizia, il giornalista dovrà comunque rispettare i parametri di verità, pertinenza e continenza espressiva, nel pieno rispetto anche della presunzione di innocenza.

Ciò che si può sapere su una indagine non è uguale dappertutto

Alcuni Paesi hanno regolamentato i casi in cui è possibile pubblicare documenti di una inchiesta giudiziaria in nome di una finalità superiore agli interessi delle parti coinvolte. Affinità e differenze con l’Italia di Riccardo Sorrentino

Cosa è l’”interesse pubblico” nelle questioni giudiziarie?

Una delle grandi discussioni che si sono aperte, in Lombardia, tra gli operatori del diritto – avvocati, innanzitutto – e giornalisti è stato proprio questo. Soprattutto perché diverse norme usano questa formula per delimitare il flusso di informazioni a favore dei media.

Si è creata una sovrapposizione di nozioni diverse. L’interesse dell’amministrazione pubblica, in questo caso giudiziaria, non è la stessa cosa dell’interesse pubblico, nel senso di “generale” – e fondamentale in una res pubblica – per la trasparenza delle istituzioni. Questo a sua volta non è il diritto –non sempre almeno – dei singoli cittadini a essere informati, che per alcuni si confonde con un mero desiderio (e non sempre sano). Si creata molta confusione.

Far conoscere e divulgare una notizia non deve servire al buon esito dell’inchiesta giudiziaria INFORMAZIONE

La discussione sul decreto Cartabia, che vincola la comunicazione delle Procure alla presenza di questo interesse pubblico ha reso il tema molto concreto. Se l’interesse pubblico si limita alle finalità dell’attività di indagine, come a volte la direttiva europea (che il decreto recepisce) sembra volere, è evidente che la comunicazione sarà sempre molto limitata: il caso classico è la diffusione di un identikit, e si va poco oltre. Esattamente come vogliono gli avvocati che riten-

gono – illusoriamente, secondo la nostra posizione, manifestata in molte occasioni – di tutelare in questo modo la reputazione dei loro assistiti.

Per i giornalisti britannici

è anche interesse pubblico «divulgare un errore giudiziario»

Uno degli aspetti importanti del tavolo sulla “corretta informazione giudiziaria” aperto dal Tribunale di Milano su iniziativa del suo presidente Fabio Roia è stata allora l’apertura alla concezione “giornalistica”, quindi più ampia, di interesse pubblico, ai fini dell’applicazione dell’articolo 116 del codice di procedura penale che disciplina la consegna dei documenti processuali.

«Mettere in luce la minaccia di un crimine» solleva dal rispetto delle regole deontologiche

È emerso subito un problema importante: è codificabile l’interesse pubblico giornalisticamente inteso? Si può tracciare una casisistica? All’estero il tentativo è stato fatto. Il Codice deontologico britannico della Ispo, uno dei press council del Paese, individua come interesse pubblico, tra le altre cose, «individuare o mettere in luce un crimine, o la minaccia di un crimine o di gravi scorrettezze», «divulgare l’inadempienza o la probabile inadempienza di una persona o un’organizzazione a qualsiasi obbligo a cui sono soggetti», e «divulgare un errore giudiziario». La sussistenza di uno di questi elementi solleva il giornalista dal rispetto delle regole deontologiche, comprese quelle relative ai terzi coinvolti nelle indagini e i minori (sono escluse solo quelle relative ad accuratezza, discriminazione e violenze sessuali). Le tre tipologie non esauriscono forse la casistica, ma coprono comunque la maggior parte delle informazioni che possono emergere dalle inchieste e dalle vicende giudiziarie, indipendentemente dalla loro rilevanza processuale e dalla colpevolezza degli incolpati. Il Codice britannico della Impress, invece, individua un interesse pubblico, in senso ampio e non limitato alla cronaca giudiziaria, quando “il pubblico ha un legittimo interesse in una storia per il contributo che essa apporta a una questione di importanza per la società”. Comportamenti non etici o che rivelano incompetenza, l’inadempienza di una persona o un’organizzazione; la prevenzione e l’individuazione del crimine; la promozione di una giustizia aperta, equa ed efficiente sono esempi in cui emerge un interesse pubblico. I minori sono comunque protetti.

CASO DI STUDIO. L’ex europarlamentare Antonio Panzeri, arrestato nel dicembre 2022 nel Qatargate, caso di cortocircuito tra indagini e informazione

Poche parole sono invece destinate al tema dal codice austriaco, secondo il quale «l’interesse pubblico, ai sensi del codice deontologico della stampa austriaca, è particolarmente presente quando si tratta di chiarire crimini gravi, proteggere la sicurezza o la salute pubblica o prevenire l’inganno del pubblico». È il codice deontologico tedesco a presentare la più ampia formulazione di interesse pubblico legata alla cronaca nera e giudiziaria. Il testo, nella sua integralità, prevede che:

«In generale può essere considerato sussistente un interesse pubblico prevalente se:

• il crimine in questione è molto grave o particolare in termini di caratteristiche ed entità

In Germania margini più ampi per informare su crimini commessi da chi ha un mandato pubblico

• c’è una connessione o una contraddizione tra un ufficio, un mandato, un ruolo sociale o una funzione di una persona e l’azione per la quale è accusata

• c’è una connessione tra la posizione di una persona fa-

DILIFF / WIKIMEDIA COMMONS

Negli Usa avere accesso legale a un’informazione non basta a pubblicarla

mosa e il crimine di cui è accusato oppure se il crimine di cui una persona è accusata è contraria alla sua immagine pubblica

• un crimine grave è commesso in pubblico

• un mandato d’arresto è stato emesso dalla magistratura».

La Commissione sulla Cronaca nera e giudiziaria dell’Ordine della Lombardia ha espresso qualche riserva su questa formulazione tedesca, in quanto si è ritenuto che – forse anche per alcuni limiti della traduzione – non copriva davvero tutte gli aspetti dell’interesse “generale” a essere informati. La cronaca locale, in particolare, tendeva a sfuggire a questi criteri, insieme ad alcuni eventi di grande impatto sociale. Sono indicazioni che, nel lavoro del Tavolo sulla “corretta informazione giudiziaria”, ancora in corso, sono state tenute in ampia consider-

EVA KAILĪ. L’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili, arrestata nel Qatargate a dicembre 2022: in una recente intervista si è lamentata del fatto che nel suo caso la presunzione di innocenza è stata violata dai media

WIKIMEDIA COMMONS

Informazioni asimmetriche

La vicenda del Qatargate risale al dicembre 2022. L’indagine condotta da inquirenti belgi e italiani ha riguardato regali e denaro ricevuti da europarlamentari e lobbisti europei per favorire gli interessi del Qatar. Indipendentemente dall’esito dell’indagine, la vicenda ha evidenziato alcuni meccanismi relativi al cortocircuito tra media e informazione. La Procura di Bruxelles ha infatti arrestato quattro deputati europei. In osservanza della direttiva UE del 2016, il comunicato emesso indicava - malgrado la rilevanza non solo giudiziaria della vicenda - solo le date di nascita dei quattro

rappresentanti del Parlamento. Il giorno dopo, però, i giornali belgi avevano molti particolari, non tutti rilevanti ai fini processuali. Emerge in questo caso un problema: è mancato un «level playing field» tra i vari giornali europei. Non era stato cioè consentito a tutti i media di accedere in maniera paritaria alle fonti. Era stato innescato quello che qualcuno ha poi definito «il mercato nero dell’informazione giudiziaria»: in virtù di rapporti privilegiati alcuni media hanno ottenuto le informazioni che la normativa precludeva ad altri. Un meccanismo che può ripetersi in altri casi analoghi.

azione, anche fornendo alle altre componenti della discussione una casistica concreta che evidenziasse tutti gli aspetti dell’interesse generale di cui siamo portatori. In un Paese molto attento, ormai da decenni, alla correttezza dell’informazione e insieme alla libertà di espressione in tutte le sue forme, come gli Stati Uniti, non appare il concetto di interesse pubblico. Il Codice etico della Society of Professional Journalists spiega che i giornalisti «riconoscono che l’accesso legale a un’informazione non rappresenta una giustificazione etica a pubblicarla», ed «evitano di assecondare la curiosità morbosa, anche se lo fanno gli altri». Non c’è, inoltre, alcun riferimento alla presunzione di non colpevolezza. Gli obblighi deontologici, in materia di cronaca giudiziaria, sono quelli di “bilanciare il diritto di un sospettato a un processo equo con il diritto del pubblico di essere informato” e di “considerare le implicazioni di identificare i sospettati di reato prima che affrontino accuse legali”.

Pari accesso alle fonti per una comunicazione più trasparente

Nel quadro delle recenti norme in tema di presunzione di innocenza rimane essenziale l’assunzione di responsabilità e la deontologia degli operatori di giustizia e dell’informazione

di Edmondo Bruti Liberati, già Procuratore della Repubblica di Milano

UMolte Procure hanno

adottato un eccessivo auto-contenimento

n bilancio della normativa sulla presunzione di innocenza presenta luci e ombre, forse più ombre. Le modifiche introdotte dal dlgs 188/2021 impongono maggiore attenzione a non proporre sulla stampa come condanna l’esecuzione di una misura cautelare. Ma molte Procure hanno adottato un eccessivo self restraint: pochissime conferenze stampa, pochi e spesso burocratici e nulladicenti comunicati stampa. Le esigenze ineluttabili dell’informazione hanno indotto alla ricerca della indiscrezione attribuita anonimamente a «fonti della Procura», «ambienti degli investigatori». Meno trasparenza, nessuna assunzione di responsabilità e rischi, al di là della volontà degli operatori, di informazione parziale, imprecisa. Rendendo conto delle iniziative adottate e delle scelte effettuate sin dalle prime fasi dell’indagine, la Procura assolve a un dovere che in democrazia riguarda tutte le autorità pubbliche. Le eventuali valutazioni critiche si potranno fondare su dati informativi corretti.

Il disfavore per le conferenze stampa del Dlsg n.188/2021 si è tradotto nella disposizione per la quale «la determinazione di procedere a conferenze stampa deve essere assunta con atto motivato in ordine alle specifiche ragioni di pubblico interesse che lo giustificano». Ma ampio rimane il margine di apprezza-

mento su quali ragioni siano «specifiche» e quando «l’interesse pubblico» giustifichi la conferenza stampa. Non saranno mai abbastanza sottolineati i danni che provocano alla complessiva credibilità della giustizia le esternazioni lesive del principio di innocenza e in contrasto con i criteri dell’equilibrio e della misura di alcuni magistrati, soprattutto pubblici ministeri. Ma l’indebito protagonismo di magistrati non si contrasta con la pretesa di ingessare le modalità di comunicazione. Privilegiare i comunicati stampa è privo di senso ed ignora la realtà. Il comunicato è di per sé informazione a senso unico, mentre la conferenza stampa non si esaurisce nella esposizione del Procuratore, ma è l’occasione nella quale i giornalisti, con domande ed

ALLA GUIDA. Edmondo Bruti Liberati: è stato procuratore della Repubblica di Milano tra il 2010 e il 2015
FLAVIO LO SCALZO / ANSA

eventuali contestazioni, esercitano il ruolo di “cani da guardia della democrazia”, per usare l’espressione corrente nelle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo emesse proprio con riferimento all’informazione sui casi giudiziari.

Sta al giornalista valutare e mettere in luce se si tratta di doverosa tutela del segreto

La conferenza stampa del Procuratore tenuta nella fase ancora segreta delle indagini presenta la specificità della doverosa tutela di quegli aspetti che sarebbero pregiudicati da una anticipata rivelazione. Di fronte al Procuratore che si sottrae ad una domanda/contestazione, sta al giornalista valutare e mettere in luce se si tratta di doverosa tutela del segreto ovvero di un modo per sfuggire a critiche. Spesso la conferenza stampa ufficiale, attuata in urgenza (per rispetto ai tempi dei media e per evitare la diffusione di notizie parziali o distorte), è l’unico strumento per veicolare informazioni e garantire parità di accesso a tutti i giornalisti. Nella maggior parte dei casi le conferenze stampa sono tenute la mattina stessa della esecuzione di misure cautelari dal Procuratore negli uffici della Procura, con la presenza del Procuratore aggiunto, del sostituto nonché delle autorità di polizia che hanno proceduto alle indagini e agli arresti. Quest’ultima presenza è controversa, ma altrimenti la pur legittima esigenza di visibilità delle autorità di polizia rischierebbe di tradursi nelle conferenze stampa in Questura, Comandi di Carabinieri e Guardia di Finanza e nella diffusione di filmati inviati alle Tv, sulla «brillante operazione», magari con la ripresa degli arrestati in manette (più o meno celate), o, peggio, con notizie ispirate da «gli ambienti di …».

Il format della conferenza stampa ha consentito anzitutto di mettere a disposizione di tutti i giornalisti, in parità di condizioni, le informazioni essenziali sui soggetti raggiunti da misure cautelari e sulle rispettive imputazioni. Inoltre, la presentazione da parte del Procuratore ed il successivo confronto sono stati, non sembri un paradosso, l’occasione per ribadire la presunzione di innocenza, non con astratte formulazioni, ma con una attenta precisazione della fase processuale in cui l’indagine si trova. In questo modo si può contribuire a formare nella pubblica opinione la comprensione del reale valore della presunzione di innocenza, riferita alle diverse fasi del procedimento. Non è invece passata l’ulteriore proposta per la quale le infor-

mazioni fornite dalle Procure avrebbero dovuto essere attribuite in modo impersonale all’ufficio con «divieto di comunicazione dei nomi e delle immagini dei magistrati relativamente ai procedimenti e processi penali loro affidati». Ma le parti hanno il diritto di conoscere il nome del magistrato assegnatario, il «segreto» non potrebbe essere assicurato e non sarebbe neppure auspicabile poiché è interesse della stampa e «interesse pubblico» conoscere anche il nome del magistrato assegnatario, magari per rievocare gli esiti, positivi o negativi, di precedenti indagini dallo stesso gestite.

Le parti hanno il diritto di conoscere il nome del magistrato assegnatario

La presunzione di innocenza trova la sua prima tutela nelle norme del processo sulle garanzie del diritto di difesa. Al di là delle singole disposizioni rimane essenziale l’assunzione di responsabilità e la deontologia degli operatori di giustizia e degli operatori dell’informazione. Nelle undici pagine che la Direttiva UE 2016/343 occupa nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea non compare neppure una volta il riferimento al rispetto della «dignità della persona»; altrettanto nella nostra normativa di attuazione della direttiva. Eppure, appena l’orizzonte si allarghi oltre le norme del processo, è fondamentale il riferimento al rispetto della dignità della persona sottoposta ad indagini e processo ed anche definitivamente condannata, quale che sia la colpa di cui si è macchiata.

Una appropriata comunicazione da parte delle Procure contribuisce ad una corretta informazione. Ma oltre ai limiti posti dalla attuazione della presunzione di innocenza si aggiunge ora una assurda marcia indietro sulla possibilità per i giornalisti di disporre e di poter citare il testo delle ordinanze di misura cautelare. Piuttosto che operare sui “bavagli” ai magistrati e alla stampa occorrerebbe muoversi sulla formazione dei magistrati alla comunicazione. Una innovativa iniziativa è stata attuata dalla Scuola Superiore della Magistratura con la pubblicazione del recente volume “Comunicazione e giustizia” (Giappichelli ed. 2024) liberamente disponibile sul sito della SSM http://www.scuolamagistratura. it. Il volume presenta in conclusione una “Guida pratica per la comunicazione dei magistrati”: un campo di lavoro aperto per la collaborazione di giornalisti e magistrati.

Assurda retromarcia sulla possibilità di poter citare il testo delle ordinanze di custodia cautelare

LA VITA DELL’ORDINE

Gestione economica, iscritti e formazione: come sta andando

Si è conclusa l’attività di rafforzamento patrimoniale dell’Ordine: nel 2023 l’utile è stato pari a 132.685 euro. In leggero calo professionisti e pubblicisti. Oltre 230 i corsi di formazione di Riccardo Sorrentino

Per l’Ordine dei giornalisti della Lombardia i mesi passati hanno segnato il raggiungimento di un importante obiettivo sul piano economico e finanziario. Si è conclusa l’attività di rafforzamento patrimoniale: l’utile del 2023, pari a 132.685 euro, potrà portare il patrimonio netto, da bilancio riclassificato, oltre la soglia del mezzo milione, a quota 519.269 euro. L’avanzo di gestione sarà destinato al Fondo adempimenti pluriennali, anche in vista delle prossime elezioni, 70mila euro, e ai Fondi istituzionali i restanti 62.685 euro.

Le risorse ora a disposizione permettono di approfondire le iniziative avviate durante l’anno

L’attività continuerà a essere caratterizzata da una grande attenzione, tenuto conto della riduzione dei ricavi che è possibile prevedere in futuro, ma su criteri meno cogenti rispetto al passato. Le risorse ora a disposizione, permettono di approfondire le iniziative avviate durante l’anno: il 2024 potrà essere dedicato a migliorare ulteriormente i servizi offerti agli iscritti, sia nella gestione degli elenchi e delle quote sia nella formazione continua.

Il consiglio dell’Ordine ha deciso come nel 2023 di mantenere invariata la quota associativa che pure è ferma dal 2002, perde progressivamente valore d’acquisto e deve assorbire lo sforzo per finanziare la Pec gratuita, che ha raggiunto un costo di 62.300 euro all’anno. La crisi del settore ha consigliato di non

aumentarla: l’ampliamento e il miglioramento delle attività e dei servizi dell’Ordine non sono completati, i risultati finora raggiunti permettono di mantenere bilanci sani anche di fronte a imprevedibili aumenti sensibili dei costi. Anche il bilancio preventivo 2024 è stato elaborato sulla base di criteri prudenziali: i ricavi sono previsti in calo e i costi in crescita, in modo da poter affrontare eventuali e imprevedibili difficoltà.

Funzionamento dell’istituzione

Il bilancio preventivo 2024 è stato elaborato sulla base di criteri prudenziali

Con i suoi 22.150 iscritti, tenuto conto di tutti gli elenchi dell’Albo, quello lombardo si conferma il più numeroso tra gli Ordini regionali. Il numero degli iscritti è in calo dell’1,6% rispetto ai 22.505 del 2022, e ciò è legato al normale sviluppo demografico di un organismo che vede assottigliarsi il numero dei più giovani. Il numero dei professionisti è passato a 7.944, da 7.973 (-0,4%); quello dei pubblicisti a 12.450 da 12.620 (-1,3%).

occasione dell’implementazione dello smart working ha fatto sì naturalmente al modello, confermandone la sua idoneità. alla natura pubblica dell’Ordine. Per integrare il personasi rivelasse necessario, sarà valutato il nuovo strumento pubblica amministrazione, che potrà permettere l’ingreslaureate da formare e far crescere.

dell’implementazione dello smart working ha fatto sì naturalmente al modello, confermandone la sua idoneità. natura pubblica dell’Ordine. Per integrare il personarivelasse necessario, sarà valutato il nuovo strumento amministrazione, che potrà permettere l’ingresda formare e far crescere.

Consiglio che, con i suoi 22.150 iscritti, tenuto conto conferma il più numeroso tra gli Ordini regionali. Il dell’1,6% rispetto ai 22.505 del 2022, legati al normaorganismo che vede assottigliarsi il numero dei più professionisti è passato a 7.944, da 7.973 (-0,4%); quello dei (-1,3%). I praticanti sono calati a 232, da 251 (-6,7%) speciale sono passati a 1.526 da 1.621 (-5,9%). pubblicisti aumenta lentamente nel corso del temprofessionisti ogni 100 pubblicisti, nel 2023 il rapporto ha prevalenza dei pubblicisti ha accompagnato la vita italiano fin dalla sua nascita, quando il rapporto era dei professionisti.

Nel corso dell’anno si sono svolte 10 riunioni del Consiglio che, con i suoi 22.150 iscritti, tenuto conto di tutti gli elenchi dell’Albo, si conferma il più numeroso tra gli Ordini regionali. Il numero degli iscritti è in calo dell’1,6% rispetto ai 22.505 del 2022, legati al normale sviluppo demografico di un organismo che vede assottigliarsi il numero dei più giovani. Il numero dei professionisti è passato a 7.944, da 7.973 (-0,4%); quello dei pubblicisti a 12.450 da 12.620 (-1,3%). I praticanti sono calati a 232, da 251 (-6,7%) mentre gli iscritti dell’elenco speciale sono passati a 1.526 da 1.621 (-5,9%). Il rapporto tra professionisti e pubblicisti aumenta lentamente nel corso del tempo: nel 2016 c’erano 60 professionisti ogni 100 pubblicisti, nel 2023 il rapporto ha sfiorato quota 64 su 100. La prevalenza dei pubblicisti ha accompagnato la vita dell’Ordine dei giornalisti italiano fin dalla sua nascita, quando il rapporto era decisamente più sfavorevole per i professionisti.

Numeri di genere: mantenute le proporzioni

genere: mantenute le proporzioni

Nel corso dell’anno sono svolte 10 riunioni del Consiglio che, con i suoi 22.150 iscritti, tenuto conto tutti gli elenchi dell’Albo, si conferma il più numeroso tra gli Ordini regionali. Il numero degli iscritti è in calo dell’1,6% rispetto ai 22.505 del 2022, legati al normasviluppo demografico di un organismo che vede assottigliarsi il numero dei più giovani. Il numero dei professionisti è passato a 7.944, da 7.973 (-0,4%); quello dei pubblicisti a 12.450 da 12.620 (-1,3%). I praticanti sono calati a 232, da 251 (-6,7%) mentre gli iscritti dell’elenco speciale sono passati a 1.526 da 1.621 (-5,9%). rapporto tra professionisti e pubblicisti aumenta lentamente nel corso del tempo: nel 2016 c’erano 60 professionisti ogni 100 pubblicisti, nel 2023 il rapporto ha sfiorato quota 64 su 100. La prevalenza dei pubblicisti ha accompagnato la vita dell’Ordine dei giornalisti italiano fin dalla sua nascita, quando il rapporto era decisamente più sfavorevole per i professionisti.

I praticanti sono calati a 232, da 251 (-6,7%) mentre gli iscritti dell’elenco speciale sono passati a 1.526 da 1.621 (-5,9%). Il rapporto tra professionisti e pubblicisti aumenta lentamente nel corso del tempo: nel 2016 c’erano 60 professionisti ogni 100 pubblicisti, nel 2023 il rapporto ha sfiorato quota 64 su 100. La prevalenza dei pubblicisti ha accompagnato la vita dell’Ordine dei giornalisti italiano fin dalla sua nascita, quando il rapporto era decisamente più sfavorevole per i professionisti.

Il rapporto tra professionisti e pubblicisti aumenta nel corso del tempo

La flessione degli iscritti ha mantenuto, in buona sostanza, le proporzioni tra uomini e donne. I primi (12.552), rappresentano il 56,7% del totale - se si include l’elenco speciale - mentre le seconde (9596) sono il 43,3%. Escludendo l’elenco speciale, le proporzioni passano rispettivamente al 55,3% (11.399 uomini), e al 44,7% (9.223). Tra i praticanti il numero delle donne, 118, supera leggermente quello dei maschi, 114. Nel 2010 l’intero Ordine lombardo vantava un numero di donne leggermente superiore a quello degli uomini (50,3% contro il 49,7%).

La flessione degli iscritti ha mantenuto, in buona sostanza, le proporzioni tra uomini e donne. I primi (12.552), rappresentano il 56,7% del totale - se si include l’elenco speciale - mentre le seconde (9596) sono il 43,3%. Escludendo l’elenco speciale, le proporzioni passano rispettivamente al 55,3% (11.399 uomini), e al 44,7% (9.223). Tra i praticanti il numero delle donne, 118, supera leggermente quello dei maschi, 114. Nel 2010 l’intero Ordine lombardo vantava un numero di donne leggermente superiore a quello degli uomini (50,3% contro il 49,7%).

I numeri dell’ordine lombardo

dell’ordine lombardo

I numeri dell’ordine lombardo

Iscritti

Ordine Lombardia 2023

6.89% Elenco

Pubblicisti

Società di professionisti

35,86%

Professionisti

La demografia dell’Ordine lombardo

La distribuzione degli iscritti per classe d’età mostra, da tempo, alcune anomalie che sono un’ulteriore prova delle difficoltà economiche della nostra professione. Tra i professionisti, ha meno di 35 anni il 5,2% del totale, mentre il 30% ha tra i 41 e i 50 anni, e il 35% ha più di 60 anni. Tra i pubblicisti ha meno di 35 anni l’8,2% del totale, mentre il 24,8% ha tra 51 e 60 anni e più del 33% ha più di 60 anni. Sono percentuali che esasperano alcune anomalie della demografia delle economie mature, troppo vecchie: la percentuale dei giovani è decisamente molte bassa, e non è giustificata dalla natura dell’Ordine che per sua natura conta meno anziani e più adulti maturi rispetto alla popolazione italiana.

La demografia dell’Ordine lombardo

La distribuzione degli iscritti per classe d’età mostra, da tempo, alcune anomalie che sono un’ulteriore prova delle difficoltà economiche della nostra professione. Tra i professionisti, ha meno di 35 anni il 5,2% del totale, mentre il 30% ha tra i 41 e i 50 anni, e il 35% ha più di 60 anni. Tra i pubblicisti ha meno di 35 anni l’8,2% del totale, mentre il 24,8% ha tra 51 e 60 anni e più del 33% ha più di 60 anni. Sono percentuali che esasperano alcune anomalie della demografia delle economie mature, troppo vecchie: la percentuale dei giovani è decisamente molto bassa, più bassa di quanto ci si potrebbe aspettare. Professionisti

Gli iscritti tra i professionisti con età inferiore ai 35 anni sono appena il 5,2%

Professionisti e pubblicisti

Quote e Pec: cancellazioni e sospensioni

Nel corso dell’attività di recupero delle quote dei morosi, nel 2023 sono stati cancellati, al netto delle reiscrizioni, 972 persone, mentre i sospesi per mancanza del requisito della Pec sono ancora pari a 1.492 iscritti. La mancanza di un indirizzo Pec sospende anche il diritto di voto alle prossime elezioni per il rinnovo delle cariche sociali.

I corsi di formazione

Nel corso dell’anno sono stati organizzati o autorizzati 232 corsi di formazione

La formazione continua a ricevere una grande attenzione, in quanto strumento strategico per poter dare ai giornalisti e alle giornaliste gli strumenti per differenziare e arricchire il loro lavoro. Nel corso dell’anno sono stati organizzati o autorizzati 232 corsi di formazione (dei quali 57 di carattere aziendale). I 175 corsi rivolti a tutti i colleghi si sono svolti in diverse città della Lombardia, mentre 18 sono stati effettuati sotto forma di webinar. Anche nel 2023 il festival Glocal, che si è tenuto come di consueto a Varese grazie all’iniziativa di VareseNews, ha permesso di tenere nel capoluogo di provincia 29 corsi, alcuni dei quali organizzati in cooperazione diretta con l’Ordine sui temi da noi considerati strategici per lo sviluppo della professione, come la cronaca, l’inchiesta e il data journalism. Oltre agli eventi già segnalati l’Ordine ha avviato corsi in collaborazione con Cefriel (Politecnico di Milano), Università Bocconi, Università di Milano, Istat. Nel 2023 è stata anche avviata la sperimentazione dei corsi a pagamento, in un’ottica di democratizzazione: con l’obiettivo di fornire corsi a costi più bassi di quelli richiesti su mercati diversi da quello della formazione continua obbligatoria. È stato monitorato l’interesse e la partecipazione dei colleghi in modo da adattare la formula alle esigenze espresse dai colleghi. Partner sono stati Cefriel e PrimoPiano.

Nel 2023 è stata anche avviata la sperimentazione dei corsi a pagamento

Nel 2023 si è fortemente ridotto il contributo del Consiglio nazionale all’attività di formazione dell’Ordine lombardo. Sulla base di nuovi criteri, basati sul numero degli iscritti non esonerati - e quindi non pensionati inattivi - il contributo è passato dagli 80mila euro del 2022, a 63mila euro, con un taglio del 19,25%.

Le azioni

Limitare le conseguenze negative del decreto legislativo 188/2021

Il 2023 ha visto un’intensa attività dell’Ordine per limitare le conseguenze negative del decreto legislativo 188/2021, detto della Presunzione di innocenza, che ha inaridito il flusso informativo in arrivo dalle Procure e dalla Polizia giudiziaria. Il documento varato dall’Ordine a dicembre 2022 è stato presentato a diverse Procure lombarde, così come ad alcuni Prefetti, ed è stato inoltre pubblicato, su richiesta della redazione, dalla rivista di Magistratura democratica Questione giustizia.

In diversi casi il documento è stato la base di discussione con magistrati giudici e avvocati penalisti in alcuni corsi di formazione che si sono tenuti a Milano, in più occasioni, a Brescia, a Bergamo, a Pavia, a Lecco, a Varese, a Mantova. Il colloquio così aperto ha permesso di comprendere il valore paradigmatico della cronaca giudiziaria e della cronaca nera, che conciliano la cronaca nel senso classico con l’acquisizione di conoscenze e competenze forti e specialistiche, da tradurre a favore del grande pubblico. Il tema della “giustizia mediatica”, che vede spesso i giornalisti accusati di alimentare un clima tossico su questioni molto delicate e che diventa pretesto per nuovi interventi legislativi non certo favorevoli alla libera informazione, è inoltre cruciale per risolvere la crisi professionale del giornalismo. La Commissione Presunzione di innocenza ha cambiato nome in Commissione Cronaca nera e giudiziaria per segnalare le sue più vaste competenze.

La Commissione Presunzione di innocenza ha cambiato nome in Commissione Cronaca nera e giudiziaria

Soprattutto, il documento ha permesso di aprire, su iniziativa del presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia, un tavolo di discussione con avvocati, procura e magistrati giudicanti con lo scopo di definire alcuni criteri per migliorare la comunicazione giudiziaria. Di questo lavoro abbiamo dato conto nelle pagine precedenti a questo articolo. Il nostro auspicio è che le nuove regole diventino un esperimento pilota quantomeno per tutta la Lombardia.

Le nuove commissioni e i toolbox L’esperienza, positiva, del lavoro della Commissione Cronaca nera e giudiziaria ha consigliato la costituzione di altri organismi analoghi. A maggio è stata formata la Commissione Crona-

ca sportiva, con lo scopo di affrontare i problemi del settore soprattutto in relazione con i conflitti che si creano tra diritto all’informazione, diritto d’autore e contratti di esclusiva delle squadre con tv e sponsor. L’obiettivo è quello di dar vita a un documento simile a quello varato sulla Presunzione di innocenza, e di discuterne con i protagonisti. La commissione ha tenuto diverse audizioni negli ultimi mesi.

L’Osservatorio carceri

A maggio è stata formata la Commissione Cronaca sportiva

L’Osservatorio carceri, nato a giugno sulla base di alcune esperienze del passato, ha dato vita a un toolbox a disposizione dei giornalisti, sulla Giustizia riparativa. Con questo strumento la formazione acquisisce una biblioteca di strumenti pratici a disposizione costante dei giornalisti: manuali, glossari, Q&A, interviste, su temi difficili ma di grande impatto. Per la loro stesura è stata avviata una collaborazione con l’Università di Milano. L’esperienza si è poi allargata: l’Università e la Camera Penale, sempre con l’aiuto di allievi del Master e di dottorandi in materie giuridiche, stanno preparando strumenti simili per il processo penale. L’Ordine ha inoltre chiesto un finanziamento alla Banca d’Italia per realizzare simili toolbox in materia di economia e finanza.

L’Osservatorio carceri, nato sulla base di alcune esperienze del passato, ha creato una biblioteca digitale

Il gruppo di lavoro sul Giornalismo d’inchiesta

Toolbox, affiancati da un Quaderno dell’Ordine ora in preparazione, sono anche al centro dell’attività del gruppo di lavoro sul Giornalismo d’inchiesta (se ne parla più in dettaglio nelle pagine seguenti). Le nuove modalità di svolgimento delle inchieste stanno arricchendo il giornalismo verso direzioni del tutto nuove, che l’Ordine lombardo intende sostenere perché possono incidere sull’intero mondo dell’informazione. Le nuove inchieste si svolgono su tempi lunghi, che possono preludere a una divisione delle redazioni non più per canali diversi (carta stampata, online, social) ma per orizzonti temporali: cronaca immediata e inchieste di lungo periodo. Il lavoro si basa su ipotesi investigative e non più su tesi precostituite e viene valutato l’impatto delle inchieste: l’advocacy journalism viene radicalmente cambiato e acquista rigore e precisione. I colleghi lavo -

Istituita anche una commissione sul giornalismo di inchiesta

rano inoltre in squadra con il contributo delle competenze di non giornalisti, che non vengono più semplicemente e rapidamente intervistati come fonti ma danno un apporto continuo e di alta professionalità. Soprattutto, i colleghi hanno manifestato l’intenzione di condividere generosamente esperienze e metodologie di lavoro con altri giornalisti.

Sono caratteristiche che spingono l’Ordine a sostenere queste forme di giornalismo, nella convinzione che i servizi così offerti possano poi aiutare tutti i colleghi. Stiamo quindi predisponendo nuovi servizi di consulenza giuridica (anche di questo si parla nelle pagine seguenti) e nuovi toolbox di carattere più pratico e professionale. Sono stati inoltre, e saranno organizzati ancora, corsi-laboratorio per diffondere i nuovi metodi.

Looking ahead

Bilancio consuntivo 2023 Bilancio preventivo 2024
ORDINE DEI GIORNALISTI DELLA LOMBARDIA

LA VITA DELL’ORDINE

Servizi e formazione: le cose che vogliamo fare

Biblioteche digitali per un aggiornamento continuo delle competenze, formazione su scala europea e difesa dalle querele temerarie. Il piano dei prossimi mesi per rafforzare l’ingaggio con gli iscritti di Francesco Gaeta francesco.gaeta@odg.mi.it

Tra i compiti che l’ordine si è dato in questi ultimi due anni ve sono tre prioritari: rafforzare l’ingaggio con i propri iscritti, in particolare quelli più giovani; aumentare la solidità dell’impianto formativo; sviluppare nuovi servizi essenziali e utili per la professione. Trasversale a questi tre obiettivi c’è il compito di accedere a nuove risorse, andando oltre la ordinaria dotazione costituita dalle quote.

Partiamo da quest’ultimo punto, per raccontare cosa abbiamo fatto e cosa vorremmo fare anche sugli altri. In partnership con una società specializzata, da dicembre l’OgL ha avviato un monitoraggio di fonti istituzionali e altri enti erogatori che sostengono progetti giornalistici indipendenti. Questo monitoraggio ha due destinazioni. La prima sono gli iscritti: chi abbia un progetto giornalistico e voglia trovare un finanziamento può trovare periodicamente sul nostro sito e sull’account linkedin informazioni su bandi, grant e fellowship. Coordinate del finanziamento e siti di riferimento: ci limiteremo a questo, per ora, cioè dare informazione. Non affiancheremo cioè chi voglia accedere al finanziamento, sarebbe un compito troppo ambizioso, almeno in questa fase. C’è poi un secondo destinatario di questo monitoraggio, ed è l’Ordine stesso, nel suo complesso. L’obiettivo è esplorare nuove fonti di finanziamento per dare

Un monitoraggio di fonti istituzionali e altri enti erogatori

vita ai nuovi servizi che abbiamo in mente, il terzo punto di cui parlavamo all’inizio. Quali servizi?

Vogliamo dare vita a una serie di strumenti di formazione permanente sul processo penale e l’intelligenza artificiale

Per la formazione continua

Innanzitutto, vogliamo dare vita a una serie di biblioteche digitali, su alcuni dei temi per noi prioritari. È un modo per far sì che alcuni dei nostri corsi di formazione trovino completamento e prosecuzione in formato web. Alcuni esempi: i temi legati al processo penale, alla giustizia riparativa, all’intelligenza artificiale. Intendiamo queste biblioteche come toolbox, cassette degli attrezzi strutturate in modo chiaro, per inquadrare un tema, fornire siti e bibliografie di riferimento e aggiungere nel tempo il parere di esperti e di giornalisti specializzati.

Vogliamo presto avviare un altro toolbox sul giornalismo di approfondimento

Abbiamo già realizzato un primo toolbox sul tema della giustizia riparativa, lo trovate sul nostro sito. Vorremmo presto avviarne un altro sul giornalismo di approfondimento. Nei mesi scorsi abbiamo infatti creato un gruppo di lavoro sul giornalismo d’inchiesta (GLI). Si riunisce una volta al mese, è composto da un numero di sei giornalisti e di sei esperti e consulenti (informatici, legali, esperti di contabilità). La scelta dei componenti è stata effettuata tenendo conto di un equilibrio di genere e dell’esigenza di allargare la partecipazione alla vita dell’Ordine a giornalisti under 40. Il gruppo ha già progettato e realizzato quattro corsi di formazione, molto seguiti e partecipati, e altri seguiranno. Stiamo lavorando a un manuale sul giornalismo d’inchiesta e appunto a una biblioteca digitale sul tema.

Per la difesa della libertà di informazione

C’è poi un altro servizio per noi prioritario, che ha a che fare con la libertà di informazione. Il fenomeno delle querele temerarie - Slapp - è infatti in aumento anche in Italia. Si traduce in una forma di intimidazione che limita la libertà di informazione e ha effetti ancora più preoccupanti per chi svolge la professione giornalistica fuori da una struttura redazionale. L’attuale Presidenza ritiene che questo sia un tema chiave per il mondo dell’informazione e per il ruolo stesso dell’Ordine. Per questo

Professionisti e pubblicisti iscritti nella provincia di Milano dal 2016

LE DUE CURVE. In questi grafici l’andamento degli iscritti nei due albi principali. Negli anni, la percentuale di pubblicisti in rapporto ai professionisti è diminuita

motivo, l’OgL ha avviato un servizio di indirizzo giuridico, che amplia e approfondisce il vecchio servizio di gratuito patrocinio. L’obiettivo è consentire di tutelare i colleghi rispetto alle querele temerarie.

Consulenza legale per prevenire contestazioni su un contenuto giornalistico

Il servizio – il cui costo è sostenuto dall’OgL e non ha alcuno onere per il giornalista - è indirizzato a una verifica preventiva del materiale giornalistico (articolo, video, podcast…) prima della pubblicazione, attraverso la consulenza di un avvocato esperto nel diritto d’informazione, l’avvocato Luisella Nicosia (e-mail: luisella.nicosia@odg.mi.it). È una verifica appunto preventiva volta a evitare o ridurre il rischio di contestazione. Il servizio riguarda però anche l’eventuale contestazione relativa a un contenuto già prodotto, e in tal caso, è volto a valutare la fondatezza e consistenza della contestazione ricevuta dal giornalista. Le tematiche di maggiore rilevanza di cui questo sportello legale si occupa sono le seguenti:

• correttezza dell’uso delle fonti e loro tutela;

• rispetto dei canoni giurisprudenziali per non incorrere nella configurabilità di diffamazione a mezzo stampa;

• come muoversi nel rispetto della privacy e dei dati sensibili;

• limiti nell’utilizzabilità di materiale fotografico e di contenuti reperiti sul web;

• tutela nella raccolta di dati ed interviste.

Per una formazione europea

Formazione europea per chi è disponibile a formare altri colleghi

Nel gennaio scorso, l’OgL ha ottenuto l’accreditamento come soggetto destinatario di finanziamenti europei del programma Erasmus +. Sono fondi che serviranno a “formare i nostri formatori” attraverso percorsi e soggiorni studio, da tre giorni a una settimana, su scala europea. Partiremo nella primavera del 2025 e prevediamo di coinvolgere nel primo anno 30 giornalisti. Il patto che vogliamo stringere è questo: l’Ordine paga una formazione internazionale a chi è disponibile a formare altri colleghi. I giornalisti che partecipano al progetto Erasmus si impegnano infatti a diffondere le

competenze acquisite attraverso un numero minimo di corsi da organizzare dentro il nostro sistema di formazione obbligatoria continua. È una logica di reciprocità e di scambio, funzionale a tutti.

Nei prossimi mesi lavoreremo a questa formazione europea. Individueremo i temi prioritari e i partner con cui realizzarli. Potranno essere università, istituti di ricerca che si occupano di informazione, aziende, agenzie dell’Unione Europea. Potranno anche essere redazioni giornalistiche che per qualche motivo riteniamo innovative. In questa fase a tutti voi chiediamo innanzitutto proposte, idee. Lo faremo attraverso un questionario per monitorare i fabbisogni formativi dei nostri iscritti, che sarà diffuso a breve sui nostri canali.

IN EUROPA. I fondi Erasmus ottenuti dall’OgL serviranno a “formare i nostri formatori” attraverso percorsi e soggiorni studio, da tre giorni a una settimana, su scala europea. Partiremo nel 2025 con 30 formazioni

TYLER FRANTA / UNSPLASH

Essere più consapevoli dei nostri doveri verso il pubblico

L’attività del Consiglio di Disciplina dell’OgL nel 2023: numeri, casistica, scelte operative, criticità. Rafforzare il presidio deontologico serve ad assicurare credibilità a tutti gli iscritti di Paolo Della Sala, presidente del CDT, il Consiglio di Disciplina Territoriale dell’OgL

L’obbiettivo primario di questa consiliatura era ridurre l’arretrato che, all’atto dell’insediamento del Consiglio, si presentava imponente (alcune centinaia di fascicoli anche molto datati), e determinava almeno tre effetti negativi:

• scarsa tempestività dell’intervento disciplinare, con conseguente sua perdita di credibilità;

• ingiustificato protrarsi del procedimento e relativa ricaduta sui soggetti coinvolti;

Ogg i fascicoli sono assegnati “in tempo reale

• istruzione e decisione dei fascicoli secondo criteri di stampo inevitabilmente emergenziale, con conseguente rischio di alimentare sospetti, per quanto ingiustificati, sulla trasparenza e sulla imparzialità.

Nel corso del 2023 il Consiglio di Disciplina ha portato a compimento il lavoro iniziato con il suo insediamento: l’arretrato è stato, di fatto, azzerato e può dirsi che i fascicoli siano ora assegnati “in tempo reale” così da assicurare una gestione fisiologica della giustizia disciplinare. In via esemplificativa si segnala che nel corso del 2023 sono pervenute 104 segnalazioni e, al 31 dicembre, solo 5 fascicoli non erano ancora stati assegnati ad un collegio per la trattazione (assegnazione ora intervenuta).

In linea di massima, tutte le assegnazioni hanno seguito un ordine di trattazione cronologico e l’individuazione dei collegi è

Tutte le assegnazioni hanno seguito un ordine di trattazione cronologico

stata sempre effettuata collettivamente così da assicurare, nei limiti del possibile, una gestione condivisa della funzione.

Nell’anno 2023, i fascicoli relativi alle annualità precedenti sono stati tutti assegnati e, in buona parte, definiti come segue:

• 104 esposti arrivati di cui 5 fascicoli non ancora assegnati;

• 252 fascicoli esaminati comprensivi di cui 15 in Attesa di conclusioni giudiziarie (ACG);

• 149 fascicoli assegnati;

• 49 fascicoli non ancora istruiti;

Le decisioni hanno riguardato 179 fascicoli, che si sono conclusi con:

• 139 non luogo a procedere;

• 25 assoluzioni;

• 10 censure;

• 3 avvertimenti;

• 1 sospensione di mesi 2;

• 1 sospensione di mesi 6.

Riflessione di sintesi sul lavoro svolto

Tutti i consiglieri e la segreteria hanno lavorato con grande impegno per raggiungere – peraltro con anticipo – l’obbiettivo principale che ci si era posti: la giustizia disciplinare della Lombardia è ora in grado di intervenire con adeguato tempismo rispetto alle vicende sottoposte alla sua attenzione.

La giustizia disciplinare della Lombardia è ora in grado di intervenire con adeguato tempismo

Al termine del secondo anno di mandato, tuttavia, è possibile fare un bilancio più articolato dell’attività anche in funzione di auspicabili miglioramenti nella struttura della giustizia disciplinare.

L’impegno di consigliere, in un contesto ampio e complesso come quello di nostra competenza territoriale, è, in effetti, molto gravoso; non solo per la quantità di pratiche di cui ogni singolo membro del consiglio deve farsi carico, ma anche per la oggettiva difficoltà della materia e, come vedremo, per la rilevanza anche mediatica delle decisioni.

Procedimenti disciplinari 2023

104

di cui 5 non ancora assegnati

di cui 15 in Attesa di conclusioni giudiziarie (ACG)

49

25 assoluzioni

di cui 139 delibere di non luogo a procedere

149

Esposti arrivati nel 2023

Fascicoli assegnati ai diversi Collegi nel corso del 2023

Fascicoli esaminati

252

Fascicoli assegnati ma non ancora completamente istruiti

10 censure

179

Fascicoli definiti

3 avvertimenti

1 sospensione mesi 2 1 sospensione mesi 6

Il consiglio si è mosso secondo un unanime intento di carattere preventivo

Il consiglio, come dimostrano i numeri, si è mosso secondo un unanime intento di carattere preventivo: le sanzioni disciplinari sono state irrogate solo quando il perimetro di influenza dei principi deontologici risultava leso con nettezza. Piuttosto si è preferito, nei casi meno evidenti o dubbi, spiegare nella motivazione di un proscioglimento i principi cui, eventualmente, prestare maggiore attenzione, cercando di dare un seguito alla funzione anche “didattica” che la giustizia disciplinare inevitabilmente ricopre: questo non solo per una doverosa funzione di garantismo ma, anche, per tutelare il più possibile la libertà di opinione e di espressione in una fase così complessa e contrastata su molte materie sensibili.

Il meccanismo sanzionatorio va utilizzato con estrema cautela

Il meccanismo sanzionatorio, in materia di libertà costituzionalmente garantite ai massimi livelli sul piano dei valori, va utilizzato con estrema cautela anche tenuto conto della complessità della professione, complessità che, oggi, si confronta anche con mutamenti tecnologici epocali (un tema non ancora presente, ma avvertito, è, ad esempio, quello dell’Intelligenza Artificiale e del suo impiego a fini informativi).

La diffusione di informazioni riservate (anche coperte da segreto) può incidere sullo sviluppo dell’indagine

Resta evidente che le problematiche lessicali (p.es. in materia di parità di genere, di omosessualità, di immigrazione) rappresentano un delicatissimo punto di snodo ove si incrociano propensioni diverse e diverse opinioni. In queste materie – salve situazioni di eclatante violazione di principi che si ritengono fondanti (p.es. in tema di frasi razziste o sessuofobe) – il consiglio ha ritenuto e ritiene di privilegiare i principi di cui l’art. 21 della Costituzione è portatore e, quindi, di evitare che la semplice sbavatura lessicale possa trasformarsi in uno strumento di possibile censura. Ciò anche per non sovrapporre l’opinione soggettiva del giudicante con l’esigenza di tutela della comunità. Ciò soprattutto per le frequenti situazioni in cui il possibile rilievo era legato al linguaggio impiegato o a espressioni non sempre equilibrate in materie di tipo sensibile.

La frequente presenza di giornalisti ospiti di talk show o presenti sui social che impiegano un linguaggio teso alla massima sintesi in relazione all’effetto che si intende ottenere,

ad esempio, comporta talvolta cadute di stile piuttosto evidenti. Fatte salve situazioni di palese violazione, il consiglio tende a “tollerare” queste sbavature spesso stimolate se non orchestrate dal contesto in quello che appare, talvolta, come un gioco delle parti. L’intervento – in tali casi – è ad oggi limitato a blandi interventi sanzionatori o, più frequentemente, a delibere di non luogo a procedere. Nonostante questa convinta impostazione votata alla prevenzione più che alla sanzione abbia comportato un numero contenuto di condanne, vanno segnalate una preoccupante insofferenza da parte di alcuni iscritti per l’istituzione disciplinare, da un lato, e una altrettanto preoccupante tendenza a forme di “pressione” sull’attività del consiglio da parte di alcuni autori di segnalazioni, dall’altro. Il primo fenomeno, ad esempio, ha trovato concreta evidenza in occasione di semplici convocazioni da parte del consiglio, allorquando, senza che alcuna decisione fosse stata ancora assunta, si sono verificate vere e proprie campagne di stampa che, per la veemenza delle reazioni, hanno destato una radicale perplessità. Tale fenomeno – di cui si era già registrato in passato qualche episodio – trae origine, spiace sottolinearlo, principal-

Una preoccupante insofferenza da parte di alcuni iscritti per l’istituzione disciplinare

PAOLOBON140 / WIKIMEDIA COMMONS

In crescita la propensione a considerare il consiglio di disciplina uno strumento di giustizia “personale”

mente da giornalisti generalmente piuttosto noti e anche con compiti di alta responsabilità che, evidentemente, considerano il solo fatto di essere invitati a fornire delle spiegazioni un atto di lesa maestà o colgono l’occasione per esprimere opinioni livorose cariche di disprezzo istituzionale. Non solo: dal tenore e dal livello delle forme di protesta, risultano lampanti carenze di formazione e di aggiornamento in materia deontologica, tanto da indurre riflessioni piuttosto sconfortanti sulla propensione all’aggiornamento di una parte qualificata della categoria (e ciò, va detto, a discapito di coloro che con umiltà e pazienza, si sottopongono con disciplina a corsi formativi anche in materia deontologica, così da saper distinguere, almeno, fra Consiglio di Disciplina e Consiglio dell’Ordine...). Va altresì messo in evidenza che la gran parte dei giornalisti (anche di grande notorietà) e dei direttori responsabili si sono sottoposti e si sottopongono con rispetto all’esame del Consiglio dimostrando, anche attraverso le loro difese, consapevolezza e conoscenza dei temi deontologici sottostanti. Il secondo fenomeno, altrettanto preoccupante, vede in crescita la propensione, da parte degli esponenti, a considerare il consiglio di disciplina uno strumento di giustizia “personale” o perfino politica con conseguenti richieste di inaccettabile contenuto intimidatorio. Il consiglio, a tutela della propria indipendenza, è stato, in un caso, costretto a reagire informando l’Autorità giudiziaria.

Ciò si scrive con lo scopo di sottolineare che l’esercizio della giustizia disciplinare in modo indipendente costituisce una fondamentale premessa di credibilità per la professione: l’esistenza di norme deontologiche condivise e di organi non condizionabili che ne garantiscono il rispetto (o cercano di farlo) dovrebbero essere un obbiettivo comune e un patrimonio di cui tutti sono partecipi. L’esperienza accumulata spinge a credere che ancora molto debba essere fatto in questa direzione.

Criticità

Vista attraverso il prisma della deontologia, la professione sembra inseguire “la modernità” con un certo affanno: i siti online anche delle principali testate paiono subire le tempistiche di pubblicazione e la rincorsa al “clic” dei lettori con

una reattività che va a discapito della qualità (anche grammaticale, per la verità). Frequenti i casi di “sviste” anche clamorose in violazione di diritti elementari in materia di tutela dei minori o di violenza di genere. In questo senso la “spettacolarizzazione” della notizia, funzionale a catturare l’attenzione del lettore si rende portatrice di uno smottamento deontologico (la pubblicazione di video “estremi” ne è un esempio) che riduce l’informazione a merce e il giornalista succube della “pancia” dei propri lettori. Da questo punto di vista assume rilievo anche il fenomeno del “giornalismo da blog” e del giornalista influencer; non solo come fenomeno individuale ma, anche, come realtà informativa di cui i siti online sono contenitori. Con conseguente innesco di commenti ingovernabili e a volte, verrebbe da dire, suscitati con compiaciuta malizia. Una riflessione attenta su questi aspetti e sui rischi, anche in tema di indipendenza, sarebbe certamente opportuna.

La “spettacolarizzazione” della notizia si rende portatrice di uno smottamento deontologico

SAM MCGHEE / UNSPLASH

Resta problematica, come già evidenziato in passato, la connivenza fra informazione e pubblicità

Come scritto, l’esigenza di compiacere il presunto interesse del lettore come metodo di selezione dell’importanza di una notizia, particolarmente sui siti online, offre il fianco ad un livellamento informativo in cui il numero di clic classifica il prodotto; con ciò, per quanto qui interessa, inducendo a pubblicare “in automatico” (nella migliore delle ipotesi) contenuti di estrema violenza (per esempio in materia di guerra), di brutalità inaccettabile (riprese di delitti efferati), di non concepibile spettacolarizzazione di episodi di cronaca (violenze di genere, drammi sociali, episodi coinvolgenti minori). Il consiglio registra con preoccupazione questa deriva evidenziando che l’uso di un linguaggio ritenuto inadeguato suscita un’attenzione a volte esasperata, mentre questi fenomeni, a nostro avviso ben più pericolosi per l’indipendenza della categoria e la qualità della sua funzione, non sembrano suscitare altrettante perplessità. Resta problematica, come già evidenziato in passato, la convivenza fra informazione e pubblicità: ancora una volta si sottolinea che «il tema necessita di un approccio realistico e non rigoristico ma, al contempo, esige attenzione per tutelare l’indipendenza della professione».

Appare evidente una certa mancanza di consapevolezza dell’importanza degli obblighi deontologici

La garanzia di un minimo comune denominatore da tutti condiviso (sul piano delle regole deontologiche e del rispetto dei principi fondamentali della professione) potrebbe, forse, essere un sigillo di qualità sul ruolo imprescindibile di una stampa libera e indipendente ma, in linea di massima, appare evidente una certa mancanza di consapevolezza dell’importanza degli obblighi deontologici. Un noto commentatore ha scritto, riferendosi all’Ordine: «Adesso hanno convocato non so quale tribunalucolo etico per mettere sotto accusa» un giornalista. In così poche parole è riassunta senza possibilità di smentita l’evidenza di una ignoranza totale delle proprie istituzioni di riferimento e l’altrettanto totale presunzione di potersene ergere a giudice. E di concetti tanto rozzi in materia, quest’anno, se ne sono letti non pochi. Risulta sul punto ineludibile, ad avviso del CDT, un profondo lavoro di sensibilizzazione.

Della responsabilità dei direttori in tema di locandine e cronaca giudiziaria

Le pronunce del Consiglio di Disciplina Territoriale per orientare i colleghi in tema di deontologia

Decisione del 21 dicembre 2023, procedimento numero 58/22. Collegio composto da Antonella Crippa (presidente); Paolo Della Sala (relatore); Laura Silvia Battaglia (Consigliere)

Fatto

È pervenuto per competenza territoriale un procedimento trasmesso dal Consiglio di Disciplina delle Marche datato 7 novembre 2022 e relativo a una doppia segnalazione. Ci si duole, in entrambi i casi, di una locandina riportante lo strillo Il baby bullo aveva già aggredito la lesbica; la questione è correlata ad un episodio di possibile bullismo di cui un quotidiano regionale aveva dato conto con articoli di cronaca il cui contenuto era, altresì, oggetto di doglianza nella parte in cui, a dire del secondo esponente, l’omosessualità della minorenne coinvolta era data per “scontata” sulla base di una superficiale lettura dei fatti.

L’articolo non è oggetto di valutazione di questo Consiglio posto che il suo contenuto – con riguardo alla posizione del direttore della testata – non è tale da comportare una possibile ragione di «responsabilità per omesso controllo».

Motivazione

Va premesso che è dubbio che il direttore di un quotidiano sia responsabile del contenuto delle locandine pubblicitarie poste nelle edicole a richiamare l’attenzione sul contenuto del giornale.

Nello specifico, tuttavia, si ritiene che tale questione possa considerarsi as-

sorbita in quella di merito e, cioè, che questo Consiglio non ritiene che lo strillo di richiamo nella locandina abbia un contenuto tale da potersi considerare rilevante sul piano disciplinare. «Il baby bullo aveva già aggredito la lesbica» è indubbiamente locuzione inelegante ma non tale da superare il confine dell’art. 5 bis del Codice Deontologico. In particolare va sottolineato che, ad avviso del Consiglio, il termine lesbica non può e non deve essere considerato offensivo o, come scritto in uno degli esposti, “ sgradevole ”. È appena il caso di ricordare che l’acronimo LGBT parte proprio dal richiamo, sia in inglese che in italiano, al sostantivo identificativo dell’orientamento omosessuale femminile che, anzi, ne rappresenta in qualche misura un concetto bandiera. Nè pare che si possa condividere la critica secondo cui «a nessun genitore farebbe piacere vedere bollata sua figlia con il termine lesbica in prima pagina» (contenuta in uno dei due esposti) che, per come è riportata, sembra quasi una sorta di “fuoco amico” lessicale rispetto ai diritti che si vorrebbero difendere.

Né il richiamo pubblicitario in locandina né l’articolo contengono elementi atti a identificare la minorenne di cui si parla

Entrambi gli esposti mirano – va precisato – a difendere la riservatezza della minorenne coinvolta ma, a parere del Consiglio, né il richiamo pubblicitario in locandina né l’articolo contengono elementi atti a consentire l’identificazione della minorenne. L’articolo, peraltro, pare scritto con continenza e attenzione e anche il titolo (riportato nel secondo esposto: “Aggressione gay sul corso di Ancona: la ragazzina era già finita nel mirino del 14enne”) non sembra indulgere ad una particolare spettacolarizzazione. Il punto che sembra stare a cuore agli esponenti, quindi, sottintende che, non essendo la ragazzina omosessuale o potendo non esserlo, la stessa e i suoi familiari (che ovviamente sarebbero in grado di immedesimarsi nell’articolo) potrebbero subire una lesione alla propria dignità – o comunque subire un aggravamento dello stato di profondo smarrimento conseguente alla aggressione – per un articolo/locandina in cui l’omosessualità si dà per presunta.

Nel ribadire che – nello specifico – in nessun modo la ragazzina risulta identificabile a terzi e che, da una serie di particolari non messi in discussione, di una aggressione omofoba si sia trattato, l’eventuale profilo di inaccurata verifica sulla effettiva propensione sessuale della minorenne non pare possa essere ascritto al direttore, da un lato, e appaia marginale

rispetto ad altri profili di attenzione – di certo maggiore importanza - che risultano rispettati.

Da una serie di particolari (il tipo di borsa portata, i primi sviluppi investigativi, la indicazione di precedenti specifici) si evince che la giornalista ha attinto a fonti affidabili, a partire dagli operanti interessati al caso. Ciò poteva bastare al direttore per considerare il contenuto dell’articolo accettabilmente comprovato.

Decisione

Ciò premesso, anche in considerazione del fatto che questo Consiglio ritiene si debba evitare l’apertura di procedimenti disciplinari quando la lesione del bene giuridico tutelato appaia, nella peggiore delle ipotesi, di particolare tenuità così da determinare un probabile proscioglimento all’esito del giudizio, si dispone il non luogo a procedere nei confronti del direttore della testata, pur invitandolo ad una più attenta gestione dei toni quando si tratta di materie particolarmente sensibili.

Sulla precisione in fase di indagini penali, la presunzione di innocenza, le fonti primarie e il diritto di cronaca

2. Decisione del 21 febbraio 2024. Procedimento numero 7/22. Consiglio di Disciplina Territoriale composto da: Fabio Benati (Presidente); Paolo Della Sala (relatore); Laura Silvia Battaglia (Consigliere).

Fatto

Oggetto dell’esposto: alcuni articoli relativi al coinvolgimento dell’esponente in una possibile frode fiscale

Con una segnalazione del 5 febbraio 2022 veniva segnalata la possibile violazione di norme deontologiche a seguito della pubblicazione di 4 articoli pubblicati sui siti online di testate a diffusione nazionale. Si doleva l’esponente del fatto che su tali testate online la vicenda giudiziaria di cui egli era protagonista in qualità di indagato fosse stata riportata con aspetti di falsità «surreale». In particolare riferiva che gli articoli narravano del suo coinvolgimento in una possibile frode fiscale riferendo, tuttavia, che lui, nella qualità di avvocato del presunto evasore, lo avrebbe poi truffato appropriandosi di parte dei beni (il cliente, nel frattempo, è deceduto). L’esponente precisava che tutto ciò non era minimamente ricavabile dal comunicato stampa emesso dalla locale procura della Repubblica. Il

Consiglio chiedeva, quindi, che venisse messo a disposizione il comunicato in questione e, nel giro di pochi giorni, l’esponente lo metteva a disposizione. Si chiedevano, quindi, chiarimenti ai direttori delle testate coinvolti. In particolare, uno dei direttori inviava una articolata risposta (pervenuta il 19 giugno 2023) che faceva riferimento ad allegati di sicuro interesse ai fini della valutazione da parte del Consiglio ma che, tuttavia e per evidente dimenticanza, non erano stato acclusi alla memoria difensiva.

Sollecitato, l’iscritto ha trasmesso quanto richiesto e, in particolare, copia del decreto di archiviazione a favore dell’esponente in relazione alla imputazione di appropriazione indebita.

Motivazione

Il Collegio, pur con le precisazioni che seguono, ritiene che non vi siano chiari estremi per l’apertura di un procedimento disciplinare.

Ciò che emerge con chiarezza dal principale elemento documentale raccolto in istruttoria (decreto di archiviazione del 24 ottobre 2022) è che l’esponente, al momento della pubblicazione degli articoli era effettivamente indagato per il reato di appropriazione indebita in danno del proprio cliente. Per questo motivo la notizia – per come esposta nell’articolo incriminato – non contiene elementi di falsità tali da integrare una possibile violazione di carattere deontologico. Va premesso che l’argomento secondo cui sarebbe stata ripresa la notizia pubblicata da altro primario organo di informazione è del tutto privo di fondamento: come più volte precisato «ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, il giornalista non può utilizzare come fonte informativa dei propri articoli le notizie pubblicate da altre testate senza sottoporle ad una attenta verifica» (Cons. Disc. Naz. n. 23/21).

L’articolo riportava una notizia “vera”, se pure con un “nomen juris” non preciso (truffa al posto di appropriazione indebita)

Ciò premesso l’articolo in questione ha riportato, quindi, una notizia “vera”, se pure con un “nomen juris” non sempre preciso (truffa al posto di appropriazione indebita): cioè che l’esponente fosse indagato per essersi appropriato di fondi appartenuti ad un cliente deceduto. In tal senso, per la verità, non sfugge che il comunicato stampa della procura non abbia fatto riferimento a questa ipotesi di reato (si fa riferimento ai soli reati fiscali ed all’autoriciclaggio) ma è altrettanto evidente che la fonte dell’informazione – per come si può arguire vista l’effettiva esistenza di un procedimen-

to per reati contro il patrimonio in danno del defunto – non può che essere stata affidabile agli occhi del cronista e, per così dire, primaria.

Una fonte primaria e qualificata scrimina il giornalista in termini di diritto di cronaca

Ci si trovava, infatti, in una fase di indagini preliminari e all’esito di un sequestro preventivo appena eseguito: quindi in un contesto in cui i soggetti a conoscenza della questione processuale erano necessariamente pochi e qualificati. Sul punto non può che richiamarsi il principio secondo cui l’affidamento ad una fonte primaria e qualificata scrimina il giornalista quantomeno sotto il profilo della putatività della notizia. In questo senso, quindi, pur se in presenza di sbavature lessicali, la doglianza dell’esponente è superata dall’esercizio del diritto di cronaca.

Si invita, ad ogni modo, ad un utilizzo prudente e calibrato dei termini impiegati durante la fase delle indagini preliminari, soprattutto nella titolazione posto che non è deontologicamente impeccabile dare per scontata la responsabilità di un soggetto (anche se nel testo dell’articolo il fatto viene esposto correttamente). In particolare non va dimenticato che l’art. 8 lett. a) del Testo Unico impone il rispetto del diritto alla presunzione di non colpevolezza e che, in questo senso, il contesto complessivo (titolo, occhiello, articolo) lascia spazio a qualche perplessità.

La rimozione dell’articolo dal sito e l’adeguatezza dei contenuti hanno ridotto l’impatto del titolo

Si rammenta, soprattutto a chi dirige i siti online, che le dinamiche di attrazione del lettore non possono e non devono prevalere sul rispetto dei beni primari dei soggetti coinvolti. Ugualmente, la pronta rimozione dell’articolo dal sito e la sostanziale adeguatezza dei contenuti esposti (nel testo dell’articolo) riducono l’impatto inappropriato del titolo e, conseguentemente, attenuano la lesione del bene giuridico tutelato: la vicenda oggetto del procedimento, pur se formalmente idonea ad integrare la violazione dei principi deontologici di cui all’art. 8 lett. a) del Testo Unico dei doveri del giornalista appare, nella sostanza, priva di una sufficiente offensività rispetto al bene giuridico che la norma violata in astratto intenderebbe tutelare. Come è noto, il principio di offensività opera (principalmente) su due piani, quello della previsione normativa che invita il legislatore a prevedere fattispecie che in astratto configurino condotte a contenuto lesivo e quello della applicazione giurisprudenziale (c.d. offensività in concreto) che

ne rappresenta la componente di interpretazione e applicazione secondo, peraltro, canoni anche di tipo evolutivo.

È opinione di questo Consiglio che la sottoposizione a procedimento disciplinare debba concernere quei fatti e quelle condotte che, sia pure nella gradualità delle sanzioni applicabili, contengano un livello di disvalore oggettivo e incontestabile e ciò anche in adesione alla condivisibile impostazione che considera meritevole di procedimento e di sanzione solo ciò che abbia leso un bene giuridico con incontestabile evidenza. Tenuto, altresì, conto della complessità della professione di giornalista e della molteplicità di doveri (anche deontologici) ad essa correlati, appare anche ragionevole evitare l’impatto del procedimento disciplinare in quei casi che presentino caratteri di illiceità non univoci o comunque, tenuto conto del contesto, di gravità contenuta anche ipotizzando la minima sanzione applicabile. Ciò si scrive al fine di sottolineare la inutilità di una contestazione con conseguente fase istruttoria e decisionale poiché in termini prognostici il fatto, per come ipotizzato, non raggiungerebbe un giudizio di sufficiente offensività. Non va, infine, dimenticato che nella necessaria esigenza di bilanciare gli interessi in gioco, l’afflizione che deriva agli incolpati dall’essere sottoposti a un procedimento disciplinare (posto che ogni procedimento è in sé afflittivo) merita di essere inflitta nei soli casi in cui la lesione del bene giuridico tutelato dalla norma si presenta concreta e indiscutibile, sia pure, come detto, all’interno di parametri di gradualità sanzionatoria che, di volta in volta, perimetrano la gravità di una condotta da un grado minimo ad uno massimo. Anche alla luce di tale bilanciamento, la vicenda sottoposta al giudizio del Consiglio appare inidonea a giustificare la instaurazione di un procedimento.

Decisione

L’apertura di un procedimento disciplinare deve concernere fatti e condotte che contengano un livello di disvalore oggettivo e incontestabile

Questo Consiglio di Disciplina Territoriale dispone il non luogo a procedere nel procedimento a carico del direttore della testata, non ravvisando alcun elemento che possa ipotizzare una violazione delle norme che attengono alla professione giornalistica.

Formazione

Gli strumenti che ci servono

Non è più tempo di «suole da consumare»

Dal corso in preparazione all’esame di Stato organizzato dall’Ordine emerge un modo diverso di vivere la professione: per necessità meno dinamico, più domestico e solitario, di sicuro meno retorico

di Gianni Antoniella, Elisabetta Muritti, Luciano Scalettari, Paolo Zucca

Questo articolo è scritto dai tutor del corso per l’esame da professionista organizzato dall’OgL per la prima sessione del 2024. Vi hanno preso parte 25 praticanti.

««Oggi se vuoi fare il giornalista, puoi avviare da solo un progetto piccolo e vederlo crescere nel tempo» NUOVI PROFESSIONISTI

Oggi ci sono strumenti come i programmi di revenue delle piattaforme, da TikTok a Youtube, che consentono a chiunque di creare contenuti anche giornalistici dalla propria cameretta. Più difficile seguire l’attualità, ma in rete abbondano i cosiddetti “spiegoni”, o video-commenti sui più disparati argomenti». Qualche giorno fa, in una pausa del Corso per i Praticanti in preparazione all’esame di Stato, lo diceva a un gruppetto di colleghi Vincenzo Russo, Social Media & Campaign Manager del Fatto Quotidiano, che ha frequentato il corso precedente che si è tenuto in autunno. «In altre parole», continuava Vincenzo, «se vuoi fare il giornalista, puoi avviare da solo un progetto relativamente piccolo e vederlo crescere nel tempo. Non che sia facile, ma alcuni ragazzi ci stanno riuscendo. Oggi hanno canali seguiti da milioni di follower e non sanno che cos’è una scuola di giornalismo».

Vincenzo è un perfetto emblema. Del giovane giornalista oggi diviso tra l’ammirazione per le regole “classiche” di una professione che ama e la consapevolezza di una realtà che pare poterne (e volerne) fare a meno.  Un emblema dei tanti, tantissimi praticantati d’ufficio. Ma non solo. Quello che si osserva dal corso è la latitanza dei “giornaloni” e delle testate nazionali

nella creazione di nuovi praticanti (due eccezioni: il Post e Milano Finanza); il fatto che su questo le emittenti televisive superano le testate cartacee; del proliferare di testate online in tutte le forme e declinazioni; di una assoluta mancanza di tutele (e di cultura) sindacale.

La più dinamica delle professioni sta diventando un mestiere solitario, domestico e indifeso; e quella che era la sua specificità intellettuale, e cioè la scrittura logica, fluida e documentata, solo uno degli ingredienti.

La più dinamica delle professioni sta diventando un mestiere solitario, domestico e indifeso

Senza la pretesa di fornire comportamenti medi, incontrare tanti giovani colleghi (anche di altri Ordini regionali) consente

MARTIN ADAMS / UNSPLASH

impressioni in presa diretta sull’evoluzione della professione. È un momento intenso.

Negli otto giorni del corso, a un solo mese dall’esame, si sta molto insieme, si seguono i colleghi nell’emozionante avvicinamento alla prova scritta. Quasi sempre si gioisce del passaggio all’orale, ci si confronta per la tesina. Si festeggia il tesserino da professionista sapendo tutti che il mercato del lavoro è la prova più difficile.

L’esame di Stato propone ancora il modello cartacentrico che le vendite in edicola non giustificano più

Il giovane giornalista deve imparare il mestiere senza quella rete di relazioni che ha caratterizzato la professione

Qualche evidenza. I colleghi assunti e quelli che collaborano stabilmente con redazioni strutturate non hanno meno bisogno dei freelance di solide basi. Di scrittura, ad esempio. Cose molto semplici: nome e cognome la prima volta che si cita una persona, la sua definizione. Una punteggiatura decente, paragrafi non chilometrici. Ogni affermazione deve essere seguita da un riscontro verificabile, chiedere un commento ai soggetti di cui, nel bene o nel male, si scrive. L’obbligo di verifica, per evitare di trasferire ai lettori imprecisioni o fake news che potranno diventare guai giudiziari e cause milionarie che dovrebbero spaventare innanzitutto gli editori che invece spingono solo sulla quantità. Tutta roba vecchia? In parte sì, l’esame di Stato propone ancora il modello carta-centrico che le vendite in edicola non giustificano più.  Qualche altra considerazione. Con i sempre più frequenti “tagli” dei giornalisti, sembra di capire, è andata persa la “scuola interna” delle storiche redazioni che trasferiva esperienza di mestiere e di scrittura. Il giornalismo diventa sempre più lavoro solitario, realizzato magari a casa propria oppure (raramente) sul campo, molto fai-da-te. Complice la crescita abnorme dell’utilizzo di collaboratori esterni, il giovane giornalista deve imparare il mestiere senza quella rete di relazioni che ha caratterizzato per lungo tempo la professione. Ha perso gran parte dello spazio (la vita di redazione, il rapporto quotidiano con i colleghi) e si è interrotta la trasmissione del bagaglio di vissuto che non si impara nelle scuole di giornalismo né nelle università. Alla domanda: «Chi lavora online?» si alzano selve di mani. Video, podcast, molti pezzi brevi e per fortuna anche longform e inchieste. I colleghi giovani hanno studiato, viaggiato, impara-

to lingue, stretto amicizie più che in passato, agili nell’informazione audiovisiva, nella tecnologia e nell’autoproduzione. Valorizzano contenuti sui social, prendendo il meglio e schivando il peggio. Lavorano in tempo reale, con notizie e immagini da sparare in rete immediatamente (e forse la “vecchia” verifica è più urgente ora che in passato).

Siamo a un paradosso: se i giovani praticanti da un lato presentano abilità e competenze prima sconosciute, dall’altro si ritrovano deprivati del bagaglio professionale che ci proviene dal vivere, anche fisicamente, nel processo di produzione di un’opera corale che si rinnova. Non si tratta di lodare i tempi andati, ma constatare come alcune potenzialità legate alle nuove tecnologie vengano azzoppate dalle nuove modalità di lavoro a cui sono costretti tanti giovani cronisti. La distruzione del lavoro gomito a gomito (complice la pandemia e non solo) è la cifra di quest’epoca.

Alcune potenzialità legate alle nuove tecnologie vengono azzoppate dalle nuove modalità di lavoro

La rete che si crea al corso è utile per la preparazione e per il morale

Anche per questo gli otto giorni di formazione alla fine lasciano il segno, nei tutor quanto nei praticanti. Arrivi al corso e scopri che “stare insieme” è bello. Nelle due settimane è incredibile come si crei e si saldi uno spirito di gruppo che diventa anche la forza di coloro che andranno a Roma per sostenere il temuto esame. La crescita dello “spogliatoio”, tanto per recuperare un vocabolario sportivo, è una reazione che stupisce per potenza e per capacità di fondere il gruppo lombardo. La rete che si crea è utile come aiuto per la preparazione e per il morale. La fusione “chimica” di personalità è la vera costante dei corsi che l’OgL organizza semestralmente, secondo il calendario delle sessioni d’esame. A modo suo, un’opera d’ingegno collettivo o, se vogliamo, una singolare esperienza di vita di redazione, provata per alcuni di questi ragazzi per una prima volta, magari la sola.

Perché saperne di più in tema di giustizia riparativa

Introdotta dalla Riforma Cartabia, è una rivoluzione nell’approccio a pene e reati. Per noi giornalisti è anche un modo per rivedere un pregiudizio colpevolista di cui spesso siamo interpreti. Sul sito OgL un toolbox digitale sul tema di Riccardo Sorrentino

Non c’è un buon rapporto tra giustizia e media. Non solo in Italia. Sarebbe troppo facile attribuire la “colpa” solo ai giornalisti, e alle patologie del nostro lavoro; oppure, al contrario, al mondo del diritto – magistrati, giudici, ma anche avvocati – che cerca di indirizzare l’informazione verso obiettivi processuali. Accade anche questo, ma il lavoro di analisi che l’Ordine dei giornalisti della Lombardia sta compiendo sulla “giustizia mediatica” mostra che le distanze tra i due mondi, informazione e giustizia, sono strutturali – si pensi ai tempi, o al linguaggio, o alla diversa concezione dell’interesse pubblico – e non possono che essere superate con una grande consapevolezza. Come spieghiamo nell’articolo nelle pagine seguenti, la giustizia riparativa, che la riforma Cartabia rivedendo il processo civile e penale ha istituzionalizzato, è piombata in questo contesto con tutto il peso di un’attività complessa che ora modifica, ampliandolo, il mondo della giustizia. Con implicazioni per il giornalismo che vanno molto più in là di quanto si possa immaginare. Il rischio è, di nuovo, quello dell’incomprensione reciproca. Il giornalismo vive immerso in una realtà che – in Italia, ma non solo – è tendenzialmente colpevolista, un atteggiamento molto alimentato da forze politiche su fronti opposti. Si grida “giustizia è fatta” solo in caso di

Viviamo in una realtà che considera l’indagato pregiudizialmente colpevole

La giustizia riparativa fa uscire dalla prigione simbolica in cui il reato rinchiude

condanna – ha spiegato in uno dei nostri corsi Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di sorveglianza di Firenze – non quando un innocente viene scagionato. Sfugge a molti il fatto che è la Giustizia ad avere il più grande dei poteri, quello di togliere la libertà personale a un singolo per periodi anche lunghissimi; un potere che va quindi esercitato con il più grande rispetto di formalismi destinati a evitare abusi. Anche di fronte a una confessione – che può essere falsa – o a una flagranza. La giustizia riparativa corre allora il rischio di essere interpretata come un altro strumento non solo a favore del reo, quanto a sfavore delle vittime e dei parenti, invitati a perdonare o anche solo a incontrare i propri “carnefici”. La realtà è invece molto più complessa, le vittime possono trovare nella giustizia riparativa – ha spiegato il criminologo Roberto Cornelli – un modo per uscire dalla prigione simbolica in cui il reato l’ha rinchiusa. La formazione dei giornalisti, su questo tema, è quindi necessaria. L’Ordine lombardo ha voluto però fare qualcosa di più di corsi che impegnano qualche decina di colleghi e poi “scompaiono”.

L’idea è creare uno strumento di formazione che resti a disposizione dei colleghi interessati

La cronaca giudiziaria – che è una cronaca “classica”, di quelle che si praticano per strada, tra i corridoi dei tribunali – richiede competenze non banali sulle modalità del processo, e nello stesso tempo è chiamata a confrontarsi con i grandi temi della nostra professione: la necessità di raccontare tutto, evitando così ricostruzioni edulcorate che non rivelino l’orrore di certi episodi criminosi, e quanto i condannati possano essere vicini a noi; e la necessità di rispettare la dignità umana di tutte le persone coinvolte, molte delle quali involontariamente (vittime, parenti, testimoni…). Con l’aiuto di Federica Brunelli, avvocato, esperta di Giustizia riparativa, e di tre colleghe praticanti del master Walter Tobagi (Chiara Evangelista, Anna Maniscalco e Sara Tirrito) offriamo ora un toolbox che esplora gli aspetti principali del nuovo strumento giuridico, e tenta di sciogliere i dubbi: un aiuto – non certo un’interpretazione autentica – per i giornalisti. Sarà solo il primo toolbox. L’idea è quella di creare una biblioteca digitale che si affianchi ai corsi ma resti a disposizione dei colleghi. Il toolbox sul processo penale è in preparazione, quello sul giornalismo di inchiesta è in progettazione. Altri seguiranno. La giustizia informale, a cui la giustizia ripa-

A MILANO. Il gruppo di mediatori coordinati da Federica Brunelli (al centro, foto in alto) del Centro per la giustizia riparativa del Comune di Milano

rativa appartiene, è però uno strumento che può coinvolgere i giornalisti anche su un altro aspetto del nostro lavoro: quello della libertà di espressione che, più di ogni altra, è una libertà difficile, non solo e non tanto perché può entrare in conflitto con altri diritti, quanto perché è difficile trovare una formula che permetta di affrontare i casi singoli senza creare conseguenze non volute, vere e proprie contraddizioni. A proposito di questa libertà, già nel 1994 il giurista statunitense Richard Abel aveva proposto come unica soluzione forme di giustizia informale, di cui la giustizia riparativa rappresenta – per esempio perché non chiede perdoni o ammissioni di responsabilità –un’evoluzione. In tempi difficili in cui leggi considerate bavaglio si alternano

a solide rivendicazioni di libertà, in cui il semplice resoconto dei fatti si scontra con la richiesta di rispetto delle persone, la giustizia riparativa può venire incontro ai giornalisti, anche in alternativa alla giustizia ordinaria, per esempio per affrontare la diffamazione (e quindi il problema delle Slapp) o anche le questioni deontologiche. Sono considerazioni, queste, che possono trovare compimento solo in una riforma del sistema, che anche per questo diventa sempre più necessaria.

OPERATORI. Il corso per diventare mediatore penale prevede 480 ore di formazione (1/3 teoriche e 2/3 pratiche) e un tirocinio di 200 ore

Cambiare sguardo: dal reato commesso guardare alle persone

La giustizia riparativa si affianca al processo penale senza sostituirlo e offre alle vittime e agli autori una risposta non orientata soltanto alla punizione del colpevole

di Federica Brunelli, mediatrice esperta in programmi di giustizia riparativa –Cooperativa DIKE di Milano

La giustizia riparativa è, nella definizione dell’art. 42 del decreto legislativo 150/22 (c.d. Riforma Cartabia), «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore». Viene definita come “giustizia dell’incontro”: partendo dall’idea di prendersi cura degli effetti distruttivi nascenti dal reato, la giustizia riparativa rappresenta un modello di giustizia relazionale e dialogica, che promuove la ricucitura del legame sociale a partire dalle ferite che l’illecito ha generato, restituendo un ruolo attivo a vittime, autori e comunità. Si affianca al processo penale, non sostituendolo, e - in un’ottica di complementarietà - prova a offrire ai protagonisti della vicenda penale qualcosa di più rispetto alle risposte tradizionalmente orientate alla sola punizione del colpevole o alla sua rieducazione. La questione fondamentale non è soltanto «come deve essere punito il colpevole» ma anche «se e che cosa può essere fatto per riparare il danno», non solo nel senso di controbilanciare in termini economici il danno cagionato ma nell’ottica di ridare

Un modello di intervento relazionale e dialogico, che promuove la ricucitura del legame sociale

significato ai legami fiduciari fra le persone che il reato ha interrotto.

Ridare significato ai legami fiduciari fra le persone spezzati dal reato

Per fare questo, la giustizia riparativa chiede un “cambiamento di sguardo” sulle modalità di considerare il reato e sulle possibili risposte quando esso viene commesso. Un primo cambiamento consiste nel guardare il reato non soltanto come la violazione di una norma del codice penale, ma primariamente come la rottura di una relazione significativa fra due persone, di un patto sociale di carattere fiduciario, abbandonando una visione solamente reo-centrica e restituendo

YOUSSEF NADDAM / UNSPLASH

un posto anche alle vittime e alla comunità ferita. Un secondo cambiamento consiste nel restituire un ruolo attivo a tutte le persone coinvolte nella vicenda penale: la persona indicata come autore dell’offesa, la vittima, la comunità partecipano a un percorso dialogico di riconoscimento reciproco, nel quale possono ritrovare dignità i vissuti e le narrazioni di ciascuno. Oltre alla verità processuale, la giustizia riparativa accoglie le verità personali, quelle vissute e non solo accadute.

Responsabilità non solo «per aver fatto qualcosa» ma «verso qualcuno»

Un terzo cambiamento consiste in una visione della responsabilità non solo «per aver fatto qualcosa» ma «verso qualcuno». Nell’incontro fra i partecipanti, l’altro c’è come persona in carne e ossa, come alterità possibile rispetto alla propria personale esperienza. Nello scambio dialogico, attraverso l’accompagnamento di mediatori esperti, ciascuno ha la possibilità di trasformare il proprio monologo in un dialogo, ha l’occasione di allargare la propria personale prospettiva includendo la voce dell’altro. La persona indicata come autore dell’offesa può entrare in contatto con l’esperienza esistenziale della vittima e in modo molto concreto con gli effetti negativi prodotti dal reato commesso. La vittima può incontrare l’autore del fatto come una persona e non soltanto come il reato che ha commesso e può costruire una comprensione più ampia di quanto accaduto. Un ulteriore cambiamento riguarda la riparazione: l’azione che ripara nasce dall’incontro fra i partecipanti in modo consensuale, e rappresenta l’esito dell’avvenuto riconoscimento fra loro. Un accordo simbolico e/o materiale (così recitano gli articoli 42 e 56 del decreto legislativo 150/22) che è «volto alla riparazione dell’offesa e idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti». L’azione che ripara connette il riconoscimento fra i partecipanti a un’azione concreta positiva e rivolta al futuro, quale possibilità di riappropriarsi di un senso di giustizia non solo legato alla riaffermazione della norma ma anche ai significati delle relazioni che costruiamo con gli altri.

Il modello italiano

Trasformare il proprio monologo in un dialogo consente alla vittima di incontrare l’autore del fatto come una persona

In Italia, questo modello di giustizia si afferma dalla metà degli

anni ’90, prima nel contesto minorile e poi anche nell’ambito adulti ma solo con il decreto legislativo 150/22, e in ritardo rispetto allo sviluppo delle normative di altri paesi europei ed extraeuropei, viene introdotta anche in Italia una regolamentazione specifica, giungendo finalmente a riconoscere un modello italiano di giustizia riparativa, utile riferimento per le nuove esperienze territoriali ma anche per le prassi già operative, nell’ottica di una maggiore omogeneità sul territorio nazionale.

Nell’affermare il principio de «l’eguale considerazione dell’interesse della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa» e i principi di «volontarietà, confidenzialità e gratuità», il decreto disciplina lo svolgimento dei programmi di giustizia riparativa, che possono essere svolti senza preclusioni ex ante relative alla tipologia di reato commesso, alla fase processuale di riferimento, alle persone coinvolte. Tali programmi sono:

• la mediazione tra la persona indicata come autore dell’offesa e la vittima del reato : il programma di giustizia riparativa più noto e praticato. Un incontro vis à vis fra i partecipanti, che hanno l’opportunità di narrare l’uno all’altro l’esperienza di cui sono stati protagonisti e gli effetti distruttivi che si sono prodotti, aiutati dai mediatori in un percorso di riflessività, responsabilità, riconoscimento, riparazione;

• la mediazione con la vittima di un reato diverso da quello per cui si procede (ad esempio la persona indicata come autore di una rapina e la vittima di una diversa rapina): offre la possibilità agli autori di reato – in un contesto non giudicante – di percepire il disvalore del proprio gesto deviante e di entrare in contatto con i vissuti che le vittime si trovano abitualmente ad affrontare, e consentono alle vittime di mettersi in dialogo con l’autore di un’offesa analoga a quella patita, accolte e riconosciuta in relazione al loro bisogno di riparazione;

• il dialogo riparativo : un programma a partecipazione allargata, che coinvolge altri partecipanti rispetto ai diretti protagonisti della vicenda, includendo un contesto comunitario più ampio di persone interessate al reato

(ad esempio persone dei nuclei familiari o del territorio) per affrontare in una dimensione collettiva gli effetti negativi derivanti dal reato, stimolando la progettazione partecipata di concrete azioni di riparazione;

• ogni altro programma dialogico guidato da mediatori e svolto nell’interesse della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa, con la guida di mediatori esperti.

L’elenco degli strumenti operativi evidenzia la necessaria e tipica natura “relazionale” dei programmi e il fatto che in essi possa essere sempre individuato un ruolo attivo di tutti i partecipanti in una dimensione dialogica. Inoltre, risulta sempre necessaria la presenza dei mediatori, con un ruolo di indipendenza e imparzialità rispetto alle parti. Il mediatore viene definito come terzo “equiprossimo”, vale a dire capace di avvicinarsi in egual modo all’esperienza dell’uno e dell’altro partecipante, capace di collocarsi in modo non giudicante nel difficile dialogo mediativo. Per fare questo, egli deve seguire una lunga e approfondita formazione che il decreto descrive nel dettaglio.

Il mediatore viene definito come terzo “equiprossimo”

Il decreto definisce anche l’iter dei programmi di giustizia riparativa: dalla segnalazione dell’autorità giudiziaria, all’informazione rivolta ai partecipanti, alla raccolta del consenso, agli spazi di ascolto individuali preliminari all’incontro congiunto, alla verifica di fattibilità dei programmi, al loro svolgimento, all’esito riparativo. Un’ultima precisazione riguarda la fase conclusiva dei programmi di giustizia riparativa: il mediatore restituisce un esito sintetico all’autorità giudiziaria segnalante, mediante una relazione che rispetta la confidenzialità sui contenuti del dialogo. L’autorità giudiziaria valuta il programma svolto e l’esito riparativo raggiunto, senza alcun automatismo circa l’applicazione di eventuali benefici, decidendo secondo la propria discrezionalità quale sia il valore da attribuire, nel processo penale, al programma svolto. In nessun caso, la mancata effettuazione del programma, la sua interruzione o il mancato raggiungimento di un esito riparativo possono produrre effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa.

Il ristretto confine tra bene e male si può descrivere e superare

L’esperienza di Ristretti Orizzonti, il giornale realizzato dalle persone detenute nel carcere di Padova: accorciare la distanza tra “fuori e dentro” e ridare complessità alle notizie che l’informazione tradizionale ha semplificato di Ornella Favero

II totalmente buoni e gli assolutamente cattivi: questa è la società con cui dobbiamo dialogare CARCERE

“ristretti” nel linguaggio del carcere sono i detenuti: allargare gli orizzonti ristretti della galera è stato il primo obiettivo che ci siamo dati, in questa redazione di volontari e detenuti nata nella Casa di reclusione di Padova con l’idea di fare un giornale che parlasse di pene, di carcere, di reati in modo diverso da come siamo abituati a vedere sui giornali, in televisione, nei social.

I totalmente buoni e gli assolutamente cattivi: questa è la società con cui dobbiamo dialogare, fatta di uomini e donne che per lo più sono convinti di appartenere alla categoria delle persone sicuramente buone e perbene. E invece noi con il nostro giornale raccontiamo che i confini tra il bene e il male non sono così ben definiti, e che basta un niente per “sconfinare” e trovarsi dall’altra parte. La nostra sfida è proprio accorciare la distanza fasulla, illusoria tra il “mondo dentro” a quello fuori. A Ristretti Orizzonti lo facciamo prima di tutto con il progetto Scuole e carcere. Educazione alla legalità. Un progetto in cui le persone detenute parlano poco del carcere, e molto di più di come è facile finirci dentro, di tutti quei comportamenti, quelle relazioni sbagliate, quei piccoli rischi che alla fine sfuggono al controllo e portano al reato. Perché il reato non è sempre una scelta, spesso è uno scivolamento in situazioni, che poi

non si è in grado di gestire, ed è per questo che le narrazioni delle persone detenute rappresentano per i ragazzi delle scuole un modo per vedere nella realtà le conseguenze di certi comportamenti, e allenarsi così a pensarci prima, cosa che non ha saputo fare chi ha commesso reati. Il nostro progetto infatti lo chiamiamo «un allenamento a pensarci prima», ed è lì che le “narrazioni del male” diventano un dono che le persone detenute fanno alla società, mettendo a disposizioni il peggio della propria vita a dei perfetti sconosciuti perché quel racconto possa servire a prevenire altro male. Questa fiducia profonda nel potere delle narrazioni, anche le più difficili come quelle degli autori di reati particolarmente violenti, è in fondo il cuore del lavoro di Ristretti.

Spezzare la catena del male

Quello che abbiamo capito in redazione è che bisogna evitare la trappola del vittimismo, che scatta quando chi entra in carcere da colpevole, se trattato in modo poco umano, comincia a sentirsi inevitabilmente una vittima. Proprio per uscire da questi meccanismi la scelta fondamentale di Ristretti è di occuparsi sì delle persone detenute, ma di aprire anche con le vittime dei reati un confronto profondo sul tema della assunzione di responsabilità. Agnese Moro, che ha avuto il padre ucciso negli anni della lotta armata, ha definito la nostra redazione come

Aprire anche con le vittime dei reati un confronto profondo

RISTRETTI ORIZZONTI

Ristretti Orizzonti è una rivista bimestrale di 48 pagine, ogni anno escono sei numeri più un numero speciale, dedicato a un tema particolare. Il primo numero è uscito nel 1998. La redazione si trova nella Casa di reclusione di Padova ed è formata da persone detenute e volontari. Una piccola redazione esterna cura il progetto di confronto con le scuole e la Newsletter quotidiana “Ristretti News”. Ornella Favero ne è la direttrice.

Sempre più vittime scelgono il dialogo con gli autori di reato proprio per «spezzare la catena del male»

«la possibilità di un incontro tra persone che non dovrebbero teoricamente mai incontrarsi, e anche un luogo in cui si possono rimuovere un po’ le barriere nell’incontro con sé stessi, quindi grazie per questo lavoro che ci aiuta a non tifare per gli uni o per gli altri, ma a tifare insieme per la possibilità di farcela». Che a “tifare per la possibilità di farcela” siano vittime e autori di reato insieme è spiazzante per quella parte della società, che giustifica la sua richiesta di tanta galera dicendo di agire in nome delle vittime. Ma ci sono, per fortuna, sempre più vittime che scelgono il dialogo con gli autori di reato proprio per “spezzare la catena del male”, nella piena consapevolezza che rispondere al male con altrettanto male non potrà mai generare del bene.

La pena rabbiosa e la pena riflessiva Il paradosso del nostro giornale è che noi dobbiamo lavorare per ridare complessità alle notizie che l’informazione “tradizionale” ha brutalmente semplificato. «Marcire in galera fino all’ultimo giorno» per esempio è la ricetta oggi più facile, la nostra sfida è quella di raccontare a una società spaventata che tanto carcere serve solo a rendere peggiori le persone. Nel nostro Paese è invece ancora diffusa la convinzione che la pena debba fare più male possibile. E così ti trovi davanti a storie di persone entrate in galera da giovani con pene pesanti e che poi in carcere hanno vissuto rabbiosamente e si sono ulte-

SAGGITTARIUS A / WIKIMEDIA COMMONS

riormente rovinate la vita, come Raffaele D., che di sé racconta: «Ho girato 12 carceri in 15 anni senza una sosta, fino a oggi, che di anni ne ho 37. E così sono diventato un fascicolo vivente». Quando una persona entra in carcere e viene trattata come un bambino, infantilizzata, privata della possibilità di decidere qualsiasi cosa, anche l’ora in cui farsi la doccia, il carcere fa vivere questa persona a “pane e rabbia” e la punisce con una aggiunta di pena che va ben oltre quella che dovrebbe essere davvero la condanna, cioè la privazione della libertà. La società deve essere aiutata a capire che la pena scontata in modo rabbioso fa uscire solo persone incattivite. Al contrario, essere trattati con umanità e rispetto mette le persone di fronte alla loro responsabilità e le costringe a riflettere sulle loro scelte sbagliate. Mi viene in mente un giovane detenuto che a un incontro con gli studenti ha esordito dicendo «Grazie perché mi fate sentire colpevole». È come se quel ragazzo avesse sgombrato il campo dalla rabbia e smesso di cercare alibi per i suoi disastri, e avesse finalmente accettato di fare i conti con la sua responsabilità.

Il punto è che oggi, in carceri pesantemente sovraffollate e con personale insufficiente, sono sempre di più i detenuti che non trovano ascolto, non sono in grado di riflettere su sé stessi e non hanno risposte alla loro disperazione se non quella estrema del suicidio. Ecco, alla fine il primo e fondamentale motivo di esistere di Ristretti Orizzonti è fare di tutto perché più nessun detenuto sia trattato come un fascicolo vivente.

LALUPA / WIKIMEDIA COMMONS

«La parola qui difende e guarisce, perché mette in movimento il dolore»

L’esperienza di Oltre i confini, il giornale realizzato dalle persone detenute nella Casa Circondariale Sanquirico di Monza: una porta sul mondo di fuori e un modo per riscoprire il valore del raccontarsi di Antonetta Carrabs

IUn periodico distribuito

nelle edicole di 55 Comuni come inserto de «Il Cittadino di Monza» CARCERE

l 12 luglio 2018 i lettori monzesi e brianzoli trovavano nelle pagine de Il Cittadino di Monza e Brianza, «qualcosa di diverso e di speciale» scriveva l’allora direttore Claudio Colombo. Un inserto «interamente scritto dai detenuti del carcere monzese di via Sanquirico. In pratica il loro giornale. Loro in tutto: dalla scelta del nome della testata a quella degli argomenti da affrontare e da trasformare in notizie, storie e approfondimenti. Noi de Il Cittadino ci occuperemo tecnicamente delle pagine». Oggi, questa esperienza editoriale continua grazie al nuovo direttore de Il Cittadino di Monza e Brianza Cristiano Puglisi: «Questo giornale non è un “giornalino” come tanti ne nascono in differenti contesti comunitari (ospedali, scuole, centri sociali), ma un organo di informazione, che viene distribuito direttamente nelle edicole, come inserto, nei 55 comuni della provincia, con una periodicità quadrimestrale».

Non vi era forse modo migliore di mettere in contatto due realtà apparentemente inconciliabili, il dentro e il fuori separati dal muro del carcere. È infatti forte il desiderio dei detenuti di comunicare con l’esterno per non perdere il contatto con la realtà. Le riunioni di redazione di Oltre i confini sono settimanali, il numero dei partecipanti varia secondo i trasferimenti e le dimis-

sioni di ciascuno. Ma tutti i detenuti sono convinti che il giornale rappresenti una porta sul “mondo fuori”. La parola, la narrazione hanno infatti un ruolo auto-educativo e terapeutico: aiutano le persone a riconciliarsi preparandoli alla riappacificazione con quel mondo dal quale sono stati momentaneamente allontanati.

La scrittura ha un ruolo auto-educativo e terapeutico: aiuta le persone a riconciliarsi

La scrittura contribuisce a stemperare paure, combattere la noia. Un’ancora di salvataggio che Patrice S. ha descritto molto bene: «La parola, qui dentro, diviene paradossalmente un seme di libertà. La parola difende e grazia». Scrivere per i detenuti è un bisogno, li aiuta a «movimentare il dolore, affinché i pensieri non siano abbandonati in uno scaffale vuoto di oggetti smarriti e non muoiano di proprietà privata, ma siano corredo di pubblica utilità. Scriviamo per imparare qualcosa l’uno dall’altro, per custodire e dosare le nostre parole, per costruire un cammino di condivisione». Anche Matteo è convinto del valore della scrittura in carcere: «Scrivo perché qui in carcere ho riscoperto il valore delle parole. Scrivo di me e di come questa esperienza mi ha cambiato nel profondo. Scrivo perché mi sento una persona che ha sbagliato e non una persona sbagliata. Scrivo nella speranza che qualcuno mi legga anche se spesso sono io, il mio miglior lettore. Scrivo perché nella scrittura sto ritrovando la vita».

«Scrivo perché mi sento una persona che ha sbagliato e non una persona sbagliata»

Oltre i confini è un periodico quadrimestrale che viene distribuito nelle edicole di 55 comuni della provincia di Monza e Brianza, in allegato a Il cittadino di Monza e Brianza. È realizzato dalle persone detenute nel carcere monzese di via Sanquirico. Il primo numero è uscito nel 2018. Antonetta Carrabs ne è la direttrice.

RISTRETTI ORIZZONTI

«Ogni detenuto, se si rinchiude in se stesso, è un’isola ma insieme formiamo un arcipelago»

L’esperienza del giornale è stata ed è una ventata di energia per tutti: «Siamo i giornalisti del carcere, così ci chiamano qui dentro, è un’esperienza senza precedenti cominciata forse senza neanche la convinzione di scrivere, poi un po’ alla volta, probabilmente dopo l’uscita del primo numero del nostro giornale, abbiamo avuto la consapevolezza di aver davvero scritto degli articoli che erano stati pubblicati su un giornale “vero”, letto da migliaia di persone. Non era più un gioco, era diventato qualcosa di serio con scadenze da rispettare».

La biblioteca è il luogo di incontro della redazione, un luogo accogliente, ricchissimo di stimoli e di libri dove i detenuti si confrontano, custodiscono parole, costruiscono un cammino di condivisione. L’esperienza del giornale è un tentativo per creare solidarietà, condivisione. Non vuole essere un riassunto di esistenze perdute, ma il racconto di storie di vita che «fanno rumoreggiare la testa come un alveare perché ogni detenuto, se si rinchiude in se stesso, è un’isola ma insieme formiamo un arcipelago».

Il giornale ha dato loro la preziosa opportunità di poter raccontare l’umanità che c’è fra le quattro mura. La redazione è un lavoro di squadra, ognuno fa la sua parte: si scrive, si leggono quotidiani, ci si confronta, si decidono gli articoli da scrivere, si raccolgono le storie dei compagni di cella o dell’amico che si incontra in corridoio o all’ora d’aria; ognuno impara qualcosa dall’altro anche a non avere più timore di emozionarsi.

«Un’esperienza senza precedenti cominciata forse senza neanche la convinzione di scrivere»

La linea editoriale del giornale la si decide insieme senza dimenticare i nostri punti fermi che non abbandoniamo mai: le storie dei tanti detenuti provenienti da ogni parte del mondo che ci raccontano il loro Paese e le loro disavventure, le tante attività che si svolgono in carcere, qualche poesia, ricette e molte riflessioni personali su varie tematiche esistenziali.

Un’esperienza editoriale in carcere può essere un valido strumento: la ricerca del confronto, anche attraverso l’ascolto, alimenta la consapevolezza delle proprie responsabilità e dei propri limiti e può guidare lungo il proprio percorso di riabilitazione.

FRONTIERE

Cosa vogliamo farcene (in concreto) di questa intelligenza artificiale?

Un sondaggio per approfondire i fabbisogni formativi sul tema fornisce un quadro di come i giornalisti vivono il cambiamento introdotto nella professione dai chatbot generativi: oltre l’85% dei rispondenti chiede training più strutturati, solo il 36% ha partecipato a un corso di Alberto Puliafito, fondatore e direttore di Slow News

L’Italia non è all’avanguardia nell’uso e nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, anche se diversi ricercatori e esperti nel campo – il professor Nello Cristianini e il professor Giuseppe Attardi, per citarne un paio – sono molto noti a livello internazionale. La Strategia Italiana per l’Intelligenza Artificiale 2024-2026 riconosce l’impatto trasformativo dell’IA sul sistema socio-economico del paese. Ma sappiamo anche che la richiesta di professionisti altamente qualificati è decisamente superiore all’offerta attuale. Il settore giornalistico italiano rispecchia perfettamente questa situazione: ancora alle prese con una transizione digitale incompleta e modelli di business ancorati al passato, fatichiamo a trovare la giusta direzione per utilizzare al meglio le nuove opportunità offerte da questi strumenti. Solo una formazione adeguata può contribuire a rendere efficace l’approccio alle intelligenze artificiali in redazioni, fra i freelance, in generale per gli operatori e le operatrici dei media. In collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, il Consolato Generale degli Stati Uniti a Milano e Slow News, ANSO, Glocal, Varese News e V2media, ho condotto un sondaggio dal titolo Artificially Informed, che ha raccolto oltre 600 risposte da professionisti dei media per monitorare le loro per-

Fatichiamo a trovare la giusta direzione per utilizzare al meglio le nuove opportunità offerte

Il contrasto tra domanda di formazione e bassa partecipazione evidenzia una lacuna nell’offerta di un’educazione all’AI

cezioni, bisogni formativi, paure e aspettative riguardo all’IA. I risultati sono molto interessanti: oltre l’85% dei rispondenti riconosce la necessità di ulteriore formazione sulle applicazioni dell’IA ma solo circa il 36% ha effettivamente partecipato a eventi formativi sull’IA e di questi appena il 14% ha potuto beneficiare di una formazione ufficiale offerta dall’azienda per cui lavora. Questo forte contrasto tra alta domanda di formazione e bassa partecipazione evidenzia una lacuna critica non tanto nella disponibilità – il 50% ha partecipato a corsi online gratuiti – quanto nell’offerta strutturata di un’educazione all’IA, completa e su misura per i professionisti dei media, con garanzia sulla qualità di questi corsi e di una formazione continua di livello avanzato. Solo una minoranza (11%) ha segnalato di avere nella propria azienda un’unità dedicata alle intelligenze artificiali. Come si può vedere analizzando i file robots.txt – file contenuti all’interno dei siti con istruzioni specifiche – di importanti giornali

NEEQOLAH CREATIVE WORKS / UNSPLASH

italiani come La Repubblica, il Corriere della Sera, il Sole24 Ore, anche nel nostro paese molti editori hanno scelto di bloccare i bot di IA in un tentativo di “proteggere” i propri contenuti dalla scansione effettuata da parte di queste macchine, che hanno bisogno di contenuti di qualità per essere addestrate e funzionare. Al di là della scelta e di come la si pensi in merito – al momento nel mondo un monitoraggio su 1500 testate dice che il 50% blocca i bot, e sono già in corso accordi economici fra le grandi aziende che sviluppano questi modelli e alcuni editori – bisogna notare che raramente i giornalisti vengono coinvolti in queste decisioni. È significativo che oltre il 62% dei rispondenti non sappia se il giornale con cui collabora abbia bloccato o meno i bot di IA.

Nel nostro paese molti editori hanno scelto di bloccare i bot di IA

In risposta alle domande sulle proprie carenze (con la possibilità di scegliere più risposte), il 43% dice di non avere gli strumenti per scegliere gli strumenti da usare, il 34,5% di non saperli usare, e il 23% manca di conoscenze di base. Il 72,9% è interessato alle IA che generano testo e il 53,4% a quelle che generano immagini: è chiaro che l’enorme entusiasmo e le ondate di narrazione catastrofista rispetto a tecnologie come ChatGPT hanno influenzato profondamente il modo in cui i giornalisti italiani immaginano di utilizzare l’IA, oscurando

Il 72,9% è interessato alle IA che generano testo e il 53,4% a quelle che generano immagini

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Benefici: risparmio di tempo, efficienza nella produzione di contenuti, recupero più veloce delle informazioni

spesso altri usi molto più interessanti per il giornalismo, come la consultazione di database per l’estrazione di informazioni, l’analisi di dati, l’automazione di compiti ripetitivi. Per quanto riguarda i benefici dell’IA, mentre una minoranza (6,3%) non ha identificato aspetti positivi, oltre il 93% ha riconosciuto vari benefici, come il risparmio di tempo, l’aumento dell’efficienza nella produzione di contenuti, il recupero più veloce delle informazioni e la creazione di nuovi formati di contenuto. D’altra parte, le maggiori preoccupazioni includono la creazione di contenuti falsi e deepfake, questioni etiche e di privacy, la proliferazione di contenuti di scarso valore, la mancanza di supervisione umana e la perdita di posti di lavoro.

Purtroppo il sondaggio evidenzia una carenza strutturale proprio sulle policy d’uso e sulla trasparenza: meno del 15% dice di aver partecipato a riunioni ufficiali in merito, ancor meno di aver scritto linee guida chiare e appena 3 persone hanno risposto di aver reso queste linee guida trasparenti per lettrici e lettori. Fra le richieste di formazione, viene espresso un grande bisogno di “pratica”, ma anche – sebbene in misura minore –discussioni sull’uso etico dell’IA, una maggiore chiarezza sulle politiche di utilizzo delle intelligenze artificiali e trasparenza nei confronti di chi fruisce dei contenuti giornalistici.

Fra le richieste di formazione, viene espresso un grande bisogno di “pratica”

La richiesta di “pratica” è una costante in tutto quello che riguarda la formazione sul digitale. Da un lato è comprensibile, dall’altro però nasconde il pericolo di illudersi che queste tecnologie – come altre – possano funzionare in maniera deterministica, con una lista di comandi da scrivere per andare avanti con il pilota automatico. In realtà, una conoscenza di base del funzionamento delle intelligenze artificiali generative, un metodo per decidere come scegliere gli strumenti e le strategie per usarli sono fondamentali per la parte “pratica” e sono pratica anch’essi. Infine, c’è una correlazione – anche se bassa – fra l’età anagrafica, l’esperienza lavorativa e l’idea di non aver bisogno di formazione sulle intelligenze artificiali: non è un dato incoraggiante, perché le persone con grande esperienza possono beneficiare molto di una formazione appropriata e trasferire le proprie conoscenze alle generazioni successive.

Giornalismi

Il futuro che c’è già: casi, storie, persone

Inchieste senza frontiere: Investigate Europe e i suoi fratelli

Metodo e processi di IE, consorzio europeo di reporter nato nel 2016: un modello di redazione diffusa che lavora in rete in 12 Paesi. Le esperienze affini nel mondo per capire l’evoluzione di un genere giornalistico di Alessia Cerantola, editorial director di Investigate Europe

Quando mi è stato chiesto di entrare alla guida di Investigate Europe, ho subito pensato a quanta strada abbia fatto il giornalismo investigativo collaborativo indipendente. Io avevo iniziato a conoscere questo mondo, perché di questo si trattava per me, nel 2011 quando sono stata per la prima volta alla conferenza degli Investigative Reporters and Editors (IRE), un ritrovo internazionale sul giornalismo investigativo che si tiene ogni anno in una città diversa degli Stati Uniti. Quell’anno era a Orlando, in Florida. Erano tre, quattro giorni con sessioni in cui si spiegava come coordinare inchieste transnazionali o come mandare un FOIA (Freedom of Information Act, sigla che indica la procedura di accesso ad atti di interesse pubblico). Varie testate e organizzazioni internazionali presentavano le loro inchieste, il metodo seguito e i risultati ottenuti. È lì che ho incontrato per la prima volta membri di ICIJ (International Consortium of Investigative Journalists), il consorzio di giornalismo d’inchiesta basato a Washington DC che già dalla fine degli anni ‘90 si occupava di mettere insieme e coordinare squadre di giornalisti da tutto il mondo per sviluppare un’inchiesta. Qualche anno dopo mi avrebbero invitato a far parte del progetto Prometeus, pubblicato poi nel 2016 con il nome di Panama Papers.

VISIONE. La mission di ICIJ (International Consortium of Investigative Journalism) è «mostrare come funziona il mondo attraverso storie che hanno un impatto. Raccontiamo cosa non va in modo che vada meglio»

Guardando indietro

Quell’incontro oltreoceano era già il risultato di un lungo percorso iniziato molto tempo prima, almeno dagli anni ‘70 con la creazione in California del Center for Investigative Reporting, conosciuto oggi anche con il nome del suo podcast, Reveal. Alla fine degli anni ‘90 il modello collaborativo inizia a diffondersi negli Stati Uniti e nei primi anni Duemila arriva anche in Europa, con i primi esempi in Romania, in Bulgaria o nel Regno Unito. L’idea, come imparavo durante quella prima conferenza, era semplice: unire le forze e fare giornalismo d’inchiesta con fondi indipendenti. Le prime organizzazioni erano abbastanza improvvisate. La comunicazione interna e la gestione dei progetti contavano sull’iniziativa personale dei

L’idea era semplice: unire le forze e fare giornalismo d’inchiesta con fondi indipendenti

membri. I ruoli erano poco definiti. Era l’inizio di un processo. Incuriosita da questo modo di fare inchiesta, sempre nel 2011 sono andata alla Global Investigative Journalism Conference, un’altra conferenza di giornalismo investigativo, che quell’anno era a Kiev, in Ucraina. C’erano centinaia di giornalisti di testate e altre organizzazioni indipendenti, da tutto il mondo. Tra loro, anche alcuni giornalisti italiani, con cui l’anno successivo avrei iniziato a ragionare e poi a fondare il primo centro di giornalismo d’inchiesta indipendente del suo genere in Italia, IRPI (Investigative Reporting Project Italy). Alcuni anni dopo sarei andata a lavorare nella redazione di Sarajevo come cronista a tempo pieno e poi coordinating editor - termine che lascio in inglese perché non traducibile in modo preciso in italiano - per OCCRP (Organized Crime and Corruption Reporting Project), un altro consorzio di giornalismo specializzato in inchieste su corruzione e criminalità organizzata. E ora l’esperienza continua con Investigative Europe.

Modelli a confronto

Una «emancipazione» dei giornalisti dalle strutture dei media tradizionali e i loro limiti

Queste organizzazioni sono solo alcuni degli esempi delle reti di giornalisti che negli ultimi decenni si sono create in modo informale o formale per poter collaborare con altri colleghi. Sono nati per quella che la giornalista Brigitte Alfter chiama una “emancipazione” dei giornalisti dalle strutture dei media tradizionali e da tutti i loro limiti: dai tagli ai fondi per viaggi, corrispondenze e formazione, sino alla difficoltà di investire risorse in lunghe inchieste internazionali. Non sempre questi centri sono strutture alternative, a volte i giornalisti sono dipendenti di testate tradizionali e, allo stesso tempo, membri di consorzi. Sono tutti gruppi molto diversi tra loro: ICIJ ha negli anni rafforzato la sua redazione centrale a Washington DC. L’organizzazione si è specializzata nel coordinare centinaia di giornalisti in tutto il mondo su una specifica inchiesta. Ciascun membro in genere lavora per una testata o è un freelance. Anche OCCRP ha circa duecento persone che lavorano per l’organizzazione. Di recente si è concentrata molto nel rafforzare il suo manipolo di redattori, sia regionali sia madrelingua. Questi redattori lavorano per coordinare inchieste tra i colleghi dei centri di giornalismo affiliati all’organizzazione e altri partner

SEGUI I SOLDI. La mission di Finance Uncovered è «aumentare la quantità e la qualità delle inchieste relative a vicende che traggono origine dalla finanza illecita, formando e sostenendo giornalisti in tutto il mondo»

e per rivedere poi i servizi. Accanto a questi due centri, tra i più grandi al mondo al momento, ce ne sono molti altri, ciascuno con le proprie specificità, alcuni coordinano inchieste, altri vi prendono parte come partner: Forbidden Stories, nato allo scopo di portare avanti con una rete di giornalisti da tutto il mondo il lavoro d’inchiesta di colleghi uccisi, rapiti o imprigionati; Finance Uncovered, che è specializzato in formazione, contribuisce con la sua conoscenza dell’ambito finanziario alle inchieste internazionali; Bellingcat è un centro che fa analisi e inchieste grazie a materiale accessibile online a chiunque (open source). Investigative Europe è un centro più recente, lanciato nel 2016, ma con gli stessi bisogni e simili soluzioni rispetto ad

I giornalisti di

Investigate

Europe sono quasi tutti cronisti che lavorano esclusivamente o principalmente per l’organizzazione

Una persona dedicata si occupa di redigere report periodici per misurare l’impatto delle storie

alcune delle reti già citate. Nove giornalisti che hanno avuto la loro esperienza in testate tradizionali si ritrovano, come spesso accade in questi centri, nei salotti e nelle cucine delle loro case. Parlano dei problemi delle testate in cui lavorano e iniziano a organizzarsi per trovare soluzioni, dalle idee ai fondi. Vogliono raccontare i loro paesi attraverso una prospettiva europea, per far capire come il continente sia unito nella sua diversità. Nel 2019 creano una cooperativa dove ora lavora una ventina di persone. I giornalisti di Investigate Europe sono quasi tutti cronisti che lavorano esclusivamente o principalmente per l’organizzazione. Ciascuno è basato nel proprio paese e anche chi non è cronista, grafici, redattori e la direzione, inclusa la sottoscritta, lavorano da remoto, o meglio da dove risiedono, in quanto non c’è una redazione fisica da cui sono distaccati. Periodicamente tutta la squadra si incontra di persona in una città europea. I temi vengono scelti e approvati collettivamente e le inchieste durano alcuni mesi. Le storie vengono riprese nel sito di Investigate Europe in inglese e altre quattro lingue europee, e poi pubblicate con versioni locali da testate giornalistiche nei paesi da cui provengono i giornalisti. I progetti vengono scelti in base ai temi che vengono considerati di maggior rilievo a livello europeo, dalle miniere illegali, alla sicurezza dei treni, fino alla dubbia gestione delle case di cura degli anziani. I finanziamenti arrivano da donazioni e fondazioni. Il lavoro di “fundraising” viene fatto da due persone specifiche nell’organizzazione, dedicate a incontrare possibili finanziatori, a studiare campagne di finanziamento e a fare domanda di fondi per specifiche inchieste a enti come il Journalism Fund. Sono aiutati in questo dal resto della redazione e dalla sottoscritta, per la parte editoriale. Una persona dedicata si occupa di redigere report periodici per misurare l’impatto delle storie, nei vari modi in cui esso può essere interpretato: dalla ripresa degli articoli da parte di altre testate e nei social media, alle misure prese da istituzioni o imprese dopo le denunce fatte nelle inchieste di Investigate Europe, fino alle nuove conoscenze e abilità acquisite dai giornalisti durante lo sviluppo dei progetti investigativi.

Elementi comuni

Nonostante le differenze, Investigate Europe e gli altri centri di giornalismo indipendente hanno alcuni punti in comune.

1. Pubblicazioni coordinate. Per tutti i centri, le idee per le inchieste nascono come per il giornalismo tradizionale, da un’intuizione, da una segnalazione o da una fuoriuscita di documenti che vengono passati ai giornalisti (in inglese, leak). Il lavoro viene organizzato in modo diverso da centro a centro, ma in linea di massima ci sono uno o più giornalisti che coordinano ogni inchiesta, occupandosi della comunicazione tra i giornalisti delle diverse aree o paesi, raccogliere, catalogare le informazioni, e fare in modo che vengano condivise con tutto il gruppo. Infine, il gruppo coordinante deve guidare ogni passaggio in modo da arrivare a una pubblicazione congiunta. In genere viene stabilito un embargo, una data prima della quale l’inchiesta non può essere pubblicata dai vari membri del progetto. Il fatto di pubblicare tutti assieme in modo coordinato aumenta l’impatto dell’inchiesta, che esce contemporaneamente con diverse versioni a seconda del paese.

Il gruppo coordinante deve guidare ogni passaggio in modo da arrivare a una pubblicazione congiunta

2. Il potere della rete locale. Uno degli elementi di forza delle nuove reti di giornalismo d’inchiesta è il fatto che i giornalisti si trovano collocati in diversi paesi e aree del mondo e pubblicano in genere per una testata locale. È come se facessero il lavoro dei corrispondenti, con un accesso alla lingua, alle fonti e alle istituzioni e una conoscenza del territorio irraggiungibile da qualsiasi inviato. Tutte le informazioni che raccolgono in loco sull’inchiesta dal posto vengono condivise con il resto della squadra. Questa modalità di lavorare è il superamento della figura dell’inviato: non è più necessario mandare qualcuno sul posto, basta contattare il collega che già si trova lì, anche per avere sostegno. In questo modo si abbattono i costi di spostamenti e di uffici di corrispondenza, che molte redazioni stanno chiudendo da ormai qualche decennio. Inoltre, lavorare in modo consorziato garantisce maggiore sicurezza, in quanto l’attacco a uno dei membri viene difeso dal resto della rete. Nel caso in cui colleghi di altri centri siano sotto

Non è più necessario mandare qualcuno sul posto, basta contattare il collega che già si trova lì

minaccia, molto spesso si organizzano campagne in sostegno, come la più recente a favore dei media partner Kloop and Temirov Live, nella repubblica sovietica del Kirghizistan. Inoltre sono nati da poco programmi per la formazione e l’assistenza legale contro la «querela strategica contro la partecipazione pubblica» (SLAPP in inglese). La stessa rete garantisce inoltre un controllo dei fatti incrociato prima della pubblicazione, che si aggiunge a quello fatto dalle testate locali che pubblicano l’inchiesta.

3. Finanziamenti. Come fanno questi centri a mantenersi in modo indipendente e a pagare stipendi ai dipendenti o compensi ai collaboratori? Ogni gruppo ha un proprio regolamento interno sui finanziamenti e decide da chi ricevere sostegno in modo autonomo. In generale questi centri non ricevono soldi attraverso la pubblicità o finanziamenti pubblici, ma attraverso filantropi, fondazioni o sottoscrizioni da parte dei lettori. Ad ogni modo da qualsiasi parte arrivino i soldi, le organizzazioni indipendenti si assicurano attraverso accordi formali che chi finanzia la struttura non abbia alcuna influenza sul processo editoriale. Ci sono

OBIETTIVO. OCCRP vuole contribuire a «un mondo più informato dove la vita, i mezzi di sussistenza e le democrazie non siano minacciati dal crimine e dalla corruzione». Intende farlo «sostenendo il giornalismo di inchiesta»

BELLINGCAT. Eliot Higgins (a sinistra), fondatore di Bellingcat, sito specializzato in giornalismo investigativo, fact-checking e open source intelligence. Sul sito di Bellingcat vengono messi a disposizione dei giornalisti toolbox sugli strumenti usati e sono illustrate le tecniche di investigazione del team, per rendere trasparente e condiviso il processo di verifica delle informazioni.Bellingcat organizza anche workshop di formazione

diversi casi, da ProPublica a OCCRP in cui figure legate agli stessi enti finanziatori sono stati oggetto delle inchieste dell’organizzazione. Per esempio sono finite nel mirino dei giornalisti persone dietro fondazioni che hanno fatto parte dei finanziamenti di grandi inchieste sulle evasioni fiscali. Ma non per questo hanno tolto i finanziamenti.

Meglio avere più finanziatori di diverso orientamento politico

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IN ITALIA. Investigative Reporting Project Italy (IRPI) è un periodico indipendente di giornalismo di inchiesta attivo da più di un decennio: articoli, podcast e libri

In molti casi questi enti o i filantropi sono consapevoli del fatto che le inchieste possono riguardare anche loro. Lo accettano perché fa parte delle regole del gioco. Un altro meccanismo con cui questi centri cercano di mantenere maggiore indipendenza è quello di avere una molteplicità di finanziatori, anche da diverse posizioni politiche, in modo da garantire un maggiore equilibrio e dare più forza alla struttura internamente.

Lezioni apprese

Prima di iniziare a collaborare e poi a far parte di queste organizzazioni nel 2019, ho lavorato per almeno un decennio come freelance e nelle redazioni cartacee, televisive e radiofoniche delle cosiddette testate tradizionali, sia italiane sia straniere. Il modus operandi dei centri di giornalismo investigativo indipendente ha modellato la gestione del mio lavoro e anche l’interazione con i colleghi: ho imparato a programmare l’impegno tenendo conto dei diversi tipi di relazioni con colleghi da testate tradizionali o freelance, a lavorare con diverse culture giornalistiche e fusi orari. Ho imparato a dedicare tempo ai colleghi anche di altri centri e redazioni per condividere quanto imparato durante ogni esperienza di inchiesta, sia dal punto di vista delle tecniche sia del contenuto. Come molti di loro hanno fatto sin dagli inizi e tuttora fanno con me e con Investigate

IE. Riunione di redazione di Investigate Europe, di cui Alessia Cerantola, autrice di questo articolo, è editorial director. Il team è una redazione diffusa, con reporter in 12 Paesi europei

Europe. I consorzi di giornalismo d’inchiesta sono in continua evoluzione perché come ogni nuovo modello, con il tempo emergono anche i limiti e le imperfezioni, o meglio le parti perfettibili: dalla stabilità finanziaria al sistema di reclutamento e partecipazione al lavoro editoriale di nuovi membri per alcuni centri. Quello che ho notato dall’inizio della mia esperienza, più di dieci anni fa, è la trasformazione nella relazione con le testate tradizionali dagli inizi della mia esperienza più di dieci anni fa: la diffidenza e il sospetto sembrano essere in parte superati, e questo oggi è indice di un cambiamento destinato a lasciare un segno. Molte testate tradizionali, anche in Italia, sono alla ricerca di collaborazioni con consorzi internazionali. In questo modo possono esternalizzare i costi di lunghe inchieste transnazionali, avvalersi della competenza locale o tecnologica dei membri del consorzio, aumentare la visibilità e l’impatto dei propri lavori oltre i confini del proprio paese.

Molte testate tradizionali, anche in Italia, sono alla ricerca di collaborazioni con consorzi internazionali

Cosa possiamo sapere della Russia tra le maglie della censura

Il regime lavora su molti livelli: alcune storiche testate di opposizione si sono spostate all’estero ma fanno i conti con attacchi informatici che ne limitano le attività. Una panoramica di ciò che resta di indipendente e affidabile di Silvia Lazzaris

QIl caso Navalny: sui media di Stato copertura assente in occasione della morte

uando Navalny è morto nel carcere di Kharp è passata un’ora prima che la televisione russa ne parlasse. E anche quando è stato annunciato, nessuno si è preso la briga di spiegare chi fosse Navalny e perché fosse in prigione. Un commentatore ha provato in diretta televisiva a esprimere le sue condoglianze per la morte dell’avversario politico di Putin ed è stato interrotto dal conduttore del programma: «Cosa c’entra con l’argomento della nostra discussione?» Margarita Simonyan, direttrice generale dell’emittente Russia Today, ha ridicolizzato la reazione occidentale e le accuse al Cremlino: «Non inizierò nemmeno a spiegare che tutti lo hanno da tempo dimenticato, che non c’era motivo di ucciderlo». Il presentatore di Channel One Anatoly Kuzichev ha detto che Navalny era stato dimenticato pure dai suoi seguaci. Durante il funerale, però, le forze dell’ordine russe hanno dovuto interrompere la connessione alle reti ad alta velocità.

La profezia

«Stiamo precipitando di nuovo in un vuoto informativo che ci porterà alla morte per nostra stessa ignoranza» la giornalista Anna Politkovskaja lo diceva già prima di essere uccisa a colpi di pistola nella lobby di casa sua il 7 ottobre 2006, il giorno del

SIMBOLO. Alexei Navalny, il più noto tra gli oppositori di Putin, morto in carcere in Siberia il 16 febbraio 2024. Il 22 ottobre va in in libreria la sua autobiografia («Patriot») , a cui lavorava dal 2020

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compleanno di Putin. Scriveva per il quotidiano indipendente Novaya Gazeta articoli di inchiesta che esponevano le politiche del Cremlino in Cecenia. La sua uccisione ha avuto molta eco, ma la lista dei giornalisti uccisi da quando Putin è salito al potere conta altre quarantadue persone che il mondo ha più velocemente dimenticato.

La stretta della censura nel 2012, anno delle manifestazioni antiregime

Oggi, riferire verità contrarie alla narrazione dello Stato anche quando non porta a morti misteriose è comunque perseguibile dalla legge con multe e prigionia. Secondo i dati di Committee to Protect Journalists e di Reporters Without Borders, organizzazioni non profit che difendono la libertà di informazione nel mondo, sotto il governo di Putin sono state arrestate centinaia di giornalisti. Il Cremlino ha approvato leggi che rendono il giornalismo un crimine. Un esempio: il giornalista Ivan Safronov è stato condannato a ventidue anni di prigione per aver rivelato presunti segreti di Stato che erano liberamente disponibili online e che lui aveva solo aggregato. Evan Gershkovich del Wall Street Journal è detenuto dal 2023 con l’accusa di spionaggio.

«Agenti stranieri»

L’accusa: se siete contro di me è perché ricevete finanziamenti dall’estero

Fin dal suo arrivo in carica Putin ha iniziato a prendere il controllo dei media. Ma la situazione è degenerata nel 2012, quando i manifestanti sono scesi in strada per protestare contro il suo ritorno alla presidenza. In quel momento il governo ha introdotto una legge sugli “agenti stranieri”. L’idea era di imporre limiti alle organizzazioni della società civile che ricevevano finanziamenti internazionali. L’accusa: se siete contro di me è perché ricevete finanziamenti dall’estero e rispondete più o meno consapevolmente all’agenda di qualcun altro. La legge sugli “agenti stranieri” negli anni si è allargata per fagocitare fette sempre crescenti di libertà: prima limitava i finanziamenti stranieri, poi i media stranieri, ora potenzialmente qualsiasi organizzazione della società civile. Oggi essere un agente straniero significa di fatto ricevere l’etichetta di “spia” o “traditore”.

Dopo l’invasione dell’Ucraina, la repressione legale del giornalismo non poteva che peggiorare. Nel 2022 il Cremlino ha adottato nuove leggi che rendono punibile con cinque anni

DENUNCIA. Anna Politkovskaya, giornalista di Novaja Gazeta, seguì il conflitto in Cecenia, e fu minacciata di morte per i suoi articoli e i suoi libri. Fu uccisa il 7 ottobre 2006, giorno del compleanno di Putin

di prigione qualsiasi «discredito» delle forze armate russe. La diffusione di «informazioni non affidabili» sull’esercito può essere punita con una pena che può arrivare fino a quindici anni di galera. Questo rende di fatto illegale qualsiasi critica alla guerra. Oltre a privare il paese della sua libertà di stampa, il Cremlino si è assicurato anche che chiudessero quelle organizzazioni della società civile che denunciano la privazione di libertà di stampa come violazione di un diritto umano. Nel 2021 la Corte Suprema della Russia ha ordinato all’organizzazione Memorial, che si occupava di diritti civili, di chiudere. La motivazione: «Aver creato un’immagine falsa del-

Cinque anni per chi diffonde notizie «non affidabili» sull’esercito

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la Russia come Stato terroristico». A febbraio 2024 è arrivato il colpo finale: il co-presidente di Memorial, Oleg Orlov, è stato condannato a due anni di prigione per «ripetuto screditamento» delle forze armate russe. In luglio il tribunale distrettuale di Mosca ha ordinato l’arresto per Yulia Navalnaya, moglie di Alexei, con l’accusa di far parte di «un’organizzazione estremista».

Accanto a quelli posseduti o controllati direttamente dal Governo, molti media formalmente indipendenti ma filogovernativi

I media di governo (o vicini)

Per inquadrare il panorama dei media russi occorre fare alcune distinzioni. Esistono i media statali, che sono esplicitamente proprietà del governo russo: per esempio le televisioni RT, Rossija 1 e Rossija 24 e il quotidiano Rossijskaja Gazeta. Poi ci sono i media che non sono di diretta proprietà dello stato russo, ma di aziende in cui lo stato detiene una partecipazione di maggioranza, come NTV e Pervyj Kanal (Chanel One Russia). E ancora media più strutturalmente indipendenti ma comunque filogovernativi, come i quotidiani Izvestija, Moskovskij Komsomolets, e Gazeta.ru.

Surreali dibattiti alla tv di Stato sulle armi atomiche e sui possibili destinatari

Queste testate sono il megafono più o meno consapevole del Cremlino e negli ultimi anni hanno distribuito informazioni palesemente false. Vladimir Solovyov, presentatore di punta di un programma che va in onda su Rossija 1 in prima serata, nel giro di due settimane ne ha dette di tutti i colori: il 30 gennaio 2022 Gran Bretagna, Polonia e Ucraina pianificavano un attacco nei confronti della Russia. Il 6 marzo gli ucraini inscenavano attacchi falsi. Il 12 marzo il Pentagono sviluppava armi biologiche in Ucraina. Il 16 marzo gli ucraini uccidevano i propri civili per incolpare la Russia. Nel marzo di quest’anno, Solovyov elencava le città europee su cui, secondo lui, la Russia dovrebbe sganciare l’atomica. «Io non riesco proprio a decidere: Parigi o Marsiglia? Bucarest, naturalmente, ma poi? Lione? Amburgo? Forse Monaco?» Un ospite del programma esperto di politica gli rispondeva che si sbagliava, l’Europa non è il bersaglio giusto. «Il problema non è se usare le armi nucleari, ma è contro chi usarle». C’è un altro Paese che rappresenta un pericolo più grosso di tutti i Paesi europei, diceva l’esperto: gli Stati Uniti. Parlava di Trump come

se la sua vittoria alle elezioni fosse la soluzione per tutti. «Per noi è importante continuare quello che abbiamo già iniziato quest’anno. Gli Stati Uniti sono il giocatore principale, tutti gli europei di cui parliamo sono marionette. Dobbiamo creare una situazione per cui questo giocatore principale non sarà in grado di giocare».

Si può guardare questo agghiacciante e bambinesco scambio televisivo perché esiste il Russian Media Monitor. Julia Davis, giornalista e analista media ucraino-americana nata nell’Ucraina sovietica degli anni Settanta, ogni giorno carica su Youtube spezzoni di televisione russa sottotitolata in inglese. Davis fino al 2014 è stata una giornalista investigativa e produttrice cinematografica. Ma quando è iniziato il conflitto in Ucraina ha deciso di dedicarsi all’analisi e alla divulgazione dei media russi fuori dalla Russia. Nel 2022, poco dopo l’aggressione dell’Ucraina, il Russian Media Monitor è stato sanzionato dal governo russo. Davis però è andata avanti, e sul suo sito ci tiene a sottolineare che il suo è un progetto completamente indipendente e autofinanziato. Lo dice perché oggi le testate dei giornalisti in esilio corrono il rischio di dover rispondere alle necessità dei finanziatori occidentali. C’è il timore di essere accusati di fare controinformazione. E in effetti se l’unica informazione che si fa è un tentativo di dimostrare la corruzione del regime, anche questa non è libertà.

Le testate che resistono

Il Russia Media Montor, progetto indipendente di controinformazione

Ma quando parliamo di media russi non dobbiamo commettere l’errore di pensare che tutte le testate si dividano tra propaganda e controinformazione. Alcune testate sono riuscite a conservare una propria indipendenza, come Novaya Gazeta, Meduza, e Kommersant. Hanno storie diverse. Kommersant è un quotidiano finanziario di proprietà di Ališer Usmanov, oligarca a cui non piace essere definito tale, che vive per lo più in Uzbekistan e sostiene di non percepire pressioni né di interferire sul lavoro della redazione. Kommersant ha la fama di essere un giornale cauto ed equilibrato e di pubblicare senza paura articoli scritti da politici e alti funzionari nazionali e internazionali, inclusi gli individui etichettati come “agenti stranieri” dal governo russo.

Il fronte dell’informazione indipendente: il caso

Kommersant

A COLLOQUIO. Dmitry Muratov, giornalista, Nobel per la Pace 2021, con Dmitry Medvedev all’epoca (2009) presidente della Federazione Russa

IN CELLA. Ivan Safronov, in passato reporter di guerra per i quotidiani russi Vedomosti e Kommersant e poi portavoce di Dmitry Rogozin, direttore dell’agenzia spaziale russa Roscosmos. Arrestato nel 2020 dal servizio di sicurezza russo (FSB) con l’accusa di spionaggio per conto di un paese della NATO è stato condannato nel 2022 a 22 anni di carcere, confermati in appello nel 2023. Entrambi i processi si sono tenuti a porte chiuse

YURI KOCHETKOV / ANSA

Meduza è nato fuori dalla Russia, fondato a Riga, in Lettonia, da alcuni giornalisti russi espatriati. Come il Russian Media Monitor, è stato fondato nel 2014 per rispondere alla stretta del Cremlino sulla libertà di stampa. Dalla morte di Navalny però Meduza sta affrontando la più intensa campagna di attacchi informatici della sua storia. Qualcuno cerca in continuazione di disabilitarne il sito.

Novaya Gazeta ha chiuso in Russia da marzo 2022 per via della censura governativa e ha aperto a sua volta a Riga il mese successivo. Ma il sito in Russia è bloccato e si può accedere solo con una connessione VPN. Da novembre 2023 le autorità russe hanno dichiarato invalido il certificato di registrazione ufficiale della testata. Secondo il Roskomnadzor, il “Servizio federale per la supervisione delle comunicazione, della tecnologia dell’informazione e dei mass media”, la redazione non avrebbe inviato il suo statuto entro il tempo stabilito dalla legislazione sui media. Dmitry Muratov, il direttore della testata, ha un’altra versione: Novaya Gazeta stava provando a coprire il conflitto in Ucraina in modo indipendente, e al Roskomnadzor questo non piaceva. Novaya Gazeta ora farà parte di un nuovo pacchetto di canali televisivi via satellite dedicati alla Russia e annunciato da Reporters Without Borders. Si chiamerà Svoboda Satellite – svoboda in russo significa libertà – e la maggior parte dei canali ospiterà giornalisti russi che sono stati costretti a lasciare il paese dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Il pacchetto satellitare potrebbe riuscire a raggiungere le 4,5 milioni di famiglie in Russia che hanno una parabola satellitare. Ma c’è una complicazione: gli organi di censura stanno iniziando a prendere di mira non solo le testate, ma anche gli strumenti attraverso cui i cittadini possono connettersi a testate non riconosciute ufficialmente dalla Russia, incluse connessioni VPN e satellitari.

Attori e azioni

La censura agisce sulle testate ma anche sulle connessioni VPN

Conosciamo da tempo il Roskomnadzor come l’organo responsabile per la censura della stampa in Russia. Grazie agli hacker di Anonymous ora sappiamo anche nello specifico cosa fanno e cosa si dicono i suoi dipendenti. A marzo 2022, Anonymous ha pubblicato 820 GB di file e scambi mail del Roskomnadzor. Così ora ci sono le prove che, da un edificio anonimo ricoperto

SCAMBIO. Evan Gershkovich, inviato del Wall Street Journal: arrestato a Mosca nel 2023 con l’accusa di spionaggio era stato condannato a 16 anni nel luglio 2024. È stato rilasciato in agosto in uno «scambio di prigionieri»

L’azione del Roskomnadzor, l’organo statale della censura, sulla guerra in Ucraina: blocco su social e siti

di piastrelle bianche con l’ingresso simile a quello di una clinica, gli impiegati del Roskomnadzor danno indicazioni su cosa può o non può essere detto, ordinano ai media di eliminare le storie che chiamano l’operazione militare russa «un’invasione» dell’Ucraina, bloccano l’accesso a Facebook, minacciano l’accesso a Wikipedia, multano Google per più di due miliardi di rubli (94 milioni di dollari) per non aver rimosso da Youtube un «contenuto illegale». Rimuovono dai principali motori di ricerca russi come Yandex e Mail.Ru qualsiasi materiale riguardi l’uccisione di civili e le perdite di personale e attrezzature negli attacchi. Secondo Anonymous solo nel terzo trimestre del 2022, il Roskomnadzor ha bloccato ottantanovemila pagine web, tra cui collegamenti a contenuti etichettati come «mobilizzazione Putin», «ragazzi russi che si arrendono», «per cosa muoiono i ragazzi russi in Ucraina».

EPA STRINGER / ANSA

Ma non c’è solo il Roskomnadzor. Il GRFC, il Centro Generale delle Frequenze Radio, in teoria dovrebbe occuparsi solo di aspetti tecnici della copertura radio. La realtà è un po’ diversa. Un’inchiesta di Radio Free Europe ha rivelato che uno dei compiti del centro è identificare i “mood di protesta” e segnalarli – attraverso un sistema di messaggistica interno – ad altre agenzie governative per emettere avvertimenti e proporre sanzioni. Dentro la chat “mood di protesta” ci sono sessanta persone. Tra queste anche quindici membri del ministero degli interni, nove dipendenti della procura, un membro dei servizi segreti. Per identificare i “mood di protesta”, il GRFC monitora quotidianamente i siti web, i social media e le app di messaggistica istantanea. Dall’estate 2022, il centro ha creato bot che imitano account umani per assicurarsi l’accesso a chat room chiuse al pubblico. Nell’ultimo anno ha pagato l’equivalente di ottocentomila dollari per sviluppare un sistema di intelligenza artificiale chiamato Oculus e usato per classificare in automatico i contenuti problematici. Il classificatore automatico cerca, tra le altre cose, “immagini offensive del presidente” e “paragoni del presidente con personaggi negativi”. Tra le etichette più gettonate si trovano: Putin granchio, Putin falena, Putin vampiro, Putin Hitler. «Qualsiasi regime può essere sostenibile solo se si basa sul sostegno di un gruppo significativo di elettori» ha detto il politologo Abbas Gallyamov a Radio Free Europe commentando le operazioni di censura. Gallyamov è stato uno degli autori dei discorsi di Putin tra il 2008 e il 2012. Ora è nella famosa lista degli “agenti stranieri” per essersi espresso contro l’operazione militare in Ucraina e aver partecipato come esperto su piattaforme d’informazione straniera. «Non puoi costruire un regime stabile basato solo sui fucili, se sei odiato dal tuo popolo a un certo punto le tue forze di sicurezza si libereranno di te». Più Putin sentirà che il consenso si sgretola sotto i suoi piedi, più feroci saranno i suoi attacchi contro chi osa criticarlo. Più giornalisti russi emigrano, maggiore sarà la pressione per trovare finanziamenti da fonti che non sono i loro stessi lettori. Per questo oggi ogni notizia dalla Russia e sulla Russia va scandagliata con scrupolo.

Il Centro Generale delle Frequenze Radio segnala «i mood di protesta» per proporre avvertimenti e sanzioni

Un sistema di AI chiamato Oculus segnala «immagini offensive del presidente» o paralleli storici negativi

Il metodo Bullone per un nuovo giornalismo sociale

Raccontare la fragilità e usarla come risorsa: è lo spirito di un giornale nato otto anni fa a Milano. Lo realizza un gruppo di giovani reporter accomunati dall’esperienza della malattia e dalla volontà di farne una leva di cambiamento collettivo di Elisa Tomassoli, vicedirettrice de Il Bullone

FCostruire un mondo in cui malattia e fragilità possano essere raccontate, condivise

ondazione Bullone è un Ente del Terzo Settore fondato dall’imprenditore sociale milanese Bill Niada nel 2012. È una fondazione non profit che coinvolge ragazzi e ragazze tra i 15 e i 30 anni che hanno vissuto o vivono l’esperienza di malattie gravi o croniche - come tumori, HIV, disturbi del comportamento alimentare e patologie rare e croniche – per costruire insieme percorsi di reinserimento nella vita sociale e professionale. I ragazzi che accompagniamo nel loro percorso di riscoperta di un’identità oltre la malattia si chiamano B. Liver, dal nome iniziale del progetto: B.LIVE - Essere, Credere, Vivere: una comunità che va oltre le proprie difficoltà, guardando avanti. Per loro, organizziamo attività culturali, formative, di svago, professionalizzanti e di valorizzazione dei talenti di ciascuno. Ciò che ci guida nelle nostre attività è costruire un mondo in cui malattia e fragilità possano essere raccontate, condivise e affrontate, scardinandole da pregiudizi e tabù.

La strada fatta fin qui L’esperienza dei B.Liver ha generato  Il Bullone: un giornale, un sito, un podcast e un canale social. Il Bullone è una testata registrata e diretta da Giancarlo Perego, nata nel dicembre 2015

CASI

INCONTRARSI. InVisibile Festival, il festival di Fondazione Bullone che si è tenuto presso l’IBM Studios in Piazza Gae Aulenti. Coinvolti ospiti, associazioni, aziende e professionisti in conversazioni e performance

Hanno scritto sul Bullone

circa 500 B.Liver: 600 interviste e 4500 copie

La riunione di redazione

è la continuazione di un progetto e un momento di incontro e dialogo

in collaborazione con alcuni giornalisti del  Corriere della Sera. Il mensile è ideato e realizzato dai B.Liver insieme a volontari, illustratori, giornalisti professionisti. Ogni mese, i ragazzi e i volontari creano il giornale scrivendo articoli, realizzando reportage e inchieste, intervistando grandi nomi del panorama italiano e internazionale, come Marina Abramović, Isabelle Allende, Patch Adams, Giorgio Armani, Anthony Fauci, Jacques Attali e molti altri. In più di otto anni, hanno scritto sul Bullone circa 500 B.Liver, con più di 600 persone intervistate e 4500 copie stampate gratuitamente (grazie alla collaborazione con Monza Stampa, tipografia di proprietà del Corriere dell Sport) e distribuite ogni mese tra scuole, ospedali e realtà del Terzo Settore. Ottantaquattro dei nostri giornalisti hanno ricevuto il tesserino da giornalista pubblicista ad honorem, grazie all’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Inoltre, Il Bullone è stato insignito del Premio Montale Fuori Casa - sezione Milano e il Senso Civico - e del Premio De Sanctis della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per l’impegno civile e sociale. La creazione di un nuovo numero del Bullone ha sempre inizio da una riunione di redazione, a cui tutte e tutti i B.Liver sono invitati a partecipare: ogni riunione è inaugurata dall’illustrazione delle tematiche scelte dal comitato di redazione, e su cui ognuno può prendere parola e ampliare, stravolgere, o aprire nuovi spunti di riflessione. La riunione di redazione non è soltanto la continuazione di un progetto editoriale, ma è anche e soprattutto un momento di incontro, socializzazione e dialogo, in cui è valorizzata l’unicità di ognuno. Durante il mese di scrittura e progettazione del giornale, tutti i B.Liver vengono coinvolti secondo un obiettivo di elaborazione della propria storia di malattia, di orientamento formativo e professionale, in cui i dubbi, le debolezze e le incertezze sono parte integrante del processo, e in cui il talento di ognuno emerge con strumenti e modalità personalizzate.

Ad ottobre dello scorso anno abbiamo organizzato InVisibile Festival, il primo festival di Fondazione Bullone presso l’IBM Studios in Piazza Gae Aulenti: tre giorni all’insegna del confronto intergenerazionale e intersezionale, per scoprire tutto ciò che

IN TEAM. Una parte della redazione de Il Bullone a riunione nella sede dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. 84 redattori hanno ricevuto il tesserino da pubblicista ad honorem

ognuno di noi credeva, appunto, invisibile. InVisibile Festival ci ha anche offerto la possibilità di inaugurare il Bullone.eu, un progetto pilota realizzato in collaborazione con la realtà svedese Traces&Dreams e co-finanziato dall’Unione Europea.

Giornalismo sociale

Il Bullone viene distribuito gratuitamente in ospedali, scuole, altre realtà e luoghi che credono nel progetto e che si mettono a disposizione per la divulgazione. Attraverso una donazione mensile o annuale, le persone possono inoltre sostenere la redazione e ricevere il cartaceo a casa ogni mese. Una volta stampato, il giornale viene pubblicato sul sito della Fondazione e alcuni dei suoi contenuti trasformati in articoli per il blog e divulgati attraverso i canali digitali. Da questa esperienza, sono nati diversi progetti editoriali: libri,

Il Bullone è distribuito gratis in ospedali, scuole, altre organizzazioni

Un luogo in cui le vicende individuali si trasformano in esperienze condivise

podcast, blog, video, che si stanno sviluppando, sia per valorizzare la grandissima ricchezza di contenuti della comunità che ruota intorno al Bullone, sia per aziende e altre realtà per cui realizziamo progetti editoriali dedicati. All’interno del Bullone, i cui temi cambiano ad ogni numero, sono presenti rubriche periodiche: la “B.Liver Story”, in cui ogni mese un B.Liver racconta la sua storia di rinascita; le “Interviste Impossibili”, dialoghi con personaggi della nostra storia intervistati dai giornalisti del Bullone attraverso il dialogo con chi li ha conosciuti bene e si mette nei loro panni; “Pensieri Sconnessi”, la rubrica di Bill Niada, fondatore di Fondazione Bullone. Ma anche una redazione sportiva, e due rubriche in collaborazione con Animenta, associazione che si occupa di sensibilizzazione e divulgazione sui disturbi del comportamento alimentare e La Mammoletta, “sede del mare” di Fondazione Exodus di Don Mazzi, che offre percorsi di reinserimento e accoglienza per adolescenti e giovani adulti con problemi di dipendenza e disagi sociali. Al centro del progetto del giornalismo sociale del Bullone ci sono persone che diventano parte di una comunità che mette al centro le loro storie di sofferenza e di rinascita, un luogo in cui sui trasformano le esperien-

IN TIPOGRAFIA. La redazione con le prime copie

Un nuovo giornalismo sociale in cui è centrale la voce delle nuove generazioni

ze individuali in esperienze condivise, e irraggiano sulla società la luce del possibile, anche quando sembra tutto impossibile. Il Bullone è la nostra proposta per un nuovo giornalismo sociale in cui la voce delle nuove generazioni è centrale per raccogliere bisogni, esperienze, visioni e desideri. I temi che affrontiamo sono una commistione di vissuti, cronaca, esperienze condivise ed esperienze che al di fuori della nostra realtà spesso non sono comprese. La vera forza della redazione del Bullone è la perpetua riscoperta della vita, una vita che non si nasconde, ma che pone dubbi, che attraversa l’incertezza per acquisire l’unica certezza che possiamo avere: che siamo tutti esseri delicati e fragili, ma che grazie alla sincerità di uno sguardo che accoglie, che indaga senza giudicare, che si apre al diverso, possiamo costruire mattone dopo mattone, bullone dopo bullone, una società più umana e armonica.

Il metodo Bullone

Per poter definire la modalità con cui svolgiamo le nostre attività, abbiamo coniato il “metodo Bullone”, un sistema multicanale e multidisciplinare sostenuto dal nostro motto: «Pensare. Fare. Far pensare». Il metodo Bullone nasce dalla necessità di creare spazi di libertà, parola e ascolto, in un dialogo costruito nei silenzi e nei confronti, celebrando la differenza e la complessità in una continua sperimentazione creativa. InVisibile Festival ci ha permesso di condividere con tutte e tutti l’esperienza del metodo Bullone, creando uno spazio collettivo in cui l’incontro fosse lo strumento primario di apprendimento. Il nostro festival ci ha consentito di coinvolgere ospiti, associazioni, aziende e professionisti con conversazioni, performance e progetti che potessero esprimere a pieno l’essenza di Fondazione Bullone, con la convinzione che il nostro metodo ha coerenza ed efficacia proprio perché basato sulla commistione di varie discipline: editoria, arte trasformativa, formazione e sensibilizzazione. Il Bullone è un’opportunità di scoperta, un luogo in cui potersi esprimere senza giudizio, mostrare i propri talenti, narrarsi senza paura e dialogare insieme agli adulti. È un percorso attraverso nuove consapevolezze in cui, con gentile prorompenza, la diversità è ricchezza e la fragilità diventa bellezza.

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