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«Cosa serve oggi ai nuovi giornalisti? Essere inquieti»

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SPILLER ANTONIO

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Parla Laura Silvia Battaglia, coordinatrice della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica di Milano: «Per chi arriva oggi a questa professione il giornalismo sarà sempre più ricerca: andare sul posto, fare quella telefonate in più che serve per riconquistare la fiducia del pubblico» di Stefano Guarrera, allievo del master di giornalismo dell’Università Statale di Milano

Disintermediazione, molteplicità di piattaforme, flusso continuo di news. Sono queste alcune delle trasformazioni che l’innovazione sta apportando al lavoro del giornalista. Nascono così nuove sfide, opportunità e rischi. E si pongono nuovi problemi: come essere deontologicamente corretti mentre si fa informazione in un mondo sempre più complesso? Non solo. Pandemia e guerra in Ucraina hanno ricordato che viviamo in un mondo profondamente interconnesso. Un mondo globalizzato, in cui molti problemi sono comuni a tutti gli Stati. Proprio queste connessioni tra nazioni e tra cittadini e istituzioni sono assicurate dal mondo dell’informazione. Da qui l’importanza delle scuole di giornalismo.

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«Oggi viviamo nell’abbondanza di comunicazione e informazione – spiega Laura Silvia Battaglia, coordinatrice della Scuola di giornalismo dell’Università

Cattolica – E a produrre contenuti può essere ogni cittadino non solo i giornalisti. Questi ultimi, però, fanno la differenza con il loro bagaglio deontologico e la loro professionalità». La professionalità del giornalista si traduce «nella produzione di contenuti e approfondimenti informati».

Le opportunità dei giornalisti nativi digitali si moltiplicano grazie alla nascita di nuove piattaforme: prima Internet e il web, poi i social network, ora l’intelligenza artificiale (si pensi a ChatGPT). Di fronte al giornalista, quindi, si aprono vasti scenari per una informazione di qualità: «La versatilità di questi nuovi strumenti garantisce la possibilità di imparare nuovi linguaggi. Bisogna solo volerlo fare. È quello che si fa nelle scuole di giornalismo, dove le nuove generazioni di praticanti imparano dai giornalisti affermati, che di rimando apprendono dai giovani» continua Battaglia. Più possibilità e quindi più rischi. Da qui la necessità di una accresciuta consapevolezza deontologica, che rimane la stella polare del giornalismo: «Nelle scuole di giornalismo i praticanti hanno una chance in più. Se prima si era costretti ad imparare le regole del mestiere lavorando, adesso nelle scuole i giovani possono apprendere norme e regolamenti in anticipo. Possono ragionare su casi studio concreti e commentare l’applicazione delle sanzioni in caso di violazione. Il tutto prima di essere gettati in situazioni in cui è facile sbagliare». Siamo spesso testimoni di casi in cui la professione è piegata ad interessi di parte, o affetta da sciatteria. Il rimedio? Per Battaglia «bisogna finirla di pensare ai giornalisti come degli impiegati. Giornalismo è ricerca, inquietudine e non rilassatezza. Veniamo da anni in cui è capitato di copiare e incollare le agenzie. Invece, bisogna sempre andare sul posto, fare quella telefonata in più. In questo modo, riconquisteremo la fiducia del pubblico», che per conseguenza, in Italia, è restìo a pagare per informarsi.

Nelle scuole si ha una chance in più: si ragiona su casi studio concreti per imparare bene prima di essere gettati in situazioni in cui è facile sbagliare

Il mondo dell'informazione è un'industria ma non deve pensare soltanto a rientrare dalle spese: il giornalismo è servizio reso alla cittadinanza

«Il mondo dell’informazione è un’industria ma non deve pensare solo a rientrare dalle spese. Primo compito del giornalista è fare da cane da guardia del potere. Indagare su un tema se i conti non tornano. Un pubblico che non paga per informarsi rischia di ritrovarsi con un’informazione che soffre di sudditanza nei confronti della politica». C’è però spazio per uno sguardo ottimista verso il futuro, soprattutto sul fronte del giornalismo d’inchiesta, servizio reso alla cittadinanza che necessita di tempo e denaro ma che «i grant internazionali e i consorzi possono stimolare».

Futuro, però, significa anche confronto con le nuove tecnologie: «Io credo che il giornalista serva per adoperare la sospensione del giudizio e la ricerca approfondita, per “unire i puntini” o mettere insieme i pezzi di un puzzle. Perché inchieste come

3. Formazione

il caso Spotlight o il Watergate non le può realizzare un’intelligenza artificiale».

Nel frattempo, i social network sembrano agenzie: i politici, per esempio, annunciano comunicazioni su Twitter. È uno dei motivi per cui «il futuro non sta nelle breaking news ma nelle slow news. Cercare il clic facile o raccontare solo un pezzo della verità è qualcosa che alla lunga si paga, checché ne dica qualche editore». Durante la pandemia, infatti, qualcuno ha pensato che «inserire numeri o dati in un servizio o in un articolo significasse essere portatori di certezza assoluta: ma i dati e numeri vanno inseriti in un contesto».

Il futuro sta nelle slow news. Cercare il clic facile o raccontare solo un pezzo della verità alla lunga non paga, qualunque cosa ne dica qualche editore

Da qui il valore dell’accuracy, che le scuole di giornalismo si fanno carico di insegnare ai giovani praticanti. Cosa che non accade ovunque nel mondo: non sempre giornalismo è sinonimo di libertà di stampa e di informazione: «In molti Stati esistono leggi anti-terrorismo per le quali chi discute la capacità di una persona al governo di compiere bene il suo lavoro è arrestato per terrorismo».

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