LA TORE 29

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Cento anni fa nasceva Arminio Schacherl • di Mario Simonovich

Docente esemplare Che t’importa di quel che dice la gente? Se hai regolato nel modo giusto le tue cose, tutto sarà a posto, altrimenti dovrai vedertela tu con la tua coscienza". Era questo il motto a cui s’ispirava Arminio Schacherl nei rapporti familiari e in particolare nella sua educazione, ricorda la figlia Gianna, a cent’anni dalla nascita e a quasi quaranta dalla scomparsa. Era il maggiore di tre figli che mostrarono fin dall’inizio attitudine allo studio, tanto che già nel 1937, ossia a 17 anni, faceva il maestro dapprima in un paesetto nei pressi di Villa del Nevoso e quindi a Maccarese, nel Lazio. Bruno divenne apprezzato giornalista e critico mentre Ugo, laureatosi in medicina a conclusione della guerra, si stabilì in Canada. Arminio si iscrisse alla Facoltà di Magistero di Roma dove si laureò in filosofia e pedagogia. Frequentò comunque poco la Facoltà, date le spese che questo implicava ed a cui sopperiva, come ebbe modo di dire più tardi, dando lezioni private "sotto il tiglio di via Petrarca" dove la famiglia aveva ereditato la casa in cui egli trascorse la maggior parte della vita. Quando poi andava a Roma per gli esami, studiava anche in tram. Date le origini, gli Schacherl avevano la cittadinanza cecoslovacca, cosa che collimava perfettamente con le intenzioni del padre, assai poco favorevole allo slogan corrente di "dare figli alla patria". Comunque negli anni 1941/42 cominciarono a farsi sentire con maggior vigore gli effetti delle leggi razziali tanto che i

Il professore con la compagna di tutta una vita, la signora Dorotea

fratelli vennero rinchiusi nella scuola di Torretta. Qui si rivelò provvidenziale il fatto che la matrigna aveva provveduto a farli battezzare, per cui, facendo leva sul fatto che la documentazione attestava il loro essere "innegabilmente di madre ariana" e grazie all’intervento del vescovo di Fiume mons. Camozzo, furono liberati. Da notare, che l’origine della madre, assiomatico nel contesto delle leggi e consuetudini israelitiche e in genere rispettato dall’ autorità italiana, fu invece poi assolutamente ignorato dai tedeschi una volta entrati in città. Tornato in libertà, Arminio si impegnò a fondo nella Resistenza, dapprima operando nelle usuali azioni in clandestinità per passare quindi, via Zamet, ai reparti partigiani. Assieme a lui c’erano Vinko Frančišković, Edina Cerne e Franjo

Kordić. Sarebbe dovuto andarci anche Alfredo Zustovich, ma qualcosa non funzionò, sicché non venne. Arrestato tempo dopo, questi figurerà fra i tredici fucilati di Sušak. Anche Ugo si aggregò ai partigiani jugoslavi, mentre Bruno aderì alla resistenza nella penisola. Finita la guerra, si sa, la posizione di Fiume era radicalmente cambiata e di conseguenza del tutto diverso e assai poco incoraggiante era il quadro in cui si ritrovarono ad operare gli italiani, la cui consistenza risentiva in primo luogo del dissanguamento dovuto all’esodo che s’intensificava ad ogni giorno che passava. In una massiccia operazione di "elementi compromessi" effettuata nelle fabbriche, aziende e istituzioni, già entro il febbraio del 1946, ossia a meno di un anno dall’avvento del nuovo regime, fu-

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