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A.Schacherl, docente esemplare

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La Fiume di Bruno

La Fiume di Bruno

Cento anni fa nasceva Arminio Schacherl • di Mario Simonovich

Docente esemplare

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Che t’importa di quel che dice la gente? Se hai regolato nel modo giusto le tue cose, tutto sarà a posto, altrimenti dovrai vedertela tu con la tua coscienza". Era questo il motto a cui s’ispirava Arminio Schacherl nei rapporti familiari e in particolare nella sua educazione, ricorda la figlia Gianna, a cent’anni dalla nascita e a quasi quaranta dalla scomparsa.

Era il maggiore di tre figli che mostrarono fin dall’inizio attitudine allo studio, tanto che già nel 1937, ossia a 17 anni, faceva il maestro dapprima in un paesetto nei pressi di Villa del Nevoso e quindi a Maccarese, nel Lazio. Bruno divenne apprezzato giornalista e critico mentre Ugo, laureatosi in medicina a conclusione della guerra, si stabilì in Canada.

Arminio si iscrisse alla Facoltà di Magistero di Roma dove si laureò in filosofia e pedagogia. Frequentò comunque poco la Facoltà, date le spese che questo implicava ed a cui sopperiva, come ebbe modo di dire più tardi, dando lezioni private "sotto il tiglio di via Petrarca" dove la famiglia aveva ereditato la casa in cui egli trascorse la maggior parte della vita. Quando poi andava a Roma per gli esami, studiava anche in tram.

Date le origini, gli Schacherl avevano la cittadinanza cecoslovacca, cosa che collimava perfettamente con le intenzioni del padre, assai poco favorevole allo slogan corrente di "dare figli alla patria". Comunque negli anni 1941/42 cominciarono a farsi sentire con maggior vigore gli effetti delle leggi razziali tanto che i fratelli vennero rinchiusi nella scuola di Torretta. Qui si rivelò provvidenziale il fatto che la matrigna aveva provveduto a farli battezzare, per cui, facendo leva sul fatto che la documentazione attestava il loro essere "innegabilmente di madre ariana" e grazie all’intervento del vescovo di Fiume mons. Camozzo, furono liberati. Da notare, che l’origine della madre, assiomatico nel contesto delle leggi e consuetudini israelitiche e in genere rispettato dall’ autorità italiana, fu invece poi assolutamente ignorato dai tedeschi una volta entrati in città.

Tornato in libertà, Arminio si impegnò a fondo nella Resistenza, dapprima operando nelle usuali azioni in clandestinità per passare quindi, via Zamet, ai reparti partigiani. Assieme a lui c’erano Vinko Frančišković, Edina Cerne e Franjo Kordić. Sarebbe dovuto andarci anche Alfredo Zustovich, ma qualcosa non funzionò, sicché non venne. Arrestato tempo dopo, questi figurerà fra i tredici fucilati di Sušak. Anche Ugo si aggregò ai partigiani jugoslavi, mentre Bruno aderì alla resistenza nella penisola.

Finita la guerra, si sa, la posizione di Fiume era radicalmente cambiata e di conseguenza del tutto diverso e assai poco incoraggiante era il quadro in cui si ritrovarono ad operare gli italiani, la cui consistenza risentiva in primo luogo del dissanguamento dovuto all’esodo che s’intensificava ad ogni giorno che passava. In una massiccia operazione di "elementi compromessi" effettuata nelle fabbriche, aziende e istituzioni, già entro il febbraio del 1946, ossia a meno di un anno dall’avvento del nuovo regime, fu-

Il professore con la compagna di tutta una vita, la signora Dorotea

Liceo italiano anni Cinquanta, in Sala inesgnanti

rono esodati 1.490 capifamiglia, ovvero, quando si aggiungano i familiari, oltre tremila persone. E’ indicativo, nel contesto che Fiume fu esclusa dal censimento, compiuto peraltro in via ufficiosa, dalle autorità jugoslave nei territori di nuova acquisizione. A differenza di quanto avvenuto in Istria, di cui si intendeva evidenziare la preponderanza dell’elemento slavo, qui ci si limitò a un rilevamento complessivo, privo di ogni riferimento alla nazionalità degli abitanti: la sorte della città era segnata "e sicura", ogni trattativa esclusa, sicché non serviva alcuna pezza d’appoggio. Allo stesso modo, la raccolta di firme promossa con un’intensa azione propagandistica fra la popolazione nel settembre 1945 per l’annessione alla Jugoslavia, e condotta a spron battuto in Istria, qui fu inspiegabilmente interrotta. Difficile arguire se il fatto vada ascritto alle troppe risposte "difformi" dalle attese o all’inutilità di un’azione compiuta nella città il cui destino era già segnato, ma la seconda ipotesi appare più fondata. Non è facile pronunciarsi oggi sui sentimenti che prevalevano nei concittadini che si ritrovavano a dover fare i conti con una situazione del tutto nuova, in cui, oltre alle grosse difficoltà materiali, di sopravvivenza nel senso più stretto del termine, si accompagnava il rischio della scomparsa dell’identità nazionale, ma fu ancora Arminio Schacherl che assunse un ruolo di primo piano nelle file dei fiumani che volevano il mantenimento della presenza e della continuità degli italiani. Il 2 giugno 1946 nei locali del Teatro Fenice un gruppo di concittadini lo nominò segretario del neocreato "Comitato provvisorio" per la creazione del Circolo di cultura italiana il cui primo compito, come ebbe a dire, era di "dare il massimo incremento allo sviluppo della cultura italiana in tutte le sue forme..." Quella domenica di inizio giugno erano state gettate le basi della prima Comunità dgli Italiani in queste terre.

Data la preparazione, fin dall’inizio Schacherl fu inserito nella strutturazione e attività delle istituzioni scolastiche ed editoriali della minoranza. Per breve tempo caporedattore della Voce del Popolo, fu preside dell’Istituto magistrale di Fiume dal 1947 al 1949, e nel contempo docente al Liceo. Chiuso l’Istituto nel 1949, fu docente al Liceo fino al pensionamento, avvenuto per motivi di salute nel novembre 1972.

Nello stesso "ambiente" trovò Dorotea, una maestrina istriana che lo avrebbe poi accompagnato per tutta la vita ed a cui fu profondamente legato. L’incontro fu invero fortuito. Giunta dalla natia Pisino per un corso di aggiornamento, la giovane lo notò mentre spostava i banchi prima delle lezione e pensò fosse il bidello, per cui rimase a dir poco sbalordita quando poco dopo lo vide in cattedra. Un anno dopo, il 15 luglio 1950, la coppia si sposava a Pisino con rito civile, una settimana dopo in chiesa. Un anno ancora e nasceva la figlia Gianna.

Del Liceo - e, in senso lato, dell’istruzione superiore in italiano a Fiume – egli fu davvero una colonna portante. Docente di storia, filosofia, psicologia, logica, economia, fu esemplare insegnante ed educatore per generazioni di allievi

che, pur con le intemperanze talvolta incontenibili a quell’età, lo sentirono sempre vicino, alieno da qualsivoglia ingiustizia o cattiveria, ma pronto a rispondere ad ogni questito con voce ferma e parole misurate, spesso accompagnate da un sorriso arguto.

Pure in casa, ricorda la figlia, fu persona esemplare, con cui ci si capiva anche senza parlare. Era infatti parco di parole, ma pronto ad affrontare ogni tema con profonda saggezza. Le questioni materiali gli erano del tutto estranee, gli piaceva ascoltare brani di musica classica, dedicarsi alle letture e anche giocare con la bambina, a cui nel contempo si preoccupava di dare un’educazione libera, senza costrizioni.

Nell’estate del 1961 la comparsa dei primi tremori agli arti si mostrò foriera di quel Parkinson che gli avrebbe stravolto la vita. Il progredire del male lo costrinse tre anni dopo a sottoporsi alla delicata operazione che allora costituiva l’unico modo per contrastare la malattia (i farmaci a base di dopamina entrarono in uso solo nel 1968, ossia a quattro anni dall’intervento). Anche qui egli si dimostrò combattente di razza toccando il tetto di sopravvivenza previsto all’epoca. Si spense infatti nel settembre del 1979, a poco più di 61 anni, a diciotto dalla comparsa del male e a quindici dall’intervento.

Da allora, come detto, sono passati quattro decenni in cui sono avvenute tante cose, che però non hanno offuscato la sua figura. Arminio Schacherl, quale uomo e docente esemplare, rimane tuttora impresso nella mente di centinaia e centinaia di studenti e, per loro tramite, continua a vivere quale emblematica espressione della nostra presenza etnica, storica e civile. ***

Lo sviluppo delle relazioni parentali tanto all’interno della famiglia paterna che di quella materna di Schacherl segue per diversi aspetti quello della città e dell’area liburnica nei loro addentellati con lo Stato in cui erano inserite.

Il padre, Davide, era nato a Vienna, figlio di un rabbino proveniente da Bratislava, che lo educava con criteri molto severi, tanto da limitargli anche le frequentazioni del teatro verso il quale egli invece nutriva una vera passione. Una sera, il giovanotto osò disobbedire al categorico: "Se ci vai, a casa non ci torni" e, al rientro, trovò effettivamente la porta sbarrata sicché, seduta stante, a soli sedici anni prese la via del Quarnero. Sistematosi a Fiume, sposò Stefania Harasim, sorella di Gemma, che diverrà poi la nota pedagogista, Dal matrimonio nacquero i tre figli Arminio, Bruno e Ugo. Rimasto vedovo nel 1926, Davide sposò Elisabetta Dolenecz, una concittadina di origini ungheresi da cui ebbe la figlia Lucia, che i fratelli facero a gara nel viziare.

Anche da parte materna le origini del futuro professore avevano una forte impronta mitteleuropea. Di origine cecoslovacca e giunto a Laurana quale finanziere, il nonno aveva sposato una giovane istriana da cui aveva avuto un figlio, Venceslao, divenuto poi il padre di Stefania e Gemma. La famiglia conserva ancora un attestato della sua frequenza delle scuole lauranesi rilasciato, ovviamente in italiano, nel 1856. Gemma, maestra a Fiume, si farà conoscere nel 1909 con quattro

Il Professore ritratto da Raniero Brumini

Lettere da Fiume pubblicate sulla "Voce" di Giuseppe Prezzolini su sollecitazione di Giuseppe Lombardo Radice, in cui descrive la situazione scolastica in città. I rapporti fra i due si intensificheranno tanto da giungere al matrimonio da cui nasceranno i figli Giuseppina, Lucio e Laura, che poi sposerà Pietro Ingrao, uno dei leader storici del PCI. ***

Nel corso di tutti gli anni d’insegnamento, Schacherl fece parte delle varie commissioni scolastiche e collaborò con il settore editoriale dell’Edit per la preparazione dei testi da usare nelle nostre scuole.

Esemplare in tal senso la "Storia italiana" ad uso delle scuole ottennali pubblicata dall’Edit nel 1957, che, data l’impossibilità (leggi: la preclusione) di usare libri stampati in Italia, fu insostituibile fattore per far conoscere ai nostri alunni le vicende del passato italiano attraverso una visuale che, nell’apparente rispetto degli ineludibili canoni ideologici imperanti in Jugoslavia, evitava che questi sfociassero in una visione riduttiva e denigratoria dei popoli e delle aree circostanti, Italia in testa.

Il testo di quasi duecento pagine, era corredato da letture di autori italiani, atte a dare un’immagine più aderente di un’Italia non solo imperialista e prevaricatrice, ma anche civilmente evoluta nella volontà di avvicinarsi con spirito amico ai popoli slavi, come testimoniato dalle lettere di Giuseppe Mazzini.

Onde offrire agli insegnanti basi teoriche in campo pedagogico didattico, era già nata, per iniziativa dell’UIIF nel marzo del 1947 la rivista "SCUOLA NUOVA" della quale ci si servì per lunghi anni nella preparazione giornaliera e in quella degli esami professionali. Promotore dell’iniziativa e redattore capo fu il compianto prof. Arminio Schacherl (...) all’epoca direttore dell’Istituto Magistrale. Poi, alla fine degli anni ’50, probabilmente per mancanza di mezzi, questa prestigiosa pubblicazione cessò di uscire.

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