Gironzolando per Fiume nel passato • di Giacomo Scotti
… E per incendio doloso c’era la morte sul rogo (Dallo Statuto di Fiume del 1530) Al ladro che ruba otto sciami di api viene tagliata la mano, per il furto di nove-dieci sciami viene tagliata la mano e cavato un occhio, per il furto di oltre dieci sciami la pena è l’impiccagione. Queste erano le pene previste nello Statuto di Fiume risalente al 1530, epoca in cui la città di San Vito non contava più di duemila abitanti, quasi tutti "ristretti" entro le mura di cinta, all’interno delle quali vasti spazi erano ancora coltivati ad orticelli ed a minuscoli vigneti. Oggi quelle pene possono sembrarci fin troppo severe, ma quella volta la vita era diversa e ben diversi erano i criteri per giudicare le malefatte. Come dimostrano, del
29
48
resto, alcune altre norme che spulciamo dallo stesso Statuto. Così per chi veniva sorpreso ad appiccare il fuoco e, in genere per reato accertato di incendio doloso allo scopo di mandare in cenere una casa, la pena era la morte: veniva bruciato sul rogo. Alla medesima orribile fine – morire bruciata – era destinata la donna maritata che commetteva il reato di bigamia contraendo matrimonio con un altro maschio. Finiva in prigione o veniva messo alla berlina, in pubblico nella Piazza delle erbe, chi tagliava gli alberi di olivo e le viti altrui col proposito di arrecare danni o compiere vendette. Evitava la prigione e la
colonna infame, tuttavia, pagando i danni e qualcosa di più. Chi testimoniava il falso davanti al tribunale, soprattutto se lo faceva per denaro, veniva punito con l’imposizione della "corona del disonore" sulla testa, e così conciato, legato alla colonna delle vergogna e bollato a fuoco. Avrebbe portato per tutta la vita il segno del mentitore. L’uomo che avesse baciato una donna contro la sua volontà, era punito con un’ammenda pecuniaria e frustato con lo scudiscio oppure messo al bando da Fiume per un periodo di quattro anni. Se, invece, la violenza si trasformava in stupro, il colpevole veniva condannato a morte. La pena capitale si applicava anche nel caso di rapimento. Il codice fiumano del primo Cinquecento non era tenero però nemmeno con le donne di mal costume. Nessuna donna, nubile, vedova o maritata, giovane o anziana, poteva accedere a una pubblica festa danzante se non portava la gonna almeno fino ai ginocchi. A quei balli non potevano assolutamente partecipare le meretrici e, in genere, le donne conosciute per la loro vita scostumata. Anzi, a puttane e mezzane era vietato abitare entro le mura cittadine. Era pure severamente punita la bestemmia. Chi imprecava Dio o qualche santo veniva castigato con una forte ammenda pecuniaria o col cosiddetto "battesimo del mare"