ANNO IX - NUMERO 17 - GIUGNO 2020

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radici

Emergenze sanitarie a Tavernerio nel 1945: urgenze per posti letto, commissari e commissioni L’emergenza COVID-19 ci ha costretti a vivere tempi difficili e a intraprendere misure che potessero in qualche modo risolvere almeno qualcuno dei problemi via via affioranti. La storia, a parere di chi scrive, non si ripete, è lineare, tuttavia è maestra di vita, in quanto circostanze analoghe possono manifestarsi a distanza di tempo. Quella dei nostri giorni è una pandemia, ma si sono verificate e si verificano epidemie locali che, pur su scala minore, presentano problematiche sovrapponibili. Nel 1945 l’Italia si trovò di fronte a uno stato di devastazione che, oltre agli altri danni, aveva progressivamente favorito lo svilupparsi di malattie infettive, quali il tifo, la malaria e la tubercolosi: gli ospedali erano al collasso e scarseggiavano i posti letto. In tali circostanze, il sanatorio di Villa dei Pini di Tavernerio avrebbe potuto essere un punto di riferimento per i tubercolotici. Fu però travolto, proprio in quell’anno, da

1945: Intestazione utilizzata da Villa dei Pini per la carta da lettere un’ondata di proteste legate alla sua cattiva gestione. I primi riscontri documentari sulla casa di cura privata “Villa dei Pini” di Urago risalgono al 1930. Secondo i dati ufficiali, nel 1938 contava 28 posti letto per le donne e 36 per gli uomini. Proprio in quell’anno era stato nominato cappellano il sacerdote don Rizzieri Giudici. Il vescovo Macchi, alla visita pastorale del 1943, gli raccomandò «di avere una speciale cura degli ammalati, di tenerli alti nello spirito e di educarli alla vita soprannaturale». La piccola chiesa annessa alla Villa era ben tenuta «per lo zelo delle buone suore francescane», a cui il vescovo diede il compito di redigere una cronistoria della casa.

1930: Veduta della facciata di Villa dei Pini Il Paese 33


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