6 minute read

Emergenze sanitarie a Tavernerio nel 1945

Emergenze sanitarie a Tavernerio nel 1945: urgenze per posti letto, commissari e commissioni

L’emergenza COVID-19 ci ha costretti a vivere tempi difficili e a intraprendere misure che potessero in qualche modo risolvere almeno qualcuno dei problemi via via affioranti. La storia, a parere di chi scrive, non si ripete, è lineare, tuttavia è maestra di vita, in quanto circostanze analoghe possono manifestarsi a distanza di tempo. Quella dei nostri giorni è una pan- demia, ma si sono verificate e si verificano epidemie locali che, pur su scala minore, presentano problematiche sovrapponibili. Nel 1945 l’Italia si trovò di fronte a uno stato di devastazione che, oltre agli altri danni, aveva progressivamente favorito lo svilupparsi di malattie infettive, quali il tifo, la malaria e la tubercolosi: gli ospedali erano al collasso e scarseggiavano i posti letto. In tali circostanze, il sanatorio di Villa dei Pini di Tavernerio avrebbe potuto essere un punto di riferimento per i tubercolotici. Fu però travolto, proprio in quell’anno, da

Advertisement

1945: Intestazione utilizzata da Villa dei Pini per la carta da lettere un’ondata di proteste legate alla sua cattiva gestione. I primi riscontri documentari sulla casa di cura privata “Villa dei Pini” di Urago risalgono al 1930. Secondo i dati ufficiali, nel 1938 contava 28 posti letto per le donne e 36 per gli uomini. Proprio in quell’anno era stato nominato cappellano il sacerdote don Rizzieri Giudici. Il vescovo Macchi, alla visita pastorale del 1943, gli raccomandò «di avere una speciale cura degli ammalati, di tenerli alti nello spirito e di educarli alla vita soprannaturale». La piccola chiesa annessa alla Villa era ben tenuta «per lo zelo delle buone suore francescane», a cui il vescovo diede il compito di redigere una cronistoria della casa.

Alla fine della guerra, nel contesto storico a cui abbia- mo più sopra accennato, si creò nel sanatorio una grave situazione di carattere igienico-sanitario, sulla qua- le ci informano alcuni documenti conservati nel fondo “CLN Como” dell’Archivio di Stato di Como (bb. 7, 12, 46). Le circostanze ricalcano, per certi aspetti, alcune delle vicende attuali. Il 23 giugno 1945 i degenti del sanatorio inviarono al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) di Como, all’INPS e ad altri enti una denuncia circa l’inade- guatezza delle misure profilattiche adottate a Villa dei Pini, in merito a disinfezione, visite mediche, pulizia delle camere, lotta contro le mosche, lavaggio delle stoviglie e problemi nel trattamento alimentare. Il 6 luglio successivo i malati, al fine di tutelarsi, inte- grarono l’istanza chiedendo al CLN di poter comporre una commissione di sei ricoverati, specificando che costoro non avevano fatto parte del partito fascista e che godevano dell’approvazione della Direzione medica. La loro lettera venne contrassegnata in matita rossa con un chiaro «no», ma della situazione fu informata la Prefettura di Como, che l’8 luglio inviò una com- missione ispettiva presso il sanatorio e l’11 luglio indirizzò al presidente del CLN una relazione, firmata dal medico provinciale Giorgio Muccio, dal delega- to CLN per i servizi sanitari Alfiero Boncinelli e dal direttore del Consorzio Provinciale Antitubercolare (CPA) Riccardo Corbetta. Si comunicò che già il 7 febbraio precedente la Prefettura aveva diffidato il dottor Michele Molteni, proprietario del sanatorio, «ad eliminare le deficienze igieniche ed alimentari accertate dal direttore del Consorzio Antitubercolare», minacciandolo di gravi provvedimenti a suo carico in caso di inadempienza. Quanto alla situazione igienico-sanitaria corrente, si attestò che «per quanto riguarda l’alimentazione, si è verificato che dopo la diffida i quantitativi sono stati aumentati, salvo per il pane, […]. Gli ammalati si lamentano inoltre che il cibo, e parti- colarmente la carne, sono cucinati con poca cura. La- mentano ancora l’assoluta mancanza di distribuzione dello zucchero; il sale è scarso. L’acqua potabile non è sufficiente: l’erogazione viene sospesa più volte nella giornata. Gli ammalati, e particolarmente quelli a ca- rico di enti, sono esasperati per il cattivo trattamento. Le condizioni igieniche del sanatorio sono deplorevoli. […] Nel complesso la distribuzione delle camere di degenza e dei servizi non è confacente alle necessità di un istituto di tipo sanatoriale. Manca la lavanderia; pur essendovi una stufa di disinfezione a vapore sotto pressione, questa non viene usata regolarmente. La macchina lavastoviglie non ha funzionato per pa- recchi mesi; la lavatura delle stoviglie è stata fatta a mano, con pericolo del personale addettovi. I malati asseriscono di riscontrare spesso residui di cibo dei pa- sti precedenti sui piatti. I bagni sono scarsi e funzionano irregolarmente per la mancanza di acqua. La pulizia è deficientissima: le mosche sono innumerevoli anche nella cucina, le cui aperture mancano di protezione meccanica. Il medi- co residente era assente, circa le ore 12, nell’ora cioè del pasto principale. Le visite mediche, a detta degli ammalati, vengono ef34 Il Paese fettuate tre volte la settimana dal direttore dottor De- cleva, il quale risiede a Milano e si reca nel sanatorio ogni volta solo per poche ore. […]. L’impianto radiologico è di tipo antiquato. Le aiutanti infermiere prestano servizio promiscuamente nei re- parti ed in cucina». Stanti tali condizioni, la commissione concluse che vi erano tutti gli estremi per una revoca dell’autorizza- zione, procedimento tuttavia inattuabile «data la scarsezza di posti letto per tubercolotici». Il proprietario dichiarò «di essere pronto ad appor- tare, entro due mesi al massimo, al sanatorio tutte le migliorie igieniche necessarie, di voler sostituire il personale medico e di rimediare alle manchevolezze constatate». Furono così fissati 15 punti specifici di intervento da mettere in atto però entro un mese. Pochi giorni dopo, in data 17 luglio, il vicecommis- sario all’Igiene e Sanità di Milano comunicò al CLN di Como di aver ricevuto una protesta dai malati di Villa dei Pini, i quali lamentavano che, nonostante i sopralluoghi delle autorità, nulla di concreto fosse stato definito. Sottolineò quindi la necessità che venisse eletto un commissario straordinario «che ne prendesse la direzione e svolgesse le indispensabili inchieste», il tutto con una certa solerzia giacché, aggiunse, «mai, come in questo momento, noi abbiamo bisogno di ricoverare ammalati affetti da tubercolosi e troviamo ovunque grandi difficoltà per la mancanza di posti letto». La relazione della Prefettura cominciò così a circolare fra i vari enti interessati. I tempi erano di fatto difficili. Per renderci conto della situazione, possiamo considerare una richiesta inviata dalla direzione di Villa dei Pini alla Prefettura il 4 agosto di quell’anno, nella quale si scrisse che: «da il giornale “Il Popolo Comasco” di ieri rileviamo che la Colonia Italiana del Canton Ticino tramite la Croce Rossa ha inviato un nuovo quantitativo di sale. Avendo completamente esaurito ogni scorta, ci permettiamo fare sommessa istanza per ottenere, se possibile, un’assegnazione per questa casa che attualmente ricovera circa 150 ammalati di TBC». L’istanza venne accolta e il prefetto scrisse al CLN Alta Italia affinché si disponesse la consegna del sale. Trascorsero i mesi e le condizioni igieniche e sanitarie del sanatorio non migliorarono. Così, su esempio di quanto era avvenuto presso il sanatorio di Camerlata, a novembre si costituì una Commissione Interna Degenti, ai membri della quale venne richiesta l’appartenenza politica, onde poter assegnare le tessere che l’avrebbero costituita in CLN interno. In data 26 novembre la commissione consegnò al CLN di Como e alla sede milanese dell’INPS un memoriale «sulle irregolarità riscontrate nell’andamento del sanatorio» denunciando che il proprietario «ha continuato a disinteressarsi dei suoi ammalati, lasciandoli in condizioni igienico-sanitarie precarie». Lo scritto contiene una puntuale disamina relativa all’assistenza sanitaria, all’igiene e all’alimentazione. Fra le varie carenze segnalate, si sottolineò che, su un centinaio di pazienti, era disponibile un solo medico, oberato di lavoro, che la fornitura di medicinali era insufficiente e che gli esami di routine non venivano eseguiti.

This article is from: