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Un incontro inconsueto
Un incontro inconsueto dopo 78 anni di lontananza
Dobbiamo andare, per raccontare questa storia, all’anno di grazia 1942, che tanto di grazia non fu in quanto infuriava la seconda guerra mondiale con tutti i suoi fatti nefasti di cui si è venuti a sapere al termine della stessa. Se poi si aggiunge che nell’ottobre di quell’anno moriva mio padre, lasciando mia madre e cinque figli di cui nessuno aveva l’età per lavorare, vi lascio immaginare quale ‘grazia’ sia stato per me quell’anno, in cui di anni ne compivo sei. Tornando alla storia di mio padre, poco prima del trapasso a mia madre venne consigliato di allontanare il più possibile i ragazzi da casa per evitare loro il travaglio insopportabile di gente che veniva e andava e poi tornava, incuriosita magari, più che commossa dalla tragedia che si andava compiendo. Io fui portato da una vecchia cugina di mia mamma ad Albavilla, di nome Regina, mai vista prima, che aveva tre figli poco più grandi di me. Con loro ho trascorso solo tre giorni, poi ritornai a casa per il funerale di mio padre. Ma sono stati sufficienti a incidere in modo indelebile nel mio cuore le loro sembianze e l’amore che mi trasmisero i loro nomi: Mina, la maggiore, una ragazza che oggi definiremmo ‘da copertina’, alta, bionda, dai capelli arricciati e folti e dallo stile sempre impeccabile; Roberto, il più serio e col piglio da capofamiglia che dà poca confidenza, ma di cui ti puoi sempre fidare, che mi aveva suggerito qualcosa per i compiti che la maestra, bontà sua, si era premunita di farmi avere a casa; Adelio, l’Adone di casa Cigardi, molto ricercato dal gentil sesso, di cui lui non ha mai rifiutato le offerte. Quest’ultimo è poi diventato il dirigente di un calzaturificio a Lugano, che sotto la sua direzione sfornava duemila paia di calzature al giorno, soprat- tutto, questo è ovvio, da donna. Questo lo si dice per la verità, non per piaggeria. Da allora solo sporadici incontri: una volta con Mina, quando, durante una passeggiata alla Capanna Mara, intravvedo davanti una coppia, la cui figura femminile mi sembrava mia cugina, e gridai “Mina” e lei si girò di scatto e mi presentò il fidanzato. Con Roberto ci incontrammo una volta al Gnocchetto, che era il punto di incontro di alcuni uomini per scambiarci qualche impressione su come andava il mondo e qualche disputa sulla politica comunale e nazionale. Adelio l’ho intravisto in una fiera della Madonna di Alzate, dove ero andato con le mie sorelle, che mi sconsigliarono di chiamarlo in quanto sembrava che stesse inseguendo una fanciulla. Capita che un giorno, andando a far spesa con mia moglie all’Eurospin — tanto per non far pubblicità — all’entrata vedo in fondo al corridoio una persona che si guardava intorno un po’ spaesata e mi sovviene un flash! E dico a mia moglie: “Ma quello mi sembra mio cugino di Albavilla!” E lei “Ma va là, ti sembrerà, ma figurati dopo oltre settant’anni!” E io, non contento “Scusi lei è di Albavilla?”. Lui mi guarda un po’ interdetto e mi risponde in dialetto: “No, mi sun de Bergum”. Per fortuna interviene la moglie sua, di cui poi saprò il bel nome di Rosanna, che mi avvicina e mi fa: “Ma lei chi è?” “Io sono Romano” E lui come colpito da un fulmine “Ul Romano da la Laurina?” e mi abbraccia con calore. Laura era il nome della mia ‘santa’ mamma, che io ritengo tale perché allevare cinque figli in quel tempo di guerra, senza alcun cespite in famiglia, credo che nessuno ai giorni nostri ne sarebbe capace. Quell’incontro casuale diventa un “arrivederci, a presto, ma mi raccomando non tardate, noi abitiamo ad Albavilla”. Quest’incontro casuale mi ha risollevato lo spirito e credo faccia parte dell’imponderabile mistero che la vita ti pone di fronte per ricordarci quant’è bella e quanto valga la pena di viverla fino in fondo e io dico fin che Dio vorrà. Romano Meroni
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