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Dossier «La gioventù non fu fatta per il piacere, ma per l’eroismo» «La gioventù non fu fatta per il piacere, ma per l’eroismo»: è una frase di Claudel, citata dal prof. Plinio Corrêa de Oliveira in questo articolo, apparso sulla rivista Catolicismo n.72 del dicembre 1956, per inquadrare quale modello di gioventù seguire – quello incarnato dagli studenti cattolici tedeschi, che parteciparono al Katholikentag del 1954, a Fulda – e quale modello di gioventù viceversa evitare – quello incarnato dalla sregolatezza e dalla trasgressione di Elvis Presley –. È una riflessione assolutamente attuale…
Plinio Corrêa de Oliveira
«Con la chitarra al collo ed il microfono in mano, “l’artista” Elvis Presley, canta e danza tra gli strumenti dell’orchestra, dinanzi ad un pubblico allucinato – scrive il prof. Plinio Corrêa de Oliveira – Sicché si giunge rapidamente a manifestazioni estreme: ritmi deliranti, gesti disordinati, espressioni fisionomiche contorte».
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on la chitarra al collo ed il microfono in mano, “l’artista” Elvis Presley, campione mondiale della “frenesia” che sta mandando in delirio milioni di persone, canta e danza tra gli strumenti dell’orchestra, dinanzi ad un pubblico allucinato. Nell’uomo è l’intelligenza che deve dirigere la volontà e ambedue devono, a loro volta, illuminare la sensibilità, guidarla e proteggerla dalla debolezza che le è propria. Infatti, tra le facoltà umane, tutte nobili di per sé, ma tutte colpite dal peccato originale, quella dalla quale più frequentemente cominciano i disordini, le crisi, le sregolatezze, è precisamente la sensibilità.
Un’ubriachezza contagiosa Al contrario, nel portamento, nei gesti, nella fisionomia di questo povero giovane, tutto indica lo scatenamento totale della sensibilità, che soggioga interamente la volontà, dando vita a movimenti del tutto privi di equilibrio, di buon senso, di contegno, elementi che invece, sono propri dell’azione guidata dall’intelligenza. E per di più, in questo caso, non si tratta specificatamente dell’ipertrofia della sensibilità, propria dei romantici.
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In questi, censurabile era l’eccessiva emotività con la quale affrontavano determinati argomenti politici, sociali, artistici o letterari oppure certe situazioni personali come l’essere orfani, vedovi, la solitudine affettiva, eccetera. Da un certo punto di vista, l’errore del romantico consisteva nel fare del sentimento l’apice e il fine di tutta la vita mentale. Un errore senza dubbio, errore grave, che ha prodotto, nella storia della cultura occidentale, conseguenze funeste. Ma un errore che, per lo meno, ancora presupponeva una verità, cioè che il sentimento sia uno degli elementi costitutivi del “processus” intellettuale. Nel caso concreto, invece, c’è un mero vibrare di nervi. Di nervi ammalati e super eccitati, che vibrano senza alcuna ragione, senza alcun punto di partenza e senza alcun obiettivo, se non quello del piacere morboso di vibrare, la cui frenesia richiede a sua volta vibrazioni sempre maggiori. Sicché si giunge rapidamente a manifestazioni estreme: ritmi deliranti, gesti disordinati, espressioni fisionomiche contorte. Insomma, un insieme di sregolatezze tipiche di coloro che, secondo l’incisiva espressione di Dante, «persero la luce dell’intelletto». In una parola, abbassando il liR A D I C I
C R I S T I A N E