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Islam. Marketing e propaganda di Luigi Bertoldi

Islam Marketing e propaganda

A chi crede al volto “moderato” dell’islam ha pensato l’imam della moschea della Mecca a chiarire le idee, pregando pubblicamente Allah di concedere la vittoria ai «fratelli jihadisti» sui «malvagi cristiani». Ma non sono solo questi appelli a far parte della nuova propaganda musulmana, impegnatasi a conquistare i mercati coi prodotti “halal”, ora anche nel mondo della cosmesi. Per non parlare delle numerose aziende italiane già convertitesi alle produzioni “halal”. Gli affari sono affari, ma le conseguenze identitarie e culturali di tali operazioni preoccupano…

di Luigi Bertoldi

Per qualcuno l’islam sarebbe una religione di pace e gli jihadisti sarebbero semplici schegge impazzite, estremisti insomma. A far capire come le cose non stiano proprio così, ha tristemente provveduto però l’imam a capo non di una moschea qualsiasi, bensì di al-Masjid alHarâm, la «Sacra Moschea», quella della Mecca. Costui, Abdul Rahman Ibn Abdul Aziz as-Sudais, è considerato uno degli interpreti più affidabili e popolari del Corano. Ebbene, proprio lui, lo scorso 4 settembre, nel corso di un pellegrinaggio, ha tuonato in lingua araba: «O Allah, concedi vittoria, onore e potere ai nostri fratelli jihadisti dello Yemen, di Siria, dell’Iraq, di tutto il mondo. Accorda loro il trionfo sui perfidi giudei, sui malvagi cristiani e sugli inaffidabili ipocriti». La “preghiera” è stata trasmessa in diretta sulla tv egiziana al-Qahera Wal Nas.

Dalle parole ai fatti

Dalle parole ai fatti: l’imam in questione è saudita. ènato nella capitale, Riyad. E proprio Riyad, nei giorni in cui veniva pronunciato quello scandaloso sermone, continuava a bombardare civili nello Yemen. I suoi obiettivi sono stati a dir poco disumani: ospedali perfettamente funzionanti e zeppi di pazienti, scuole, impianti per la trasformazione dei prodotti ali-

mentari. Adel al-Jubatr, ministro degli Affari Esteri in Arabia Saudita, ha spiegato gli attacchi aerei, dando lezione di diritti umani alla Siria.

Da quando nel 2010 l’allora Segretario di Stato, Hillary Clinton, ricevette una cospicua donazione da parte del governo saudita, gli Stati Uniti hanno autorizzato vendite militari per 60 miliardi di dollari a Riyad, un record assoluto rispetto ai 16 miliardi autorizzati sotto la presi-

L’imam Abdul Rahman Ibn Abdul Aziz as-Sudais (nella foto), a capo della «Sacra Moschea» della Mecca, nel corso di un pellegrinaggio, ha tuonato in lingua araba: «O Allah, concedi vittoria, onore e potere ai nostri fratelli jihadisti dello Yemen, di Siria, dell’Iraq, di tutto il mondo. Accorda loro il trionfo sui perfidi giudei, sui malvagi cristiani e sugli inaffidabili ipocriti».

Certi fatti di cronaca –come la scritta «Allah Akbar» apposta con lo spray bianco sul basamento della statua di San Petronio, a Bologna, lo scorso giugno – sono difficilmente derubricabili come semplici “bravate”...

denza di George W. Bush. Secondo quanto dichiarato dall’agenzia Reuters, l’Arabia Saudita avrebbe speso 5,4 miliardi di dollari per l’acquisto di centinaia di missili per la difesa aerea, 11,25 miliardi di dollari per quattro navi militari, 1,29 miliardi in bombe “intelligenti” e via elencando. Ancora: l’agenzia on line Sputnik informa che ancora un paio di mesi fa l’amministrazione Obama ha proposto, sempre all’Arabia Saudita, l’acquisto di carri armati, mitragliatrici ed altre attrezzature militari per 1,15 miliardi di dollari.

Notizie rispetto alle quali le parole dell’imam acquisiscono un diverso, agghiacciante significato. Ed anche certi fatti di cronaca –come la scritta «Allah Akbar» apposta con lo spray bianco sul basamento della statua di San Petronio, a Bologna, lo scorso giugno – sono difficilmente derubricabili come semplici bravate.

Cosmesi “halal”

Ma non è tutto. Prosegue contemporaneamente anche l’invasione silenziosa dell’Occidente cristiano ad opera dell’islam militante, non solo attraverso la “bomba” demografica, bensì anche attraverso il commercio. I prodotti halal ovvero «conformi» alla sharia furono introdotti in Occidente, dicendo di voler consentire così alla popolazione musulmana l’acquisto di generi alimentari non in contrasto con le proprie prescrizioni religiose. Oggi tutto questo appare poco più di un pretesto, a meno che non si vogliano considerare anche i prodotti di cosmesi halal come beni di prima necessità.

La rivista specializzata Kosmetica, nel numero dello scorso marzo, esalta la diffusione dei prodotti halal anche tra trucchi e profumi e ne attribuisce il preteso successo ai «valori promossi», tra cui colloca incredibilmente «la responsabilità sociale ed il benessere degli animali». Punto, questo, su cui molti, troppI insistono: vi è anche un’azienda cremonese di ingrosso carni, che addirittura reclamizza la propria scelta di macellare con le regole halal non solo per «una connotazione culturale», bensì anche per «un’importante funzione igienico-sanitaria», “dimenticando” a quali crudeli violenze venga viceversa sottoposto il bestiame per esser conforme ai rituali previsti e quante perplessità ciò susciti anche proprio da un punto di vista igienico-sanitario in contesti abituati agli standard europei.

Una capillare propaganda

Del resto, sulle stesse cifre pubblicate dalla ri-

vista Kosmetica sarebbero opportune verifiche. Innanzi tutto, esse vengono riprese acriticamente da fonti islamiche (ad esempio, dal Global Islamic Financial Report del 2015), fonti che han tutto l’interesse a parlare in termini trionfalistici della propria merce, seguendo una delle leggi fondamentali del marketing. Però non si limitano a questo: si spingono a parlare in termini entusiastici anche dell’“incontenibile” avanzata dell’islam nel mondo, vantando un «tasso di crescita medio del 3% su base annua», il che cozza frontalmente coi dati occidentali, che parlano viceversa di 6 milioni di musulmani ogni anno convertitisi al Cristianesimo, nonché della massa di rifugiati richiedenti il Battesimo appena giunti in Occidente. Ma si sa, le guerre ideologiche ed economiche si combattono anche a colpi di propaganda ed evidentemente la finanza islamica non fa eccezione.

L’articolo apparso su Kosmetica si presenta, infatti, come un gigantesco spot dei prodotti “halal”: così esalta «il nuovo paradigma di riferimento» e «la crescita a due cifre del settore», in grado, secondo la rivista, di determinare «nuovi stili e comportamenti di consumo tra la popolazione musulmana»,nonché «molte opportunità nel mercato dei prodotti e dei servizi halal per le imprese che le sapranno cogliere».

Regole insostenibili

Un futuro “radioso” frenato, tuttavia, dalle proprie, stesse regole. Che, ad esempio, non accettano, in ambito cosmetico, né gli additivi, né gli emulsionanti, né il processo produttivo. A meno che materie prime, ingredienti e formule non siano stati prima “certificati” da apposite “authority” islamiche, autoreferenziali, presso le quali regnano sovrane confusione ed anarchia. La stessa rivista, così prodiga di commenti entusiastici verso l’islam, evidenzia come non sia semplice trovare regole chiare e certe: «I Paesi del Golfo, Malesia e Indonesia – è scritto – applicano standard rigorosi, gli ultimi due hanno organi statali preposti». Secondo l’Esma-Emirates Authority for Stan-

dardisation & Metrology, ad esempio, persino logo e pubblicità dell’azienda produttrice devono essere “halal”. Altri Stati, viceversa, risultano molto più permissivi. Difficilmente il mercato occidentale potrà recepire questo singolare modus operandi, condizionato da criteri non nostri. Quel che è certo è il coinvolgimento ormai anche di imprese italiane nelle produzioni “halal”, destinate tanto al mercato interno (per lo più, farmacie e supermercati) quanto a quello estero, specie in Paesi come la Russia e l’India. Ormai c’è chi ci mangia su queste cose e tutto va di conseguenza, anche settori insospettabili quale quello dell’informatica: ebbene, è stato messo a punto da una ditta veronese un apposito software per l’organizzazione dei processi produttivi, anche al fine di ottenere la certificazione halal.Tutto questo, senza tener conto del costo di simili operazioni commerciali in termini di perdite identitarie e di sconfitte culturali.

Un rischio al momento sottostimato, ma che rischiamo di dover pagare un giorno con gli interessi. Perché è vero, gli affari sono affari; però occorre anche tener conto del tipo di clientela e valutare i compromessi richiesti.

Sulle stesse cifre pubblicate dalla rivista Kosmeticaa proposito della cosmesi halalsarebbero opportune verifiche: vengono infatti riprese acriticamente da fonti islamiche (ad esempio, dal Global Islamic Financial Report), fonti che han tutto l’interesse a parlare in termini trionfalistici della propria merce, seguendo una delle leggi fondamentali del marketing.

Le fonti finanziarie islamiche si spingono a parlare, in termini entusiastici e propagandistici, anche dell’"incontenibile” avanzata dell’islam nel mondo, vantando un «tasso di crescita medio del 3% su base annua», il che cozza frontalmente coi dati occidentali, che parlano viceversa di 6 milioni di musulmani ogni anno convertitisi al Cristianesimo (nella foto).

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