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Come si diffonde il brand“califfato” di Rodolfo de Mattei

Come si diffonde il brand“califfato”

I vertici dell’Isis sono ben consapevoli delle enormi potenzialità della Rete e per questo negli ultimi tempi ha incentrato e intensificato qui la propaganda, conquistando così i cuori e le menti di giovani musulmani sparsi in tutto il mondo (nella foto).

L’Isis conosce le enormi potenzialità della Rete e le sfrutta: per questo negli ultimi tempi ha incentrato e intensificato la propria propaganda su tali piattaforme, capaci di veicolare il messaggio in modo facile e immediato ad ogni angolo del globo, nonché di conquistare i cuori e le menti di giovani musulmani sparsi in tutto il mondo. Ogni giorno appaiono sui social oltre 90.000 messaggi pro-Isis, trasformando l’ideologia in contagio virale. Che fare? Rodolfo de Mattei

Igiovani appartenenti alla cosiddetta “Millennial generation” ovvero i nati dopo la fine del millennio scorso si trovano a vivere in un mondo surreale, interconnesso 24 ore su 24. Smartphone, portatili, tablet, sempre nuovi devices e applicazioni permettono infatti alle nuove generazioni di essere sempre on line e a portata di click per ogni tipo di informazione. Le piazze reali come luoghi di influenza ed aggregazione sono state rimpiazzate da fredde e distanti piazze virtuali, dove è possibile entrare in contatto e “chattare” con chiunque, standosene comodamente seduti a casa.

Il World Wide Web ossia l’insieme delle pagine caricate sulla rete, di cui si sono festeggiati i 25 anni lo scorso 7 agosto, ha rivoluzionato profondamente la nostra società e il nostro vivere quotidiano. Oggi il web è “abitato” da 3,5 miliardi di persone, una cifra pari a quasi la metà della popolazione mondiale ed è divenuto il principale strumento di informazione e comunicazione. Secondo il Pew Research

Center’s Social Networking Fact Sheet, l’89% degli adulti tra i 18 e i 29 anni utilizza le piattaforme di social media come Facebook, Twitter e YouTube.

Strategia on line dell’Isis

I vertici dell’Isis sono ben consapevoli delle enormi potenzialità della Rete e per questo negli ultimi tempi hanno incentrato e intensificato la propaganda su tali piattaforme, capaci di veicolare il messaggio in maniera facile e immediata ad ogni angolo del globo e conquistare così i cuori e le menti di giovani musulmani sparsi in tutto il mondo.

A conferma di ciò, Hillary Mann Leverett del National Security Council statunitense, nel febbraio 2015, ha sottolineato come ogni singolo giorno venga pubblicati sui social media l’inquietante numero di 90.000 messaggi proIsis.

Aymeen Jawad al-Tamimi, un ricercatore della Oxford University, che dal 2011 segue on line ogni mossa del “califfo” Abū Bakr al-Baghdādī, sottolinea l’esistenza di una pianificata e collaudata strategia di proselitismo on line da parte dell’Isis: «Si serve del web per diffondere in maniera sofisticata e professionale l’invito alla jihad, adoperando non solo i siti estremistici tradizionali, ma anche i social network e riuscendo a trasformare la sua ideologia in un contagio».

Dalle audio e videocassette di al-Qaida, confezionate in maniera amatoriale, si è passati dunque, nel giro di pochi anni, alla realizzazione di video altamente professionali, studiati nei minimi dettagli. Secondo Mubin Shaikh, un ex-reclutatore di guerriglieri talebani, divenuto collaboratore della sicurezza canadese, i filmati pubblicati on line dall’Isis sono di qualità tale da non poter essere realizzati unicamente a Raqqa o a Mosul: «Da qui l’ipotesi, all’esame di più agenzie antiterrorismo, che l’Isis sia riuscita a creare in Europa e in Nordamerica dei centri di produzione di propaganda digitale, pensata e realizzata per fare breccia nei musulmani e nei convertiti europei».

La produzione dei video

Greg Miller e Souad Mekhennet hanno pubblicato un’interessante inchiesta sul Washington Post, intitolata Inside the surreal world of the Islamic State’s propaganda machine, basata soprattutto sulle dirette testimonianze di affiliati ed ex-affiliati dell’Isis, inchiesta nella quale vengono illustrate le meticolose tecniche di produzione di video: «Le videocamere, i computer e il resto dell’equipaggiamento video arrivano regolarmente dalla Turchia. Il materiale viene consegnato a una divisione [dell’Isis] che si occupa di media e che è dominata dagli stranieri – tra cui c’è almeno un americano, stando alle interviste raccolte – la cui abilità di produzione dei video spesso deriva da precedenti lavori a canali di news o società di tecnologia».

Aymeen Jawad al-Tamimi (nella foto), un ricercatore della Oxford University, che dal 2011 segue on line ogni mossa del “califfo” Abū Bakr alBaghdādī, sottolinea l’esistenza di una pianificata e collaudata strategia di proselitismo on line da parte dell’Isis su web e social: «Riesce a trasformare la sua ideologia in un contagio», afferma.

Dalle audio e videocassette amatoriali di alQaida si è passati, nel giro di pochi anni, alla realizzazione di video altamente professionali (nella foto). L’ipotesi è che l’Isis sia riuscita a creare in Europa e in Nordamerica dei centri di produzione di propaganda digitale.

Oltre al web ed ai social, l’Isis ha anche una seguitissima stazione radio in più lingue, al Bayan, una casa editrice, al Himma Library, e un mensile in lingua inglese, Dabiq(nella foto).

L’ammissione di nuove reclute nella divisione media è un processo particolarmente rigoroso e controllato: «L’Isis ha messo in piedi un programma specializzato per insegnare come fare i video, come fare un mix delle immagini girate e che tono di voce usare nei filmati. Alla fine del corso ai nuovi membri viene data una camera Canon, uno smartphone Galaxy e un incarico nel gruppo centrale che si occupa di media nella sede di Raqqa, la città siriana considerata capitale dell’Isis».

La propaganda

Charlie Winter, un analista specializzato sull’Isis e sul suo utilizzo della Rete, ha spiegato, in un altrettanto interessante documento dal titolo Documenting the Virtual ‘Caliphate’, i meccanismi di funzionamento della propaganda del gruppo.

Nel suo studio, pubblicato dal think tank britannico Quilliam Group, Winter ha monitorato 24 ore su 24 dal 17 luglio al 15 agosto 2015 le attività on line dell’Isis, registrando un totale di 1.146 contenuti pubblicati su Internet tra foto, video e messaggi audio. Il volume di output riscontrato ha di gran lunga superato le aspettative. L’autore osserva infatti di aver riscontrato una “disseminazione” quotidiana pari a 38,2 contenuti diffusi da ogni angolo del “califfato” islamico.

Il materiale analizzato dallo studioso del Quilliam Group è stato prodotto da 36 uffici media differenti, facenti tutti capo alla sede centrale della divisione, che si trova a Raqqa, in Siria. Nella sua ricerca, Winter ha potuto notare un alto livello di professionalità e coordinamento tra i vari uffici dislocati in tutto il Medio Oriente, cosicché, ad esempio, da un giorno all’altro tutti i video pubblicati on line dall’Isis venivano aggiornati con il nuovo logo non appena questo venisse prodotto dalla sede centrale della divisione media. L’intelligence statunitense ha ricostruito la struttura gerarchica della macchina propagandistica islamica. A capo della divisione media dell’Isis vi è il portavoce del “califfato”, dal quale dipendono gli altri organi centrali di propaganda: al Furqan, al I’tisam, Ajnad Foundations e al Hayat Media Center. Oltre a ciò, l’Isis ha anche una seguitissima stazione radio in più lingue, al Bayan, una casa editrice, al Himma Library, e un

mensile in lingua inglese, Dabiq, che prende il nome da una località nel nord della Siria, Marj Dabiq, dove nel 1516 l’esercito ottomano sconfisse i Mamelucchi egiziani. In questo luogo, secondo uno degli hadith più volte citati da Abu Musab al-Zarqawi, avverrà una «nuova battaglia» destinata a far «trionfare l’islam sugli infedeli portando al dominio del mondo e alla fine dei tempi».

Accanto alle fonti ufficiali vi è inoltre Amaq News Agency, una pseudo-agenzia giornalistica ultimamente distintasi per il fatto di dar per prima le notizie sulla jihad, facendo presumere di avere contatti diretti col “califfato”.

Amaq utilizza Telegram, la app per smartphone coperta da codici di crittografia, per dare breaking news ed esclusive, incentrate sulle azioni dell’Isis. Rukmini Callimachi, analista ed esperta corrispondente dal Medio Oriente del New York Times, sottolinea come i “giornalisti” di Amaq mascherino il loro lavoro con una «patina di oggettività» ossia spiega: «Gli aggressori di Jakarta erano descritti come “combattenti dell’Isis” piuttosto che “soldati del califfato”. Le vittime sono “cittadini stranieri” piuttosto che “crociati”».

Queste sono le fonti a cui fanno riferimento i media occidentali, per ritenere credibili i proclami di lotta e le rivendicazioni di attentati da parte dell’Isis.

Twitter, Telegram e dintorni

Per quanto riguarda i social media, le piattaforme maggiormente utilizzate dall’Isis per diffondere il proprio materiale di propaganda sono il popolare social network Twitter e il già citato servizio di messaggistica istantanea Telegram. Nel corso degli ultimi due anni, altre note piattaforme come YouTube e Facebook sono infatti riuscite a limitare molto la propaganda dell’Isis. Altri social network, tra cui Twitter, non sono riusciti a fare altrettanto. A questo proposito, Charlie Winter chiarisce come non sia sufficiente bloccare gli account, in quanto i contenuti possono essere facilmente raggiunti anche semplicemente attraversol’hashtag con il quale sono stati pubblicati: «non si tratta solo di bloccare gli account principali di propaganda, soluzione che peraltro è stata adottata da diverso tempo: finora Twitter non ha né sospeso né bloccato gli hashtag a cui si può risalire tramite la normale funziona “cerca” del social network, permettendo a chiunque abbia pazienza di risalire a tutto il materiale su quell’argomento messo on line dall’Isis. In pratica l’Isis ha cominciato a diffondere la propaganda su molti account Twitter in maniera “decentrata e diffusa”: questi account solitamente non hanno migliaia di follower e sono più difficili da rintracciare, ma grazie al particolare uso degli hashtag riescono ad essere comunque molto efficaci».

Negli ultimi mesi molte delle attività dell’Isis si sono trasferite però su Telegram, un’applicazione considerata molto “sicura”, in quanto i messaggi vengono criptati: permette alla divisione media del gruppo terroristico di diffondere tramite il proprio canale i suoi messaggi in modalità “broadcast” a un numero illimitato di membri. Altra peculiarità di Telegram, molto “apprezzata” dai guru della comunicazione dell’Isis, è che essa permette di utilizzare anche un sistema che prevede la cancellazione del messaggio una volta inviato e arrivato al destinatario.

Gli ultimi attentati hanno ovviamente determinato un’ulteriore stretta e giro di vite sulla Rete e sui social media da parte dei maggiori Players e dell’Intelligence internazionale, ma finora l’Isis è riuscito a cambiare prontamente piattaforma nel momento in cui l’uso di quella precedente venisse limitato da nuove politiche restrittive. Una scontata e logica mossa resa possibile dall’architettura decentralizzata, senza alcun controllo e comando centrale, della “babele telematica” del World Wide Web.

Le piattaforme maggiormente utilizzate dall’Isis per diffondere il proprio materiale di propaganda sono il popolare social network Twitter (nella foto) ed il già citato servizio di messaggistica istantanea Telegram.

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