6 minute read

Il virtuale, una fuga dal reale di Tommaso Scandroglio

Il virtuale, una fuga dal reale

Come Narciso si specchiava nell’acqua, vedendo riflessa la propria effigie, così oggi milioni e milioni di giovani si specchiano nei propri selfie, nei loro smartphone, sui loro pc, nei social. Ma il loro destino potrebbe essere lo stesso, affogarsi e perdersi nella propria immagine ovvero solipsismo, mancanza di relazione, autoreferenzialità, egoismo, egotismo, costante contemplazione estatica di sé. Per non parlare delle molte, gravi insidie della “rete”...

Tommaso Scandroglio

La carta di identità dei teenagers e dei giovani sulle due facciate riporta da una parte lo smartphone e dall’altra internet, in specie i social network. Questi due mondi sono realmente le due facce della stessa medaglia, tra loro comunicanti, ed offrono una suggestiva sintesi della personalità dei cosiddetti nativi digitali, cioè di coloro i quali sono nati nell’era del digitale, sintesi che rivela molto degli interessi degli under 30 e che disegna un profilo accurato di una nuova antropologia del giovane 2.0.

Internet, è cosa nota, ha creato una realtà virtuale, complessa, organica, pervasiva e ormai accessibile non solo dal pc, ma anche dagli smartphone, dai tablet e da altri supporti. I termini che usiamo per indicare le operazioni on line rivelano che siamo di fronte ad un mondo inteso proprio come spazio ma non fisico: viaggiare in rete, spazio di memoria, andare su quel sito (e il termine “sito” è un sinonimo di “luogo”), entrare ed uscire dalle applicazioni eccetera, tutti verbi o sostantivi “logistici”.

Ma quanto tempo in fumo!

I ragazzi non di rado trovano più attraente questo nuovo spazio immateriale rispetto al cosiddetto mondo reale e vi dedicano molte ore quotidianamente per frequentarlo: inseriscono post su Facebook, chattano con gli amici, fanno acquisti, guardano video su Youtube, comunicano con la posta elettronica, inviano messaggi usando Whatsapp–che ha soppiantato i vecchi sms –, fanno ricerche su Google, ascoltano musica, scaricano film, giocano in rete e molto, molto altro ancora. Di per sé queste sono operazioni buone, ma i pericoli sono tanti. I siti pornografici sono di facile accesso, le notizie che corrono in rete non sono filtrate da nessuno e quindi le menzogne sovrabbondano,

Si comunica per ore con un amico inviando messaggi, ma poi di persona non si ha il tempo per parlarsi cinque minuti. Si hanno mille amici su Facebook, ma nessuno vero con cui confrontarsi guardandosi negli occhi. Internet spesso non favorisce la comunicazione, bensì l’incomunicabilità.

I ragazzi non di rado trovano più attraente lo spazio immateriale del mondo reale e vi dedicano molte ore al giorno: Facebook, chat, acquisti on line, Youtube, mail, Whatsapp, Google e molto altro ancora. I pericoli sono tanti: i siti pornografici di facile accesso, le notizie non verificate, spiacevoli incontri sui social e via elencando. le conoscenze nate sul Web possono esporre soprattutto i giovanissimi a spiacevoli incontri, eccetera.

L’incomunicabilità della “chat”

Ma c’è un altro pericolo: la fuga dalla realtà. Lo smart phone diventa un rifugio permanente. Appare curioso, ma anche preoccupante, constatare che la maggior parte dei ragazzi in giro per strada, in metro, sui treni ha costantemente in mano il proprio smartphone ed è completamente immerso nel suo uso. La realtà circostante evapora e si assistono a scene paradossali: cinque o sei amici seduti gli uni vicini agli altri, ma che non parlano perché troppo concentrati a giocare oppure a chattare con i servizi di messaggistica istantanea con amici lontani da loro. èun effetto straniamento assai diffuso. Si comunica per ore con un amico inviando messaggi, ma poi di persona non si ha il tempo per parlarsi cinque minuti. Si hanno mille amici su Facebook, ma nessuno vero con cui confrontarsi guardandosi negli occhi. Internet spesso non favorisce la comunicazione, bensì l’incomunicabilità.

I rischi della “rete”

Ciò accade perché la realtà virtuale offre ai suoi internauti strumenti utili per accrescere sempre più l’individualismo. In primis abbiamo l’anonimato (o presunto tale, dato che Google, Microsoft, Amazon, eccetera, hanno in mano moltissime informazioni su di noi): il ragazzo può visitare un sito pornografico e, se abbastanza capace nell’utilizzo del computer, non lasciare alcuna traccia di questa sua visita rinvenibile ai genitori (posto che questi controllino il suo pc). Può inventarsi una seconda vita. Famigerato è stato l’esperimento, poi naufragato, della piattaforma Second life, dove ciascuno di noi poteva inventarsi un altro io, affascinante, riuscito professionalmente, brillante, eccetera, il quale “viveva” in una città inesistente ma assai realistica. Più banalmente il desiderio di essere altro da sé – che è il lato oscuro della non accettazione di sé – porta il ragazzo a presentarsi sulle chat con profili falsi, cam-

biando nome, descrizione fisica, tipo di studi e di interessi, persino mostrando in rete una foto che non è la propria. L’anonimato permette quindi di cambiare senza sforzo: il desiderio di diventare “qualcuno” si realizza subito, è a portata di click. Internet ti offre la possibilità di cullarti nel sogno di essere onnipotente.

Deformato anche il mondo reale

Tutto (o quasi) per un “like”

Altra opportunità per sfamare il demone dell’individualismo è offerta dal fatto che i nuovi media sono strumenti più visivi che di lettura, soddisfacendo così le ansie narcisistiche dei teenagers. Paradigmatico è il caso di Facebook. Il termine “facebook” in inglese indica l’annuario fotografico delle scuole in cui gli studenti vengono immortalati a futura memoria. Il desiderio di rendere pubbliche le foto di una gita al mare, di un piatto consumato al ristorante, del nuovo scooter acquistato e di altre banalità simili si spiega in buona parte facendo riferimento al bisogno narcisistico di essere notati, letti, apprezzati (i famosi “like”). Le bacheche sono vetrine per essere al centro dell’attenzione. La conoscenza ricercata non è più quella vera che va da cuore a cuore e da mente a mente e che riguarda l’intimo della persona – propria degli amici –, ma quella falsa e superficiale del prendere nota di un mero fatto («ho visto la tua foto, ho letto il tuo post») – propria dei fan, dei followers. I ragazzi cercano estimatori, non amici. Ecco allora il successo di un sito come Instagram, che è né più né meno di una raccolta fotografica di ogni utente. Ecco spiegata la moda dei selfie: come Narciso si specchiava nell’acqua, perché vedeva riflessa la propria effigie, così milioni e milioni di giovani si specchiano nelle proprie foto e il loro destino potrebbe, ahinoi, essere molto simile a quello di Narciso, che affogò nella propria immagine. Il rischio è quello del solipsismo, della mancanza di relazione (gli altri si cercano solo per ottenere “like”), dell’autoreferenzialità, dell’egoismo e dell’egotismo, cioè della costante contemplazione estatica di sé. Chi cerca solo se stesso, si perde, muore in sé. Il giovane che guarda lo schermo del proprio smartphone rimanda plasticamente allo sterile ripiegamento su se stesso.

Ma non c’è solo la dinamica della fuga della realtà –troppo cruda, troppo esigente, così spietata che interroga costantemente la coscienza del ragazzo sui suoi limiti –, dinamica che va dal mondo reale allo schermo del pc, bensì anche quella della cosiddetta «realtà aumentata», cioè la sovrapposizione del virtuale al reale, che va dal pc al mondo vero. Paradigmatico il gioco per smartphone Pokémon Go, una app che fa comparire in giro per strada, nei parchi, nei luoghi pubblici delle creature immaginarie, che dobbiamo poi catturare. Se un tempo c’erano le droghe per evadere dal mondo considerato inadeguato alle nostre aspettative, ora il virtuale può diventare in questo senso un valido succedaneo per scappare da sé, dagli altri e in fondo anche da Dio. 

I ragazzi cercano estimatori, non amici. Ecco allora il successo di un sito come Instagram, che è né più né meno di una raccolta fotografica di ogni utente.

This article is from: