AMORE E PSICHE
Come la scienza indaga il sentimento più potente
Orizzonti della politica. Dov’è finita la salute mentale?
Quanto durano le terapie per ansia e depressione
Giovani troppo
social, il cervello viene alterato Con i contributi di Aloisi, Cargioli, Marazziti, Maremmani, Pagnini, Piccinni, Pietrini, Tundo.
Anno IV | N. 2 | Febbraio 2023
Amore, malattie, guarigioni e incredibili imprese
Febbraio è il mese degli innamorati ed è per questo motivo che abbiamo pensato di dedicare il primo piano del nostro magazine all’amore.
All’interno troverete l’argomento visto da differenti angoli di prospettiva.
Per quanto mi riguarda ho pensato di raccontarvi una storia vera che è a metà tra un caso clinico ed una storia di vita.
Elena è una giovane donna di 35 anni, schiva, riservata, introversa.
Fin da bambina era stata etichettata dai suoi genitori come una bimba “perfettina”, una scolara brava e puntuale. Elena era una bimba precisa, meticolosa, in alcuni ambiti perfezionista. In seguito, divenne un’adolescente bella, delicata ed estremamente gentile ed educata.
Anche ora porta a termine i suoi compiti lavorativi con diligenza. È misurata in tutto anche nell’alimentazione. Magra e slanciata, elegante nel portamento è gentile nei modi.
È molto brava nel suo lavoro ed è molto stimata dai colleghi di ufficio.
Ama avere tutto sotto controllo. A volte sente più forte del solito la tendenza alla dubbiosità ed all’indecisione che la frena fino a volte a bloccarla per la paura di poter sbagliare.
È una mamma amorevole ma non riesce ad essere spontanea come vorrebbe. È sempre molto controllata ed il suo amore vive dentro di lei con forza e calore ma lascia trasparire molto poco all’esterno. Chi non la conosce bene potrebbe definirla in certe situazioni “algida”.
Maneggia i propri sentimenti con difficoltà e fa fatica ad esternare con naturalezza emozioni e stati d’animo. Le effusioni verso Marco, suo marito, non sono mai state il suo forte anche se a volte le piacerebbe tanto riuscire ad avere uno slancio di spontaneità. La paura di essere eccessiva o addirittura di perdere il controllo ed esagerare è sempre stata presente nella sua testa, in tutte le situazioni della sua vita.
Anche il desiderio di abbracciare e baciare Sandra ed Alessia, le sue due bambine, sono per lei sempre state un ostacolo da superare.
Elena e Marco si erano conosciuti sul posto di lavoro circa 15 anni fa. Lui aveva un temperamento completamente diverso. Si potrebbe quasi dire la copia speculare di Elena. Allegro ed estroverso, solare e chiacchierone, aveva sin da subito corteggiato Elena perché era stato attratto dalla sua bellezza ma al contempo da quel fascino miste-
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EDITORIALE
di Armando Piccinni
rioso che le persone come Elena emettono. Sono proprio le persone come Marco - gioiose, scherzose e spensierate - che subiscono una particolare attrazione verso questo fascino silenzioso e indecifrabile.
Dopo un breve fidanzamento i due si sono sposati e hanno avuto nel giro di pochi anni due femminucce.
Le cose andavano bene. Marco era pieno di vitalità ed iniziativa. Riusciva a far sorridere e divertire Elena. Era un forte lavoratore e soddisfaceva appieno le esigenze della famiglia. Era molto innamorato di Elena e non perdeva occasione per dimostrarglielo con continue attenzioni, piccoli regali, grandi manifestazioni di affetto.
Con facilità intraprendeva nuovi progetti, anche se a volte appariva un po’ facilone e superficiale. Talvolta si comportava come se non riuscisse ad avere chiare le conseguenze delle sue azioni. Il suo pensiero era, a volte, talmente veloce che passava direttamente dalle premesse alle conclusioni.
Faceva amicizia con grande facilità e spesso invitava a cena persone anche conosciute da poco con cui familiarizzava in maniera entusiastica ed un pò impetuosa.
A porgli un freno ci pensava Elena, riflessiva ed analitica, cercava di riportare Marco lontano dai binari dell’entusiasmo e dell’impulsività che lui mostrava nell’intraprendere nuove iniziative. Lei era in grado di offrire un ampio ventaglio di come le cose si sarebbero
potute evolvere, aveva una grande capacità di prevedere possibili sviluppi. È vero che la predittività di Elena aveva spesso un colorito pessimistico ed una naturale tendenza verso la diffidenza. C’è però da aggiungere che le sue previsioni erano molto spesso vicine alla realtà.
I due, nei primi anni di matrimonio, erano apparsi come l’esempio dell’incastro perfetto: Elena controllata, misurata, precisa ed analitica, con il ruolo di catalizzatore dell’impulsività di Marco; e lui vulcanico, pieno di vitalità ed energia, sempre allegro, con una grande capacità di comunicare e di risultare simpatico alla maggior parte delle persone che avevano a che fare con lui.
Con il passare del tempo però cominciarono ad apparire segnali nuovi e preoccupanti. Elena si era accorta che Marco aveva sempre meno bisogno di sonno, dormiva poche ore per notte. Forse la colpa erano tutti quei caffè che beveva e che nell’ultimo periodo gli era sembrato che fossero sempre di più. Anche le spese erano aumentate: Marco acquistava su internet le cose più disparate. Non passava giorno che non arrivasse un pacchetto, un plico, una busta con qualcosa che Marco aveva acquistato sul web. Elena aveva cominciato ad accorgersi che i guadagni di Marco non erano più sufficienti al menage familiare. Le bambine stavano diventando più grandi ed avevano bisogno di tante cose. Marco sembrava più concentrato su se stesso che sulla sua famiglia rispetto al passato. Era diventato anche sempre più nervoso, irritabile ed in occasioni che si erano fatte sempre più frequenti aveva cominciato ad alzare il gomito. Elena era addolorata da questo comportamento ma portava avanti la sua azione di mamma amorevole dedita alle figlie ed alla loro educazione. Erano inoltre cominciati i litigi. I due discutevano per motivi anche futili. Elena cercava di smorzare l’aggressività di Marco con i silenzi e la sopportazione.
Un brutto giorno accadde qualcosa che avrebbe cambiato la loro vita.
Elena ricevette una telefonata dalla vicina stazione dei carabinieri. Marco era sta-
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EDITORIALE
to trovato in condizioni di agitazione e di confusione in una strada del centro mentre inveiva contro i passanti. Era stata chiamata un’ambulanza e Marco era stato ricoverato in trattamento sanitario obbligatorio nel reparto di psichiatria della sua città.
Fin qui la storia Di Elena e Marco. Cos’era successo nella testa di Marco? Perché c’è stata questa progressione di eventi negativi?
Quello che ho descritto è l’evoluzione di un temperamento affettivo, che si chiama temperamento ipertimico, verso un disturbo dell’umore, diagnosticato come Disturbo Bipolare. La fase di confusione-agitazione che porta Marco al ricovero è un episodio di eccitamento maniacale che caratterizza la fase euforica del disturbo bipolare tipo I.
Ho raccontato questa storia non a caso. Durante la mia vita come psichiatra ho visto tantissime volte delle bellissime unioni d’amore essere lacerate e distrutte dalla malattia mentale di uno dei due coniugi.
Alcune volte l’evoluzione inevitabile è la separazione e l’allontanamento dell’uno dall’altro. In quel caso il legame si sgretola, si esaurisce e muore.
Ho anche visto però tante situazioni (quando l’amore era più grande e profondo, mi piace pensare) in cui si percepiva la voglia di affrontare e battere la malattia, riuscire a vincere il male e tirare il proprio innamorato fuori dalla sofferenza, di riportare l’intera famiglia in una condizione di serenità e di pace più forte forse di quanto non lo fosse mai stato in precedenza.
Elena dopo il ricovero di Marco ha profuso verso di lui tutto il suo amore. Lo ha fatto sentire al centro della sua vita e di quella delle loro figlie. Marco ha così percepito che doveva farsi aiutare ed aiutarsi perché tre persone che lo amavano glielo stavano chiedendo.
Il senso del discorso sta forse proprio in questo. La nostra vita emotiva racchiude enormi forze e spinte, energie incredibili vivono e si muovono nella nostra mente.
L’amore è di sicuro la rappresentazione più alta e potente della nostra vita emotiva. Muove le montagne. E questo mi sento di
dirlo per quello che nella mia esperienza clinica ho visto e imparato attraverso i pazienti.
Esiste un’enorme differenza della prognosi - la previsione di guarigione - tra i pazienti che sono amorevolmente sostenuti dai coniugi, dai genitori, dai figli, dai familiari, tra chi invece non ha tutto questo sostegno. Il futuro dei pazienti soli o che vivono situazioni di abbandono ed isolamento o peggio, di tensione e di paura, è infinitamente più buio di chi ha l’amore intorno a sé.
Lì dove le cure migliori non riescono ad abbattere le malattie, l’amore può essere un alleato potentissimo di aiuto e progressione verso la guarigione. Quando l’amore è presente può fare la differenza tra salute e malattia.
L’amore è forse in alcuni casi la cura più potente che c’è.
P.S.: Per chi fosse interessato, l’epilogo della storia di Elena e Marco è a lieto fine. Marco ora sta bene. Prende uno stabilizzatore dell’umore che si chiama litio e la sua vita, quella di Elena e delle due figlie sono nuovamente serene. Con un valore aggiunto: quello della consapevolezza che la gioia e l’armonia quando è il frutto di una vittoria ha un sapore più dolce e più profondo.
L’Amore è lì che li spia da lontano con la soddisfazione di aver compiuto un’altra delle sue incredibili imprese.
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EDITORIALE
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è raccomandata e gratuita per le ragazze e i ragazzi a partire dagli 11 anni di età.
SOMMARIO
EDITORIALE
Amore, malattie, guarigioni e incredibili imprese di Armando Piccinni
PRIMO PIANO
Come nasce nel cervello il sentimento dell’amore di Donatella Marazziti
La “love addiction”, quando l’amore diventa una malattia di Maria Stella Aloisi e Icro Maremmani
Brain
Anno IV | N. 2 | Febbraio 2023
Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca
Diffusione: www.fondazionebrf.org
Direttore responsabile: Armando Piccinni
Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca
Brain Feb 2023 7 AMORE E PSICHE Come la scienza indaga il sentimento più potente Anno IV | N. 2 | Febbraio 2023 Orizzonti della politica. Dov’è finita la salute mentale? Quanto durano le terapie per ansia e depressione Giovani troppo social, il cervello viene alterato Con contributi di Aloisi, Cargioli, Marazziti, Maremmani, Pagnini, Piccinni, Pietrini, Tundo.
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Facciamolo strano! Perversione e sessualità atipica nella coppia di Giovanni Pagnini
Cibo, amore e… disturbi della condotta alimentare di Claudio Cargioli
POLITICA
Salute mentale ancora fuori dai radar della politica italiana di Stefano Iannaccone
L’APPROFONDIMENTO
Cellule staminali neurali: un possibile trattamento per la sclerosi multipla? di Valentina Formica
CONTRIBUTO
La cura dei disturbi mentali è per sempre? di Antonio Tundo
NEUROSCIENZE
Chi cammina nel verde usa meno farmaci per ansia e depressione di Antonio Acerbis
Scoperto il gene responsabile dell’autismo di Alberto Volpi
L’uso compulsivo dei social può alterare il cervello dei teenager di Alessia Vignoli
Sei minuti di attività fisica per combattere l’Alzheimer di Francesco Carta
FILM
The Fabelmans: chi è veramente il grande regista? di Chiara Andreotti
LIBRI
Un matrimonio, un omicidio e Parigi. Questo è amore di Flavia Piccinni
PODCAST
Fare luce sulla storia tra manipolatori e predatori di Flavia Piccinni TITOLI DI CODA
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Individuato l’interruttore genetico delle abbuffate di Francesco Carta 30 42 45 48 50 30 26 34 38 46
Intelligenza, ovvero...? di Pietro Pietrini 56 55 54 52 30
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COME NASCE NEL CERVELLO IL SENTIMENTO DELL’AMORE
Fin dove possiamo riuscire a comprendere razionalmente le nostre emozioni?
di Donatella Marazziti*
*Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sezione di Psichiatria Università di Pisa, Saint Camillus- Unicamillus University of Medical Sciences, Roma
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“Gli uomini devono sapere che dal cervello e solo dal cervello derivano piacere, gioia, riso, scherzo, così come tristezza, pena, dolore e paure. Grazie al cervello noi possiamo pensare, vedere, sentire”. (Ippocrate, V sec. A.C)
Senza dubbio l’affermazione di Ippocrate, uno dei medici più famosi dell’antichità ed a cui si attribuisce il giuramento tuttora declamato dai neolaureati in Medicina, può sembrare confortante, perché fa pensare che praticamente da sempre si sapesse che il cervello è la sede delle emozioni, in effetti non è così: per lungo tempo, emozioni e pensiero sono stati a lungo considerati espressioni di processi diversi, localizzati in organi distinti e, quindi, profondamente antitetici.
Per quanto riguarda l’amore, gli antichi greci ritenevano che fosse necessario l’intervento di un dio, Eros, che si divertiva a scagliare le sue frecce sui miseri mortali, rendendoli schiavi della passione, come se l’amore dipendesse da un fattore esterno all’uomo, in grado di soggiogarlo contro la sua volontà. Eros è un dio antichissimo, la cui creazione sarebbe contemporanea a quella della terra, emergendo entrambi dal caos primordiale, oppure la sua origine viene fatta risalire all’uovo primitivo le cui metà danno origine alla terra ed al cielo: anche nel mito, si sottolinea che l’amore è una forza fondamentale del mondo, che nasce con esso, che serve ad assicurare non solo la continuità della specie, ma la coesione e l’armonia dell’universo intero. Col passare del tempo, Eros viene rappresentato con le sembianze di un bambino, eppure, sotto l’aspetto innocente, nasconde un’estrema crudeltà che si manifesta con le ferite laceranti delle sue frecce che non risparmiano né dei, né uomini.
chiaramente implicito in questa
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È
PRIMO PIANO
Gli antichi greci ritenevano che fosse necessario l’intervento di un dio, Eros, che si divertiva a scagliare le sue frecce sui miseri mortali, rendendoli schiavi della passione, come se l’amore dipendesse da un fattore esterno all’uomo, in grado di soggiogarlo contro la sua volontà.
PRIMO PIANO
concezione un giudizio negativo sul sentimento amoroso, che si estende anche alle altre emozioni, considerate di gran lunga inferiori al pensiero logico. Platone, così come tanti altri filosofi e poeti, si scaglia contro Eros nel “Convivio” e lo considera un demone nato da povertà ed espediente, sempre agitato ed insoddisfatto.
Anche Lucrezio, così come i seguaci di Epicuro, dà un giudizio negativo della passione amorosa, ma nello stesso momento, ce ne offre una descrizione altamente poetica e struggente.
Cartesio localizza la sede delle passioni nella ghiandola pineale o epifisi, quindi si assiste a un ritorno al cervello che da allora non è stato più messo in discussione.
DALLA FILOSOFIA ALLA SCIENZA
Se prima il dibattito era di competenza filosofica, nell’ultimo secolo si è andato progressivamente spostando in ambito scientifico e poi neuroscientifico, fino ai nostri giorni, in cui vediamo che la ricerca biologica non fa che aggiungere tasselli al complesso mosaico dei meccanismi nervosi delle emozioni.
A questo si é affiancata la consapevolezza moderna che il corpo è il teatro dove le emozioni si manifestano e che nessun stato d’animo può estrinsecarsi senza la stretta collaborazione tra sistema nervosa centrale, sistema nervosa autonomo e organi periferici. Ad esempio, sappiamo di essere innamorati perché ce lo dice la corteccia cerebrale che è in grado di interpretare nella maniera giusta il batticuore e la sensazione di svenimento che ci prende quando incontriamo il nostro partner e che sa distinguere benissimo che questo stato d’animo, pur presentandosi con le stesse modalità, non è la reazione da paura che proviamo quando siamo spaventati da qualcosa o qualcuno. Anche se l’amore nasce nel cervello, senza sintomi periferici non ci sarebbe nulla da inter-
pretare: questo vuol dire che il corpo è il teatro delle emozioni.
Quindi, solo dalla perfetta armonia ed integrazione delle varie componenti del nostro organismo derivano le emozioni ed i sentimenti e solo la corretta interpretazione che ne dà il nostro cervello ne rende possibile la consapevolezza, acquisizione umana che, a sua volta, è alla base della progettualità, della pianificazione delle strategie ed anche del controllo delle emozioni troppo dolorose, come avviene nel caso dell’ amore quando il sentimento non è ricambiato.
Come facciamo a dire che certe aree cerebrali e i neurotrasmettitori sono coinvolti nel sentimento amoroso?
Esiste tutta una serie di osservazioni che derivano da studi di lesione o rimozione chirurgica compiuti su animali, o effettuate su pazienti con gravi danni neurologici, dovuti a traumi cranici, interventi neurochirurgici per tumori estesi o ictus cerebrali.
Molto recentemente, i possibili substrati anatomici dell’amore sono stati esplorati con le più moderne tecniche di indagine della funzionalità cerebrale, quali la tomografia ad emissione di positroni (PET), ma siamo in una fase molto iniziale, anche se promettente. Sono stati comunque effettuati diversi esperimenti mostrando a soggetti innamorati la fotografia del partner o immagini neutre: non si può ancora concludere molto dai risultati di questi studi che non sono univoci, ma, senza dubbio, in futuro, assisteremo ad un uso sempre più ampio della PET in ambito sia di ricerca che clinico.
ESPERIMENTI E RICERCA
Mettendo insieme tutti i dati attualmente disponibili, possiamo dire che strutture come i lobi frontali, il lobo limbico e, in particolare, l’amigdala, l’ippocampo e le aree del setto, sem-
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brano svolgere un ruolo fondamentale nell’ elaborazione delle emozioni legate alla passione amorosa, anzi, qualche neuroscienziato parla di un vero e proprio circuito dell’amore che coinciderebbe con quello del cervello sociale. Non tutto il lobo frontale, però, sembra così importante, ma solamente le parti più anteriori, poste davanti all’ area che regola il movimento volontario, e che si chiamano prefrontale ed orbito-frontale. Individui con lesioni circoscritte in queste zone mostrano, infatti, un’ intelligenza normale, memoria e linguaggio immodificati, raziocinio pressoché intatto, ma una ridotta capacità di prendere una qualsiasi decisione, insieme ad un appiattimento delle emozioni e dei sentimenti. Anche i pazienti con depressione possono presentare un appiattimento affettivo, ma soffrono immensamente per questa condizione che si definisce “mancanza dei sentimenti” al punto che alcuni scelgono di suicidarsi piuttosto che sentirsi “già morti dentro”, come “gusci vuoti”, senza più affetto per i loro cari, come loro stessi riferiscono; al contrario, i pazienti con lesioni prefrontali non se
ne preoccupano affatto ed appaiono fatui, leggeri, senza nessuna risonanza o vibrazione emotiva.
Il ruolo dell’amigdala nell’elaborazione delle emozioni è emerso fin dai primi esperimenti compiuti su scimmie a cui venivano asportati chirurgicamente i due lobi temporali in cui sono contenuti appunto amigdala e ippocampo. Le scimmie apparivano docili, tendevano a toccare ogni oggetto visibile e a non riconoscerlo, mostravano un aumento della sessualità ed anche tendenze omosessuali e mangiavano in continuazione cibi anomali. Lesioni più circoscritte hanno evidenziato che la docilità sembra una caratteristica della distruzione di tutte e due le amigdale, la cui stimolazione provoca, invece, reazioni intense di paura e rabbia, associate a numerose modificazioni viscerali, come variazioni del battito cardiaco, della respirazione, della pressione arteriosa, identiche a quelle che si verificano in numerosi stati emozionali. Esistono descrizioni di pochi pazienti con lesioni limitate dell’amigdala che però sono molto interessanti: tali individui mostrano disturbi del comportamento
Se prima il dibattito era di competenza filosofica, nell’ultimo secolo si è andato progressivamente spostando in ambito scientifico e poi neuroscientifico, fino ai nostri giorni, in cui vediamo che la ricerca biologica non fa che aggiungere tasselli al complesso mosaico dei meccanismi nervosi delle emozioni.
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PRIMO PIANO
“Amore e Psiche”, gruppo scultoreo di Antonio Canova (1757-1822).
L’amore, dunque, è un processo complesso da un punto di vista neurobiologico con specifiche caratteristiche emozionali, comportamentali e cognitive, alcune delle quali sono presenti anche nei mammiferi.
La prima tappa dell’amore è l’innamoramento che è una specie di improvviso diluvio biochimico nel cervello con modificazioni drastiche dei neurotrasmettitori, quali serotonina, dopamina, nordrenalina e oppioidi endogeni.
emozionale e sociale ed, in particolare, manifestano una profonda alterazione della capacità di valutare gli aspetti più sottili e qualitativi delle emozioni ed il significato affettivo di quanto accade intorno a loro: si parla a questo proposito di “cecità affettiva”. Alcuni di questi pazienti non sanno distinguere i familiari dagli sconosciuti, non riescono a capire il significato delle espressioni facciali e restano indifferenti di fronte a fatti spiacevoli; inoltre sembra compromesso più il riconoscimento delle espressioni negative rispetto a quelle positive. Se il danno è più ampio e coinvolge la vicina corteccia del giro del cingolo, questi pazienti, oltre ai sintomi appena menzionati, non riescono più a piangere, un comportamento presente solo nella nostra specie, ma non se ne preoccupano, visto che non trovano mai nulla per cui piangere.
Oltre alla riduzione dei sistemi dell’ansia e delle paura, nonchè alla disattivazione delle aree che regolano il raziocinio e la logica, nell’estrinsecazione dell’amore entrano in gioco anche la motivazione e il piacere. Nel nostro cervello esistono però dei centri che sembrano coinvolti quasi esclusivamente nella regolazione del piacere e della gratificazione: si tratta delle aree del setto. Negli animali da esperimento la stimolazione di queste aree con elettrodi evoca le cosiddette reazioni da piacere: gli animali, inoltre, se liberi di autostimolarsi, trascurano ogni altro attività, perfino di mangiare e bere. Nell’ uomo non sono stati ancora trovati dei centri specifici del piacere, anche se le prime indagini effettuate con la PET, peraltro molto eterogenee, sembrano evidenziare che le emozioni positive possono attivare numerose aree cerebrali, oltre alle “classiche” aree del setto e del lobo limbico già menzionate, e in particolare il circuito dopaminergico che dai nuclei tegmentali va al nucleo accumbens e alla corteccia cerebrale.
LA PAURA SENZA PAURA
L’amore, dunque, è un processo complesso da un punto di vista neurobiologico con specifiche caratteristiche emozionali, comportamentali e cognitive, alcune delle quali sono presenti anche nei mammiferi. La prima tappa dell’amore è l’innamoramento che è una specie di improvviso diluvio biochimico nel cervello con modificazioni drastiche dei neurotrasmettitori, quali serotonina, dopamina, nordrenalina e oppioidi endogeni. Si tratta di una vera e propria reazione di allarme che diventa invece piacevole per l’intervento dei circuiti del piacere descritti poco sopra e che può durare a lungo grazie a una piccoola molecola che si chiama ossitocina. Potremmo quindi definire l’amore una paura senza paura.
È senza dubbio affascinante, e non fantascientifico, come qualcuno potrebbe pensare, sostenere che certe emozioni, come l’innamoramento e l’amore, vengano ricercate spontaneamente perché attivano dei circuiti cerebrali in grado di suscitare sensazioni positive che sono in grado di modulare anche il sistema immunitario e di promuovere il benessere e la salute dell’individuo.
Ancora più affascinante è constatare che si tratta di una ricerca spontanea: non ce lo deve insegnare nessuno che amare ed essere riamati rappresenta la gioia più grande della vita, superiore ad ogni gratificazione economica o successo personale, è una consapevolezza iscritta da sempre nella nostra memoria umana. A questo punto sorge spontanea una domanda: l’amore appartiene a quella piccola percentuale di geni che ci differenziano dagli altri mammiferi? Oppure è stato acquisito con l’evoluzione a partire dai primi umanoidi? O ancora è una proprietà che è emersa quando il nostro cervello ha raggiunto il suo attuale sviluppo?
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PIANO
PRIMO
SVILUPPI FUTURI
Non possiamo rispondere a queste domande in maniera esauriente: secondo noi, però, l’amore si manifesta quando appare la corteccia cerebrale che suscita la consapevolezza dell’esistenza dell’individuo come essere in grado di provare sentimenti e di discernerli qualitativamente gli uni dagli altri. La corteccia può, inoltre, mobilitare energie e meccanismi per attuare e far sviluppare l’ amore ed evocare la gioia che riesce a dispiegarsi quando questo sentimento si realizza pienamente, così come può suscitare il dolore dovuto alla sua mancanza o incompletezza. La gioia, o la sofferenza legata all’ amore, è così profonda e coinvolge così tante strutture cerebrali che può assorbire tutte le nostre energie psichiche e fisiche e penetrare così tanto il nostro essere che traspare dal nostro sguardo e dai nostri gesti: si può fingere di amare, ma non si può fingere di non amare o di non soffrire per amore.
Chissà che prima o poi con la PET non si riesca a capire se amiamo o meno per davvero, in base a quante e quali zone del cervello sono coinvolte: potremmo evitare molti equivoci o sofferenze inutili. Non è così lontana da noi questa possibilità: pensate che già siamo in grado di poter distinguere un sorriso vero, dovuto cioè, ad un’emozione realmente provata, da uno simulato (tranne che nei grandi attori che riescono a provare realmente un’ emozione), in quanto i due tipi di sorrisi coinvolgono muscoli diversi, la cui attività si può registrare.
O forse, nel caso dell’amore è comunque preferibile affidarci alle sensazioni soggettive: non crediamo, infatti, che compito della scienza sia quello di sostituirsi all’ individuo nelle sue scelte personali, ma solo di aiutarlo a comprendersi meglio affinché possa realizzarsi completamente e dispiega-
re appieno le sue capacità, non solo quelle intellettive che possono avere un’immediata ricaduta nella vita del singolo, ma anche quelle emozionali e sociali. Oggi sappiamo, infatti, che le prime sono strettamente legate alle seconde, anzi sono inscindibili: un individuo senza sentimenti, l’abbiamo già visto, pur apparentemente normale, normale non lo è affatto e, quindi, una conoscenza più approfondita dei meccanismi delle emozioni non potrà che arricchirci come individui e migliorare anche la nostra società. Se le implicazioni legate alle emozioni “negative”, come l’aggressività o la violenza sono evidenti, può risultare difficile individuare l’impatto sociale dell’amore. Eppure, il rapporto di coppia è la cellula fondamentale della società e rappresenta il microcosmo di ogni altra aggregazione sociale.
Come scrive lo scrittore Sandor Marai, da un lato “dobbiamo ammettere che se amiamo qualcuno non è per le sue caratteristiche individuali, bellezza o capacità, …ma solo perché nell’universo c’è una volontà che non possiamo comprendere nella sua reale natura, e che si svela in forme casuali per rinnovare il mondo in una perenne rotazione, una forza che tocca gli animi e i nervi secondo criteri incomprensibili, e stimola gli ormoni al punto da offuscare anche le menti più brillanti.” Dall’altro non siamo d’accordo con la sua affermazione che “noi esseri umani siamo qui a cercare di capire questa forza misteriosa, incapaci di decodificare i suoi intenti”, perché, al contrario, la ricerca scientifica sta svelando non solo le basi neurobiologiche dell’amore, ma i suoi scopi primari che non sono solo la perpetuazione della vita individuale, ma la gioia più piena della nostra esistenza che deriva dalla vicinanza, intimità e comunione con un altro essere umano.
È senza dubbio affascinante, e non fantascientifico, come qualcuno potrebbe pensare, sostenere che certe emozioni, come l’innamoramento e l’amore, vengano ricercate spontaneamente perché attivano dei circuiti cerebrali in grado di suscitare sensazioni positive che sono in grado di modulare anche il sistema immunitario e di promuovere il benessere e la salute dell’individuo.
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PRIMO PIANO
LA “LOVE ADDICTION” QUANDO L’AMORE DIVENTA UNA MALATTIA
Caratteristiche
di Maria Stella Aloisi* e
* Unità Funzionale Salute Mentale Adulti, Dipartimento di Psichiatria e Dipendenze, USL Nord-Ovest della Regione Toscana, Area Pisana ** Istituto di Scienze del Comportamento G. De Lisio
Per quanto la love addiction sia stata progressivamente riconosciuta quale problema di grande attualità e causa di significativa sofferenza per le persone che ne sono affette, non stupisce che vi sia stata, e vi sia tuttora, reticenza a parlare di amore in termini di patologia e di dipendenza. Eppure è una consolidata esperienza clinica che si possano delineare pattern disfunzionali di relazioni affettive, in cui le attenzioni e i comportamenti di cura nei confronti del partner sfuggono progressivamente al controllo e alla libertà di scelta della persona, portando alla progressiva riduzione dei propri spazi di indipendenza con numerose e svariate conseguenze negative. La mancanza di una definizione opera-
zionale condivisa rende difficoltosa una stima precisa della diffusione della Love Addiction. Stando ad alcuni ricercatori la prevalenza di questo disturbo nella popolazione americana è compresa tra il 5 e il 10%. Ossessioni, sentimenti e dinamiche comportamentali tipiche della Love Addiction possono essere ritrovati in entrambi i sessi e anche gli uomini possono avere una storia di relazioni affettive e interpersonali problematiche. Questa patologia è considerata, comunque, un fenomeno, se non esclusivamente, quantomeno tipicamente femminile.
CARATTERISTICHE PRINCIPALI DELLA LOVE ADDICTION Sul rapporto amore-dipendenza è possibile incontrare diverse scuole
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principali, origini e conseguenze, e trattamento di un nobile sentimento che diventa patologia
PRIMO PIANO
Icro Maremmani**
di pensiero che fanno riferimento a definizioni concettuali spesso contrastanti. Alcuni autori ritengono che l’amore romantico debba essere considerato sempre una love addiction: positiva, quando ricambiato, opportuno e non dannoso; negativa quando il sentimento è inappropriato, dannoso, non corrisposto e/o respinto.
Altre scuole identificano la love addiction come una possibilità operando una distinzione tra amore maturo e immaturo: il primo consente ad entrambi i partner di crescere, di incrementare l’autostima e il benessere; il secondo è caratterizzato da giochi di potere, pensieri e comportamenti possessivi, preoccupazioni ossessive sulla fedeltà del partner, attaccamenti morbosi. Solo l’amore
immaturo può essere considerato una forma di dipendenza.
Nell’etimologia della parola ‘addiction’ non vi è alcun riferimento specifico all’utilizzo di sostanze e l’idea dell’esistenza di dipendenze anche in assenza di sostanze psicoattive non è, in realtà, così nuova. Eppure, il termine è stato per lo più assimilato al disturbo da uso di sostanze e spesso, confuso con quello di dependence. Nel 1945, Otto Fenichel ha introdotto il termine “amore-dipendenti” per indicare quella tipologia di persone che necessitano dell’amore nella stessa maniera in cui altri necessitano di droghe o alcol. A partire dagli anni ’70, grazie alla psicoterapeuta americana Robin Norwood ed alla pubblicazione del testo “Donne che amano troppo”,
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Stando ad alcuni ricercatori la prevalenza di questo disturbo nella popolazione americana è compresa tra il 5 e il 10%.
PRIMO PIANO
Alcuni autori ritengono che l’amore romantico debba essere considerato sempre una love addiction: positiva, quando ricambiato, opportuno e non dannoso; negativa quando il sentimento è inappropriato, dannoso, non corrisposto e/o respinto.
si è iniziato a riconoscere l’esistenza di questo problema ed a parlare di Love Addiction.
La Love Addiction è una condizione psicologica di assoluta dedizione all’altro, in cui emerge totale disinteresse per tutto ciò che non riguarda l’oggetto d’amore, le cui esigenze sono sempre anteposte alle proprie e verso cui si compiono sacrifici eccessivi. La relazione diventa il fulcro della propria esistenza, al punto da portare a trascurare e/o abbandonare tutte le occupazioni e gli interessi cui precedentemente si attribuiva valore. La mancanza di reciprocità – nei sentimenti, nei comportamenti e nei sacrifici - è un aspetto cardine della love addiction. Queste relazioni mancano di tutto ciò che rende sano un rapporto di coppia: vera intimità, reali sentimenti e possibilità di crescita, arricchi-
mento e comprensione reciproche. Nel tentativo di giustificare a sé stessa questa relazione problematica, la persona con love addiction non può che sottostimare il costo della relazione stessa.
Sono state distinte tipologie diverse di love addiction. Tra le principali, troviamo la tipologia ossessiva, tipica di coloro che non riescono a lasciar andare il partner, neanche se questi è rifiutante, non amorevole, distante, dittatoriale, egocentrico, egoista e, a sua volta, dipendente da qualcosa al di fuori della relazione. Particolarmente comune il profilo co-dipendente, in cui il legame è esclusivamente mediato dalla condizione di bisogno. Altro caso è quello del dipendente dalla relazione che, per quanto non più innamorato del partner, è incapace di lasciarlo per un’estrema paura di
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rimanere solo. Vi sono poi forme di ambivalenza, dove si brama l’amore ma, allo stesso tempo si è terrorizzati dall’intimità. Si riconoscono in questo profilo diverse sottocategorie: le persone ossessionate da persone non disponibili (torchbearers), quelle che distruggono le relazioni non appena iniziano a diventare serie (saboteurs), coloro che reiterano il modello disponibile/non disponibile (seductive), quelli che dipendono da più partners ma che evitano l’impegno e legami profondi (romance). Un altro profilo tipico è rappresentato da uomini con un certo peso nel proprio ambiente di vita, molto affascinanti e seduttivi, ma che, nei fatti, restano freddi, distaccati e non vogliono essere coinvolti in relazioni sentimentali profonde. I soggetti affetti da love addiction tendono ad instaurare relazioni amorose con persone che, in qualche modo, soddisfano i loro ossessivi bisogni di cura e protezione, alimentando così circoli viziosi all’interno della coppia che conducono alla cronicizzazione del disturbo.
La donna con love addiction fatica ad acquisire consapevolezza della sua situazione. In alcuni casi, può essere delusa dal rapporto affettivo, riconoscerne le problematicità e lamentarsene in continuazione; può rendersi conto di aver compromesso la propria vita, di aver accettato disprezzo, tradimenti e violenze, di aver completamente lasciato andare tutto il resto, eppure, non è capace di interromperla, non contempla minimamente la separazione, riuscendo a vedere la solitudine unicamente come condizione priva di senso.
DALLE ORIGINI ALLE CONSEGUENZE DELLA LOVE ADDICTION
Le dipendenze sono fenomeni
bio-psico-sociali estremamente complessi che necessitano di essere indagati in un’ottica multifattoriale. Determinanti genetiche, biochimiche, psicologiche e sociali si intrecciano dando origine a comportamenti che si caratterizzano per un uso distorto di una sostanza, di un oggetto o di un comportamento. L’alterazione di tre sistemi funzionali (motivazione-gratificazione, regolazione degli affetti e della inibizione comportamentale) conduce ad un processo comune tutte le dipendenze da sostanze o comportamentali. Diversi sistemi neurotrasmettitoriali, soprattutto dopaminergico e oppioide, interagiscono e regolano questi meccanismi. Aree cerebrali implicate nell’apprendimento e nella memoria (ippocampo), nella regolazione delle emozioni (amigdala) e nel controllo degli impulsi (aree cortico-frontali) giocano un ruolo particolarmente importante. Quando si è coinvolti in una relazione amorosa , si attivano molte vie della ricompensa: vie dopaminergiche associate a energia, concentrazione, motivazione, desiderio intenso. Tipiche reazioni biochimiche dell’innamoramento coinvolgono l’ossitocina, la vasopressina, la serotonina e le regioni cerebrali legate allo sviluppo di fiducia e alla creazione di piacere. Anche quando si è respinti si osservano fenomeni analoghi.
Tratti di personalità, fattori genetici o di altro tipo possono essere considerati fattori di rischio per la love addiction. Lo stile genitoriale e le dinamiche relazionali di cui facciamo esperienza durante l’infanzia influenzano in modo rilevante i rapporti interpersonali della vita adulta. In base alla teoria dell’Attaccamento di Bowlby, il tipo di legame iniziale che si instaura tra madre e bambino può essere considerato
La donna con love addiction fatica ad acquisire consapevolezza della sua situazione. In alcuni casi, può essere delusa dal rapporto affettivo, riconoscerne le problematicità e lamentarsene in continuazione.
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Le persone che soffrono di love addiction affrontano numerosi eventi di vita negativi: questi avvenimenti possono essere alla base dell’insorgenza del disturbo o conseguenza dello stile di vita della persona dipendente. Anche le esperienze positive non sembrano riuscire a controbilanciare gli eventi negativi rappresentando solo fattori di stress per le persone con problemi di dipendenza.
predittivo delle relazioni affettive che caratterizzeranno la nostra età adulta. In soggetti con attaccamento ansioso-ambivalente sono stata osservata una notevole propensione a idealizzare i partner e un approccio all’amore piuttosto problematico con preoccupazioni ossessive, dipendenza emotiva, idealizzazione e bisogno di attenzioni. Nei casi di mothering carente, segnati, da assenza di contatto fisico, verrebbero a mancare alla figlia quelle importanti componenti di sicurezza e approvazione e questo avrebbe conseguenze sulle relazioni sentimentali successivamente instaurate. Numerosi risultano, inoltre, i casi di pazienti affetti da sex e love addiction con un passato connotato da esperienze traumatiche.
Le persone che soffrono di love addiction affrontano numerosi eventi di vita negativi: questi avvenimenti possono essere alla base dell’insorgenza del disturbo o conseguenza dello stile di vita della persona dipendente. Anche le esperienze positive non sembrano riuscire a controbilanciare gli eventi negativi rappresentando solo fattori di stress per le persone con problemi di dipendenza.
La love addiction può portare a situazioni davvero pericolose, può intrappolare la persona in un ciclo di violenza, in una spirale di sofferenza tale da precludere altri legami affettivi e, in generale, la possibilità di preservare una progettualità di vita. Un fenomeno estremo associato è rappresentato dallo stalking. Un’altra forma estrema è rappresentata dalla Sindrome di Stoccolma, particolare condizione di love addiction che si può ritrovare in diversi tipi di rapporti (familiari, romantici, interpersonali) e che potrebbe fornire una cornice per spiegare casi di vio-
lenza domestica che si perpetrano a lungo. Se la coercizione fisica non è una caratteristica imprescindibile della love addiction, il totale annientamento e la convinzione di non poter esistere se non in quella relazione lo sono. La gelosia è un’altra emozione che, da comune e funzionale, può trasformarsi in patologica e portare a tragiche conseguenze. La gelosia viene spesso chiamata in causa come spiegazione di tanti casi di femminicidio: l’uomo per la sua addiction sarebbe preda di una gelosia incontrollabile, di un raptus e della mancanza di un freno razionale.
TRATTAMENTO
Alcuni esponenti del settore suggeriscono di avvalersi, per il trattamento di questa patologia, delle stesse strategie utilizzate per il trattamento psicosociale della dipendenza da sostanze. In un’ottica di prevenzione primaria, sarebbe importante sviluppare metodologie di valutazione per intercettare le persone più a rischio e sviluppare quindi interventi mirati. In questo senso, si ritiene che campagne di informazione mirate potrebbero avere un impatto significativo e che, in questo, le istituzioni scolastiche e i mass media potrebbero avere un ruolo rilevante. Il passaggio successivo riguarda la richiesta di aiuto. “Che cosa posso fare o come posso cambiare per riavere il mio oggetto d’amore?” Spesso in chi soffre di love addiction, tutt’altro che raramente, vi è la ricerca di una risposta a questa domanda. A volte la richiesta di aiuto è immediatamente successiva alla fine della relazione, in altri casi molto più tardiva. In alcuni casi, l’aspettativa alla base della ricerca di aiuto è quella di trovare uno spazio in cui parlare del proprio partner. Indagare quali sono le motivazioni alla base della ricerca di aiuto
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è un altro passaggio fondamentale. Strumento basilare per agevolare le persone a riconoscere i problemi attuali e presumibilmente legati ad una persistenza del comportamento disadattivo, è il colloquio motivazionale. Obiettivo primario deve essere creare, e mantenere, la motivazione al cambiamento di quel comportamento disfunzionale.
Un aspetto tipico del decorso del disturbo da uso di sostanze sono le ricadute dopo un periodo più o meno lungo di interruzione dell’uso: anche nella love addiction è molto facile ricadere. Può darsi che il partner non si dimostri all’altezza di quanto l’altra persona si aspetta. Chi è affetto da love addiction può anche allontanarsi, per ritornare subito sui suoi passi a fronte di un minimo cenno di sofferenza o richiesta di attenzione dell’altro. Per cercare di contrastare questa possibilità, negli USA, sono sorte comunità terapeutiche per la love addiction dove grup-
pi di auto-aiuto costituiti da persone con love e sex addiction, si sottopongono a programmi residenziali per modificare, molto gradualmente, le modalità relazionali dei pazienti e contrastare quello che appare essere un vero e proprio comportamento recidivante. Un approccio psicoterapeutico che ha trovato riscontri positivi nel trattamento della love addiction è la psicoterapia interpersonale. Solitamente, nelle sedute si riflette sulla relazione e sulle sue fragilità, sulla percezione delle cose e sugli errori che alimentano false percezioni. Parte del lavoro è centrato sull’autostima della persona, così da gettare le basi per una relazione sana e appagante. Infine, quando la love addiction concomita con un disturbo da uso di sostanze, il trattamento deve procedere parallelamente. Non è possibile, infatti, uscire dalla condizione di love addiction senza affrontare la dipendenza dalla sostanza.
Un profilo tipico è rappresentato da uomini con un certo peso nel proprio ambiente di vita, molto affascinanti e seduttivi, ma che, nei fatti, restano freddi, distaccati e non vogliono essere coinvolti in relazioni sentimentali profonde.
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FACCIAMOLO STRANO! PERVERSIONE E SESSUALITÀ ATIPICA NELLA COPPIA
“Il disordine della natura ha un’attrattività singolare che agisce sull’eccitabilità con una forza pari o forse maggiore di ciò che è bello ed armonioso. […] D’altronde la bellezza, la freschezza colpiscono unicamente per la loro immediatezza; la bruttezza e la corruzione agiscono con più violenza e l’emozione che provocano è ben più forte, e quindi più viva deve provarsi l’eccitazione”. Sono passati secoli da quando, nel 1785 durante il periodo di prigionia alla Bastiglia, il marchese Donatien-Alphonse-François de Sade – da quale Krafft-Ebing derivò il termine “sadismo” – celebrava con queste parole, all’interno del suo testo forse più famoso Le 120 giornate di Sodoma, la “scuola del libertinaggio”.
Ad oggi, complice il forte impatto dei Mass Media e il diffuso utilizzo dei Social Network, usi e costumi della sessualità si sono ampiamente
modificati, sdoganando e rendendo normali e accessibili comportamenti che fino a qualche decennio fa potevano essere definiti come perversi o moralmente deprecabili. Il termine “perversione” infatti – che etimologicamente rimanda alla devianza dalla norma o dall’ortodossia comportamentale – è strettamente legato alla cultura e, pertanto, esso può variare nel tempo e nello spazio. In questo senso, numerose sono le opere letterarie e cinematografiche che dalla seconda metà del Novecento hanno contribuito a tinteggiare in modo sempre più sgargiante e variopinto il panorama del comportamento sessuale contemporaneo, arricchendolo via via di nuovi elementi.
Pensiamo a come, per esempio, a partire dal 2011 il celeberrimo romanzo 50 sfumature di grigio della scrittrice E. L. James ha rivoluzionato l’immaginario erotico comune, in particolare legato al mondo del
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Quali sono gli effetti di una vita sessuale “kinky”
di Giovanni Pagnini* *Psicologo clinico, sessuologo
BDSM, avvicinando molte persone e coppie al continuum che collega, secondo un gradiente di atipicità, i comportamenti sessuali vanilla (espressione gergale che fa riferimento alle attività sessuali tradizionali) alle pratiche sessuali kinky, ovvero l’insieme delle pratiche sessuali non convenzionali. Tra queste, possono essere inclusi il bondage (pratica in cui si immobilizza un partner consenziente mediante bende, manette, catene, corde), foot-fetish (interesse per i piedi e il loro utilizzo per stimolare i genitali), sculacciate (spanking), gioco con la cera e altre pratiche sado-masochiste quali fustigazioni, frustate o percosse, dimostrazioni di sottomissione al partner e umiliazione (inginocchiarsi, usare titoli dispregiativi), fino a pratiche più estreme come il controllo del respiro (o asfissia erotica). I comportamenti BDSM inoltre possono essere caratterizzati dall’elemento del gio-
co di ruolo e del rapporto di potere (schiavo-padrona, medico-paziente, torturatore-prigioniero ecc.).
Ma quale può essere l’effetto del rendere la vita sessuale di coppia più “kinky”? Una recente ricerca ha evidenziato come i comportamenti BDSM contribuiscano ad aumentare la soddisfazione sessuale e relazionale di coppia se avvengono all’interno di una relazione romantica caratterizzata da un attaccamento diadico sicuro, caratterizzato da fiducia e complicità.
La soddisfazione, infatti, è maggiore quando i partner si impegnano in attività nuove e stimolanti che richiedono una maggiore vicinanza, poiché imparano a conoscere sé stessi e l’altro/a. D’altra parte, il primo elemento imprescindibile per una sana pratica BDSM è la reciproca consensualità. Spesso infatti può capitare che uno dei due membri della coppia accetti di aderire a tali attività
Ad oggi, complice il forte impatto dei Mass Media e il diffuso utilizzo dei Social Network, usi e costumi della sessualità si sono ampiamente modificati, sdoganando e rendendo normali e accessibili comportamenti che fino a qualche decennio fa potevano essere definiti come perversi o moralmente deprecabili.
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Ma quale può essere l’effetto del rendere la vita sessuale di coppia più “kinky”? Una recente ricerca ha evidenziato come i comportamenti BDSM contribuiscano ad aumentare la soddisfazione sessuale e relazionale di coppia se avvengono all’interno di una relazione romantica caratterizzata da un attaccamento diadico sicuro, caratterizzato da fiducia e complicità.
con lo scopo di compiacere il/la partner più che per un reale interesse o curiosità personale, esponendosi così a pratiche anche rischiose.
La sicurezza, dunque, è il secondo elemento fondamentale: tutti i comportamenti dovrebbero essere svolti in un contesto protetto e solo dopo aver accertato tutti i possibili rischi. A questo proposito, esistono numerose scuole di bondage che offrono corsi di formazione che consentono di imparare a legare il/la proprio/a partner in sicurezza. Allo stesso modo, è importante negoziare in anticipo una safe word che consenta l’immediata interruzione del gioco. Il dolore, infatti, in diverse forme e intensità, è un elemento spesso ricorrente nelle attività BDSM.
Un’interessante meta-analisi del 2022 ha cercato di chiarire in che modo l’induzione del dolore all’interno del gioco di ruolo potesse contribuire ad aumentare il piacere e la soddisfazione sessuale, analizzando i correlati neurobiologici dei comportamenti di BDSM. In particolare, gli autori hanno sottolineato come il dolore possa aumentare il piacere fisico a seguito dell’induzione di analgesia durante l’attività sessuale, per cui la soglia del dolore verrebbe innalzata mentre la sensibilità tattile (in particolare dei genitali) non verrebbe alterata. In aggiunta, è stato notato che durante questo particolare tipo di attività sessuale, vi fosse un aumento del rilascio dell’ormone dell’attaccamento, ovvero l’ossitocina.
È interessante notare che l’ossitocina, tipicamente aumentata durante l’intimità e l’orgasmo, può essere secreta anche in altre attività ad alto carico di stress per l’organismo (come gli sport da combattimento), proprio per contrastare l’effetto di quest’ultimo. Questa evidenza
potrebbe dunque spiegare quanto sopra riferito rispetto all’aumento di vicinanza e intimità nella coppia dopo attività sessuali kinky. In aggiunta, l’esperienza di piacere connessa al dolore sembrerebbe essere mediata dall’attivazione dell’opercolo parietale e dello striato ventrale nel contesto del reward system, analogamente a quanto accade ad altre attività estreme (un alto sensation seeking sembrerebbe essere un tratto predisponente per l’interesse a praticare il BDSM).
In questo senso, è interessante notare come un ruolo fondamentale sia svolto dagli endocannabinoidi che sono risaputi influenzare non soltanto l’esperienza del piacere e della ricompensa, ma anche quella delle sensazioni dolorose. Nello specifico, nei soggetti che praticano una sessualità kinky, si è riscontrata un’associazione tra gli aumentati li-
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velli di cortisolo post-attività e maggiori livelli di endorfine ed endocannabinoidi.
Infine, il sistema della ricompensa risulterebbe coinvolto anche nel processo di eccitamento psicologico legato al gioco di potere. Sebbene infatti la dominanza sociale stimoli tendenzialmente il sistema della ricompensa, mentre la sottomissione tenda a produrre anedonia, una cultura di appartenenza che incentiva la passività e la sottomissione piuttosto che l’aggressività e la dominanza, può condizionare l’attivazione del sistema della ricompensa alla sottomissione sociale. In questa prospettiva, il gioco di ruolo sarebbe in grado di produrre eccitazione proprio grazie a questo doppio effetto dominio-sottomissione e attivazione del reward system. Ma quali possono essere i fattori predispongono ad essere attratti da questo tipo di ses-
sualità? Sicuramente i fattori di apprendimento classico, operante e osservativo, giocano un ruolo centrale.
L’esposizione ripetuta a stimoli esterni sessuali specifici (pornografia, social media, film…) e il loro rinforzo ripetuto infatti possono aumentare l’interesse e il potere eccitatorio di tali stimoli. Allo stesso modo, l’introduzione al mondo del BDSM, per esempio, può avvenire attraverso un partner già esperto in queste pratiche. Per altre persone, invece, l’interesse e l’attrazione per i comportamenti sessuali meno convenzionali sarebbe qualcosa di innato e antecedente all’esposizione mediatica e che, sebbene rappresenti una parte di loro stessi, talvolta potrebbe essere stato represso o nascosto a causa dello stigma sociale. In tal senso, molte persone che desiderano provare i giochi di ruolo potrebbero non sentirsi a proprio agio nel comunicare tali fantasie, a causa del timore del giudizio altrui.
In effetti, sebbene sia importante considerare questi comportamenti sessuali, seppur violenti e poco convenzionali, come una normale espressione della sessualità della coppia (purché consenzienti), l’opinione pubblica è ancora divisa e diffidente. In aggiunta, troppo spesso si registra la tendenza da parte dei clinici di patologizzare tali interessi, assimilandoli a condotte antisociali e/o a disturbi parafilici. D’altra parte, ciò che è proibito e diverso ha da sempre attirato – attraverso il principio di reattanza – l’essere umano; per cui non c’è da stupirsi che molte persone, così come possano preferire per le loro passeggiate il terreno arido e accidentato delle montagne ai sentieri monotoni delle pianure, in amore preferiscano l’eccesso e il perverso. Ma in fondo, quale amore non lo è?
È interessante notare che l’ossitocina, tipicamente aumentata durante l’intimità e l’orgasmo, può essere secreta anche in altre attività ad alto carico di stress per l’organismo (come gli sport da combattimento), proprio per contrastare l’effetto di quest’ultimo. Questa evidenza potrebbe dunque spiegare l’aumento di vicinanza e intimità nella coppia dopo attività sessuali kinky.
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CIBO, AMORE E... DISTURBI DELLA CONDOTTA ALIMENTARE
Ecco perché istinto della fame e istinto sessuale sono correlati
di Claudio Cargioli*
Il legame tra cibo e amore attraversa le varie culture e si ritrova in molti comportamenti e abitudini quotidiani. Cibo e amore hanno offerto spunti ad artisti di ogni epoca, basti pensare alla cena di Trimalchione raccontata da Petronio nel Satyricon o ai Baccanali festeggiati dai Romani. E come dimenticare la fine del povero falcone di Federigo degli Alberighi narrata da Boccaccio nel Decameron?
O il film grottesco La Grande Abbuffata girato da Marco Ferreri?
Per non parlare dei cibi afrodisiaci: nonostante le credenze popolari, l’influenza del cibo sulla sessualità continua ad essere dibattuta e non è stata confermata dalla scienza. Quello che si sa, è che alcuni alimenti sembrerebbero favorire l’eccitazione maschile e femminile grazie a particolari sostanze.
D’altronde, l’istinto della fame e l’istinto sessuale sono strettamente correlati ed esprimono bisogni fondamentali legati alla vita e alla sopravvi-
venza. Ma come sono legati amore e cibo? Su un piano strettamente psicologico sia l’attività di nutrirsi sia l’attività sentimentale ed erotica sono fonte di piacere e gratificazione, come già Freud aveva osservato, annotando che dall’allattamento al seno il neonato trae al contempo nutrimento e amore.
Dal punto di vista fisiologico, amore e cibo sono regolati entrambi dall’ipotalamo, rispondono agli stimoli degli stessi neurotrasmettitori (serotonina, noradrenalina, dopamina, per citarne alcuni) e sono mediati dagli stessi circuiti della ricompensa, sostenuti da piacere e gratificazione. La relazione tra cibo e amore è quindi stretta, e gli ormoni messi in gioco possono combinarsi in modo complesso e imprevedibile. L’amore influenza il nostro desiderio di cibo, e una relazione sentimentale si può giocare almeno inizialmente proprio sul modo di mangiare insieme, a volte sul fatto di condividere gli stessi gusti, abitudini o regimi alimentari: è
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*Dirigente Medico Psichiatra, AUSL Toscana Nord Ovest
un po’ come se il rituale del mangiare contribuisse ad accomunarci o a rendere più solidi i sentimenti.
Il cibo quindi influenza sia la fisiologia che le emozioni, ma l’infatuazione stessa può ridurre il senso della fame: il nostro organismo produce stimolanti come noradrenalina e feniletilammina, che ci fanno sentire energici, euforici e appagati, tanto è vero che quando iniziamo una nuova relazione non è raro dimagrire. Ma anche quando siamo lasciati, viviamo un rifiuto o un abbandono, può cambiare il nostro modo di mangiare, ci trascuriamo, non ci occupiamo più di noi e perdiamo appetito, oppure cerchiamo consolazione proprio attraverso il cibo. Oppure, quando ci mancano momenti di intimità, sentiamo il bisogno di mangiare, di colmare quei vuoti che qualcuno ci ha lasciato, magari con un dolce o con delle praline di cioccolato.
Va però considerato che le persone risentono profondamente della cul-
tura alimentare nella quale crescono, così come la ricerca ed il consumo di cibo hanno modificato il comportamento umano e animale. Ma la condotta alimentare spesso va aldilà della nutrizione e dell’alleviamento del senso di fame e spesso c’è un legame tra sovrappeso e relazione sentimentale. È stato infatti osservati che nella vita di coppia sono più frequenti i comportamenti correlati all’obesità, come guardare la TV o trascorrere una vita sedentaria. Forse le abitudini meno salutari di un partner possono turbare l’altro, si tende a condividere porzioni abbondanti, ci si lascia tentare da grassi e “cibi spazzatura”, si ha meno interesse a rimanere in forma, insomma ci si lascia andare. Inoltre lo stile di vita a due ruota maggiormente intorno a pranzi e cene. Qualche anno fa uno studio dell’Università della North Carolina ha rivelato che le donne sposate o conviventi hanno una probabilità doppia di aumentare di peso rispetto
Dal punto di vista fisiologico, amore e cibo sono regolati entrambi dall’ipotalamo, rispondono agli stimoli degli stessi neurotrasmettitori (serotonina, noradrenalina, dopamina, per citarne alcuni) e sono mediati dagli stessi circuiti della ricompensa, sostenuti da piacere e gratificazione.
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Locandina del film “La grande abbuffata” (1973).
Nella relazione di coppia e all’origine di un litigio o di una semplice discussione non va nemmeno sottovalutato il ruolo dell’ipoglicemia, che può portare irritabilità oltre al senso di fame e ad altre manifestazioni del sistema nervoso autonomo.
alle coetanee single. Per gli uomini invece la possibilità di ingrassare coinvolge soprattutto quelli sposati; poco i conviventi, quasi come i single. Il rischio di obesità aumenta quanto più le persone vivono insieme. Sposarsi fa ingrassare, sembra avvisarci la scienza…
Nella relazione di coppia e all’origine di un litigio o di una semplice discussione non va nemmeno sottovalutato il ruolo dell’ipoglicemia, che può portare irritabilità oltre al senso di fame e ad altre manifestazioni del sistema nervoso autonomo. Mai prendere decisioni a stomaco vuoto, recita un noto detto popolare.
COSA SUCCEDE CON GLI ECCESSI
Ma se cibo e amore sono strettamente correlati tra loro, diventa interessante notare cosa succede quando si presentano eccessi, disagi, disturbi. I disturbi del comportamento alimentare (DCA), si manifestano con una maggiore frequenza nelle donne e riconoscono probabilmente una complessa origine bio-psico-sociale, che rimane ancora da chiarire. Spesso i DCA interferiscono con la vita di coppia e con le relazioni interpersonali in
generale. Caratteristica comune di tutti i DCA è il forte senso di vergogna verso la propria immagine corporea, con conseguente aumento di ansia in situazioni intime in cui normalmente si mostrerebbe il proprio corpo. Inoltre, i cambiamenti ormonali causati dai DCA possono portare una riduzione della libido, con conseguente diminuzione di interesse il sesso e la possibilità di generare dubbi nel partner sulla stabilità della relazione.
In base al tipo di disturbo della condotta alimentare si possono configurare differenti difficoltà nella coppia.
L’Anoressia Nervosa, assieme ad un rifiuto del cibo, si accompagna anche ad una sorta di distanziamento dal proprio corpo e dalla sessualità: spesso le pazienti affette da anoressia nervosa vivono una vita asessuata, sia per motivi biologici che psicologici, e rimangono legate ad una immagine femminile infantile, come se non fossero riuscite a interiorizzare una femminilità adulta. L’anoressia può quindi essere letta come un ritiro dalla propria femminilità, un rifiuto della corporeità, ratificata dalla irregolarità del ciclo mestruale fino alla sua completa scomparsa. Alcuni studiosi hanno osservato che nelle
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pazienti anoressiche alimentazione e sessualità perdono il principio del piacere, che viene anzi provato nel controllare il cibo piuttosto che nel gustarlo, e nell’evitare l’intimità. La necessità di controllo verso se stesse impedisce di lasciarsi andare, e il senso di vergogna e di inadeguatezza per il proprio corpo portano ad un atteggiamento evitante nei confronti dell’intimità.
Invece, nella Bulimia Nervosa, il cibo assume un significato diverso e diventa il mezzo attraverso il quale si cerca di calmare l’angoscia, con modalità impulsive e compulsive. Questa modalità nelle pazienti bulimiche si può ritrovare anche nella sessualità, nella ricerca di partner, andando a compromettere la stabilità relazionale. Tuttavia, la ricerca di cibo e di sesso rimane vuota e priva di intimità. Nel timore di essere rifiutate o abbandonate, queste persone risultano eccessivamente accondiscendenti e disponibili con i loro partner, illudendosi che il soddisfacimento erotico possa divenire legame emotivo e relazionale. Nella ricerca spasmodica di gratificazione il corpo può essere offerto come un oggetto svuotato del suo valore, per il bisogno di essere desiderate, ama-
te, accettate. Anche i pazienti affetti da Binge Eating Disorder provano emozioni in maniera intensa e hanno difficoltà a trovare equilibrio sia nelle abitudini alimentari che nella propria vita sessuale.
I soggetti affetti da Vigoressia, un problema in preoccupante crescita, presentano spesso problemi sessuali dovuti all’uso di steroidi e sostanze anabolizzanti. Inoltre, tendono a trascurare i legami affettivi per inseguire un solo obiettivo, quello di essere in forma e di avere un fisico perfetto.
È quindi evidente come i DCA sottendano anche dei significativi problemi nella sfera della sessualità. Inoltre, le coppie in cui almeno un membro è affetto da un DCA tendono ad avere un numero maggiore di argomenti di discussione rispetto alle altre coppie e le discussioni tra i partner sembrano essere emotivamente più intense. Molti partner riferiscono difficoltà nel gestire una relazione con una persona che soffre di DCA e il desiderio di aiutare il proprio partner, spesso senza sapere in che modo, viene frequentemente vissuto come uno stress che può a sua volta rendere ancor più complicata la vita di coppia.
Invece, nella Bulimia Nervosa, il cibo assume un significato diverso e diventa il mezzo attraverso il quale si cerca di calmare l’angoscia, con modalità impulsive e compulsive.
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SALUTE MENTALE ANCORA FUORI DAI RADAR DELLA POLITICA ITALIANA
Un piccolo passo si è avuto con la proposta di rendere strutturale il bonus psicologo
di Stefano Iannaccone
30 Brain Feb 2023
La salute mentale resta ancora fuori dell’orizzonte politico. Nonostante la professione di buone intenzioni, agli atti ci sono delle iniziative estemporanee, per quanto importanti, ma manca un impegno a lungo raggio. Il problema è, in fondo, lo stesso che abbraccia i vari ambiti sanitari: la carenza di personale a causa degli scarsi investimenti pubblici. Una questione che si trascina da anni e che è lontana da una reale soluzione. Anzi il contesto, secondo quanto osservano gli analisti, continua ad aggravarsi, visto che - come è ormai noto - la pandemia ha complicato il quadro: è stato stimato una crescita del 30 per cento dei disturbi di tipo psichiatrico. Le principali vittime sono i giovani, afflitti da disturbi alimentari e spesso protagonisti di atti autolesivi. Sul punto, peraltro, continua a non intravedersi nemmeno come ipotesi l’istituzione di un Osservatorio ufficiale sui suicidi. Un tema che, nella scorsa legislatura, era stato portato avanti dall’allora deputato Cristian Romaniello, eletto con il Movimento 5 Stelle e poi passato con Europa Verde.
Eppure, visto l’impatto negativo del Covid sugli under 25, la spesa sulla salute mentale assume la forma di un investimento sul futuro, per garantire alle nuove generazioni un processo di crescita serena. Di fronte a uno scenario del genere c’è stata la mobilitazione dei professionisti del settore, stanchi di fare i conti con carenze sistemiche. Appena poche settimane fa, infatti, 91 direttori di Dipartimenti di salute mentale italiani hanno scritto una lettera, rivolgendo un appello alle massime istituzioni italiane, a cominciare dal Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella, fino ai presidenti delle commissioni Salute di Camera e Senato. «Illustrissimi, abbiamo deciso di scriverVi questa sofferta Lettera
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POLITICA
Le iniziative come il bonus psicologo e lo psicologo scolastico sono piccole gocce in un oceano, un segnale di buona volontà che non risolve il problema.
Appello perché riteniamo sia diventato un nostro dovere etico a fronte dell’aumento del disagio mentale nel nostro Paese, in particolare degli adolescenti, senza più possibilità di adeguate risposte da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM). Le condizioni drammatiche nelle quali stiamo sempre più scivolando consentono ai DSM di erogare ormai con estrema difficoltà le prestazioni che, invece, dovrebbero essere garantite dai Livelli Essenziali di Assistenza», è l’esordio del testo, che trasuda tutta la preoccupazione rispetto alla necessità di intervenire.
Un piccolo passo in avanti è arrivato durante il confronto in Parlamento sulla Legge di Bilancio. In quella sede c’è stata l’approvazione dell’emendamento, proposto dal Pd e avallato da tutti gli altri gruppi politici, di rendere strutturale il bonus psicologo, misura introdotta dal Milleproroghe dello scorso anno. E che è diventata esecutiva con qualche mese di ritardo per alcuni slittamenti
del decreto attuativo. Adesso la legge ha una dotazione stabile: 5 milioni di euro per il 2023 e 8 milioni per il 2024 in poi. Il contributo massimo, inoltre, è salito da 600 a 1.500 euro per chi non supera i 50mila euro con l’Isee. Inoltre, nell’attuale Milleproroghe è stata prevista un’interessante novità: l’istituzione della figura dello psicologo scolastico, che garantisce una funzione centrale dinanzi a un’ampia fascia di problematiche: dal bullismo alla presa in carico di soggetti bisognosi di assistenza sotto il profilo della salute mentale. L’orizzonte resta, infine, quello della creazione dello psicologo di comunità, sulla falsariga di quanto previsto con gli infermieri. Solo che tra la volontà e l’applicazione, ce ne passa: occorre stanziare adeguate risorse nell’ambito di un preciso piano di azione.
Le iniziative come il bonus psicologo e lo psicologo scolastico sono piccole gocce in un oceano, un segnale di buona volontà che non risolve il problema. «C’è bisogno di iniziative concrete ed immediate per ricucire la rete pubblica dei DSM, sempre più sfilacciata, anche con un rilancio al loro interno dei percorsi psicologicopsicoterapeutici, per realizzare una salute mentale comunitaria, in grado di dare risposte integrate ai diversi aspetti biologici, psicologici e sociali», rilevano i direttori firmatari della lettera rivolta alle Istituzioni. Come è possibile raggiungere questo traguardo? Non è una prospettiva lunare, evidenziano gli autori della mobilitazione: si tratta «di destinare, al massimo in un triennio, oltre 2 miliardi al fine di raggiungere l’obiettivo minimo del 5 per cento del fondo sanitario per la salute mentale, come da impegno dei Presidenti delle Regioni nel 2001, richiamato anche dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2022».
32 Brain Feb 2023
POLITICA
Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale
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CELLULE STAMINALI NEURALI UN POSSIBILE TRATTAMENTO PER LA SCLEROSI MULTIPLA?
Soffrono di questa patologia 2 milioni e mezzo di persone al mondo
di Valentina Formica
34 Brain Feb 2023
Pubblicati su Nature Medicine i risultati del primo studio clinico al mondo con cellule staminali neurali per pazienti con sclerosi multipla progressiva. In questo studio i ricercatori hanno dimostrato la sicurezza e la tollerabilità del trattamento con staminali infuse tramite punture lombari direttamente nel liquido cerebrospinale. Da qui le staminali possono raggiungere il cervello e il midollo spinale, sedi colpite dalla sclerosi multipla. Nel lavoro recentemente pubblicato, oltre a dimostrare la sicurezza del trattamento, viene descritta una significativa riduzione dell’atrofia cerebrale e un cambiamento della composizione del liquido cerebrospinale nei pazienti trattati con il maggior numero di cellule staminali neurali. Un risultato importante che pone le basi alla sperimentazione di nuove terapie per arrivare a curare con successo la sclerosi multipla.
DI COSA PARLIAMO
La sclerosi multipla è una patologia neurologica che causa la progressiva perdita del controllo muscolare. In Italia ne soffrono quasi 100 mila persone, al mondo quasi 2 milioni e mezzo. L’evoluzione nel tempo della malattia varia da persona a persona. In particolare, esistono due forme di questa malattia: la sclerosi multipla recidivante-remittente, nella quale si presentano episodi acuti di malattia alternati a periodi di benessere; la sclerosi multipla progressiva, che è caratterizzata da una disabilità persistente che progredisce gradualmente nel tempo. In conseguenza delle lesioni del tessuto cerebrale che la malattia provoca le funzioni motorie sono progressivamente perse, possono insorgere problemi alla vista e vari altri deficit cognitivi o neurologici. Ad oggi la strategia principale di
35 Brain Feb 2023
L’APPROFONDIMENTO
I dati pubblicati non sono ancora sufficienti per considerare questa opportunità come una vera e propria terapia. Il prossimo passo sarà quello di dimostrare che tale procedura non solo è sicura ma anche efficace nel migliorare i sintomi della malattia su un gruppo più ampio di pazienti.
trattamento è la somministrazione di farmaci capaci di interferire con il sistema immunitario, però non sempre queste terapie funzionano, soprattutto nelle forme progressive. È proprio su queste forme che si stanno concentrando i maggiori sforzi della ricerca, una possibile strada da percorrere sembra essere rappresentata dall’utilizzo delle cellule staminali neurali.
Le cellule staminali neurali sono cellule progenitrici in grado di specializzarsi in tutti i tipi di cellule nervose. Nei modelli animali è stato dimostrato che queste cellule, una volta trapiantate, sono in grado di raggiungere le lesioni cerebrali e midollari perché attirate dal danno. Una volta raggiunte tali lesioni, promuovono meccanismi di neuroprotezione e riparazione rilasciando sostanze immunomodulanti e pro-rigenerative.
L’idea di base è quindi quella che le cellule staminali neurali, iniettate nel liquido cerebrospinale, riescano a secernere molecole in grado di ridurre i danni neuronali e, nella migliore delle ipotesi, portare alla rigenerazione della mielina persa. Infatti, nella sclerosi, per ragioni ancora da chiarire, il sistema immunitario viene iper-attivato e causa la distruzione della mielina,
sostanza che isola le fibre nervose e che consente la corretta conduzione degli impulsi nervosi.
LA RICERCA
Lo studio in questione, ad opera di un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, è stato avviato nell’ambito dello studio STEMS nel maggio 2017 su un paziente affetto da sclerosi multipla progressiva in stadio avanzato. A distanza di 5 anni, sono stati pubblicati i risultati della sperimentazione di fase I. Lo studio ha coinvolto 12 persone con SM progressiva con elevata disabilità che avevano già sperimentato le terapie ad oggi disponibili con scarso o nessun successo. Ai pazienti sono state iniettate alte dosi di cellule staminali, in numero diverso in base al gruppo di appartenenza (da circa 50 milioni per il primo gruppo fino a 500 milioni per l’ultimo). Gli scienziati hanno innanzitutto dimostrato la sicurezza di questo metodo, obbiettivo primario della sperimentazione. Nello studio però i ricercatori hanno anche evidenziato una riduzione dell’atrofia cerebrale nei pazienti trattati con il maggior numero di cellule staminali neurali e una variazione del profilo liquorale in senso pro-rigenerativo. Il liquor è risultato arricchito in termini di fattori di crescita e di sostanze neuroprotettive. Quindi, quanto ottenuto non solo è sicuro ma sembra essere efficace.
I dati pubblicati non sono ancora sufficienti per considerare questa opportunità come una vera e propria terapia. Il prossimo passo sarà quello di dimostrare che tale procedura non solo è sicura ma anche efficace nel migliorare i sintomi della malattia su un gruppo più ampio di pazienti. Ciò permetterebbe di pensare in futuro ad un possibile impiego di queste cellule nella pratica clinica.
36 Brain Feb 2023 L’APPROFONDIMENTO
LA CURA DEI DISTURBI MENTALI È PER SEMPRE?
Una domanda che non è semplice curiosità e a cui ogni specialista dovrebbe dare una risposta
*Istituto di Psicopatologia - Roma
38 Brain Feb 2023
di Antonio Tundo*
So per esperienza che, quando visito per la prima volta una persona, dopo aver chiarito la diagnosi e spiegato la terapia, mi sentirò chiedere “dottore, ma per quanto tempo dovrò prendere questi farmaci?”. Questa domanda nasce spesso dal bisogno di avere maggiori informazioni sul proprio disturbo e sulle sue terapie, un atteggiamento positivo che facilita il processo terapeutico, e dare una risposta è importante per creare un rapporto di fiducia con la persona.
Per quanto ogni caso sia a sé e una risposta precisa possa venire solo osservando l’evoluzione del quadro clinico nel tempo, è possibile fare una previsione di massima facendo riferimento alle linee guida scientifiche, all’esperienza personale e tenendo conto del tipo di disturbo, della sua gravità e durata e del rischio di ricaduta una volta risolta la fase acuta.
Per il lettore interessato riassumerò i tempi previsti e le modalità di uscita dalla cura per le patologie più comuni.
LA DURATA DELLE CURE PER I DISTURBI D’ANSIA
Nel caso del disturbo di panico sono necessari circa 1 mese per bloccare gli episodi acuti e altri 1-2 mesi per superare la paura della paura (“ansia anticipatoria”) e la perdita di autonomia (“evitamento”). Per “consolidare” il risultato ottenuto si prosegue la terapia a dosaggio pieno per ulteriori 8-12 mesi e poi si procede alla sua graduale riduzione fino alla totale sospensione. In caso di ricaduta, che può non avvenire mai oppure dopo molti mesi o anni, si ripete lo stesso percorso terapeutico. Se si verificano ricadute multiple la terapia deve essere proseguita a lungo termine ma ad un dosaggio molto basso.
Per il disturbo ossessivo compulsivo il tempo solitamente necessario per ottenere una riduzione dei sintomi e, possibilmente, la loro completa scomparsa,
39 Brain Feb 2023
CONTRIBUTO
Nel caso del disturbo di panico sono necessari circa 1 mese per bloccare gli episodi acuti e altri 1-2 mesi per superare la paura della paura (“ansia anticipatoria”) e la perdita di autonomia (“evitamento”).
Per “consolidare” il risultato ottenuto si prosegue la terapia a dosaggio pieno per ulteriori 8-12 mesi e poi si procede alla sua graduale riduzione fino alla totale sospensione.
è di 2-3 mesi. Sono necessari ulteriori 6 mesi per stabilizzare i risultati prima di cominciare a ridurre fino a dimezzare il dosaggio del farmaco. Da questo punto in poi la decisione su come procedere varia di caso in caso. Se si è trattato di un episodio non grave e/o di breve durata si sospende gradualmente la cura, altrimenti si prosegue a dose ridotta per tempi più lunghi e, talvolta, a tempo indeterminato.
La durata del trattamento farmacologico per l’ansia sociale e per l’ansia generalizzata varia in genere da 8 a 12 mesi.
Per tutti i disturbi sopra menzionati integrare la cura medica con una terapia cognitivo comportamentale e/o un percorso di mindfulness, oltre ad aiutare a risolvere prima e meglio la fase acuta, riduce il rischio di ricaduta e quindi aumenta la possibilità di continuare a stare bene senza farmaci.
I DISTURBI DELL’UMORE E LA SCHIZOFRENIA
Più complicato è decidere se e quando ridurre o sospendere la cura nel caso dei disturbi dell’umore (depressione, disturbo bipolare) e della schizofrenia perché sono condizioni con un alto rischio di ricaduta e ogni ricaduta, oltre a causare una grande sofferenza personale, ha pesanti ripercussioni sulla vita sociale, lavorativa e familiare.
Se si tratta di un primo episodio depressivo o di una depressione sporadica, se cioè in passato ci sono stati pochi episodi depressivi separati da anni di benessere, la durata prevedibile del trattamento farmacologico è di 7-10 mesi e, come per i disturbi d’ansia, associare una terapia cognitivo comportamentale (anche basata sulla mindfulness) può ridurre il rischio di ricadute.
Se si tratta invece di una depressione ricorrente, se cioè gli episodi sono stati molti o ravvicinati nel tempo, per prevenire ulteriori ricadute bisogna
considerare un trattamento a lungo termine che, nelle forme più gravi, può essere anche a tempo indeterminato. Durante la fase preventiva, anche se la persona sta bene da molto tempo, non si dovrebbe ridurre il dosaggio dei farmaci per non perdere l’effetto protettivo.
Per chi soffre di un disturbo bipolare un trattamento a lungo termine è la regola perché, in assenza di cure, tende facilmente a ripresentarsi e ogni ricaduta riduce la risposta alla terapia e aumenta il rischio di ulteriori episodi. In situazioni ben selezionate è comunque possibile limitare la terapia ai soli stabilizzatori dell’umore e, eccezionalmente, sospenderla dopo anni di benessere.
Un trattamento a tempo indeterminato è previsto anche per la maggior parte delle persone che soffrono di schizofrenia, un disturbo particolarmente grave e che si riattiva facilmente in assenza di una terapia di mantenimento. Ma persino in questa patologia si può considerare un’eventuale riduzione e/o sospensione della cura dopo 2 anni di benessere, se si è trattato di un primo episodio non grave, o dopo 5 anni di benessere se in passato ci sono stati pochi episodi non gravi.
I DUBBI
Una volta date le informazioni relative al singolo caso osservo che la maggior parte delle persone si tranquillizza all’idea che nel momento in cui prescrivo la cura ho già in mente un preciso percorso terapeutico. Un percorso che prevede, se ci saranno le condizioni, la sospensione o quanto meno la riduzione del dosaggio del farmaco assunto.
Vale per la maggior parte ma non per tutti.
Qualcuno, infatti, è spaventato dall’idea di non poter sospendere la terapia appena scomparsi i sintomi per potersi considerare “definitivamente guarito” e con questo allontanare le
40 Brain Feb 2023
CONTRIBUTO
paure che ancora oggi evocano i disturbi psichiatrici (follia, vergogna, inaffidabilità) e i farmaci che li curano (sedazione, danni fisici, dipendenza).
In questo caso cerco di aiutare la persona a comprendere che il suo ragionamento inverte il rapporto causa effetto. In psichiatria come nel resto della medicina, non è l’assunzione di un farmaco a “certificare” la presenza di un disturbo ma viceversa, cioè è la presenza di un disturbo che rende necessario assumere un farmaco. Quindi non seguire le cure non significa non stare male ma anzi peggiorare il proprio stato.
Altri, delusi, osservano “Ma allora, se devo prendere un farmaco per tanto tempo, e forse a vita, significa che non è curativo ma è un semplice palliativo”.
Si tratta di una considerazione legata ad una concezione di cura non aderente alla realtà attuale.
L’idea che una terapia per essere considerata “curativa” debba risolvere definitivamente un disturbo deriva da quello che accade nelle malattie infettive. Un agente esterno, per esempio un batterio, causa un’alterazione nell’organismo, per esempio un’infiammazione della gola, per cui si assume un antibiotico che dopo aver eliminato il batterio può essere sospeso.
Ma le malattie infettive sono una piccola area della medicina, nella maggior parte degli altri casi modalità e tempi di cura seguono regole ben diverse. Per rimanere alle patologie più comuni, come per esempio l’ipertensione, l’ipercolesterolemia, il reflusso gastro-esofageo, il diabete, l’ipotiroidismo (e l’elenco sarebbe lunghissimo), è necessario proseguire a lungo le terapie anche quando la persona sta bene per evitare la ricomparsa dei sintomi. Esattamente quello che accade per i disturbi psichiatrici più importanti, come la depressione con frequenti ricadute o i disturbi bipolari. Questo significa che
i farmaci utilizzati in psichiatria sono “curativi” tanto quanto quelli usati nel resto della medicina come gli anti-ipertensivi, le statine, gli ormoni tiroidei ecc… In altre parole, gli strumenti terapeutici oggi a disposizione dello psichiatra hanno una capacità curativa simile a quella degli strumenti che hanno a disposizione gli altri medici, sono cioè in grado di risolvere un disturbo e di evitare che si ripresenti ma non sempre di “eliminarlo definitivamente” tanto da poter fare a meno delle cure.
UNA RIFLESSIONE FINALE
In genere concludo le mie riflessioni su questo argomento ricordando alla persona che il nostro obiettivo comune è recuperare il benessere e mantenerlo nel tempo. Se questo, per i limiti delle terapie oggi disponibili, significa dover prendere a lungo una pillola, per quanto sia una seccatura è sempre meglio di ulteriori ricadute con tutta la sofferenza e le pesanti conseguenze che queste comportano.
Per chi soffre di un disturbo bipolare un trattamento a lungo termine è la regola perché, in assenza di cure, tende facilmente a ripresentarsi e ogni ricaduta riduce la risposta alla terapia e aumenta il rischio di ulteriori episodi.
41 Brain Feb 2023
CONTRIBUTO
CHI CAMMINA NEL VERDE USA MENO FARMACI PER ANSIA E DEPRESSIONE
Uno studio rivela un’associazione tra i due aspetti
42 Brain Feb 2023
di Antonio Acerbis
Per carità: guai a parlare di assoluta sostituzione, ma sicuramente può essere un prezioso aiuto in caso di ansia e depressione. Parliamo di passeggiate frequenti in parchi e boschi, ma anche più banalmente di una vista del balcone che affaccia sul verde: tutto questo ridurrebbe le prescrizioni mediche di farmaci. A dirlo, una nuova ricerca pubblicata online su Occupational & Environmental Medicine. I ricercatori finlandesi del Finnish Institute for Health and Welfare hanno osservato, infatti, un’associazione tra frequenti visite agli spazi verdi e minor uso di farmaci per la depressione, l’ansia, l’insonnia, l’ipertensione e l’asma. Le associazioni osservate non dipendevano dalla posizione socioeconomica.
I ricercatori hanno attinto alle risposte di 16.000 residenti selezionati a caso di Helsinki, Espoo e Vantaa, all’indagine sulla salute ambientale della regione della capitale di Helsinki nel 2015-16.
Queste tre città costituiscono la più grande area urbana della Finlandia. Il sondaggio ha raccolto informazioni su come gli abitanti delle città, di almeno 25 anni, vivono gli spazi residenziali verdi e blu entro un raggio di 1 km da casa.
Agli intervistati è stato anche chiesto di segnalare il loro uso di farmaci prescritti: farmaci per l’ansia, l’insonnia e la depressione, noti come farmaci psicotropi; farmaci per l’ipertensione e l’asma, se applicabile, per periodi che vanno dall’ultima settimana fino a più di un anno fa o mai. è stato anche chiesto loro quanto spesso trascorrevano del tempo, o si esercitavano all’aperto, in spazi verdi, nei mesi di maggio e settembre, con opzioni che andavano da mai a 5 o più volte a settimana. A loro è stato chiesto se riuscivano a
43 Brain Feb 2023
NEUROSCIENZE
I ricercatori hanno attinto alle risposte di 16.000 residenti selezionati a caso di Helsinki, Espoo e Vantaa, all’indagine sulla salute ambientale della regione della capitale di Helsinki nel 2015-16.
vedere spazi verdi o blu da una qualsiasi delle loro finestre di casa e, in tal caso, con quale frequenza hanno osservato queste viste, con opzioni che vanno da raramente a spesso. Le aree verdi sono state definite come foreste, giardini, parchi, parchi di castelli, cimiteri, giardini zoologici, vegetazione erbacea come praterie e brughiere naturali e zone umide.
Le aree blu sono state definite come mare, laghi e fiumi. Sono stati presi in considerazione anche fattori potenzialmente influenti, tra cui i comportamenti legati alla salute,
l’inquinamento dell’aria esterna e il rumore, il reddito familiare e il livello di istruzione. L’analisi finale ha incluso circa 6000 partecipanti che hanno fornito informazioni complete.
Ciò ha dimostrato che la quantità di spazi verdi e blu residenziali, o le viste da casa, non erano associati all’uso di farmaci da prescrizione per la salute mentale, l’insonnia, l’ipertensione o l’asma. Ma la frequenza delle visite agli spazi verdi era un fattore variabile: rispetto a meno di una visita settimanale, la visita 3-4 volte alla settimana è stata associata a probabilità inferiori del 33% di utilizzare farmaci per la salute mentale, probabilità inferiori del 36% di utilizzare farmaci per la pressione sanguigna e probabilità inferiori del 26% di utilizzare farmaci per l’asma.
Le cifre equivalenti per le visite almeno 5 volte a settimana erano, rispettivamente, inferiori del 22%, 41% e 24%. Queste associazioni osservate sono state indebolite quando è stato preso in considerazione il peso (BMI), in particolare per i farmaci per l’asma, poichè l’obesità è un noto fattore di rischio per l’asma, sottolineano i ricercatori.
Gli effetti della visita agli spazi verdi sono stati anche più forti tra coloro che riportano il reddito familiare annuo più basso, sotto i 30.000 euro. Ma nel complesso, le associazioni trovate non dipendevano dal reddito familiare e dal livello di istruzione. Questo è uno studio osservazionale e quindi non può stabilire causa ed effetto, affermano i ricercatori che sperano che questo studio «aumenti l’offerta di spazi verdi di alta qualità negli ambienti urbani e ne promuova l’uso attivo. Questo potrebbe essere un modo per migliorare la salute e il benessere nelle città».
44 Brain Feb 2023
NEUROSCIENZE
INDIVIDUATO L’INTERRUTTORE GENETICO DELLE ABBUFFATE
Ecco il gene che induce a consumare grandi quantità di cibo
Chi di voi ha mai sentito parlare di “intelligenza fluida”? Parliamo di quella caratteristica chiave degli esseri umani che permette di risolvere anche problemi mai incontrati prima, dei quali quindi non si ha esperienza. Ebbene sarebbe stata stata identificata l’area del cervello in cui ha origine proprio la cosiddetta “intelligenza fluida”.
Si ritiene sia un insieme di processi mentali complessi come quelli coinvolti nell’astrazione, nel giudizio, nell’attenzione, nella generazione di strategie e nell’inibizione. Si correla anche con molte abilità cognitive come la memoria.
Il risultato si deve a un gruppo di ricercatori dello University College
London (Ucl) e University
College London Hospitals (Uclh), che ha pubblicato lo studio sulla rivista Brain (ovviamente solo omonima della nostra).
I ricercatori, guidati dalla professoressa Lisa Cipolotti, sono riusciti a individuare la particolare regione cerebrale coinvolta in questi processi, grazie ad uno studio che ha coinvolto 227 pazienti che avevano avuto un tumore al cervello o un ictus (patologie che possono danneggiare diverse aree).
Utilizzando un test cognitivo di difficoltà crescente, gli autori dello studio hanno collegato i risultati ottenuti dai par-
tecipanti alle rispettive lesioni al cervello, scoprendo che scarsi risultati erano legati solo ai pazienti con lesioni nella parte frontale destra: questa zona, oltre che da tumori e ictus, può essere compromessa anche da demenza e traumi.
«I nostri risultati indicano per la prima volta che le regioni frontali destre del cervello sono fondamentali per le funzioni di alto livello coinvolte nell’intelligenza fluida, come la risoluzione dei problemi e il ragionamento», ha spiegato alle agenzie stampa la Cipolotti. «Questo supporta l’uso del test” dell’intelligenza fluida “in un contesto clinico, come modalità per valutare l’intelligenza fluida e identificare la disfunzione del lobo frontale destro».
«Il nostro approccio di combinare una nuova mappatura del deficit di lesione con un’indagine dettagliata delle prestazioni dell’Apm (il test più consolidato di intelligenza fluida, ndr) in un ampio campione di pazienti fornisce informazioni cruciali sulle basi neurali dell’intelligenza fluida - ha concluso la professoressa - Una maggiore attenzione agli studi sulle lesioni è essenziale per scoprire la relazione tra cervello e cognizione, che spesso determina il modo in cui vengono trattati i disturbi neurologici».
Brain Feb 2023 45 NEUROSCIENZE
di Francesco Carta
SCOPERTO IL GENE RESPONSABILE DELL’AUTISMO
Ricerca condotta dall’Università di Torino. Lo studio e le prospettive
Uno studio rivoluzionario, guidato peraltro dalla “nostra” dall’Università di Torino in collaborazione con l’Università di Colonia, e per certi versi rivoluzionario: la ricerca avrebbe infatti dimostrato che le mutazioni nel gene CAPRIN1 sono responsabili di alterazioni di specifici meccanismi neuronali che provocano una forma di disturbo dello spettro autistico. Insomma, detta in soldoni sarebbe stato “scoperto” il gene responsabile dell’autismo.
Grazie a uno studio multicentrico internazionale, coordinato dal Prof. Alfredo Brusco, docente di Genetica medica del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino e della Genetica medica universitaria della Città della Salute di Torino, sviluppato in collaborazione con l’Università di Colonia e recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Brain, è stato dimostrato
il ruolo del gene CAPRIN1 nello sviluppo di una rara forma di autismo. Lo studio è basato sulle nuove tecnologie di sequenziamento del DNA e sullo sviluppo di modelli in vitro di cellule neuronali.
L’autismo è un frequente disturbo del neurosviluppo che esordisce nei primi anni di vita e colpisce l’1% della popolazione nelle sue varie forme di presentazione, ed è caratterizzato da compromissione dell’interazione sociale, alterazione della comunicazione e interessi limitati, stereotipati e ripetitivi che impediscono di interagire adeguatamente con le persone e l’ambiente. Il disturbo si manifesta con una vasta gamma di presentazioni cliniche e diversi livelli di gravità, tanto da essere definito come spettro autistico, definizione recentemente introdotta nella pratica clinica e indubbiamente più appropriata.
Questa evoluzione concettuale,
46 Brain Feb 2023
NEUROSCIENZE
di Alberto Volpi
come ricordava qualche giorno fa anche la rivista Quotidiano Sanità, sottolinea che la presentazione dei disturbi dello spettro autistico è estremamente eterogenea e correlata a numerosi specifici sottogruppi clinici con specifiche basi biologiche. Negli ultimi anni, grazie ai progressi tecnologici che permettono di studiare su larga scala il genoma umano, è stata dimostrata la base genetica di molte condizioni caratterizzate da manifestazioni che rientrano nei disturbi dello spettro autistico.
Oggi viene fatto un importante passo avanti nella comprensione delle basi genetiche dell’autismo grazie a questa ricerca.
L’uso di tecnologie di sequenziamento dei geni umani (analisi dell’esoma e analisi del genoma) hanno permesso attraverso una collaborazione internazionale di identificare 12 pazienti colpiti da questa forma di disordine del neurosviluppo e comprenderne i meccanismi biologici associati.
L’analisi di centinaia di pazienti ha permesso di individuare un caso piemontese in cui era presente un’ampia regione di un cromosoma che comprendeva il gene CAPRIN1. Questa iniziale osservazione ha permesso di ipotizzare il ruolo di CAPRIN1 nella patogenesi dell’autismo e la successiva identificazione di 12 pazienti con una mutazione nel gene ne ha dimostrato il ruolo patogenico. I pazienti mostrano ritardo del linguaggio, disabilità intellettiva, deficit di attenzione ed iperattività, disturbo dello spettro autistico. L’identificazione di nuovi geni associati a forme di disturbo dello spettro autistico, sottolinea una nota di UniTo, «è in rapida evoluzione e si prevede siano oltre mille i geni implicati nella patogenesi di questa condizione. Infatti, buona parte dei disturbi del
neurosviluppo associati ad autismo sono probabilmente associati a diverse varianti in geni coinvolti nello sviluppo del sistema nervoso centrale in grado di esitare in franca patologia solo quando sinergicamente presenti. Le sfide del prossimo futuro, che potranno essere affrontate proprio grazie alle collaborazioni internazionali, sono molteplici: identificare nuovi geni e meccanismi correlati ai disturbi dello spettro autistico, classificare i pazienti in base ai meccanismi biologici coinvolti nelle specifiche forme cliniche, porre le basi per future terapie nel contesto di un approccio di medicina di precisione. Identificare nuovi geni significa – conclude la nota – quindi non solo comprendere meglio la neurobiologia di queste malattie, ma anche fornire risposte alle famiglie con pazienti affetti da disturbo dello spettro autistico, e porre le basi per i futuri approcci terapeutici».
La ricerca avrebbe dimostrato che le mutazioni nel gene CAPRIN1 sono responsabili di alterazioni di specifici meccanismi neuronali che provocano una forma di disturbo dello spettro autistico.
47 Brain Feb 2023
NEUROSCIENZE
L’USO COMPULSIVO DEI SOCIAL PUÒ ALTERARE IL CERVELLO DEI TEENAGER
Per la prima volta uno studio scientifico è riuscito a “fotografare” l’influenza dei social media sullo sviluppo cognitivo dei teenager, andando a guardare in che modo questo universo online altera il funzionamento del cervello.
La ricerca, pubblicata su JAMA Pediatrics, ha stabilito che gli adolescenti che trascorrono più tempo sui social hanno un cervello sempre più assetato di approvazione sociale dei pari. In pratica, l’utilizzo eccessivo dei social media e l’abitudine frequente di controllare le notifiche nei ragazzi di prima e seconda media può essere associato a una serie di cambiamenti nella sensibilità del cervello, specialmente nelle regioni legate alle ricompense e alle punizioni sociali.
Questo inquietante risultato emerge dallo studio, condotto dagli scienziati dell’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill. Il team, guidato da Eva Telzer, ha coinvolto 169 stu-
denti di prima e seconda media. Le piattaforme social, spiegano gli studiosi, offrono agli adolescenti opportunità di interazione senza precedenti, il che può avere impatti significativi in un periodo di sviluppo critico in cui il cervello è particolarmente sensibile al feedback sociale. I social consentono infatti l’accesso immediato alle informazioni in qualunque momento e sono progettati per mantenere il coinvolgimento degli utenti. Le notifiche, i messaggi e le comunicazioni vengono visualizzate in modo imprevedibile su un programma di rinforzo variabile estremamente potente.
I ricercatori hanno eseguito risonanze magnetiche funzionali per considerare l’anticipazione del feedback sociale. I ragazzi sono stati quindi esposti a stimoli che indicavano le ricompense sociali. Stando a quanto emerge dall’indagine, il 78% dei partecipanti di età compresa tra 13 e 17 anni aveva l’abitudine di controllare i propri
48 Brain Feb 2023
NEUROSCIENZE
Il cervello di questi ragazzi più sensibile al giudizio dei coetanei
di Alessia Vignoli
dispositivi almeno una volta ogni ora, con il 46% che li monitorava quasi costantemente.
Questo lavoro, commentano gli scienziati, sottolinea che chi tende a verificare le notifiche dei social più frequentemente è associato ad alterazioni specifiche nel cervello, specialmente in termini delle regioni legate ai meccanismi di ricompensa sociale. Saranno necessari ulteriori approfondimenti, concludono gli autori, per esaminare le associazioni a lungo termine tra l’uso dei social media, lo sviluppo neurale degli adolescenti e l’adattamento psicologico, specialmente in una realtà in cui le piattaforme social rappresentano un denominatore comune ed estremamente diffuso per le nuove generazioni.
«I risultati suggeriscono che i bambini che crescono controllando Facebook, Instagram e TikTok più spesso stanno diventando ipersensibili al feedback dei loro coetanei», ha spiegato l’autrice della ricerca Eva Telzer.
Il cervello degli utilizzatori abituali, «cresciuti controllando più spesso i social media, diventa più di frequente ipersensibile al feedback dei coetanei», ha sottolineato ancora la Telzer. Mentre giocavano, questi ragazzi hanno mostrato un’attività aumentata in tre aree cerebrali: i circuiti che analizzano la ricompensa (gli stessi che si attivano quando si vince del denaro o nel valutare comportamenti a rischio); le aree che determinano quali sono gli stimoli più rilevanti nell’ambiente, e la corteccia prefrontale, coinvolta nella regolazione e nel controllo delle proprie azioni.
Ma dunque è un bene o un male? La domanda resta aperta. Come spiegato da Focus e dal New York Times, la sensibilità verso le interazioni sociali potrebbe per esempio essere un tratto adattivo, che è bene imparare e che sarà utile nella vita, o al contrario potrebbe trasformarsi in una fonte di ansia sociale e depressione se non soddisfatta.
La ricerca, pubblicata su JAMA Pediatrics, ha stabilito che gli adolescenti che trascorrono più tempo sui social hanno un cervello sempre più assetato di approvazione sociale dei pari.
49 Brain Feb 2023
NEUROSCIENZE
SEI MINUTI DI ATTIVITÀ FISICA PER COMBATTERE L’ALZHEIMER
Come ritardare l’insorgenza di malattie neurodegenerative
Che il regolare esercizio fisico sia fondamentale per mantenersi in salute ce lo sentiamo ripetere continuamente. Ma ci saremmo mai aspettati di leggere che appena sei minuti di attività fisica ad alta intensità potrebbero contribuire concretamente a ritardare l’insorgenza di malattie neurodegenerative?
Eppure è proprio quello che emerge da una ricerca neozelandese pubblicata da poco sul Journal of Physiology, in cui gli studiosi hanno esaminato gli effetti dell’esercizio fisico e del digiuno intermittente in 12 volontari sani e fisicamente attivi (6 uomini e 6 donne) di età compresa tra i 18 e 56 anni.
Sei minuti di attività fisica intensa sono, dunque, sufficienti ad aumentare la produzione di una sostanza cruciale per il cervello, una proteina specializzata che è essenziale per il suo sviluppo, l’apprendimento e la memoria, e che può proteggere dall’insorgenza di disturbi neurodegenerativi legati all’età, come la malattia di Alzheimer e il morbo di Parkinson.
La proteina in questione è chiamata fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF) e promuove la neuroplasticità (la capacità del cervello di modificare la propria struttura e le proprie funzionalità) e la sopravvivenza dei neuroni. Studi sugli animali hanno dimostrato che l’aumento della disponibilità di BDNF incoraggia la formazione e l’archiviazione dei ricordi, migliora l’apprendimento e in generale aumenta le prestazioni cognitive.
Questi ruoli chiave e le sue potenziali qualità neuroprotettive hanno alimenanto l’interesse dei ricercatori per il BDNF. «Ha mostrato grandi promesse nei modelli animali, ma finora gli interventi farmacologici non sono riusciti a sfruttare il suo potere protettivo negli esseri umani – ha affermato Travis Gibbons dell’Università di Otago, in Nuova Zelanda, autore principale dello studio – Abbiamo visto la necessità di esplorare approcci non farmacologici in grado di preservare la capacità del cervello e che possano aumentare naturalmente il BDNF per favorire un sano invecchiamento». (F. C.)
50 Brain Feb 2023 NEUROSCIENZE
PER RESTARE SEMPRE INSIEME
Il microchip è il modo migliore per ritrovare il tuo amico a quattrozampe in caso di smarrimento.
E allora cosa aspetti?
Se il tuo cane o il tuo gatto non lo hanno ancora, recati dal tuo veterinario o al servizio veterinario pubblico competente per territorio, per identificarlo e iscriverlo in anagrafe degli animali d’affezione!
COS’È IL MICROCHIP E A COSA SERVE?
● Il microchip, obbligatorio per legge per il cane e presto anche per il gatto, è un piccolo dispositivo elettronico che identifica il tuo amico a quattrozampe e lo lega a te in maniera unica. L’identificazione con microchip di cani, gatti e furetti è inoltre obbligatoria per poter acquisire il passaporto europeo, per recarsi all’estero.
● Non temere per la sua salute: l’inserimento del microchip è sicuro e indolore!
● Il certificato di iscrizione nell’anagrafe degli animali d’affezione è la sua “carta d’identità”. Ricordati di portarlo sempre con te!
È un’iniziativa del Ministero della Salute in collaborazione con LAV
Informati su www.salute.gov.it e www.lav.it
DIMOSTRAGLI IL TUO AMORE CON IL MICROCHIP
THE FABELMANS: CHI È VERAMENTE IL GRANDE REGISTA?
The Fabelmans è la storia romanzata dell’infanzia di Steven Spielberg, della sua famiglia e della passione per il cinema
di Chiara Andreotti
Avventure incredibili, eroi fuori dal tempo e creature straordinarie sono sempre state parte fondamentale della creatività di Steven Spielberg, che negli anni ha plasmato il nostro immaginario fino a trasformarlo. Ma chi è davvero l’uomo dietro i film che hanno emozionato il mondo intero?
Un uomo consapevole della propria storia e del proprio passato, deciso ad affrontarlo un’ultima volta prima di lasciarlo dietro di sé. “È il film più personale che abbia mai fatto” racconta a proposito della pellicola Spielberg, che appare nei primi minuti del film per svelarne la genesi.
The Fabelmans è infatti la storia romanzata, neanche poi così tanto, dell’infanzia del regista, della sua famiglia e della passione per il cinema.
Allora Steven diventa il piccolo Sammy, un bambino curioso con grandi
occhi azzurri che è spaventato dal cinema, da quelle immagini grandi che sembrano uscire dallo schermo. Nonostante le spiegazioni tecniche del padre ingegnere e la visione onirica della madre pianista, Sammy si convince della vera magia del cinema solo quando, per esorcizzare la paura, prende in mano una macchina da presa. Si susseguono gli anni da scout dove mette in scena, pellicola dopo pellicola, brevi storie dal sapore western costellate da lampi di genio improvvisi. Intanto, però, il lavoro del padre porta la famiglia Fabelmans di città in città, incrinando sempre di più i rapporti tra i genitori. Sam, ormai alla fine dell’adolescenza, è costretto a frequentare una scuola che odia, con compagni che lo bullizzano: “Avevo paura di andare a scuola, di tornare a casa da solo e di incontrare nuovi coetanei, perché temevo che
52 Brain Feb 2023
FILM
seguissero le teste calde che mi disprezzavano e passandomi accanto gridavano sporco ebreo”, ricorda Spielberg. A casa la situazione non è certo migliore: la madre, sull’orlo di una depressione, rifiuta di farsi seguire da uno specialista, passando le giornate a letto, mentre il padre finge con ingenuità di non vedere i problemi che affliggono la famiglia.
Frame dopo frame, la pellicola costruisce un ritratto sincero e tenero, a tratti persino doloroso. Non è un caso che il racconto fosse pronto da anni nella mente di Spielberg, forse però non era pronto lui stesso a vederlo sullo schermo. È stato solo dopo la morte di entrambi in genitori che ha deciso finalmente di riprendere in mano la storia e farla diventare realtà.
The Fabelmans diventa così una lettera d’amore verso il cinema, orizzonte inarrivabile che Spielberg continua a inseguire ancora oggi. Una lettera di perdono dedicata ai genitori del regista che, pur sbagliando, hanno fatto tutto quello che potevano con la capacità
che avevano, mettendo sempre un profondo amore in ogni momento. Infine, una lettera di perdono verso se stesso: sempre diviso tra famiglia e passione è come se l’autore chiedesse l’assoluzione ai suoi cari per aver inseguito il sogno della sua vita.
53 Brain Feb 2023
FILM
UN MATRIMONIO, UN OMICIDIO E PARIGI. QUESTO È AMORE
Il nuovo romanzo di Diane Johnson, che con Kubrick creò Shining
Che cosa è l’amore? E, soprattutto, cosa accade quando nell’amore si insinuano dubbi (e magari un omicidio)? Risponde a queste domande la scrittrice americana Diane Johnson con il suo ultimo romanzo appena pubblicato da Atlantide. Si tratta de “Le Mariage” (pp. 432, Euro 20), incantevole commedia - definita dal New Yorker “brillante e irresistibile” - che accompagna il lettore alla fine degli anni Novanta in Francia, a Parigi.
due americani appena arrivati dall’Oregon, un manoscritto medioevale, una conturbante ex attrice e un regista bibliofilo - accompagna il lettore in destini incrociati (e mancati), rimpianti, divertenti intermezzi ed equivoci. Il talento dell’autrice - nata in Illinois nel 1934, un presente diviso fra Parigi e San Francisco - è quello di creare una trama che fonde tensione a riflessioni mai scontate, illuminando i rapporti con una luce inaspettata e non di rado cinica.
“Le mariage”
Diane Johnson
Atlantide Editore
Protagonista è l’intrigante antiquaria Anne-Sophie, giovane e bella, figlia di una celebre autrice amata in tutto il Paese. Anne-Sophie ha un destino che sembra deciso: qualche tempo prima ha incontrato Tim, americano e giornalista, raffinato expat dal cuore europeo (e dalle origini, per parte di madre, belghe), e i due si stanno per sposare - da qui il titolo del volume, tradotto con talento da Tiziana Lo Porto. Eppure qualcosa, dietro l’apparenza, porta in una realtà meno leziosa e perfetta. Una realtà dentro cui lo snodo di trama - decisamente accattivante, che mette insieme un omicidio, una coppia di
424 pagine, 20 euro
Con questo volume Johnson, considerata una delle migliori autrici statunitensi contemporanee, conferma il suo straordinario talento, che l’ha portata a essere finalista per due volte al Premio Pulitzer e al National Book Award. Già nota al grande pubblico per aver scritto insieme a Stanley Kubrick la sceneggiatura di Shining, questa volta sgattaiola dentro la vita di una donna complessa e misteriosa, come già accaduto con il romanzo pubblicato l’anno scorso da Atlantide - e accolto con un discreto successo di pubblico e critica - “Lorna Mott torna a casa” (pp. 416, Euro 18,50).
54 Brain Feb 2023
LIBRI
LIBRI
di Flavia Piccinni
FARE LUCE SULLA STORIA TRA MANIPOLATORI E PREDATORI
“Predatori”, galleria narrativa di ritratti affascinanti e letali
“Il mondo è costituito da predatori e prede. O siete a caccia o state scappando”, notava la scrittrice Charlene Weir. E - forse - partendo proprio da questo assunto, su Spotify arriva “Predatori”, galleria narrativa di ritratti dei manipolatori più affascinanti e letali nella storia della contemporaneità. Personalità in grado di distruggere la vita altrui pur di accrescere il proprio ego senza rinunciare alla santificazione della propria esistenza, creature in delirio che hanno assistito all’ascesa e alla rovinosa caduta dei loro imperi. Ovviamente da protagonisti.
Il viaggio - condotto dall’attrice Orsetta Borghero, attiva in teatro, al cinema e in tv - crea un mosaico di personalità fra di loro differenti, che danno però chiaramente il quadro di come la manipolazione ego-riferita trascenda i campi d’azione. Si va dalla finanza alla religione, passando naturalmente per la manipolazione amorosa e sessuale.
La prima puntata è dedicata a Herr Doktor, ministro della Propaganda nazista, noto anche come Joseph Goebbels. Al centro di tutto c’è la capacità di un talento comunicativo innato di manipolare le folle, arrivando a contribuire all’accettazione dell’ideologia nazista nella popolazione tedesca. Goebbels era un uomo mingherlino, storpio, che veniva
“Predatori”
Spotify Studios
Piattaforma: Spotify
dalle province della Ruhr e che niente aveva da spartire con la razza ariana. Eppure fu in grado di riuscire in quello che apparentemente pareva impossibile. Fu capace di incitare folle gigantesche, manipolare l’informazione, distruggere il Passato per costruire un Presente dove o eri dentro o eri fuori. E se eri fuori, eri spacciato. (F. P.)
Brain Feb 2023 55
LIBRI
PODCAST
Intelligenza, ovvero…?
Da qualche tempo ormai l’Intelligenza Artificiale è diventata tema di discussione anche tra i non addetti ai lavori. Al di là degli aspetti etici o di quelli tecnologici, il punto nodale del dibattito è sempre lo stesso: potrà mai l’Intelligenza Artificiale superare quella Naturale?
La questione non è di poco conto, non fosse altro perché, come prima cosa, richiede di chiarire cosa si intenda per intelligenza. Per la verità, non esiste una definizione univoca e condivisa. I filosofi preferiscono parlare di ragione, intelletto o razionalità, come della facoltà generale di comprendere la realtà e risolvere problemi, qualcosa dunque che accomuna tutti gli esseri viventi, dall’organismo più semplice all’essere umano. Per ogni essere vivente, infatti, la vita è un test di intelligenza.
In questa prospettiva, secondo Popper, tanto l’ameba, organismo di una sola cellula, quanto Einstein usano la stessa strategia per risolvere un problema, per quanto ovviamente a livelli diversi. Entrambi procedono per congetture e confutazioni (trial and error), ma mentre per l’ameba compiere un errore significa soccombere, per Einstein significa poter confutare una teoria e fare
quindi un passo in avanti. La differenza sta nel fatto che l’essere umano non si identifica con la sua teoria, non è la sua teoria, ma al contrario la teoria è un oggetto che egli può consapevolmente esaminare e criticare. E imparare dagli errori, tanto che lo scienziato va in cerca dell’errore. È così che progredisce la conoscenza.
Per la psicologia, intelligenza significa apprendere termini nuovi, elaborare modelli astratti della realtà, comunicare concetti complessi, pianificare azioni e così via. In sintesi, imparare, ragionare, risolvere problemi. Una definizione operativa di intelligenza usata spesso in psicologia è quella di abilità cognitive generali. Posta in questi termini, l’intelligenza comincia ad assumere la veste di entità definibile e misurabile. Requisito indispensabile per poter studiare un qualsivoglia fenomeno con il rigore proprio del metodo scientifico e ottenere risultati attendibili.
Prima che il dibattito su Intelligenza Artificiale vs Naturale prendesse il sopravvento, l’intelletto umano si è chiesto per decadi e decadi se intelligenti si nasca o si diventi, insomma, l’intramontabile dilemma Nature vs Nurture. Ma di questo parleremo prossimamente.
56 Brain Feb 2023
TITOLI DI CODA
di Pietro Pietrini
*Neuroscienziato e psichiatra, Scuola IMT Alti Studi Lucca
Cure palliative in ospedale UN DIRITTO DI TUTTI
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