Brain. Febbraio 2024

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Anno V| N. 2 | Febbraio 2024

BRAIN APPLICATION Metaverso e telepsichiatria nuove frontiere per la salute

Dizionario aggiornato delle terapie futuribili

Cure su misura con la psichiatria personalizzata

Effetti della cannabis sulla salute mentale


Libri fuori dal tempo e dalle mode Giuseppe Quaranta LA SINDROME DI RÆBENSON Finalista al Premio Calvino 2023 Un esordio coinvolgente e perturbante tra Borges e Labatut “L’enigma della sindrome di Ræbenson ci consente di avvicinare alcuni dei temi e dei concetti più inattingibili e misteriosi dell’esistenza: l’identità e i confini dell’io, la definizione di malattia mentale e quella di salute, il tema della morte e quello dell’invecchiamento, lo statuto della mente, della memoria e della realtà. Ed è proprio in questa possibilità, offerta da Quaranta con una poderosa forza lirica e suggestiva, che risiede uno degli aspetti più straordinari del libro”. Chiara D’Ippolito – L’Indice dei libri del mese “Giuseppe Quaranta ha il merito di innestare la ‘vertigine’ metafisico-apocalittica di Sebald nel racconto preciso e concretissimo di complicate relazioni sentimentali, in un universo narrativo affollato di personaggi, e micronarrazioni”. Filippo La Porta – Robinson La Repubblica “Un viaggio iniziatico nel possibile parossismo di una degenerazione fisica e mentale. E la ricchezza - anche linguistica - del romanzo di Quaranta trova la sua limpida giustificazione in questo viaggio, che raffigura come in un minuzioso - soffocante - trattato, l’atroce senso delle cose inumane”. Sergio Pent – TuttoLibri, La Stampa “Un esordio colto, estetico, dal fascino novecentesco”. Nadeesha Unyangoda - Internazionale “In questo romanzo, ho trovato tutto ciò che cerco in un libro: una visione vasta sostenuta da una lingua ricca e “letteraria”, il coraggio temerario di affrontare argomenti complessi (e spesso ignorati da una buona parte degli scrittori), una trama solida ma non convenzionale, e una qualità altissima in tutto - dalla scelta dei singoli dettagli all’impianto complessivo”. Paolo Zardi

www.edizionidiatlantide.it


EDITORIALE

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Varcare le frontiere del metaverso e della telepsichiatria di Armando Piccinni

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n un’epoca come quella che stiamo vivendo, segnata da rapidi progressi tecnologici e dalla crescente digitalizzazione della vita quotidiana, il campo della psichiatria sta assistendo a trasformazioni rivoluzionarie che promettono di rinnovare l’approccio al benessere mentale. Ed è partendo da questo presupposto che abbiamo deciso di dedicare il numero di febbraio di Brain alle nuove frontiere della psichiatria, mettendo in luce come la convergenza tra tecnologia e salute mentale stia apportando cambiamenti significativi nella diagnosi, nel trattamento e nel supporto ai pazienti affetti da disturbi psichiatrici. Attraverso l’esame di temi come le terapie nel metaverso, la telepsichiatria, e la psichiatria digitale, accompagneremo il lettore in un percorso che mostrerà non solo l’innovazione in atto ma anche il potenziale per un futuro in cui l’accesso alle cure psichiatriche possa essere più inclusivo, efficace e personalizzato. Questi sviluppi - che aprono comunque nuove domande dal punto di vista scientifico ed etico - sono particolarmente promettenti infatti per superare le barriere geografiche

e socioeconomiche che tradizionalmente hanno limitato l’accesso alle cure nel nostro Paese; aspetto che troverete approfondito in tutta la sua gravità in un’inchiesta esclusiva. In questa “corsa al futuro” è necessario riflettere sull’impatto della digitalizzazione e sulla personalizzazione del trattamento psichiatrico, concentrandosi su come le nuove tecnologie e i più innovativi strumenti - a cominciare dall’intelligenza artificiale - possano contribuire a sviluppare piani di cura su misura per le esigenze individuali. Ovviamente una parte della riflessione è quella dedicata alla neurospichiatria infantile, a sua volta al centro di una piccola rivoluzione che qui raccontiamo con attenzione, raccogliendo le opportunità e le sfide per i pazienti più giovani e le loro famiglie. Di certo è innegabile il crescente interesse che l’evoluzione della psichiatria digitale e delle terapie innovative nel metaverso portano con loro: frontiere emergenti che richiedono entusiasmo e cautela in egual misura. Elementi che, ci auguriamo, caratterizzeranno questo nuovo numero di Brain. Buona lettura!



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Anno V| N. 2 | Febbraio 2024

BRAIN APPLICATION

SOMMARIO

Metaverso e telepsichiatria nuove frontiere per la salute

Dizionario aggiornato delle terapie futuribili

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EDITORIALE

Varcare le frontiere del metaverso e della telepsichiatria di Armando Piccinni PRIMO PIANO

10 Le nuove frontiere

della salute mentale di Valentina Formica

12 Dizionario aggiornato: le sfide

dell’IA nell’era che stiamo vivendo di Federico Piccinni

Cure su misura con la psichiatria personalizzata

Effetti della cannabis sulla salute mentale

Brain Anno V | N. 2 | Febbraio 2024 Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca Diffusione: www.fondazionebrf.org Direttore responsabile: Armando Piccinni Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca


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14 Il paradigma neuroevolutivo in neuropsichiatria infantile di Giovanni Saraff

18 Psichiatria personalizzata:

quando la cura è su misura di Martina Gaudino L’INCHIESTA

22 La rinuncia alle cure di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni

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L’INTERVISTA

26 L’universo vicino dei disturbi

42 Ignoranza intenzionale,

mentali: conoscerlo per abbattere la paura

scegliere di non sapere di Francesco Carta

di Martina Gaudino CONTRIBUTO/1

30 Cannabis libera? Parliamone di Antonio Tundo, Roberta Necci

43 L’importanza della memoria emotiva di Valerio Rossi

CONTRIBUTO/2

36 Neuroetica della memoria per

l’autocomprensione di noi stessi di Alberto Carrara FONDAZIONE BRF

38 Osservatorio suicidi e progetti UE: Fondazione Brf in prima linea di Valentina Formica

44 Teenager e social media a prova di “scansione” di Alessio Righi

45 La rete delle autostrade neurali del cervello di Alessia Vincenti

46 Il cervello: l’organo

NEUROSCIENZE

40 I pionieri scientifici di un 2023 memorabile secondo Nature

che non prova dolore di Alberto Volpi LIBRI

di Giovanni Saraff

48 La storia antica secondo e voci delle donne di Flavia Piccinni PODCAST

49 La quotidianità oltre 22

la procrastinazione di Flavia Piccinni


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LE NUOVE FRONTIERE DELLA SALUTE MENTALE Esplorando le possibilità di impiego del Metaverso e della Telepsichiatria di Valentina Formica


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el mondo in rapida evoluzione della tecnologia, emergono nuovi approcci alla salute mentale che sfruttano le potenzialità digitali per offrire terapie innovative e accessibili a tutti. Tra le frontiere più rilevanti, spiccano il metaverso e la telepsichiatria. L’era digitale ha portato alla creazione di numerose applicazioni e strumenti progettati per migliorare la salute mentale. Dalle app di meditazione e gestione dello stress alle piattaforme di monitoraggio dell’umore, la psichiatria digitale offre soluzioni personalizzate per affrontare una varietà di problemi psicologici. Alcune app utilizzano algoritmi avanzati di intelligenza artificiale per adattare i programmi di trattamento alle esigenze individuali. Questi nuovi modi di fare terapia stanno ridefinendo la nostra concezione di assistenza psicologica, aprendo porte a una gamma più ampia di soluzioni e potrebbero rendere la salute mentale più accessibile che mai. Metaverso: Un Viaggio nell’Immersività Il metaverso, un concetto che inizialmente apparteneva al mondo dei giochi e della fantascienza, sta diventando una realtà tangibile anche nel contesto della salute e più in particolare in quello della salute mentale. Si tratta di un ambiente virtuale tridimensionale condiviso in cui le persone possono interagire in tempo reale, utilizzando avatar personalizzati per esplorare ambienti digitali. Coniato da Neal Stephenson nel suo romanzo “Snow Crash” del 1992, il termine “metaverso” denota un mondo virtuale capace di sfidare i confini tra realtà e virtualità, offrendo esperienze immersive e una fusione continua tra il mondo digitale e quello reale. Nella realtà mista quello che facciamo nel mondo fisico influenza l’esperienza nel mon-

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Il metaverso, un concetto che inizialmente apparteneva al mondo dei giochi e della fantascienza, sta diventando una realtà tangibile anche nel contesto della salute e più in particolare in quello della salute mentale.

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do virtuale e viceversa. Questo legame profondo tra mondo digitale e fisico è reso possibile grazie ai “gemelli digitali”, cloni virtuali degli oggetti reali collegati direttamente alle loro controparti digitali. Indossando dispositivi di realtà mista come occhiali ibridi VR/ AR, gli utenti possono interagire con oggetti e persone sia nel mondo fisico che in quello virtuale, creando una connessione spaziale e temporale. La peculiarità del metaverso rispetto ad altri sistemi di videoconferenza e altre piattaforme di socialità digitale risiede nella capacità di attivare i neuroni GPS consentendoci di creare ricordi con una collocazione spazio-temporale chiara. Infatti, i “neuroni GPS” del nostro cervello, che si attivano quan-

do occupiamo una posizione nell’ambiente fisico, svolgendo un ruolo importante nella navigazione spaziale, contribuiscono a stabilire una mappa cognitiva dell’ambiente circostante e aiutano a orientarsi e a navigare attraverso di esso. Questi neuroni non solo ci aiutano a navigare nel mondo fisico ma contribuiscono anche a plasmare chi siamo attraverso la nostra memoria. Sono la bussola della nostra identità. Giocano infatti un ruolo fondamentale nella costruzione della nostra memoria autobiografica. La nostra identità, infatti, è intrecciata con i luoghi che frequentiamo. Siamo lavoratori perché andiamo in azienda, siamo appassionati tifosi perché andiamo allo stadio, ecc, i neuroni GPS registrano questi luoghi e gli eventi che vi accadono. Grazie alle sue potenzialità, lo spazio del Metaverso offre nuove opportunità per la terapia, consentendo agli utenti di immergersi in scenari controllati, affrontare le proprie paure, migliorare la propria consapevolezza emotiva, rafforzare le proprie abilità sociali, le abilità comunicative e l’autostima. La terapia nel metaverso sembra essere particolarmente utile nel trattare disturbi d’ansia, fobie specifiche e fobia sociale. Un mondo virtuale privo di giudizio sociale consente un’esperienza graduale e sicura delle situazioni temute in un ambiente favorevole senza il timore del giudizio negativo. Allo stesso modo la possibilità di fare esperienza in maniera graduale di situazioni fobiche rende il metaverso uno strumento utile nel trattamento delle fobie specifiche. La personalizzazione di ambienti virtuali per simulare scenari traumatici rilevanti può aiutare i pazienti con disturbo da stress post-traumatico nello sviluppo di risposte e meccanismi di coping appropriati. Inoltre, la creazione di avatar con diverse corporature offre un’op-


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portunità di ristrutturazione cognitiva per le persone con dismorfismo corporeo o disturbi dell’alimentazione, contribuendo a sviluppare una maggiore accettazione di sé. Il metaverso trova applicazione anche in contesti neuroriabilitativi e nell’ambito delle malattie neurodegenerative, quali Alzheimer e Parkinson. Le applicazioni del Metaverso nella salute mentale non si fermano qui. Le sessioni di terapia di gruppo, le esperienze immersive per il rilassamento e la meditazione e il supporto fornito dagli avatar virtuali possono permettere di affrontare i sentimenti di solitudine, ansia e isolamento sociale, specialmente in situazioni di emergenza, quali il lockdown durante la pandemia da COVID-19. Telepsichiatria: La Terapia a Distanza La telepsichiatria, anche nota come psichiatria a distanza o psichiatria telematica, rappresenta una rivoluzione nell’accesso ai servizi psichiatrici attraverso l’impiego delle moderne tecnologie informatiche. Utilizzando videochiamate e piattaforme online sicure, i pazienti possono collegarsi con i professionisti della salute mentale senza doversi spostare, superando così barriere geografiche e logistiche. Questo è particolarmente utile per coloro che vivono in aree remote o che hanno difficoltà a spostarsi. Numerose ricerche suggeriscono che la telepsichiatria può essere altrettanto efficace quanto la terapia faccia a faccia in molte situazioni, offrendo la stessa qualità di assistenza delle sedute tenute di persona, fornendo una gamma completa di servizi, dalla diagnosi al trattamento, alla gestione a lungo termine di disturbi mentali. Inoltre, può essere impiegata anche in situazioni di emergenza o crisi. Questa modalità può essere particolarmente utile per la gestione di disturbi come l’ansia e disturbi legati a situazioni traumatiche.

Le nuove terapie offrono diversi vantaggi, ma è importante valutarne anche le sfide. L’accessibilità è uno dei principali benefici: le persone possono ricevere cure di qualità ovunque si trovino, ma è essenziale garantire che questa accessibilità sia estesa a tutti. Questo richiede una consapevolezza e un impegno continuo per superare le disparità nell’accesso alle tecnologie digitali. Dovremmo assicurarci che le nuove terapie non lascino nessuno indietro, affrontando le barriere economiche e promuovendo l’inclusività. Inoltre, alcune sfide legate a queste nuove terapie includono questioni legate alla privacy, alla sicurezza dei dati e alla necessità di garantire che queste nuove modalità terapeutiche siano basate su evidenze scientifiche. Mentre l’efficacia di molte di esse è supportata da ricerche, è importante continuare a condurre studi per garantire che le nuove modalità terapeutiche siano ancorate a basi solide e rispondano a standard scientifici elevati. L’innovazione deve essere guidata dalla scienza per garantire risultati affidabili e benefici tangibili per i pazienti. Il panorama della salute mentale digitale è in continua evoluzione, con innovazioni che sorgono regolarmente in risposta alle esigenze di una società in costante cambiamento. L’integrazione di tecnologie emergenti come la realtà virtuale, l’intelligenza artificiale e l’analisi dei dati potrebbe aprire ulteriori possibilità nel trattamento dei disturbi mentali. Tuttavia, è essenziale mantenere un equilibrio tra l’entusiasmo per le nuove tecnologie e la necessità di garantire che siano sicure, efficaci ed etiche. Costruire un futuro in cui la salute mentale sia accessibile a tutti richiede un approccio ponderato e responsabile all’evoluzione delle terapie digitali.

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La telepsichiatria, anche nota come psichiatria a distanza o psichiatria telematica, rappresenta una rivoluzione nell’accesso ai servizi psichiatrici attraverso l’impiego delle moderne tecnologie informatiche.

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DIZIONARIO AGGIORNATO: LE SFIDE DELL’IA NELL’ERA CHE STIAMO VIVENDO Questa tecnologia offre un’ampia gamma di applicazioni che migliorano sia la qualità che l’efficienza delle cure sanitarie

di Federico Piccinni

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intelligenza artificiale (IA) sta rivoluzionando il settore delle cure mediche in modi che fino a pochi anni fa potevano sembrare fantascienza. Abbiamo deciso di dedicare il numero di BRAIN a questo fenomeno per approfondirlo e qui vi presentiamo un dizionario per capire cosa presuppone la corsa al futuro che si sta registrando anche nel settore medico. Questa tecnologia offre infatti un’ampia gamma di applicazioni che migliorano sia la qualità che l’efficienza delle cure sanitarie, contribuendo a salvare vite umane e a rendere i trattamenti più accessibili e personalizzati. L’integrazione dell’IA nel settore sanitario non è priva di sfide, tra cui questioni etiche, privacy dei dati, e la necessità di un’adeguata formazione del personale. Tuttavia, il potenziale di miglio-

ramento delle cure e dell’efficienza operativa è immenso, promettendo un futuro in cui la medicina sarà più accessibile, personalizzata e efficace per tutti. Ecco alcuni dei modi in cui l’IA sta cambiando il panorama delle cure mediche: • Diagnostica migliorata: L’IA può analizzare immagini mediche, come radiografie, ecografie, e scansioni MRI, con una precisione spesso superiore a quella umana. Questo può aiutare nella diagnosi precoce di malattie come il cancro, migliorando significativamente le possibilità di successo del trattamento. • Personalizzazione delle cure: Attraverso l’analisi di grandi volumi di dati, l’IA può aiutare a identificare il trattamento più efficace per il singolo paziente, tenendo conto della sua genetica, stile di vita e altri fattori. Questo


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approccio personalizzato è particolarmente promettente nel campo dell’oncologia e delle malattie croniche. • Robotica in chirurgia: I robot guidati dall’IA stanno diventando sempre più comuni nelle sale operatorie. Questi sistemi possono eseguire interventi chirurgici con una precisione e una delicatezza che spesso superano le capacità umane, riducendo il rischio di complicazioni e i tempi di recupero per i pazienti. • Monitoraggio remoto dei pazienti: L’IA consente il monitoraggio continuo dello stato di salute dei pazienti attraverso dispositivi indossabili e applicazioni mobili. Questo aiuta a identificare potenziali problemi prima che diventino gravi, consentendo interventi tempestivi e riducendo la necessità di visite ospedaliere. • Assistenza ai medici: Al di là

della diagnosi e del trattamento, l’IA può supportare i medici nell’organizzazione del lavoro, nella gestione dei dati dei pazienti e nell’identificazione delle priorità di cura, liberando tempo prezioso che può essere dedicato alla cura diretta dei pazienti. • Ricerca e sviluppo di farmaci: L’IA accelera il processo di scoperta e sviluppo di nuovi farmaci analizzando rapidamente vasti database di composti chimici e simulando la loro interazione con obiettivi biologici, riducendo i tempi e i costi associati alla ricerca farmaceutica. • Formazione medica: Simulazioni basate sull’IA possono offrire agli studenti di medicina e ai professionisti esperienze di apprendimento immersivo e personalizzato, migliorando la loro preparazione pratica senza mettere a rischio la sicurezza dei pazienti.

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Il potenziale di miglioramento delle cure e dell’efficienza operativa è immenso, promettendo un futuro in cui la medicina sarà più accessibile, personalizzata e efficace per tutti

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IL PARADIGMA EVOLUTIVO IN NEUROPSICHIATRIA INFANTILE Una nuova cornice di significato che consente di vedere la storia naturale del bambino e la sua evoluzione

di Giovanni Saraff

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a neuropsichiatria infantile è quella branca della medicina che si occupa dei disturbi cognitivi, emotivi e comportamentali dall’infanzia all’adolescenza. È una disciplina che si trova al crocevia tra la neurologia, la psichiatria, la psicologia e la pediatria, dove la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica permettono di comprendere e trattare in maniera sempre più dettagliata e specifica le nuove sfide che riguardano lo sviluppo neuro-psichico dei bambini e degli adolescenti. Per tenere insieme tale complessità, dal 2013, con la 5° edizione del manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali (DSM-5), è stata introdotta la categoria diagnostica dei Disturbi del Neurosviluppo, dove per neurosviluppo si intende quel

processo, esteso per tutto il corso della vita, attraverso il quale il sistema nervoso si forma durante la vita pre-natale e raggiunge la maturità strutturale e funzionale durante quella post-natale. L’utilizzo del neurosviluppo come cornice di significato e vero e proprio campo di applicazione della neuropsichiatria infantile permette di adottare un paradigma neuroevolutivo che risulta del tutto efficace per spiegare la natura multicomponenziale e lifespan dei Disturbi del Neurosviluppo. La prospettiva del neurosviluppo consente, così, di vedere la storia naturale del bambino, la sua evoluzione, i suoi cambiamenti nelle diverse fasi di vita, nei termini di una “traiettoria evolutiva”. Allo stesso modo è possibile concettualizzare il disturbo con i suoi cambiamenti espressivi e le


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associazioni con altre espressioni sintomatologiche. In quest’ottica infatti i comportamenti del bambino sono considerati frutto di un’interazione complessa tra fattori genetici e fattori ambientali: la genetica e l’ambiente concorrono insieme a determinare le nostre scelte, le nostre azioni e reazioni, le nostre emozioni e i nostri stati d’animo. Porre il neurosviluppo al centro del paradigma permette anche di adottare una prospettiva longitudinale che garantisce una miglior comprensione di come i comportamenti possano evolvere nel tempo dando origine a profili specifici per ogni fase di vita e permettendo di tracciare una vera e propria traiettoria di sviluppo che spieghi le sfide evolutive del bambino. L’idea è senza dubbio quella di conoscere il bambino oggi e, sulla base

di com’era ieri capire in che direzione stiamo andando per il domani, aprendo ad enormi opportunità di previsione e prevenzione delle difficoltà della persona. Parlare di neurosviluppo e in particolare di Disturbi del Neurosviluppo vuol dire quindi riferirsi all’idea che i comportamenti (che talvolta possono diventare segni e sintomi di un disturbo) siano in realtà il prodotto del funzionamento cerebrale che si esprime tramite l’esperienza di vita e che, in un circolo, dalle esperienze di vita è influenzato. In questo orizzonte di significato, i segni e i sintomi riscontrabili nei bambini e negli adolescenti sono considerati, in realtà, espressione tardiva di anomalie precoci della maturazione cerebrale, che andranno poi ad interferire con l’apprendimento derivato dall’esperienza.

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L’idea è senza dubbio quella di conoscere il bambino oggi e, sulla base di com’era ieri capire in che direzione stiamo andando per il domani, aprendo ad enormi opportunità di previsione e prevenzione delle difficoltà della persona.

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Recenti app offrono una gestione integrata del bambino e della famiglia, coordinando le figure che se ne occupano, facilitando un accesso più ampio a interventi terapeutici costanti e duraturi, anche al di fuori dell’ambiente clinico.

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Ecco che una prospettiva così ampia permette un approccio a tutto tondo al bambino che deve essere supportato però da innovazioni tecnologiche. Tra queste le tecniche di imaging cerebrale avanzato stanno rivoluzionando la diagnosi e la comprensione dei disturbi neuropsichiatrici infantili. La risonanza magnetica funzionale (fMRI), la tomografia ad emissione di positroni (PET) e altre metodologie come l’elettroencefalogramma ad alta densità (HD-EEG), consentono di osservare, in modo del tutto non invasivo, il cervello in azione, identificando modelli di attività neuronale e individuando eventuali anomalie strutturali o funzionali. La tecnologia, però, non si limita ad essere applicata alla ricerca o alla diagnosi. Tecniche di neurostimolazione, infatti, stanno prendendo sempre più terreno nel trattamento dei disturbi neuropsichici. L’integrazione tra il sapere scienti-

fico e le nuove tecnologie digitali sta trasformando la presa in carico del paziente neuropsichiatrico. Applicazioni e strumenti digitali consentono una valutazione continua dei bambini, monitorando i progressi dei trattamenti, eventuali ricadute e in generale le traiettorie di sviluppo (nella sfera affettiva, nelle abilità cognitive e nel comportamento). Recenti app offrono una gestione integrata del bambino e della famiglia, coordinando le figure che se ne occupano, facilitando un accesso più ampio a interventi terapeutici costanti e duraturi, anche al di fuori dell’ambiente clinico. In questo modo la famiglia può rimanere in constante contatto con il neuropsichiatra, l’educatore e lo psicologo che gestiscono il bambino, ricevendo costanti aggiornamenti e indicazioni di comportamento da applicare nel quotidiano. Le evidenze scientifiche, infatti, definiscono come maggiormente efficaci quegli interventi che sono “cuciti” addosso al paziente, che coinvolgono anche i suoi caregivers e che vengono effettuati nel contesto di vita naturale del bambino. L’era della medicina personalizzata sta quindi permeando anche la neuropsichiatria infantile. Con una visione neuroevolutiva ampia e una comprensione più approfondita della genetica e della neurobiologia, grazie anche al supporto delle nuove tecnologie, i clinici possono adattare le terapie in base ai bisogni specifici della fase evolutiva di ciascun individuo. Questo approccio su misura apre la strada a trattamenti sempre più efficaci e a una maggiore precisione nella gestione di disturbi come l’ADHD, l’autismo, i disturbi dell’umore, ma anche i disturbi di natura più neurologica come le paralisi cerebrali infantili o l’epilessia.



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PSICHIATRIA PERSONALIZZATA: QUANDO LA CURA È SU MISURA Intervista al professor Giulio Perugi

di Martina Gaudino

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l nuovo approccio globale della medicina personalizzata sta incontrando, negli ultimi decenni, sempre più favore da parte della comunità scientifica. Si tratta, come comprensibile, di un approccio volto a inquadrare una determinata patologia nelle vesti del paziente che lo specialista ha davanti. Basti pensare a quanto oggi sia naturale pensare ad un regime alimentare su misura quando in passato non era affatto così scontato e i nutrizionisti potevano far fronte a tutte le richieste dei diversi pazienti seguendo pochi modelli prestabiliti. Questo nuovo modo di trattare i pazienti trova oggi un riscontro anche nell’ambito della psichiatria in quanto ci si è resi conto che, pur con la stessa diagnosi, ogni paziente presenta sintomi diversi e quindi necessita anche di un approc-

cio terapeutico differente. “In psichiatria è particolarmente importante per varie ragioni – ha spiegato a Brain il professore e psichiatra Giulio Perugi – perché, pur avendo in tutta la medicina la tendenza ad avere protocolli standard di approcci diagnostico terapeutici per le principali malattie, le nostre diagnosi hanno poca validità”. Il professore ha evidenziato come in tutta la medicina, onde evitare che ci siano disomogeneità diagnostiche e terapeutiche a seconda del percorso che si intraprende, della struttura cui ci si rivolge o a seconda del tipo di specialista che si incontra, bisogna avere delle malattie che siano ben definite e con pratiche diagnostiche standardizzabili. “È già problematico in medicina ma si è tentato di estenderlo anche alla psichiatria. È chiaro che se io ho un tumore


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c’è l’anatomia patologica di istologia e quindi se io ho una diagnosi di questo tipo è riconoscibile da chiunque ma, nel caso di diagnosi che richiedono un una valutazione clinica sulla base dei sintomi, il discorso cambia” ha aggiunto Perugi. Un esempio pratico portato dal professore e inerente la psichiatria riguarda una indagine condotta a livello ospedaliero sia a Londra che a New York e da cui è emerso un dato sorprendente: “Valutando i ricoveri in pronto soccorso a Londra veniva diagnosticato un 6070% di casi come mania, un 30% di casi come schizofrenia. A New York le percentuali erano esattamente invertite quindi con prevalenza di schizofrenia. Era diversa la popolazione, erano diversi gli operatori per cui si è capito che cambiando gli operatori cambiava la percentuale e non

solo, stava a significare che c’era una quota di diagnosi che derivava solo ed esclusivamente dalla prospettiva dell’osservatore”. “Il genoma umano è stato sequenziato completamente, sono stati fatti studi dal Genome-wide Association grazie ai quali è stato possibile associare una malattia a determinate caratteristiche genomiche” ha spiegato Perugi. Questi studi vengono fatti selezionando una grande quantità di pazienti sulla base di una determinata diagnosi e vengono fatte indagini associative per valutare quali geni sono coinvolti in un particolare danno. “Se la diagnosi è familiare si va a indagare. Questo approccio è stato usato per il diabete di tipo due e dopo un certo numero di pazienti si è trovata anche un’associazione genetica che consente di identificare la trasmissio-

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Questo nuovo modo di trattare i pazienti trova oggi un riscontro anche nell’ambito della psichiatria in quanto ci si è resi conto che, pur con la stessa diagnosi, ogni paziente presenta sintomi diversi e quindi necessita anche di un approccio terapeutico differente.

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“Oggi sappiamo che due pazienti completamente diversi, che non hanno la stessa malattia anche se hanno magari aspetti sincronici sovrapposti, non possono essere trattati nella stessa maniera”.

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ne familiare del diabete di tipo uno” ha detto ancora lo psichiatra. “Per quanto riguarda i disturbi mentali come depressione, schizofrenia, disturbo bipolare, disturbo ossessivo, disturbo dello spettro autistico questo tipo di associazione non si trova, o quantomeno è molto vaga, ma non solo è molto vaga, tende a sovrapporsi fra i vari disturbi. Gli stessi geni sono coinvolti in più condizioni cliniche. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che le popolazioni che noi selezioniamo con i criteri sono eterogenee dal punto di vista patogenetico. E vuol dire una cosa importante: che il paziente che ha gli stessi sintomi può avere malattie diverse” ha spiegato. In sostanza due pazienti che hanno gli stessi sintomi possono avere malattie diverse e due pazienti con sintomi diversi possono avere la stessa malattia. La storia medico-scientifica del passato ha molti esempi di questo tipo. Il professor Perugi ha portato un aneddoto in particolare, quello dell’addome acuto che nell’800 veniva chiamato in medicina torcibudella: “Oggi sappiamo che le cause di addome acuto possono essere circa un centinaio, forse anche di più. Il trattamento generico nell’800 prevedeva la somministrazione di purganti. Qualcuno magari stava meglio, qualcuno non aveva alcun beneficio tangibile, qualcuno poteva persino stare peggio. In psichiatria noi siamo a questo stadio: abbiamo dei modi di intervento che fanno migliorare alcuni pazienti mentre altri non rispondono affatto e altri addirittura peggiorano”. Lo psichiatra ha spiegato come questo accada “non perché il paziente sia resistente e quindi non risponde degli antidepressivi (anche se c’è una piccola parte per cui è così) ma perché verosimilmente non hanno tutti la stessa malattia e non tutti rispondono nella stessa maniera al trattamen-

to della depressione”. Nella pratica clinica soprattutto psichiatrica, lo specialista “non considera i pazienti tutti uguali ma sceglie i trattamenti sulle base delle caratteristiche di ognuno e questa è sostanzialmente la psichiatria personalizzata” che ha una sua checklist di caratteristiche come “età d’esordio dei sintomi, frequenza di episodi, contesto in cui si inserisce e molti altri aspetti. È chiaro che un quadro maniacale o un quadro depressivo insorto in adolescenza in un ragazzino che ha magari un disturbo del neurosviluppo o dei tratti autistici e che poi svilupperà un’instabilità umorale o impulsività sarà un percorso complesso dal punto di vista psichiatrico e molto diverso da quello di un paziente il cui episodio depressivo esordisce dopo i 60 anni in un contesto di vita normale. Oggi sappiamo che due pazienti completamente diversi, che non hanno la stessa malattia anche se hanno magari aspetti sincronici sovrapposti, non possono essere trattati nella stessa maniera” ha concluso il professor Perugi.


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LA RINUNCIA ALLE CURE Liste d’attesa interminabili. Impossibilità di accedere alle cure. Mancanza di specialisti e di apparecchi medici Viaggio nell’Italia che smette di curarsi di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni


L’INCHIESTA

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ovevo scegliere se mettere il piatto in tavola, o andarmi a fare la TAC. Indovini lei che cosa ho preferito». Parla così Simonetta G., 73enne napoletana cui è stato diagnosticato un tumore la scorsa primavera. «Ho la pensione minima, i soldi per andare privatamente non ce li avevo e così mi sono messa in coda all’Ospedale. Chissà se mi chiameranno prima o dopo il funerale». Le parole di Simonetta rappresentano con teatrale amarezza la situazione in cui si trovano ogni giorno migliaia di persone. «Oggi sono 3 milioni gli italiani over 65 che, quando devono usu-fruire di prestazioni sanitarie a pagamento, rinunciano a curarsi», esordisce Filippo Anelli, pre-sidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo) che ha commissionato un’indagine sul tema all’Istituto Piepoli. «In media», prosegue Anielli «gli italiani risparmiano il 10% delle proprie entrate per far fronte alle spese sanitarie, ma tanti, il 23%, pur volendolo non riescono a farlo». Ed è così che ci si ritrova - come Simo-netta - in un turbinio in cui la salute va in secondo piano. I dati sono impietosi: nel 2023 oltre il 33% degli italiani ha infatti dovu-to rinunciare a cure mediche a causa dell’indisponibilità delle strutture sanitarie e delle lunghe liste di attesa. Una tendenza particolarmente evidente - secondo Eurispes - nelle regioni del Sud, dove la percentuale di famiglie che hanno avuto difficoltà economiche relati-ve alle prestazioni sanitarie ha raggiunto il 28,5% e nelle Isole con il 30,5%. Un po’ come Pier-paolo Pierini, siciliano malato di diabete che ha rinunciato a curare il suo carcinoma: «Non ne potevo più. Ho deciso di stare a casa a godermi gli ultimi mesi di vita, perché tanto le cure avrebbero

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“Ritengo che il nodo centrale sia uno è cioè, quando una patologia è in una area stigmatizzata, lo stigma non si può superare con interventi puntiformi e mini congressini”.

L’INCHIESTA

soltanto svuotato le tasche di mia moglie e reso le nostre giornate amare». Sempre secondo un’analisi dell’Istituto Superiore di Sanità 1 over 65 su 4 ha rinunciato ad al-meno una visita medica o a un esame diagnostico di cui avrebbe avuto bisogno per motivi eco-nomici. «Alla radice del fenomeno ci sono certamente motivazioni economiche: la spesa priva-ta, messa di tasca propria da parte dei cittadini, oramai supera i 40 miliardi. Soprattutto le fasce più svantaggiate della popolazione non riescono a far fronte alla situazione», sintetizza Anelli. Sul punto è bene ricordare che l’anno scorso gli italiani hanno speso, in media, 335 euro per cia-scun approfondimento specialistico nel settore privato, con importi che vanno dai 117 euro per gli esami del sangue ai 716 euro per l’odontoiatria. Non proprio cifre irrisorie. Che rendono an-cora più comprensibili - e allarmanti - i dati della recente indagine commissionata agli istituti mUp Research e Norstat da Facile.it, secondo cui circa 8,3 milioni di italiani han-no rinunciato per il portafogli a curarsi. Di fronte ai costi, il 77% degli intervistati ha utilizzato i propri risparmi e solo il 20% ha potuto usufruire di un’assicurazione sanitaria, mentre alcuni hanno dovuto chiedere sostegno economico ai familiari (15%) e altri ancora si sono rivolti a una banca o società finanziaria (5%). Più svantaggiate - stando ai dati del SSN - le fasce sociali più deboli (37%), e soprattutto le donne (29%), ma anche chi ha patologie croniche: chi riferisce una diagnosi di malattia cronica (come tumori o patologie respiratorie, diabete, o insufficienza renale) nel 28% dei casi dichiara di aver rinunciato alle cure; quota che sale al 33% tra coloro che hanno 2 o più cronicità. Ma non c’è solo questo. Altro motivo sono le lunghe liste di attesa per

ottenere prestazioni a ca-rico del Servizio sanitario nazionale. In media chi si rivolge al SSN attende infatti circa 77 giorni, mentre nel settore privato i tempi si riducono moltissimo, arrivando a circa 15 giorni. «Per quanto riguarda gli anziani, entrano in gioco anche la scarsa mobilità e la difficoltà negli spostamenti, loro e dei caregiver. Infine, molte persone rinunciano alle cure perché non cono-scono i loro diritti, ad esempio la possibilità, in molte Regioni, di rivolgersi alle strutture private a carico del Servizio sanitario regionale, se le liste di attesa nel pubblico sono troppo lunghe, e le opportunità di richiedere aiuti economici», spiega ancora Anelli. Eppure su questo la legge parla chiaro, come spiega l’avvocato torinese Sara Negri: «Esiste il diritto alla salute che nel nostro Paese è garantito dalla Costituzione italiana, in particolare dall’articolo 32. Altra que-stione è poi il diritto di autodeterminarsi in tema di trattamento sanitario. Anche questo è un principio costituzionale autonomo, che va distinto dal diritto alla salute, né deve essere bilan-ciato con altri diritti, ma tutelato ed applicato in maniera piena». Significative anche le implicazioni psicologiche, come riflette il prof. Andrea Fagiolini, dell’U-niversità di Siena: «Il benessere emotivo rischia di essere compromesso in modo definitivo. La sensazione di non poter accedere alle cure necessarie può generare un senso di impotenza e fru-strazione, ma anche stress, disturbi ansia o depressivi, senso di sfiducia, colpa o autoaccusa per non essere in grado di aiutarsi a stare meglio». Sentimenti che Simonetta affronta ogni giorno: «Se mi sento una cittadina di serie B? Ovvia-mente. L’unica magra consolazione è che nella mia situazione qui c’è tutto il quartiere. Il mio vicino di casa ha avuto la fortuna


L’INCHIESTA

di avere una figlia a Milano, e ormai si è trasferito per essere curato. Ma io sono sola, dove devo andare?». La mobilità sanitaria è un fenomeno sempre più presente, e ha implicazioni complesse. Nell’ul-timo anno - sempre secondo l’indagine di facile. it - oltre 2,4 milioni di persone hanno dovuto cambiare regione per sottoporsi a esami, visite o interventi. Sebbene il fenomeno sia stato rile-vato in tutto il Paese, sono le aree del Centro Italia quelle dove la percentuale di chi ha cambia-to regione per curarsi è più alta (11,5% rispetto al 7,4% rilevato a livello nazionale). Le regioni verso cui ci si è spostati con più frequenza per ricevere cure sono il Lazio (27%), la Lombardia (19%), l’Emilia-Romagna (15%) e il Veneto (11%). Un sistema che ha creato disuguaglianze tra le regioni, con alcune che registrano surplus di bilancio, come la Lombardia, e altre in deficit significativo, come la Calabria e la Campania. Per questo un grosso beneficio potrebbe arrivare, anche sul fronte sanitario, dall’autonomia dif-ferenziata. «La filosofia che ispira la previsione costituzionale sul tema è molto chiara. Una maggiore autonomia può essere chiesta da tutte le regioni che ritengano vi sia per esse un’op-portunità nel farsi carico di ulteriori funzioni. Il fatto che ben 14 regioni su 15 ad autonomia ordinaria abbiano manifestato l’intenzione di farlo mi pare indicare che esse intravedono delle opportunità per il proprio sviluppo», spiega non a caso il professor Giovanni Guzzetta. Insom-ma, nessun ulteriore “abbandono” per il Sud. Anzi, secondo il costituzionalista si apre una sfida che anche le aree più svantaggiate «dovrebbero cogliere, scommettendo sulle proprie capacità di sviluppo autopropulsivo. Penso ai settori del governo del territorio, della formazione profes-sionale, della valorizzazione dei beni culturali,

dei servizi alla persona». E, appunto, della sani-tà. «La scommessa - spiega Guzzetta - è che si inneschi un circolo virtuoso di maggiore raziona-lizzazione e efficienza. Politiche più vicine ai cittadini e più controllabili dai cittadini, valoriz-zazione della capacità di intraprendere strade ritagliate sulle effettive esigenze dei territori. Ef-ficienza e responsabilità devono diventare le parole chiave». Un punto che tocca anche l’emi-grazione sanitaria: «Bisogna vincere la rassegnazione che tutto rimarrà sempre uguale e che ci sono cittadini condannati ad essere figli di un dio minore. Ma per far ciò ci vogliono strumenti, coraggio e orgoglio». Del resto, investire nella sanità pubblica conviene, sia dal punto di vista sociale sia in termini di ritorno economico. «Ogni euro destinato alla spesa sanitaria», aggiunge Anelli «produce in media un valore di 1,84 euro, cioè quasi il doppio dell’investimento iniziale. Non solo: l’indotto genera nuova occupazione, raddoppiando anche i posti di lavoro».

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“Questo atteggiamento di condanna ha portato molte persone a stigmatizzare la patologia e soprattutto gli psicofarmaci, criminalizzati rispetto ad altri farmaci. Per questa ragione mi dedico alla divulgazione, voglio fare chiarezza in maniera costatante, voglio metterci la faccia, essere rassicurante”.

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L’UNIVERSO DEI DISTURBI MENTALI: CONOSCERLO PER ABBATTERE LA PAURA Così si possono abbattere i tabu sul disagio mentale. Intervista a Valerio Rosso di Martina Gaudino


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el mondo sono 450 milioni le donne e gli uomini affetti da un disturbo mentale. Nel nostro Paese ne soffre una persona su tre per un totale di 17 milioni di italiani. Di questi, quasi 3 milioni hanno sintomi depressivi, e ben 2 milioni sono donne, mentre 1 milione e 300 mila persone ha una diagnosi di depressione maggiore. Numeri tutt’altro che piccoli e che lasciano ben capire si tratti di qualcosa di invisibile ma vicino ad ognuno di noi. Abbattere muri e barriere, accogliere per prevenire, divulgare per cancellare la paura. Sono questi gli obiettivi di chi, giorno dopo giorno, si impegna per far conoscere le malattie mentali affinché queste possano essere qualcosa di diverso da un tabu. Parliamo di Valerio Rosso, noto psichiatra, psicoterapeuta e comunicatore che grazie alla potenza divulgativa sta avvicinando migliaia di persone a un mondo ritenuto da sempre ed erroneamente chiuso e di cui vergognarsi o che deve far paura. Lo specialista, divenuto nel tempo anche Youtuber e podcaster, racconta a Brain in che direzione dobbiamo andare, insieme, per smantellare l’aura nera che aleggia sulle patologie della mente umana. Come possiamo abbattere i tabu legati alla malattia della mente? In psichiatria tendiamo a sostituire la parola tabu con stigma nel senso che, relativamente alla malattia mentale, abbiamo dei segni distintivi, dei segnali di riconoscimento che si attribuiscono a chi ha una sofferenza mentale e che alla fine si traduce in una disapprovazione sociale di queste persone. Parlando di fatti recenti, mi viene da pensare alle esternazioni di alcuni politici che con l’antico concetto antropologico e sociologico di devianza hanno causato un po’ di confusione sul tema. Per indagare le

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“Ritengo che il nodo centrale sia uno è cioè, quando una patologia è in una area stigmatizzata, lo stigma non si può superare con interventi puntiformi e mini congressini”.

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cause del tabu in psichiatria, si deve andare alla radice e chiamarlo stigma. Lo stigma non è solo una sorgente di sofferenza aggiuntiva ma è, mediamente, anche responsabile di diffidenza, di diagnosi ritardate, di scarsa consapevolezza della malattia che poi causa ricadute. Quando nasce lo stigma? Lo stigma si costruisce e ha spesso radice antiche. Nasce e si consolida nel tempo. In particolare in psichiatria si è consolidato in tutti quei lunghi millenni in cui le malattie mentali non avevano cure e venivano attribuiti banalmente a devianze e fragilità morali quando i pazienti psichiatrici (affetti ad esempio da bipolarità, dipendenze gravi, depressione grave), venivano additati come persone con disagio sociale. Un disagio grave nelle classi meno abbienti ma che diventava ancor più pesante nella classe alta, dirigente. Pensiamo, ad esempio, alla “follia di Re Giorgio III di Hannover” che alla fine del ’700 ha avuto una crisi psicotica finita per essere

declassata ad un “casino pazzesco”. Il parlamento non doveva sapere che era malato, non si poteva dire che il Re era malato peggiorando, di fatto, le sue condizioni. Succede ancora oggi? Assolutamente sì! Succede in ambito politico, nelle forze dell’ordine, persino in ambito medico è ancora presente ancora il tabu della malattia mentale. E’ difficilissimo curare un collega medico. Questo fa capire come lo stigma sia ancora radicato. Un altro problema è che in altre patologie c’è il concetto della testimonianza, del paziente che racconta, nell’ambito delle malattie mentali questo non c’è. Chi ha avuto il problema tenderà a nascondere il tutto una volta curato e non volentieri farà “outing”. In che modo viene vista dall’esterno la malattia mentale? C’è una corrente di pensiero anti psichiatrica recente che ha a che vedere con Scientology e che porta una prospettiva molto dura e inquisitoria sulla malattia mentale e sugli psichiatri. Questo ha portato gravi conseguenze sulle persone affette da patologie perché tendono a stare lontani dall’ambiente esterno facendo sì che a nascere sia una retorica molto sbagliata. Un po’ come accaduto per i complottismi sui vaccini nell’era Covid e non solo. La psichiatria come medicina ha avuto liaison criminali con le aziende farmaceutiche, lo sappiamo tutti. Ma sappiamo anche che c’è il politico criminale e il politico che lavora bene, non si può generalizzare, sarebbe sbagliato. Questo atteggiamento di condanna ha portato molte persone a stigmatizzare la patologia e soprattutto gli psicofarmaci, criminalizzati rispetto ad altri farmaci. Per questa ragione mi dedico alla divulgazione, voglio fare chiarezza in maniera costatante, voglio metterci la faccia, essere rassicurante.


L’INTERVISTA

Cosa è rassicurante, ad esempio? Ritengo che il nodo centrale sia uno è cioè, quando una patologia è in una area stigmatizzata, lo stigma non si può superare con interventi puntiformi e mini congressini. Lo stigma, il muro, si abbatte e si decostruisce con un percorso che deve coinvolgere più figure professionali di tipo educativo e sociale. È triste vedere, ad esempio, come in occasione delle ultime elezioni non ci sia stato un contributo alla medicina psichiatrica di alcun tipo. Cosa dovrebbe fare la politica? La politica deve coinvolgere chi fa questo di lavoro, evitare di basarsi sulle opinioni personali, utilizzare medici con caratteristiche da influencer. La strumentalizzazione che c’è stata delle parole della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni non mi è piaciuta. Lei ha sbagliato ad esprimersi, ma non è giusto che la si attacchi per ciò che ha detto senza poi contestualizzare e spiegare il suo scivolone. Se si vuole puntare il dito contro di lei allori si trovi anche il tempo e il modo di spiegare cosa è una devianza e cosa significa. Nessuno oggi in politica porta veramente avanti dei programmi contro lo stigma della salute mentale. Non si può pensare di andare avanti a slogan, a campagne di informazione, io propongo qualcosa di continuativo, di persuasivo per fare in modo che sempre più persone entrino a contatto con questa realtà ancora così segreta e sconosciuta. Quanto pensa di essere riuscito a incidere in questo senso con il suo lavoro? Oggi una persona su tre ha a che fare con patologie mentali, una persona su tre significa che un nostro amico, un nostro parente ha un disturbo di questo tipo. Personalmente ho avuto una enorme soddisfazione e la ritengo una grande crescita personale aver capito che c’è un pubblico

interessato a capire. Da quando ho iniziato a parlare di questi argomenti ho compreso che se una persona scende dal piedistallo e parla in maniera trasversale è davvero incredibile e piacevole comprendere quanta gente vuole sapere. Ci sono tantissime persone interessate a capire davvero, ma le cose vanno spiegate e raccontate, illustrate in parole che siano alla portata di tutti. Un esempio pratico? Sulla terapia elettroconvulsivante non si sa nulla, nella nostra intera vita siamo portati a vederla solo come il famoso e terribile elettroshock da film dell’orrore. Questo perché in Italia è una terapia da sempre criminalizzata e non utilizzata con la stessa frequenza del resto del mondo proprio a causa dello stigma. Gli stessi medici che non sono psichiatri non sanno cosa sia davvero la terapia elettroconvulsivante. Io invece, facendo un video social, ho capito che chi ascolta è disposto a cambiare idea, a capire cosa è davvero e dunque a coglierne i benefici con una giusta e corretta applicazione. In parole povere, non servono grandi virologi in televisione, serve un rapporto autentico con chi è dall’altra parte e ci sta ascoltando. Quale ruolo può avere la stampa in questo senso? È importante che medici e giornalisti collaborino insieme. Questo perché non tutti i medici hanno il dono della comunicazione e quindi sarebbe bene se si affidassero a chi ha l’arte della parola per far arrivare messaggi chiari, diretti, onesti e competenti. Ritengo che la collaborazione e la costruzione di gruppi di lavoro credo sia il futuro del progresso sanitario in Italia. Si può prevenire parlando, esiste la prevenzione anche nel campo delle malattie mentali, un rapido accesso alla diagnostica cambierebbe tutto, drasticamente.

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“Questo atteggiamento di condanna ha portato molte persone a stigmatizzare la patologia e soprattutto gli psicofarmaci, criminalizzati rispetto ad altri farmaci. Per questa ragione mi dedico alla divulgazione, voglio fare chiarezza in maniera costatante, voglio metterci la faccia, essere rassicurante”.

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CANNABIS LIBERA? PARLIAMONE Una riflessione sulle conseguenze dell’usodella cannabis e della sua liberalizzazione sulla salute mentale alla luce delle evidenze scientifiche di Antonio Tundo, Roberta Necci* *Istituto di Psicopatologia - Roma


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erché liberalizzare la cannabis? Da qualche decennio un potente movimento di opinione si batte per liberalizzare l’uso ricreativo della cannabis facendo leva su due motivazioni: alla fin fine non è più dannosa di altre sostanze il cui uso è lecito, come tabacco e alcol, il proibizionismo non ferma il fenomeno ma crea illegalità e aumenta gli introiti della malavita. Su queste premesse, a partire dal 2013, diversi paesi (tra cui Uruguay, Canada, Sudafrica, Malta e alcuni stati federali degli Stati Uniti) hanno legalizzato l’assunzione della cannabis. In molti altri, invece, l’assunzione rimane illegale ma è stata o decriminalizzata, costituisce cioè un reato amministrativo e non penale, o depenalizzata, è un reato penale minore per il quale non è previsto il carcere. È ancora presto per valutare pro e contro di questa liberalizzazione ma, secondo il rapporto di marzo 2023 dell’International Narcotics Control Board delle Nazioni Unite, i primi dati non sembrano rassicuranti. Infatti, nei paesi in cui la cannabis è stata legalizzata: è diminuita la percezione sociale del rischio che l’uso di questa sostanza comporta, è aumentata l’offerta (le aziende propongono oltre al fumo anche prodotti da svapo e commestibili in confezioni accattivanti), è aumentato il consumo non solo tra gli adulti ma anche tra gli adolescenti (per i quali è comunque illegale), è aumentato il consumo rispetto agli stati in cui non è stata legalizzata, sono aumentati i problemi di salute legati alla sua assunzione (in termini di accessi al pronto soccorso per emergenze mediche e incidenti

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La marijuana, cioè la sostanza ricavata dai semi, dalle foglie e dai fiori essiccati della cannabis, è oggi una delle sostanze psicoattive più utilizzate al mondo e la sua diffusione è in rapida espansione ovunque

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stradali). Infatti, nei paesi in cui la cannabis è stata legalizzata è diminuita la percezione sociale del rischio che l’uso di questa sostanza comporta, è aumentata l’offerta (le aziende propongono oltre al fumo anche prodotti da svapo e commestibili in confezioni accattivanti), è aumentato il consumo non solo tra gli adulti ma anche tra gli adolescenti (per i quali è comunque illegale), è aumentato il consumo rispetto agli stati in cui non è stata legalizzata, sono aumentati i problemi di salute legati alla sua assunzione (in termini di accessi al pronto soccorso per emergenze mediche e incidenti stradali). Allo stesso tempo, questi paesi non sono riusciti a limitare gli introiti della criminalità poiché il commercio illegale continua a coprire una quota di mercato che va dal 40% in Canada al 70% in California. Perché le persone usano la cannabis? La marijuana, cioè la sostanza ricavata dai semi, dalle foglie e dai fiori essiccati della cannabis, è oggi una delle sostanze psicoattive più utilizzate al mondo e la sua diffusione è in rapida espansione ovunque. Gli studi epidemiologici stimano che circa una persona su quattro l’abbia assunta almeno una volta nella vita e che il 10% di chi la usa lo faccia quotidianamente. Queste percentuali sono ancora più alte tra i giovanissimi un terzo dei quali dichiara di aver assunto marijuana almeno una volta e il 16% di farne uso abituale. La cannabis viene utilizzata perché appena assunta produce sia un effetto euforizzante, con sensazioni di attivazione, benessere, euforia, disinibizione, sia un effetto ansiolitico, aiuta cioè a rilassarsi, riduce l’ansia sociale e facilita il sonno.

Questi effetti sono dovuti all’azione sul cervello di due delle sue numerose componenti psicoattive, il delta-9-tetracannabinolo, meglio noto con l’acronimo THC, che è responsabile dell’azione euforizzante, e il cannabidiolo, o CBD, responsabile invece dell’attività ansiolitica. Fino a venti anni fa queste due azioni erano bilanciate. Oggi, invece, la cannabis reperibile sul mercato ha un contenuto di THC, cioè della componente attivante, circa doppio rispetto al passato. Questo cambia-


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mento, frutto di sofisticate tecniche di coltivazione selettiva, ha trasformato la cannabis in una sostanza più potente ma, allo stesso tempo, più pericolosa e potenzialmente più tossica. La cannabis è innocua? Molte persone ritengono che l’uso della cannabis sia sostanzialmente innocuo e non dia dipendenza. Una convinzione piuttosto radicata soprattutto nelle persone adulte che hanno fatto uso della “marijua-

na del passato” a basso contenuto di THC. Oggi, però, i dati scientifici dicono esattamente il contrario. L’assunzione di cannabis può produrre effetti negativi come ansia, attacchi di panico, sintomi psicotici (allucinazioni e paranoie) o potenzialmente pericolosi in particolare per chi è alla guida o utilizza macchinari (difficoltà di memoria e di ragionamento, rallentamento dei riflessi). Gli studi hanno inoltre stabilito che il 10% di chi ne fa un uso occasionale e oltre il 30% di chi la consuma quotidianamente sviluppa un vero e proprio “disturbo da uso di cannabis” caratterizzato dall’incapacità di smettere o di ridurre la quantità assunta anche se è causa di danni fisici o mentali. La definizione è ufficiale e riportata nella quinta edizione del DSM, il Manuale Diagnostico e Statistico delle Malattie Mentali. Infine, un’ulteriore conseguenza dell’assunzione frequente e prolungata di cannabis può essere la comparsa di una condizione psicologica, tecnicamente definita “sindrome amotivazionale”, caratterizzata da perdita di interessi, passività, chiusura sociale, difficoltà di concentrazione e memoria, impoverimento della capacità di ragionamento. Si tratta di una condizione, per fortuna non comune perché influenza negativamente la qualità di vita, molto difficile da superare. Chi la vive non si rende conto di star male e rifiuta qualsiasi forma di aiuto. C’è un rapporto tra cannabis e salute mentale? A nostro avviso, l’analisi dei dati riguardanti la complessa relazione tra l’uso di questa sostanza e le patologie psichiatriche dovrebbe avere un ruolo centrale nel dibattito sulla

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Gli studi epidemiologici stimano che circa una persona su quattro l’abbia assunta almeno una volta nella vita e che il 10% di chi la usa lo faccia quotidianamente.

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L’assunzione di cannabis può produrre effetti negativi come ansia, attacchi di panico, sintomi psicotici (allucinazioni e paranoie) o potenzialmente pericolosi in particolare per chi è alla guida o utilizza macchinari (difficoltà di memoria e di ragionamento, rallentamento dei riflessi).

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liberalizzazione o meno della cannabis. Le evidenze a questo proposito sono molto chiare, un qualsiasi disturbo mentale è presente: nel 15% di coloro che non usano cannabis, nel 40% di coloro che ne fanno uso senza sviluppare un “disturbo da uso di cannabis”, nel 70% di coloro che invece sviluppano quest’ultimo. Le evidenze a questo proposito sono molto chiare, un qualsiasi disturbo mentale è presente nel 15% di coloro che non usano cannabis, nel 40% di coloro che ne fanno uso senza sviluppare un “disturbo da uso di cannabis”, nel 70% di coloro che invece sviluppano quest’ultimo. La grande frequenza di disturbi psichiatrici tra le persone che consumano cannabis può avere più motivi che si potenziano a vicenda A volte la cannabis viene utilizzata da chi ha già un disturbo psichiatrico per alleviare alcuni sintomi, come ansia e insonnia, e rappresenta quindi una forma di auto-terapia che però finisce per aggravare e cronicizzare il quadro clinico. Più spesso è il consumo di cannabis, pur non essendo di per sé causa diretta di uno specifico disturbo mentale, a fare emergere prima e in maniera più grave una patologia verso la quale la persona era già predisposta. In altri termini, slatentizza un disturbo che senza il contributo della cannabis sarebbe potuto rimanere silente per molto tempo e forse non si sarebbe mai manifestato. Non solo, riduce anche l’effetto delle cure sia in fase acuta (se l’assunzione continua le terapie non funzionano o funzionano solo parzialmente), sia in fase di prevenzione (se, dopo aver raggiunto uno stato di benessere, la persona riprende l’uso di cannabis

la terapia preventiva perde la sua efficacia con conseguente rischio di ricaduta). Ci sono persone più a rischio? Chiunque, se utilizza spesso e per lungo tempo la cannabis, può andare incontro a problemi di salute mentale cannabis-correlati episodici (attacchi di panico, sintomi psicotici) o protratti (sindrome amotivazionale, disturbo da uso di cannabis). Soprattutto coloro che hanno un fa-


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esercita sulle capacità cognitive (apprendimento, attenzione, memoria) e sulla regolazione dell’umore e del comportamento. Purtroppo, le patologie mentali che più facilmente possono essere slatentizzate dalla cannabis sono quelle più gravi: la schizofrenia, e più in generale le psicosi, e il disturbo bipolare.

miliare che soffre di una patologia mentale o che hanno già manifestato sintomi, anche minimi, di una patologia mentale possono però sviluppare un disturbo psichiatrico che, slatentizzato dalla cannabis, poi evolve a prescindere da questa sostanza. Particolarmente a rischio sono i giovani e, soprattutto, gli adolescenti il cui cervello è ancora in via di sviluppo ed è più vulnerabile all’azione negativa che la sostanza

Liberalizzazione: cosa fare? Sebbene la legalizzazione dell’uso ricreativo della cannabis, nei paesi in cui è stata approvata, al momento non sembri aver dato i risultati sperati (contenimento dei consumi, delle complicanze sanitarie e delle attività criminali), in Italia, come nella maggior parte delle nazioni occidentali, ampie fasce della popolazione ritengono si debba andare in questa direzione. Non discutiamo questa posizione ma riteniamo che il dibattito debba essere onesto e non ideologico e che accanto alle considerazioni di natura politico-sociale debbano essere valutate anche le evidenze scientifiche relative al rapporto tra consumo di cannabis e salute mentale. Visto il numero sempre crescente di persone che ne fa uso, e tanto più nell’ottica di un’eventuale liberalizzazione, sarebbe fin da subito necessario promuovere campagne educative per informare il pubblico sui rischi connessi al consumo di questa sostanza. Tutti, e soprattutto i giovani, dovrebbero essere consapevoli che l’assunzione frequente e prolungata di cannabis “ad alta potenza” può essere dannosa per chiunque e che l’assunzione anche meno frequente e prolungata in alcune persone predisposte può scatenare un disturbo psichiatrico con cui saranno costrette a fare i conti per il resto della vita.

A volte la cannabis viene utilizzata da chi ha già un disturbo psichiatrico per alleviare alcuni sintomi, come ansia e insonnia, e rappresenta quindi una forma di auto-terapia che però finisce per aggravare e cronicizzare il quadro clinico.

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MEMORIA E NEUROETICA PER L’AUTOCOMPRENSIONE DI NOI STESSI Riflessione sulle neuroscienze che individua benefici e pericoli dell’applicazione delle neurotecnologie contemporanee

di Alberto Carrara* *Preside della Facoltà di Filosofia, Direttore del Gruppo di Neurobioetica (GdN) dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Docente di Antropologia e Neuroetica presso la Facoltà di Psicolofia dell’Università Europea di Roma, Membro della Pontificia Accademia per la Vita, Fellow dell’UNESCO Chair in Bioethics and Human Rights e Presidente dell’Istituto Internazionale di Neurobioetica

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efinito da Steven Peter Rose l’era del cervello umano, il XXI secolo si caratterizza spesso per l’avvincente sfida del cambiamento a livello neuronale, del miglioramento, di quel concetto anglosassone che suona a enbetterment, improvement o enhancement e che nella lingua di Dante Alighieri suonerebbe meglio a “miglioramento” cerebrale. Si intitolava infatti “Come migliorare il proprio stato mentale, fisico, finanziario. Manuale di psicologia del cambiamento” il volume di quasi 500 pagine di Anthony Robbins, mentre in Italia sono diffusi i testi di Matteo Salvo come “Professione: studente 30 e lode” oppure “Metti il turbo alla tua mente. Mappe mentali”. Molte delle pubblicazioni in quel settore neuroetico che oggi si cono-

sce come neurodidattica o neuroeducazione toccano una dimensione umana essenziale e costitutiva: la memoria. Forse una delle esperte attuali del settore è la professoressa universitaria Barbara Ann Oakley. La neuroetica ricordiamo è quella riflessione sistematica ed informata sulle neuroscienze e sulle interpretazioni delle stesse scienze neurali che ha come obiettivo l’auto comprensione di noi stessi e dei conseguenti benefici e pericoli dell’applicazione delle neurotecnologie contemporanee. In questo contesto interdisciplinare e trans disciplinare di riflessione di filosofia pratica, la memoria - meglio declinarla al plurale “le memorie” - è la realtà al centro delle strategie neuroeducative odierne che puntano a migliorarne l’efficacia.


CONTRIBUTO/2

Da “Storia della memoria. Tesoro e custode di tutte le cose” a firma di Michael S. Malone, a “L’arte di ricordare tutto” di Joshua Foer, da “ Il segreto di una memoria prodigiosa. Tecniche di memorizzazione rapida”, a una sterminata letteratura in tutte le lingue, le memorie divengono il tesoro importante di quei tratti della personalità umana che ne determinano l’identità psicologica. Una tematica clinica importante se consideriamo che nel mondo sono oltre 56 milioni di persone che convivono con le demenze tra le quali spicca la Malattia di Alzheimer. Sul versante transumanistico poi, le memorie diventano fondamentali nella visione riduzionistica della persona umana appunto alla materialità dei suoi ricordi ipoteticamente digitalizzabiline resi perciò “immortali” su una piattaforma digitale. La cinematografia critica sull’argomento ha prodotto numerosi cortometraggi e serie sul tema, basti citare Selfless, Transcendence, Upload, oppure Altered Carbon. Se nella storia del pensiero filosofico occidentale il tema del ricordare è stato nodale, basti pensare che per Platone conoscere è reminiscenza (si può rileggere il bel dialogo Fedone, oppure altri testi del maestro dello Stagirita), il “padre” della modernità Renato Cartesio considerava la memoria quale sinonimo di intuitus, cioè capacità di ricordare, necessaria a tenere in mente le lunghe catene di ragionamenti utilizzati anche per le dimostrazioni geometriche chiare e distinte, oggi le memorie sono attenzionate della ricerca neuroscienticfica stessa che sta aiutando a gettare luce alla materialità dei supporti fisiologici che a livello cerebrale ne permettono la genesi, il funzionamento e il decadimento. Le neuroscienze delle memorie ci hanno insegnato che gli estremi dell’oblio da

una parte e della iper memorizzazione dall’altra sono polarità patologiche e non fisiologiche. Da una parte, dal caso clinico noto con l’acronimo H.M. (1953) e oggi conosciuto come Henry Gustav Molaison (1926-2008) affetto da una tipologia di amnesia anterograda severa indotta dalla resezione di gran parte degli ippocampi e dell’amigdala a opera di William Sconville che risultò nell’incapacità del paziente di formare ed immagazzinare nuove memorie di eventi e di nozioni semantiche, dall’altro versante, quello dell’ipermemorizzazione, di cui nel 2006 sulla rivista Neurocase venne descritto il caso di Jill Price definita affetta da una sindrome detta la maledizione della super memoria o più precisamente “sindrome ipermnestica”. L’aumento della memoria autobiografica di Jill Price e di altri casi simili sembra derivi da un aumentata comunicazione funzionale tra la corteccia orbitofrontale e gli ippocampi. Questi casi clinici indicano che per un’esistenza umana equilibrata abbiamo bisogno del bilanciamento tra memorizzazione ed oblio. L’oblio risulta altrettanto fisiologico come la capacità di trattenere ricordi. Il settore della neuroetica delle memorie conta oggi con due vertenti: quello relativo alle neuroscienze delle memorie, cioè all’integrazione di ciò che a livello di ricerca neuroscientifica di base conosciamo dei correlati neurali delle memorie e il versante delle considerazioni antropologiche che sorgono da questi studi e dai tentativi di modificazione tramite neurotecnologie. Coloro che volessero approfondire questo settore neuroetico possono leggere il saggio di Andrea Lavazza e Silvia Inglese “Manipolare la memoria. Scienza ed etica della rimozione dei ricordi”.

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Il settore della neuroetica delle memorie conta oggi con due vertenti: quello relativo alle neuroscienze delle memorie, cioè all’integrazione di ciò che a livello di ricerca neuroscientifica di base conosciamo dei correlati neurali delle memorie e il versante delle considerazioni antropologiche che sorgono da questi studi e dai tentativi di modificazione tramite neurotecnologie.

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FONDAZIONE BRF

OSSERVATORIO SUICIDI E PROGETTI UE: FONDAZIONE BRF IN PRIMA LINEA Ecco tutti gli aggiornamenti sui lavori condotti dai ricercatori della nostra Fondazione di Valentina Formica

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a Fondazione BRF si dedica con impegno a una vasta gamma di iniziative mirate ad affrontare questioni critiche legate alla salute e al benessere mentale della società. Tra le sue molteplici attività, la Fondazione si distingue per la conduzione di ricerche di rilievo su tematiche cruciali come l’infezione da COVID-19, le dipendenze comportamentali e vari aspetti legati al benessere della popolazione in generale, in particolare di quella gio-vanile. La Fondazione BRF non trascura nemmeno la delicata tematica del suicidio, con-ducendo ricerche e promuovendo iniziative finalizzate a comprendere la portata di questo fenomeno e le cause sottostanti. Da oltre un anno, dedichiamo particolare attenzione al progetto GLIDE-19, finanziato dal-la Comunità Europea, incentrato sulle

emergenze sanitarie e realizzato in collaborazione con altri stati dell’Unione Europea. L’obiettivo primario di questo progetto è potenziare le competenze degli operatori sanitari, preparandoli ad affrontare eventuali futuri scenari di emergenza sanitaria. Una componente fondamentale del progetto consiste nello sviluppo di una piattaforma di formazione online, basata sulle ultime evidenze scientifiche e sulle migliori pratiche europee, delineate per gestire situazioni di crisi. Nella scorsa primavera, abbiamo condotto dei Focus Group coinvolgendo professionisti della salute, al fine di identificare le loro esigenze e individuare le migliori pratiche adotta-te durante la pandemia da Covid-19. Nel novembre 2023, tutti i partner si sono riuniti a Maastricht per discutere i risultati finora ottenuti, valutando


FONDAZIONE BRF

i progressi sia qualitativamen-te che quantitativamente. Il progetto GLIDE-19 procede con successo e, attualmente, siamo oltre la metà del percorso. Ci stiamo preparando per la fase di formazione che avrà luogo ad Heidelberg in aprile, ospitata dall’Università Ospedalie-

ra di Heidelberg. In questa occasione, saranno presenti tutti i partner del progetto, tra cui Social IT srl, Fon-dazione BRF, Università di Maastricht e Fundación INTRAS, tutti attivamente coinvolti nello sviluppo del corso di apprendimento GLIDE-19.

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I PIONIERI SCIENTIFICI DI UN 2023 MEMORABILE SECONDO NATURE Tra i protagonisti di quest’anno spicca anche un outsider non umano: ChatGPT di Giovanni Saraff

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l 2023 è stato un anno di innovazioni e progressi scientifici straordinari e Nature ha rico-nosciuto l’influenza di 10+1 individui eccezionali che hanno contribuito in modo significa-tivo ai campi della scienza, dell’ambiente, e della medicina. Tra i protagonisti di quest’an-no spicca anche un outsider non umano: ChatGPT, un’intelligenza artificiale generativa che ha lasciato un’impronta indelebile nella comunità scientifica. 1. Kalpana Kalahasti: colei che ha portato l’India sulla Luna, tra i direttori scientifici della missione lunare Chandrayaan-3, Kalpana Kalahasti, ha guidato l’India nel raggiun-gere la superfice lunare con un suo veicolo, dimostrando che la perseveranza può tra-sformare fallimenti passati in successi straordinari 2. Marina Silva: la protettrice dell’Amazonia, ministra brasiliana per l’ambiente, ha dimostrato

un impegno eccezionale nella lotta contro la deforestazione amazzonica, ot-tenendo notevoli riduzioni e mantenendo viva la speranza per il futuro della foresta plu-viale. 3. Katsuhiko Hayashi: l’innovatore della riproduzione in laboratorio, il professore giapponese Katsuhiko Hayashi ha aperto nuove strade nella riproduzione assistita, otte-nendo cuccioli di topo da due topi maschi. Questo risultato apre nuove prospettive nella medicina riproduttiva 4. Annie Kritcher: l’innescatrice della fusione nucleare, artefice di un cruciale espe-rimento di fusione nucleare alla National Ignition Facility, il cui reattore, quest’anno, è fi-nalmente riuscito a creare una reazione di fusione nucleare in cui l’energia prodotta era maggiore di quella necessaria a innescare la fusione stessa. Kritcher, con il suo gruppo di lavoro hanno dimostrato quindi che la produzione di energia pulita e sostenibile è pos-sibile.


NEUROSCIENZE

5. Eleni Myrivili: la mitigatrice del cambiamento climatico, la prima Chief Heat Offi-cer (CHO) delle Nazioni Unite, Eleni Myrivili, sta combattendo gli effetti devastanti del cambiamento climatico, promuovendo consapevolezza e raccogliendo fondi per progetti sostenibili a livello globale. 6. Ilya Sutskever: padre di ChatGPT e visionario dell’IA, Ilya Sutskever, scienziato capo di OpenAI, è il creatore di ChatGPT, un’IA che ha influenzato la scienza in modo pervasivo. Attualmente dedica il suo impegno nel progetto di “superallineamento”, con cui l’azienda californiana intende, da qui a quattro anni, allocare il 20% della potenza computazionale delle sue macchine per studiare come “orientare e controllare i sistemi di intelligenza artificiale più intelligenti dell’essere umano”, evidenziando così la responsabi-lità nell’evoluzione dell’intelligenza artificiale. 7. James Hamlin: il debunker della superconduttività. Fisico della materia conden-sata, James Hamlin sta studiando la superconduttività, che solitamente hanno alcuni ma-teriali allo zero assoluto, a temperatura ambiente, per aprire importanti strade a nuove applicazioni tecnologiche. 8. Svetlana Mojsov: la vera scopritrice della semaglutide. La biochimica Svetlana Mojsov ha giocato un ruolo chiave nell’identificazione della forma attiva dell’ormone GLP-1, contribuendo così agli avanzamenti nei farmaci antidiabetici e antiobesità a base di semaglutide. 9. Halidou Tinto: il pioniere dei vaccini antimalarici in Africa ha dedicato la sua vita alla ricerca di farmaci e vaccini antimalarici, con il suo lavoro sulla creazione dell’R21, raccomandato dall’OMS a Ottobre 2023.

Kalpana Kalahasti. 10. Thomas Powles: l’esploratore di nuove terapie anticancro. Il ricercatore di on-cologia Thomas Powles ha presentato risultati rivoluzionari nel trattamento del cancro alla vescica. 11. ChatGPT: l’influenza non umana nella scienza. La presenza di ChatGPT nella lista sottolinea l’impatto delle intelligenze artificiali generative nel cambiare il volto della scienza, sottolineando il loro ruolo cruciale nella ricerca scientifica moderna.

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IGNORANZA INTENZIONALE SCEGLIERE DI NON SAPERE Nota come “mossa dello struzzo”, per rimanere all’oscuro di Francesco Carta

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ignoranza intenzionale, un fenomeno psicologico in cui le persone preferiscono non conoscere le conseguenze spiacevoli delle proprie azioni, è al centro di una recente ricerca pubblicata sulla rivista Psychological Bulletin. Questa tendenza, nota come “mossa dello struzzo”, emerge quando individui scelgono consapevolmente di rimanere all’oscuro per evitare di modificare le proprie decisioni o per autoassolversi da scelte moralmente discutibili. Lo studio, condotto da un team di ricercatori provenienti da diverse università, ha analizzato 22 ricerche scientifiche coinvolgendo oltre 6.500 persone. Tra gli esperimenti citati, uno ha chiesto ai partecipanti di optare tra una ricompensa di 5 dollari e una di 6 dollari. Il campione è stato quindi diviso in 2 gruppi: il primo poteva conoscere

o meno le conseguenze della propria scelta, mentre al secondo venivano comunicate subito, prima di scegliere: chi optava per la ricompensa più bassa, avrebbe dato la possibilità ad un’altra persona sconosciuta di ricevere un uguale ammontare di denaro, chi decideva invece di intascarsi la somma più alta, avrebbe donato solo 1 dei 6 dollari. Il 40% delle persone ha preferito non conoscere le conseguenze della propria scelta per massimizzare il proprio guadagno. L’analisi ha rivelato una correlazione tra ignoranza intenzionale e minore altruismo: quando le persone hanno scelto di conoscere immediatamente l’effetto delle loro decisioni, c’è stato un aumento del 15,6% nella probabilità di comportamenti più generosi. Gli individui che cercano informazioni complete mostrano una probabilità del 7% superiore di manifestare comportamenti altruistici, suggerendo che il vero altruismo si basa sulla volontà di affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Secondo gli studiosi, questa propensione all’ignoranza intenzionale può derivare dalla volontà di mantenere un’immagine positiva di sé stessi agli occhi propri e altrui, consentendo alle persone di apparire “buone” senza dover compiere azioni che richiedono sacrifici. In questo modo, la mossa dello struzzo diventa una scorciatoia per evitare responsabilità morali, evidenziando una sfumatura nell’equilibrio tra ignoranza e altruismo genuino.


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L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA EMOTIVA Come alcuni eventi rimangono indelebili nella nostra mente di Valerio Rossi

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n recente studio pubblicato su Nature Human Behaviour, condotto dai ricercatori della Columbia University guidati da Joshua Jacobs, offre uno sguardo intrigante sulla memo-ria emotiva e su come alcuni eventi rimangano indelebili nella nostra mente. Analizzando l’attività elettroencefalografica di specifiche aree cerebrali come l’Amigdala e l’Ippocampo, gli scienziati hanno identificato che l’ancoraggio mnemonico si verifica quando l’attività oscilla tra i 30 e i 180 Hertz. Questo fenomeno è particolarmente eviden-te quando si ricordano parole classificate come “emotive” come coltello o cane, ma non per termini “neutri” come sedia. Ecco che la colorazione emotiva, anche per oggetti ap-parentemente banali, sembra influenzare la forza del ricordo. La nostra memoria quotidiana, che va dal ricordo che l’oblio, mostra una selettività posi-tiva per le informazioni emotivamente cariche. Questa caratteristica ci protegge dal so-vraccarico mnemonico, consentendoci di conservare solo ciò che è veramente significa-tivo, lasciando cadere nell’oblio tutte le informazioni superflue. Un ulteriore studio pubblicato su PNAS, condotto dall’Università di Edimburgo sotto la guida di Richard Morris, ha portato alla luce una struttura cruciale nella formazione dei ricordi emotivamente carichi: il Locus Coeruleus, situato bilateralmente nel tronco cere-brale, è emerso come l’interruttore

chiave per questi ricordi. Questo piccolo centro ha dimostrato di essere coinvolto in una vasta rete di comunicazioni nervose, con collega-menti con amigdala, ipotalamo e praticamente ogni area del sistema nervoso distribuen-do informazioni legate alla memoria emotiva, contribuendo alla formazione di ricordi im-pattanti. La sua importanza emerge nel riorganizzare e smistare informazioni, confer-mando il suo status di hub cruciale per la nostra comprensione dei ricordi e delle emo-zioni. Scoperte come queste svelano le intricanti sfaccettature della memoria e gettano luce sul ruolo di alcune strutture cerebrali nel plasmare ricordi che resistono al passare del tempo.


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NEUROSCIENZE

TEENAGER E SOCIAL MEDIA A PROVA DI “SCANSIONE” Indagini cerebrali svelano i rischi dell’approvazione online di Alessandro Righi

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impatto dei social media sul cervello e sul comportamento degli adolescenti è al centro di una nuova ricerca pubblicata su JAMA Pediatrics, che ha analizzato le scansioni cerebrali di giovani dai 12 ai 15 anni per comprendere come l’uso frequente di piattaforme come Facebook, Instagram e Snapchat influenzi il loro sviluppo cognitivo e cerebrale. Il lavoro scientifico ha rivelato che i ragazzi che trascorrono più tempo sui social sembrano sviluppare un cervello più sensibile all’approvazione sociale dei coetanei. Durante l’adolescenza, una fase cruciale per lo sviluppo cerebrale e personologico, si verificano profondi cambiamenti nelle aree legate alle interazioni sociali. Un gruppo di neuroscienziati dell’Università della North Carolina ha eseguito scansioni cerebrali con la risonanza magnetica funzionale fMRIsu 169 studenti di età compresa tra i 12 e i 15 anni impegnati in attività di gioco in cui erano previste ricompense o punizioni sociali. I ricercatori hanno così suddiviso in gruppi il campione in base al tempo trascorso sui social. I risultati hanno mostrato che gli adolescenti che utilizzano più frequentemente i social media sviluppano una maggiore sensibilità al feedback sociale. Il cervello di coloro che controllavano i social più di 15 volte al

giorno, ha mostrato un’ipersensibilità al feedback degli altri durante le attività di gioco, evidenziando un’attività aumentata in tre specifiche aree cerebrali: i circuiti della ricompensa, le aree che determinano gli stimoli rilevanti nell’ambiente e la corteccia prefrontale coinvolta nella regolazione delle azioni. Tuttavia, la ricerca non ha chiarito se questi cambiamenti cerebrali siano positivi o negativi, né ha valutato l’entità di tali modifiche. La sensibilità all’approvazione sociale potrebbe essere un tratto adattivo, ma potrebbe anche diventare una fonte di rischio per ansia sociale e depressione se non soddisfatta o gestita adeguatamente. Va sottolineato che molte variabili potrebbero influire sui risultati, come eventi significativi nella vita sociale degli adolescenti o differenze di personalità. Inoltre, lo studio non ha monitorato l’evoluzione del rapporto con i social media nel tempo. Questi dati dovrebbero essere interpretati quindi considerando il contesto completo della vita sociale di ciascun ragazzo. Non si tratta di demonizzare i social media, ma di capire come il cervello adolescente si adatti a un mondo digitale e come la ricerca di approvazione possa essere soddisfatta in modi alternativi, magari attraverso attività sportive o altre interazioni faccia a faccia.


NEUROSCIENZE

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LA RETE DELLE AUTOSTRADE NEURALI DEL CERVELLO Viaggio velocissimo tra connessioni e complessità mentale di Alessia Vincenti

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l cervello umano è composto da una rete intricata di miliardi di connessioni e alcune di queste sono vere e proprie “autostrade”, percorsi neurali in cui le informazioni viaggiano a velocità superiore, collegando simultaneamente diverse aree cerebrali. Uno studio condotto da ricercatori tedeschi, guidati da Valentin Riedl del Department of Neuroradiology della Technical University di Monaco, pubblicato sulla rivista Science Advances, ha identificato queste connessioni privilegiate come responsabili delle manifestazioni più elevate della mente umana. Queste autostrade neurali sono correlate a processi mentali superiori, come la coscienza di sé, l’attenzione, la memoria episodica e la pianificazione delle attività. Tuttavia, questo viaggio veloce ha un prezzo, con un consumo energetico che registra un aumento del 65% rispetto ad altre aree cerebrali. Proprio come le auto sulle vere autostrade, le autostrade neurali richiedono una quantità significativa di energia, evidenziando l’importanza di tali connessioni per le funzioni cognitive avanzate, rappresentando una peculiarità degli esseri umani. Grazie a tali connessioni, infatti, gli esseri umani hanno sviluppato livelli di intelligenza superiori, superando anche animali con cervelli più imponenti, come gli elefanti. Queste connessioni sembrano essere emerse nel corso dell’evoluzione umana e sono individuabili in regioni chiave come la corteccia prefrontale. Per giungere a questa scoperta, i ricercatori hanno impiegato la risonanza magnetica

funzionale (fMRI) e la tomografia a emissione di positroni (PET) su 30 volontari, misurando contemporaneamente il metabolismo del glucosio e la quantità di scambi informativi tra i neuroni della corteccia cerebrale. Hanno così identificato le zone ad alto consumo energetico, correlandole a una maggiore connettività. Tuttavia, questa meravigliosa complessità cerebrale non è priva di conseguenze. Gli stessi neuromodulatori responsabili delle funzioni cognitive avanzate sono alla base di disturbi psichici comuni, come depressione e ansia. Molti psicofarmaci mirano proprio ad interferire con il funzionamento di questi neuromodulatori per alleviare sintomi, ma il controllo precisa di questi meccanismi rimane ancora un obiettivo sfidante.


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NEUROSCIENZE

IL CERVELLO: L’ORGANO CHE NON PROVA DOLORE Può subire interventi chirurgici con paziente sveglio di Alberto Volpi

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l cervello, custode dei misteri della mente, è un organo apparentemente immune al dolore. Questo perché nel tessuto nervoso non troviamo i nocicettori, i recettori deputati a percepire il dolore. Così, quando avvertiamo un mal di testa o qualsiasi altra forma

di disagio cerebrale, non è il cervello in sé a soffrire, ma piuttosto il segnale di malessere giunge da altrove, sfruttando il vasto sistema di nervi che attraversano il nostro corpo. Il malessere cerebrale può manifestarsi per diverse ragioni, dall’accumulo di stress alla disidratazione, dalla tensione muscolare alla privazione del sonno. Tutti questi fattori possono stimolare i nocicettori che, diffusi in tutto l’organismo, inviano segnali al cervello che li interpreta come un senso di dolore, fastidio o disagio. Per questo motivo il cervello è l’unico organo a poter essere sottoposto a interventi chirurgici anche mentre il paziente è completamente sveglio. Questa pratica è necessaria in alcuni casi, come nell’asportazione di tumori. Il chirurgo, con il paziente sveglio e cosciente, opera attentamente, evitando di danneggiare aree vitali per le funzioni cognitive come il linguaggio o la vista. Nonostante il contesto impressionante, il paziente non sperimenta direttamente il dolore cerebrale, poiché il cervello stesso non è dotato di nocicettori. Tuttavia, la consapevolezza del processo chirurgico potrebbe generare disagio emotivo. La mente, infatti, può reagire al pensiero di essere soggetta a interventi invasivi, anche se il cervello in sé rimane immune alla percezione diretta del dolore.


Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale

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LIBRI

LA STORIA ANTICA SECONDO LE VOCI DELLE DONNE Il nuovo libro di Marilù Oliva viaggia fra epica e intimità

di Flavia Piccinni

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“L’Iliade cantata dalle Dee” Marilù Oliva Solferino, 2024 192 pagine 16,50 euro

e storie hanno tante versioni quanti gli sguardi di chi le osserva, e le vive. Ed è partendo da questo presupposto - una strada già intrapresa nei precedenti libri - che la scrittrice Marilù Oliva si immerge nella riscrittura di una pietra miliare della letteratura di tutti i tempi: l’Iliade. Lo fa con “L’Iliade cantata dalle Dee”, appena pubblicato da Solferino (pp. 192, € 16.50) in cui regala la parola a chi non l’ha mai avuta. Il punto di vista viene declinato attraverso Afrodite ed Elena, ma anche Atena che narra l’ira di Achille e Teti, che invece si immerge nelle fragilità del figlio apparentemente invincibile. Parlano anche Era, ed Elena e Cassandra. Ma soprattutto, in questo viaggio che fa vibrare anche i ricordi, si incontra l’inaspettato pensiero di Creusa, la moglie di Enea, che spesso viene smarrito nel complesso paesaggio omerico. Ribaltando la prospettiva - dei viciniori e dei vinti - ci si trova davanti a un libro inaspettato e curioso, che gioca nell’anticipare, più che negare o rincorrere, lo

sguardo prettamente e tradizionalmente maschile. Oliva aveva già intrapreso questo filone narrativo con i suoi precedenti libri, “L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre” e “L’Eneide di Didone”, che ne hanno fatto un punto di riferimento sul tema. Nota per il suo interesse nella mitologia e per le sue narrazioni che danno voce alle donne, adesso trasforma l’Iliade in un coro di esperienze femminili, mettendo in luce le storie tanto delle vinte, umiliate e violate, quanto di quelle poche che hanno ottenuto trionfi effimeri come la vendetta. La sua scrittura - sempre piana e coinvolgente - si nutre così di una disamina di inaspettata profondità, arrivando non solo a reinterpretare il classico di Omero, ma trasformandosi in un’invocazione a riconsiderare le storie tramandate e a riconoscere le voci e le esperienze spesso trascurate nella narrazione storica e letteraria. Temi di genere, potere e violenza diventano così centrali nella narrazione e arrivano a collegare il passato mitologico alle realtà contemporanee, invitando i lettori a riflettere sulle dinamiche di genere e sul ruolo delle donne nella storia e nella società.


PODCAST

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LA QUOTIDIANITÀ OLTRE LA PROCRASTINAZIONE Cinque minuti al giorno per riscrivere le proprie abitudini

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l poeta inglese Samuel Johnson era solito dire “Le catene dell’abitudine sono troppo leggere per essere avvertite finché non diventano troppo pesanti per essere spezzate”. E sembra idealmente partire da questo concetto il podcast “Un passo al giorno” di Stefania Brucini che, andato a battesimo il primo gennaio, accompagna l’ascoltatore nel mondo della crescita personale attraverso un approccio quotidiano e accessibile. Realizzato in collaborazione con VOIS, il podcast propone episodi brevi, della durata di circa 5 minuti, pensati per essere ascoltati all’inizio della giornata. L’obiettivo è quello di offrire agli ascoltatori una dose giornaliera di ispirazione e pratiche consapevoli per migliorare la propria vita personale e professionale. Si tratta di un percorso volto a stimolare una diversa intenzionalità nell’affrontare la giornata, invitando a rallentare e riflettere su ciò che realmente conta, evitando di perdersi nelle urgenze quotidiane. Gli argomenti trattati spaziano dalla gestione dello stress e dell’ansia, alla promozione di uno stile di vita equilibrato, fino all’im-

portanza di non procrastinare i progetti personali. Il tono è semplice e colloquiale, e la capacità di Stefania Brucini - productivity coach e la fondatrice di Simple Tiny Shifts - è quello di promuovere con chiarezza i piccoli e semplici cambiamenti per superare la procrastinazione, concentrandosi sull’importanza di godersi il percorso verso il raggiungimento degli obiettivi, piuttosto che fissarsi unicamente sui risultati. La combinazione di consigli pratici, esercizi quotidiani e la brevità degli episodi rende “Un passo al giorno” particolarmente adatto per chi ha poco tempo, ma non vuole rinunciare a dedicare attenzione al proprio benessere mentale e fisico, e sembra contenere in sottotraccia un pensiero di aristotelica memoria: “Siamo ciò che facciamo ripetutamente. L’eccellenza, quindi, non è un atto ma un’abitudine”. (F. P.)

“Un passo al giorno” Stefania Brucini Vois

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Libri fuori dal tempo e dalle mode

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