Differenze e unicità distanti dal concetto della cosiddetta normalità
Anno V| N. 3 | Marzo 2024
e antidepressivi
Con i contributi di Carrara, Cattolico, Cuomo, Fagiolini, Gazzanni, Pardossi, Piccinni, Pierini, Pinzi, Saraff.
Rapporto tra infiammazione
Rosa e Olindo Ritorna in aula la strage di Erba Scoprire la dislessia “Così la scuola deve cambiare” NEURODIVERSITÀ E INCLUSIONE SOCIALE
Libri fuori dal tempo e dalle mode
Nicola Brami Melinoe vestita di zafferano
Enea è un giovane professore di matematica la cui esistenza si divide tra il lavoro, l’amore ormai abitudinario per Lorna, le partite di tennis con gli amici e il rapporto distaccato con il fratello maggiore Nicola, scrittore di successo. La sua vita cambia quando una mattina, telefonando a casa, a rispondere è qualcuno dalla voce identica alla sua e che sostiene di essere lui. È quello il momento in cui nella mente di Enea nasce un pensiero tanto impossibile quanto spaventoso: al mondo esiste un suo doppio, qualcuno dal suo stesso aspetto, che vive nella sua stessa casa, insegna nella sua scuola e lo sostituisce sul campo da tennis. Intanto, mentre Nicola rivela a Enea di essere affetto da una malattia mortale, quest’ultimo viene a conoscenza di rituali esoterici a cui il fratello aveva partecipato in passato, guidati da Melinoe, una ragazza che pare possedere una conoscenza antica, al di là dell’umano, e i cui effetti sembrano, misteriosamente, ri- percuotersi fino a oggi... Nicola Brami scrive un libro ipnotico, allo stesso tempo sensuale e vivido, come un sogno oscuro che invece di svanire al mattino si fa sempre più reale, e che dentro di sé cela la pìù vertiginosa e terrificante delle domande: chi sono io?
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Neurodiversità e inclusione sociale: verso un futuro più empatico e creativo
di Armando Piccinni
Nel vasto e multiforme panorama della condizione umana, la neurodiversità rappresenta una delle sfide e opportunità più significative per il nostro tempo. Concetto relativamente recente, ma radicato nelle profondità della nostra specie, la neurodiversità si riferisce alla varietà infinita di differenze neurologiche tra gli esseri umani. Queste differenze includono l’autismo, la dislessia, l’ADHD e altre neurodivergenze, storicamente fonte di incomprensione, marginalizzazione e discriminazione. Tuttavia, come comunità globale, stiamo iniziando a riconoscere il valore intrinseco di queste diversità e l’importanza cruciale dell’inclusione sociale. Il primo passo verso l’inclusione effettiva è un cambiamento fondamentale nella percezione della neurodiversità. Invece di considerare le neurodivergenze come deficit da correggere, è essenziale riconoscerle come differenze che possono arricchire collettivamente la nostra società. Siamo cosi di fronte a un cambiamento di paradigma che richiede un impegno collettivo per educare il pubblico, smantellare gli stereotipi dannosi e celebrare le storie di successo di persone neurodivergenti. Oggi le istituzioni educative svolgono un ruolo cruciale nella promozione dell’inclusione. Programmi didattici flessibili, supporti individualizzati e la formazione degli insegnanti sulla neurodiversità possono creare ambienti di apprendimento che valorizzano tutti gli studenti. L’obiettivo è garantire che
ogni bambino abbia la possibilità di esprimere il proprio potenziale unico, indipendentemente dalle differenze neurologiche. Naturalmente, anche il mondo del lavoro è chiamato a riformarsi per accogliere la neurodiversità. Dall’adozione di pratiche di assunzione più inclusive alla creazione di ambienti lavorativi adattabili, le aziende possono trarre vantaggio dall’ampio ventaglio di prospettive e competenze che le persone neurodivergenti portano. La diversità di pensiero stimola l’innovazione e può essere un fattore chiave per il successo nell’economia globale contemporanea.
Ci troviamo dunque davanti a un cammino denso di sfide e di opportunità. La stigmatizzazione e la discriminazione rimangono ostacoli significativi, così come le barriere all’accesso a servizi adeguati di supporto e assistenza. È fondamentale che gli sforzi per promuovere l’inclusione siano accompagnati da politiche pubbliche solide, finanziamenti adeguati e un impegno costante per la ricerca e lo sviluppo. Abbracciare la neurodiversità è più di un imperativo morale; è una strategia per arricchire e rafforzare il tessuto sociale. In un mondo che si muove rapidamente verso una maggiore complessità e interconnessione, la capacità di comprendere, valorizzare e collaborare con persone di tutte le neurologie è più preziosa che mai. Creando spazi in cui la diversità è non solo accettata ma celebrata, potremo finalmente costruire una società più empatica, creativa e resiliente.
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EDITORIALE
EDITORIALE
Neurodiversità e inclusione sociale: verso un future più empatico e creative di Armando Piccinni
PRIMO PIANO
Depressione e antidepressivi: un legame complesso con l’infiammazione di AA. VV.
Bisogna abbracciare la neurodiversità per l’inclusione sociale di Giovanni Saraff
Brain
Anno V | N. 3 | Marzo 2024
Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca Diffusione: www.fondazionebrf.org
Direttore responsabile: Armando Piccinni
Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca
Differenze e unicità distanti dal concetto della cosiddetta normalità Anno V| N. 3 | Marzo 2024 Rapporto tra infiammazione e antidepressivi Rosa e Olindo Ritorna in aula la strage di Erba Scoprire la dislessia “Così la scuola deve cambiare” NEURODIVERSITÀ E INCLUSIONE SOCIALE Con contributi di Carrara, Cattolico, Cuomo, Fagiolini, Gazzanni, Pardossi, Piccinni, Pierini, Pinzi, Saraff.
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SOMMARIO
ATTUALITÀ
Rosa e Olindo dall’ergastolo alla revisione del processo di Flavia Piccinni
La storia di Rosa che per Alessandra Carati diventa Rosy di Flavia Piccinni
L’INTERVISTA
Alla scoperta della dislessia di Redazione
Dizionario aggiornato: le sfide dell’IA nell’era che stiamo vivendo di Martina Gaudino
#PARLIAMONE
Come l’arte fa superare la frustrazione dell’immobilismo di Chiara Andreotti
MOSTRA
“Emotion”, l’arte contemporanea racconta le emozioni di Chiara Andreotti
CONTRIBUTO
Organoidi cerebrali una finestra sul neuro-sviluppo di Alberto Carrara
FONDAZIONE BRF
BRF nel progetto Glide-19 sulle emergenze sanitarie europee di Valentina Formica
NEUROSCIENZE
La trasformazione silenziosa: il futuro delle famiglie di Giovanni Pianesi
Lupi mutanti di Chernobyl: speranza contro il cancro? di Francesco Carta
La Generazione Z tra fiducia in sé e salute mentale di Valerio Rossi
Il segreto della gomma da masticare di Federico Malagrinò
Il neurotrasmettitore che fa “battere” il cuore di Carmelo Marini
Neuralink e l’interfaccia cervello-macchina di Giovanni Pianesi
Epiplafobia: la paura insolita dei mobili di Federico Malagrinò
La sindrome da distacco cognitivo di Carmelo Marini
Il potere trasformativo della pazienza di Federico Malagrinò
FILM
“Povere creature!”. Se ci fosse una seconda vita di Chiara Andreotti
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DEPRESSIONE E ANTIDEPRESSIVI: UN LEGAME COMPLESSO CON
L’INFIAMMAZIONE
“Comprendere pienamente questi meccanismi potrebbe trasformare l’approccio attuale al trattamento di una patologia complessa e ancora da delineare nei meccanismi che la causano”
di Alessandro Cuomo, Simone Pardossi, Matteo Cattolico, Mario Pinzi, Caterina Pierini, Andrea Fagiolini
6 Brain Mar 2024
Idisturbi dell’umore, come la depressione maggiore e il disturbo bipolare, sono causati da una complessa interazione tra fattori genetici ed ambientali. In particolar modo, sebbene il trattamento attuale della depressione maggiore si basi sulla tradizionale teoria monoaminergica –alla base della depressione dell’umore si troverebbe un disequilibrio di neurotrasmettitori come serotonina, dopamina e noradrenalina, la ricerca ha spostato l’attenzione su altri possibili meccanismi. Negli ultimi anni, diversi studi hanno messo in luce il ruolo che i processi infiammatori possono avere sullo sviluppo dei disturbi dell’umore.
Diversi studi hanno dimostrato che lo stress, sia fisico che psichico, può aumentare l’intensità dei processi infiammatori nell’organismo. Questo aumento dell’infiammazione può, a sua volta, causa o aggravare i sintomi depressivi, attraverso una complessa serie di reazioni ormonali e neurotrasmettitoriali innescate dallo stress stesso. Ricerche recenti hanno anche evidenziato l’esistenza di meccanismi epigenetici che, mediati dallo stress e, attraverso di esso, dall’infiammazione, andrebbero ad interagire con lo sviluppo dei sintomi depressivi.
Le citochine, proteine che svolgono funzioni immunitarie e che controllano l’infiammazione, come l’interleuchina-1 (IL-1), interleuchina-6 (IL-6), e il fattore di necrosi tumorale-alfa (TNF-α), possono attraversare la barriera emato-encefalica, passando dal circolo sanguigno al cervello, ed andando quindi a dialogare con i sistemi neurotrasmettitoriali. Ciò potrebbe avere quindi una rilevante influenza sui sintomi depressivi. Inoltre, le citochine sono strettamente legate anche col sistema endocrino, quali l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, le quali alterazioni, come molti studi dimostrano, concorrono all’eziopatogenesi della depressione.
7 Brain Mar 2024
PRIMO PIANO
Diversi studi hanno dimostrato che lo stress, sia fisico che psichico, può aumentare l’intensità dei processi infiammatori nell’organismo.
Il configurarsi dell’infiammazione come una causa (o concausa) della depressione, può far presuppore che farmaci che hanno un potenziale meccanismo anti-infiammatorio possano trovare un impiego nel trattamento dei sintomi depressivi.
Gli antidepressivi, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e gli inibitori della ricaptazione della serotonina e noradrenalina (SNRI), sono tra i trattamenti più comuni per la depressione. Questi farmaci sono noti per la loro efficacia nel modulare i livelli di neurotrasmettitori come la serotonina e la noradrenalina nel cervello, contribuendo così a migliorare l’umore e alleviare i sintomi depressivi. Oltre alla loro azione sui neurotrasmettitori, tuttavia, gli SSRI e gli SNRI hanno dimostrato di possedere effetti anti-infiammatori e antiossidanti: la ricerca ha difatti mostrato che farmaci come la sertralina (uno dei più noti SSRI) possono ridurre l’espressione di molecole infiammatorie come IL1β e TNF-α. Questo suggerisce che gli antidepressivi possono avere un ruolo ampio e variegato nel trattamento della depressione, agendo sia attraverso svariate modalità, ed esseno implicati anche nei meccanismi infiammatori legati alla depressione stessa.
Più nello specifico, dal punto di vista molecolare, la via della chinurenina rappresenta un significativo ponte tra depressione ed infiammazione. Il triptofano è un amminoacido che svolge la funzione di precursore per la serotonina, il principale neurotrasmettitore implicato nello sviluppo della depressione. In condizioni di stress ed infiammazione, aumenta l’attività dell’enzima indoleamina-2,3 diossigenasi (IDO), enzima che converte il triptofano in chinurenina, sottraendo quindi il triptofano alla produzione della serotonina. Questo processo riduce quindi la disponibilità di triptofano per la produzione di serotonina: pertanto, anche dal punto di vista molecolare, si riconoscono meccanismi per i quali l’infiammazione può causare un deficit di serotonina, contribuendo allo sviluppo di sintomi depressivi.
La comprensione del ruolo dell’infiammazione nella depressione e l’efficacia degli antidepressivi nel modulare questi processi infiammatori apre nuove prospettive terapeutiche. La ricerca futura potrebbe concentrarsi su trattamenti che mirano specificamente al controllo dell’infiammazione, oltre a regolare i neurotrasmettitori. Ciò potrebbe portare a terapie più mirate e personalizzate per i pazienti con depressione, specialmente per coloro che non rispondono ai trattamenti standard.
In conclusione, la relazione tra depressione, infiammazione e l’uso di antidepressivi è complessa e multidimensionale. La ricerca sta progressivamente rivelando come questi processi interagiscono tra loro, offrendo nuove intuizioni su come trattare efficacemente questa condizione. Comprendere pienamente questi meccanismi potrebbe trasformare l’approccio attuale al trattamento di una patologia complessa e ancora da delineare nei meccanismi che la causano, come la depressione.
8 Brain Mar 2024
PRIMO PIANO
BISOGNA ABBRACCIARE
LA NEURODIVERSITÀ PER L’INCLUSIONE SOCIALE
Paragonarla alla biodiversità che si riferisce alla coesistenza e alla differenziazione delle varie specie in un ecosistema di Giovanni Saraff
Il concetto di neurodiversità, coniato nel 1998 dalla sociologa australiana Judy Singer, segna un cambio di paradigma nel modo in cui percepiamo le differenze umane ed è sinonimo di biodiversità neurologica. Proprio come la biodiversità si riferisce alla coesistenza e alla differenziazione delle varie specie in un ecosistema, la neurodiversità definisce la naturale variazione tra un cervello e l’altro nella specie umana. In sostanza, siamo tutti neurodiversi: i nostri cervelli, pur appartenendo alla stessa specie, sono meravigliosamente unici.
All’interno del vasto spettro della neurodiversità umana però alcuni individui condividono caratteristiche comuni che li distinguono dalla maggioranza. Mentre la
maggior parte delle persone segue una traiettoria di sviluppo neurologico considerata tipica, una parte più piccola della popolazione (circa il 15-20%) presenta modelli di sviluppo neurologico che deviano, in qualche misura, dalla norma. Questi individui vengono spesso definiti neuroatipici o neurodivergenti.
Abbracciare la neurodiversità ci permette di vedere le differenti caratteristiche neurologiche, sensoriali, comunicative e sociali come variazioni naturali nello sviluppo umano. In questo modo, ci allontaniamo da un modello puramente medico, incoraggiando interazioni tra le persone in cui queste differenze non sono necessariamente percepite come deficit.
Il termine neurodiversità non porta con sé né una connotazione
9 Brain Mar 2024
PRIMO PIANO
L’idea è senza dubbio quella di conoscere il bambino oggi e, sulla base di com’era ieri capire in che direzione stiamo andando per il domani, aprendo ad enormi opportunità di previsione e prevenzione delle difficoltà della persona.
positiva né negativa; piuttosto, rappresenta la varianza intrinseca tra gli individui. Sfida l’applicazione di norme statistiche alle persone, spingendoci a interrogarci su ciò che viene considerato “normale”. Il concetto di “normalità” deriva dal lavoro di Gauss sulla curva della distribuzione normale, dove le deviazioni dalla media vengono considerate anomale. In statistica la normalità è data dalla frequenza, quindi è normale chi si discosta poco dalla media. Tuttavia, applicare norme statistiche agli esseri umani può portare all’esclusione e alla marginalizzazione. Questo concetto è ben descritto nel racconto di fantascienza il paese dei ciechi di H.G.
Wells, in cui il protagonista Nunez raggiunge un villaggio popolato e gestito da generazioni da persone
cieche. Gli abitanti del villaggio considerano Nunez diverso perché cerca invano di spiegare loro il concetto di vedere. Lo giudicano come primitivo, incapace di adattarsi alla loro realtà senza vista. Addirittura, il medico del villaggio suggerisce che i bulbi oculari di Nunez siano la fonte del suo supposto “difetto”, consigliando di rimuoverli per ristabilire la normalità.
Alcuni attivisti autistici hanno ribaltato la narrazione, riimmaginando la neurotipicità da una prospettiva evolutiva. Argomentano che tratti ora considerati aberrazioni cliniche potrebbero aver conferito vantaggi adattivi in passato. Ad esempio, il pensiero tridimensionale delle persone dislessiche potrebbe essere stato cruciale in culture pre-letterate. Si ipotizza difatti, che
10 Brain Mar 2024
PRIMO PIANO
questo tipo di pensiero potesse costituire un vantaggio nel tracciare le rotte di caccia, nella progettazione di utensili e nella costruzione di ripari. Il paradigma della neurodiversità sottolinea anche il valore delle persone per le loro caratteristiche uniche. La categorizzazione, intrinseca alla natura umana, semplifica nella nostra vita quotidiana l’elaborazione della grande mole di informazioni che ci arrivano, ma fallisce quando applicata agli esseri umani. L’uomo è complesso per natura e questa sua complessità è il valore che lo rende umano, quando ci illudiamo di poter categorizzare le persone mediante un unico schema agiamo in disarmonia con quella che è la nostra vera essenza e inevitabilmente perdiamo valore. Perdiamo l’opportunità di poter ammirare tale complessità.
A parità di neurodiversità non esistono due individui uguali, proprio perché è normale che ogni persona sia diversa dall’altra. Il paradigma della Neurodiversità non nega le difficoltà e i deficit, questa visione ha il pregio di farci osservare le qualit à e le caratteristiche delle altre persone, senza giudicarle come giuste o sbagliate. In questo modo, persone neurodivergenti o neuroatipiche possono cercare modalit à di interazione che non vengono imposte dall’alto, ma sono frutto di uno scambio e di una comprensione reciproci. Gli interventi in campo di Neurodiversità non mirano a normalizzare ma a incrementare le potenzialità già presenti negli individui.
Nonostante la crescente consapevolezza sulla neurodiversità, persistono molte sfide nell’inclusione sociale di persone neuroatipiche, in particolare in ambito lavorativo. Molti individui neurodiversi incon -
trano ostacoli sul posto di lavoro a causa di una mancanza di comprensione e adeguamento alle loro esigenze. L’attuale enfasi sulle “abilità sociali” nei processi di assunzione spesso svantaggia gli individui neurodiversi, perpetuando l’esclusione. Le straordinarie qualit à dei neurodiversi non avranno mai la possibilit à di essere dimostrate nella pratica lavorativa se, per esempio, i selezionatori del personale non sono informati correttamente sulle necessit à che questa condizione impone.
Per abbracciare veramente la neurodiversità, dobbiamo superare i confini delle norme standardizzate e coltivare una cultura di inclusione. Ciò implica educare i datori di lavoro, adattare strutture e procedure e riconoscere i punti di forza unici che gli individui neurodiversi portano con sé. Bisognerebbe liberarsi dall’idea che il termine neurodiversità sia sinonimo di disabilità, perch é è anche questo che induce i neurotipici a immaginare che il mondo vada costruito e vissuto secondo i soli criteri da loro definiti.
La neuroinclusione è contro-culturale: sfida lo status quo e invita a uscire dalla “Dittatura dello Standard”. Apprezzando l’intelligenza di tutti e abbracciando la diversità in tutte le sue forme, prepariamo il terreno per una vera inclusione sociale.
In conclusione, promuovere l’inclusione sociale per gli individui neurodiversi richiede un cambiamento di mentalità, uno che celebri la diversità, sfidi le norme e abbracci la ricchezza della variabilità umana. Lavoriamo insieme per creare un mondo in cui tutti, indipendentemente dal loro neurotipo, si sentano valorizzati, accettati e in grado di contribuire con i propri talenti unici alla società.
Il concetto di “normalità” deriva dal lavoro di Gauss sulla curva della distribuzione normale, dove le deviazioni dalla media vengono considerate anomale. In statistica la normalità è data dalla frequenza, quindi è normale chi si discosta poco dalla media.
11 Brain Mar 2024 PRIMO PIANO
ROSA E OLINDO
DALL’ERGASTOLO ALLA REVISIONE DEL PROCESSO
Si ritorna in tribunale per la strage di Erba, a 18 anni dalla strage che ha fatto parlare di sé per molti anni di Flavia Piccinni
Il 16 aprile Rosa Bazzi e Olindo Romano tornano in tribunale, di nuovo. E, probabilmente, per un’ultima, decisiva, volta. L’appuntamento è infatti davanti ai giudici della corte d’appello di Brescia, dove è stata fissata l’udienza per la revisione del processo della strage di Erba, in cui persero la vita un freddo pomeriggio di dicembre, l’undici dicembre 2006, un bambino di appena due anni, Youssef Marzouk, la madre Raffaella Castagna e la nonna Paola Galli, nonché la vicina di casa Valeria Cherubini. Il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, si salvò solo per una malformazione della carotide, e indicò i due coniugi come colpevoli.
Tredici anni fa, dopo un difficile processo, la coppia Bazzi-Romano, che abitava nel medesimo complesso di palazzine, venne condannata all’er-
gastolo. Da allora si sono moltiplicati i dubbi e le zone chiaroscurali, diffuse con crescente interesse dai media. «Per quanto possa suonare difficile da credere c’è una quantità sterminata di elementi che sarebbero dovuti entrare ed essere valutati nel corso del primo grado del processo e che forse saranno esaminati per la prima volta solo grazie alla revisione», riflette Antonino Monteleone, conduttore de Le Iene che ha dedicato gli ultimi anni della sua carriera a questa vicenda, protagonista anche del libro, firmato con Francesco Priano, “Erba” (Piemme, pp. 240) e che sarà ospite al Festival della Fondazione BRF Onlus “Lucca in Mente” il prossimo maggio.
Fra questi elementi spiccano proprio i tre punti cruciali che portarono alla condanna, ovvero la testimonianza di Mario Frigerio, venuto a mancare
12 Brain Mar 2024
ATTUALITÀ
ATTUALITÀ
nel 2014, ma anche la confessione poi ritrattata dei due imputati e una macchia di sangue di Valeria Cherubini ritrovata sull’auto di Olindo.
Tre pilastri dell’accusa che oggi si ritrovano al centro della richiesta di revisione del processo portata avanti dal sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, cui si sono aggiunte anche le difese dei due condannati. Secondo quanto appuntato da Tarfusser nel suo fascicolo «Mario Frigerio fu indotto dalle domande dell’allora luogotenente dei carabinieri Gallorini a costruire il falso ricordo di Olindo. In un primo momento, dal letto di ospedale, aveva indicato nel suo assalitore una persona sconosciuta, di carnagione olivastra». Si tratta di una tesi sostenuta per la prima volta proprio da Antonino Monteleone, che oggi attacca: «Rosa e Olindo confessarono sotto pressione
e furono vittime di una vera e propria circonvenzione. Sono due persone, e questo qualcuno lo ha volutamente ignorato, che vivevano un’esistenza modesta fatta di semplicità e di un legame simbiotico, sul quale si è fatto brutalmente leva per ottenere una confessione, ancorché strampalata. Avere spezzato quel legame, prima ancora che il carcere, ha devastato le loro vite forse in modo irrimediabile». Al centro della revisione anche la traccia ematica di una delle vittime trovata sul battitacco dell’utilitaria di Olindo Romano. Secondo l’accusa si tratta di una prova dirimente, mentre la difesa prosegue a indicarla come inattendibile e frutto di contaminazione delle prove.
«Negli ultimi dieci anni, la difesa ha messo in fila un ampio compendio di elementi di prova che, come prevede la legge, sono idonei a scardinare la
Tredici anni fa, dopo un difficile processo, la coppia Bazzi-Romano, che abitava nel medesimo complesso di palazzine, venne condannata all’ergastolo. Da allora si sono moltiplicati i dubbi e le zone chiaroscurali, diffuse con crescente interesse dai media.
13 Brain Mar 2024
Rosa Bazzi e Olindo Romano.
ATTUALITÀ
Antonino Monteleone, conduttore de Le Iene che ha dedicato gli ultimi anni della sua carriera a questa vicenda, protagonista anche del libro, firmato con Francesco Priano, “Erba” (Piemme, pp. 240).
sentenza definitiva», sottolinea Monteleone. Per Fabio Schembri, che con il collega Nico D’Ascola difende Olindo Romano - la difesa di Rosa Bazzi è affidata invece a Luisa Bordeaux e Patrizia Morello - siamo di fronte a una svolta epocale: «Si tratta di una grande soddisfazione aver riaperto i giochi. La nostra vera soddisfazione, però, è se arriverà un proscioglimento, chiesto sulla scorta delle prove nuove». Gli avvocati della difesa puntano su nuovi testimoni come Abdi Kais che, mai sentito all’epoca dei fatti, abitava nella casa della strage ed era legato ad Azouz Marzouk; negli anni l’uomo ha riferito più volte di una faida con un gruppo rivale, nella quale fu ferito lui stesso, e ha sempre sostenuto che la casa della strage «era la base dello spaccio che veniva effettuato nella vicina piazza del mercato e il posto dove erano depositati gli incassi». Altro testimone citato dalla difesa è un ex carabiniere che riferisce delle indagini e delle parti mancanti «del 50% dei momenti topici delle intercettazioni».
Da notare come l’operato di Tarfusser abbia prodotto non poco scalpore fra i magistrati lombardi, nonché un processo disciplinare ai suoi danni con l’accusa di aver mancato ai “doveri di imparzialità e correttezza” per aver depositato di propria iniziativa la richiesta, “in palese violazione del documento organizzativo dell’ufficio”. Per comprendere la questione e la sua radice tecnica è necessario sapere che la procedura messa in atto dal magistrato è facoltà assegnata soltanto al pg presso la Corte d’Appello o al suo vice, l’avvocato generale. Tarfusser ha sempre ribadito come «le prove che hanno portato alla condanna all’ergastolo di Olindo Romano e Rosa Bazzi sono inconsistenti e non provano la loro colpevolezza. Non parlo di innocenza, che non è una categoria giuridica, ma di colpevolezza o non colpevolezza. Mi ritengo un operaio del diritto e cerco di analizzare le
carte: le prove alla base delle sentenze, tecnicamente, non giustificano la condanna dei due imputati».
Non dimenticando la condanna della Cassazione, è importante sottolineare come un ruolo centrale nel caso sia stato svolto da giornali e televisioni, che hanno dedicato alla strage migliaia di pagine e ore di trasmissione. «Il processo mediatico celebratosi prima e durante questo processo ha avuto un impatto a mio avviso determinante», aggiunge Monteleone. «Sono entrate nell’immaginario collettivo tante e tali inesattezze che ciascuna delle irregolarità, processuali e sostanziali, rilevate dalla difesa sono state completamente eclissate. Ci sono voluti 15 anni perché l’opinione pubblica cominciasse ad avere un quadro completo di ciò che furono quelle indagini e quel processo». Una presenza - quella di giornali e televisioni - che ha inevitabilmente spaccato in due il nostro Paese. «Ad oggi rimane l’incredulità per una strage senza precedenti. Per quanto io sia fortemente critico nei confronti della revisione, di certo ci troviamo davanti a uno dei grandi delitti mediatici che hanno appassionato e diviso l’opinione pubblica, usciti dal canone della cronaca nera per diventare un caso nazionale», commenta Marco Imarisio, autore di “Tenebre Italiane” (Solferino, pp.200) in cui ricostruisce i più celebri casi che ha seguito come inviato del Corriere della Sera. «Arrivai a Erba la notte del delitto», ricorda ancora Imarisio. «Quella sera non si capiva bene cosa fosse successo. Si vedevano le fiamme, ma non si aveva contezza dell’accaduto. Ci vollero dei giorni per capire l’entità della strage e per le prime ipotesi, che si rivelarono del tutto infondate. A cominciare da quella, diffusa massicciamente, che vedeva come autore il marito di Raffaella Castagna, Azouz Marzouk, che all’epoca si trovava in Tunisia dai genitori». Da allora sono trascorsi diciassette anni. E forse,
14 Brain Mar 2024
speriamo finalmente, siamo prossimi a leggere il capitolo definitivo di questo ingarbugliato, dolorosissimo dramma.
Di certo l’attenzione mediatica sul tema è spasmodica, e già il primo marzo - quando era attesa la prima data del processo - decine e decine di persone si sono ritrovate in fila, sotto la pioggia, per cercare di partecipare all’udienza, cui le telecamere non sono state ammesse. In aula il pg di Brescia Guido Rispoli ha parlato di “una cascata di prove” a carico di Olindo Romano e Rosa Bazzi: “Una cascata di prove che credo sia impossibile con questo processo
ATTUALITÀ
di revisione ribaltare” e che vanno ad allinearsi con il fatto che un regolamento della criminalità organizzata sia “assolutamente inverosimile”. Di certo Giuseppe Castagna, parente di tre delle vittime della strage di Erba, contattato stamani al telefono ha criticato le parole di Azouz Marzouk, marito di sorella Raffaella Castagna e padre del piccolo Youssef a sua volta morto nella strage, ha spiegato di aver intrapreso “lotta per tutti”. Parole che per la famiglia Castagna sono ritenute “offensive per le vittime ma anche per noi che in questi anni abbiamo difeso la verità”.
Forse, speriamo finalmente, siamo prossimi a leggere il capitolo definitivo di questo ingarbugliato, dolorosissimo dramma.
La storia di Rosa che per Alessandra Carati diventa Rosy
Negli anni sono numerosi i libri che hanno raccontato la strage di Erba. Fra questi il più recente è forse quello che racconta la strage dal punto di vista di Lei. Quando lei è ovviamente Rosa Bazzi, condannata all’ergastolo per i fatti di Erba dell’11 dicembre 2006. Rosa Bazzi che da febbraio esce dal carcere di Bollate per lavorare in una cooperativa esterna ogni giorno, e che è molto più della moglie di Olindo. A raccontare la sua storia - ma anche l’inevitabile il corpo a corpo che fra di lei e l’autrice si è venuto a creare - è Alessandra Carati, scrittrice già finalista al Premio Strega con “E poi saremo salvi” (Mondadori, 2022), che arriva in libreria con “Rosy” (Mondadori, pp. 200), libro a metà fra il romanzo e il reportage in cui ricostruisce i numerosi incontri avuti con la donna e prova a creare un ritratto della sua personalità. «Avevo saputo che Rosa Bazzi avrebbe rilasciato un’intervista - mi spiega l’autrice Cariati -, e così ho chiesto di partecipare come uditrice. Era il febbraio 2019, e non sapevo che quella decisione di impulso avrebbe in realtà condizionato molto dei miei successivi anni. Quel giorno Rosa mi si avvicinò e mi chiese di scrivere un libro su di lei. Pensavo che non sarebbe mai successo, e invece dall’estate del 2019 fino al febbraio 2020 l’ho incontrata in carcere quasi tutte le settimane. È stata una conoscenza di prima mano, anche molto faticosa. Mi ci sono voluti mesi per tentare di entrare dentro il suo mondo e decifrare il suo universo emotivo. Con lei non vale nessun tipo di modello relazionale normalmente utilizzato. Rosa scardina tutte le abitudini ed è come se, emotivamente, a un certo punto avesse contattato degli aspetti in me, delle paure, che nemmeno pensavo di possedere. Mi ha messo di fronte a un femminile di cui ho sempre avuto il terrore. Un femminile in balia degli altri, privo di risorse economiche, cognitive e culturali per affrontare la vita. Per affrontare la realtà che lei vive sempre in modo subordinato, attraverso la dipendenza che sviluppa con persone che le sono necessarie per andare avanti. Questo mi ha angosciato e addolorato tantissimo». Animando la scrittura, e questo libro denso di suggestioni che tratteggia in modo inedito il dramma. E una delle sue - indiscusse, per alcune innocenti - protagoniste. (F. P.)
15 Brain Mar 2024
ALLA SCOPERTA DELLA DISLESSIA
Intervista al prof. Giacomo Stella: “La scuola deve cambiare”
di Redazione
16 Brain Mar 2024
Digitare sui motori di ricerca ADHD o dislessia è come tuffarsi in un oceano dalle migliaia di risultati di ricerca e fare chiarezza su quelle che sono definibili come neurodiversità è compito degli specialisti del settore. Ne è convinto il professore Giacomo Stella, già ordinario di Psicologia Clinica al dipartimento di Educazione e Scienze Umane presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, fondatore dell’Associazione Italiana Dislessia e Ideatore e responsabile scientifico di SOS Dislessia. “La dislessia è un disturbo di apprendimento che ha una definizione molto precisa. Riguarda la difficoltà di un soggetto di decodificare il linguaggio scritto, cioè in sostanza, di leggere ad alta voce il testo scritto” ha spiegato a Brain il professore per fare immediatamente chiarezza su quella che è la definizione.
La comprensione del testo può essere correlata ma non necessariamente in quanto “un soggetto che ha delle difficoltà di decodifica può anche mostrare delle difficoltà di comprensione del testo ma non sempre la definizione di dislessia è la difficoltà di decodificare il testo scritto”. Per chiarire ancor meglio Stella ha spiegato come la dislessia si presenti in modo inatteso perché può essere interpretata come una discrepanza. “Se prendiamo un individuo che ha un ritardo mentale è plausibile che legga anche male, ma un soggetto normodotato dal punto di vista intellettivo invece è plausibile che legga normalmente, come fa il 90% delle persone. Il dislessico invece, pur essendo intelligente, ha delle difficoltà a decodificare perché una parte del suo cervello non funziona come dovrebbe”. Come detto, la dislessia, così come gli altri disturbi dell’apprendimento, è una neurodiversità perché “non deriva da una lesione cerebrale ma da una di-
17 Brain Mar 2024
L’INTERVISTA
“La dislessia è un disturbo di apprendimento che ha una definizione molto precisa. Riguarda la difficoltà di un soggetto di decodificare il linguaggio scritto, cioè in sostanza, di leggere ad alta voce il testo scritto”
versa organizzazione del sistema nervoso, di alcune aree della corteccia del cervello. Così come noi siamo diversi dal punto di vista somatico, siamo diversi anche nella corteccia che è fatta da 100 miliardi di neuroni”.
Cosa accade nello specifico? Diverse aree, in seguito all’influenza di alcuni geni hanno una concentrazione di neuroni e di connessioni diverse, per cui “viene chiamata neurodiversità ed è il risultato di uno sviluppo neurologico atipico” ha chiarito l’esperto. La grande confusione, dovuta probabilmente ancora ad una scarsa corretta informazione sull’argomento, porta a credere che si tratti di patologie, ma una patologia in ambito medico è per definizione una malattia in atto, uno stato patologico, una condizione di sofferenza dell’organismo e la dislessia non è nulla di tutto questo. “Non si guarisce, il termine guarire è improprio perché si riferisce solo alle malattie e la dislessia non lo è: è una condizione, una differenza e una neurodiversità, quindi per forza di cose tende a persistere nel tempo” ha aggiunto il professor Stella. Essere neuro diversi non vuol dire non raggiungere delle capacità di lettura sufficienti, ma, ha voluto sottolineare il professore “non si raggiungono mai delle capacità di lettura comparabili con quelle dei soggetti che non sono neurodiversi”. La diagnosi di questa condizione non è una procedura difficile ma lunga: “Il dislessico è una persona intelligente, bisogna lavorare su quoziente intellettivo, valutare le sue competenze linguistiche, valutare le sue competenze di memoria e di attenzione. E infine bisogna stimare le sue capacità di lettura nei diversi tipi di stimolo, cioè parole isolate, parole nuove e testo. Detto questo, quindi, esiste un protocollo definito dall’Istituto Superiore di Sanità che deve essere applicato per fare una diagnosi
corretta di dislessia” ha detto ancora a Brain l’esperto.
Specialmente in ambito scolastico un tema enormemente dibattuto è quello delle certificazioni in seguito a diagnosi. Il Ministero dell’istruzione e del merito a gennaio dello scorso anno ha pubblicato un report sugli studenti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento in Italia, aggiornato agli anni scolastici 2019/2020 e 2020/2021 da cui è emerso che nella scuola primaria ci sono 53.653
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alunni con DSA nell’a.s.2019/2020 e 48.022 nell’a.s.2020/2021; nella scuola secondaria di I grado, 106.492 alunni con DSA nell’a.s.2019/2020 e 107.389 nell’a.s.2020/2021; nella scuola secondaria di II grado, 158.533 alunni con DSA nell’a.s.2019/2020 e 171.137 nell’a.s.2020/2021. “Come mai ci sono così tante diagnosi? Da un lato sono aumentate le capacità diagnostiche. In passato se un genitore portava il figlio dal pediatra quest’ultimo non sapeva neanche fos-
se la dislessia o il Disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Diceva no, non si preoccupi, passerà oppure deve impegnarsi di più, non è motivato. Oggi invece, prima di esprimere un giudizio di questo tipo, si dice facciamo una valutazione. Dall’altro lato – ha aggiunto Stella – c’è un predominio della comunicazione multimediale, video, per cui c’è una riduzione nell’esercizio della lettura e questo provoca in chi ha qualche piccolo problema delle difficoltà che in passato non si vedevano”. Questi fattori esterni possono essere chiamati “ambientali”.
Altro importante punto è quello relativo all’inclusione soprattutto perché, come spiegato dal professore, la dislessia è un qualcosa che non scompare nel tempo. Il ragazzino che presenta questa condizione sarà un adulto con questa condizione. “Vedo spesso in questo periodo ragazzi di 16 o 17 anni che hanno la capacità di lettura di un bambino di quarta o quinta della primaria. Che cosa si può fare? Usare gli strumenti multimediali. Oggi ce ne sono a disposizione moltissimi come il lettore ad alta voce dei testi che aiuta il ragazzo non a sostituire la lettura, ma per lo meno a farsi un’idea di quello che deve studiare in modo che dopo diventi più facile anche affrontare il testo scritto” ha spiegato lo specialista. “Oggi per includere bisogna accettare diversi modi di apprendere ma la scuola è ancora molto rigida come se avesse un solo un modo di apprendere che è quello dei non dislessici, dei normo lettori, del lettore tipico. Quindi si tratta proprio di cambiare la mentalità degli insegnanti” ha detto Stella appellandosi proprio al personale delle scuole italiane. “L’insegnante – ha concluso - deve guardare al risultato e cioè hai studiato sì o no? Non deve interessare in che modo”.
“Non si guarisce, il termine guarire è improprio perché si riferisce solo alle malattie e la dislessia non lo è: è una condizione, una differenza e una neurodiversità, quindi per forza di cose tende a persistere nel tempo”
19 Brain Mar 2024 L’INTERVISTA
DIZIONARIO AGGIORNATO: LE SFIDE DELL’IA NELL’ERA CHE STIAMO VIVENDO
“Potrebbe essere sinteticamente descritto come un modo diverso di porsi in relazione con il mondo sociale
di Martina Gaudino
È
impossibile, per una mente umana, analizzare e possedere tutta la letteratura presente oggi nel campo dell’autismo. Ne è convinto Filippo Muratori, professore di Neuropsichiatria infantile presso l’Università di Pisa e direttore dell’Unità Operativa di Psichiatria dello Sviluppo del Dipartimento di Neuroscienze dell’età evolutiva dell’IRCCS Stella Maris.
“Tutta questa letteratura moderna, così complessa, riguarda la ricerca di indici diagnostici biologici nel campo dell’autismo e qui ancora non abbiamo raggiunto un qualcosa di solido per cui la diagnosi continua a essere quella clinica, basata sulla osservazione di queste persone da parte degli specialisti”.
L’autismo è classificabile come
una neurodivergenza che nel caso di un disturbo può presentare compromessa interazione sociale, inclusa la comunicazione verbale e non verbale, la ristrettezza d’interessi e come noto comportamenti ripetitivi.
“Le caratteristiche - ha spiegato a Brain il docente - sono abbastanza condivise, il tutto potrebbe essere sinteticamente descritto come un modo diverso di porsi in relazione con il mondo sociale e anche con il mondo non sociale”. Basti pensare che se è innato l’atteggiamento del neonato di guardare negli occhi la madre appena messo al mondo, perché naturalmente predisposto per quello, il bambino con autismo è già mancante di quella predisposizione base. È alla luce di caratteristiche come queste che la diagnosi non è particolarmente complicata: “Se si guarda a questa
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L’INTERVISTA
diversità di reciprocità sociale di uso dei gesti comunicativi è oggi semplice poter diagnosticare” ha detto lo specialista. Bisogna però considerare che l’autismo è spesso associato ad altri problemi e questi altri problemi prendono spesso il sopravvento e questo può far cadere in errore: “Con la comparsa di altri problemi si rischia di dimenticare la diagnosi di autismo, si dimentica che quella persona ha una condizione autistica e si prende in esame solamente quel problema comportamentale senza guardare alla struttura di base. Si può così anche facilmente cadere in uno sbaglio”.
Il “problema” della socialità si presenta in maniera più evidente nel momento in cui si arriva a scuola, quando ci si deve relazionare con gli insegnanti, con i compagni di classe che possono essere bambini molto
piccoli o adolescenti. “Come posso accogliere, comprendere e capire la diversità del mio compagno? Questo dovrebbero chiedersi i ragazzi a scuola quando si ritrovano con un amico che sceglie di comunicare a gesti, di avere dei comportamenti ripetitivi, di arrabbiarsi di fronte a cose che per noi possono essere un po’ incomprensibili, di voler parlare continuamente delle stesse cose.
Per un adolescente è molto difficile capire come comportarsi perché gli adolescenti sono auto-centrati, ma l’empatia può essere una risorsa preziosa. Quello che dovrebbe caratterizzare l’adolescente o la persona in generale è quella di diventare curioso rispetto a ciò che viene fatto dall’altro, piuttosto che cercare di inibire, di fare di tutto per portare il funzionamento dell’altro al nostro funzio-
L’autismo è classificabile come una neurodivergenza che nel caso di un disturbo può presentare compromessa interazione sociale, inclusa la comunicazione verbale e non verbale, la ristrettezza d’interessi e come noto comportamenti ripetitivi.
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L’INTERVISTA
Il “problema” della socialità si presenta in maniera più evidente nel momento in cui si arriva a scuola, quando ci si deve relazionare con gli insegnanti, con i compagni di classe che possono essere bambini molto piccoli o adolescenti.
namento” ha spiegato ancora il neuropsichiatra Muratori.
L’autismo, che lo specialista definisce come condizione, è un tema largamente dibattuto in ambito scolastico. “Stanno effettivamente aumentando le diagnosi, credo ci sia qualcosa che porta ad un aumento della prevalenza di autismo e anche se la discussione è tuttora aperta non è vero che gli psichiatri lo diagnosticano di più” ha spiegato Muratori che ha poi posto l’accento su quello che potremmo definire un merito per il nostro Paese. “In tema di inclusione la grande rivoluzione è proprio italiana, non dimentichiamo che di inclusione se ne parla molto oggi nei paesi stranieri ma noi abbiamo cominciato a parlarne negli anni ‘70 quando uscì il decreto che chiudeva le classi speciali e le classi differenziali”.
Nel 1975, infatti, una commissione parlamentare guidata dalla sena-
trice democristiana Franca Falcucci pubblicò una relazione che affermava una serie di principi come, ad esempio, la scuola deve “rapportare l’azione educativa alle potenzialità individuali di ogni allievo”, “la struttura più appropriata per far superare la condizione di emarginazione in cui altrimenti sarebbero condannati i bambini” con abilità diverse. Tutti questi principi enunciati dalla commissione Falcucci durante il governo Andreotti III, furono alla base della legge 517 del 4 agosto 1977 che abolì le classi differenziali individuando forme più particolareggiate di integrazione. Lo stesso lavoro fu alla base della legge 104 del 5 febbraio 1992 che pone al centro l’integrazione e la creazione di un progetto di vita per il disabile che ne privilegi l’autonomia. Le classi differenziali non erano presenti solo in Italia, si svilupparono anche in altri paesi in tutta Europa: esistevano classes pour arriérés in Francia, clases de niños retardados in Spagna, Hilfclassen in Germania e special classes nel Regno Unito.
Muratori ha voluto sottolineare come l’Italia abbia “una lunghissima storia in questo campo ed è una battaglia assolutamente vincente che tutti i Paesi in qualche modo ci invidiano anche se non siamo ancora arrivati a renderla effettivamente operativa”. Il professore ha chiarito come a volte l’integrazione sia solo “meccanica e non concreta. Se vogliamo guardare al futuro, in questa situazione, bisogna pensare non solo all’inclusione perché inclusione vuol dire portare il diverso nel nostro mondo ma non c’è bisogno solo di questo. Il salto nel futuro ci sarà quando il nostro mondo riuscirà ad adattarsi a quello che è il loro, alla loro condizione. E quando dico condizione parlo proprio di un cervello organizzato precocemente in maniera diversa rispetto al nostro”.
22 Brain Mar 2024
L’INTERVISTA
COME L’ARTE FA SUPERARE
LA FRUSTRAZIONE DELL’IMMOBILISMO
Marco Leoni: “Ad oggi poter lavorare per lo più disegnando ed avere una vita serena è quanto di più bello si possa desiderare”
di Chiara Andreotti
Alcune culture e creature si possono scoprire davvero solo dopo averle conosciute o toccate con mano. Ci sono poi persone con un talento speciale, in grado di trasportare lo spettatore in mondi lontani e sconosciuti con poche pennellate. Una di queste persone è Marco Leoni, che con tratti delicati e colori tenui e caldi plasma atmosfere uniche e sognanti.
“La passione per l’illustrazione è arrivata nell’adolescenza con la scuola, per le storie invece credo sia nata prima, nell’infanzia, volevo vivere e creare storie, principalmente di finzione” racconta Marco a BRAIN. “Ho avuto un nonno che non ho conosciuto, era un tipografo e mio padre si è sempre occupato di antiquariato, forse anche questi fattori hanno contribuito”
Come nasce il tuo processo creativo?
È una domanda complessa perché
c’è un aspetto tecnico che ha a che fare con un percorso di studi, conoscenza dei materiali e delle tecniche, conoscenza dei software eccetera.
Poi c’è un insieme di tematiche ricorrenti che mi sono care: il mare, il viaggio, l’esotico e l’antico.
Solitamente c’è un momento principale che è creativo e quello dove disegno in formato piccolissimo l’illustrazione o la serie di illustrazioni che dovrò realizzare, sono degli scarabocchi incomprensibili.
Ti ritrovi mai ad avere un’idea che non riesci a realizzare come vorresti? Come reagisci?
Si ci sono dei momenti di frustrazione che mi portano ad immobilizzarmi, un tempo però ce ne erano di più e l’ansia mi portava ad evitare di affrontarli. Adesso cerco di accoglierli un po’ di più e provo comunque a portare a termine il lavoro o almeno provo a continuarlo più a lungo possibile anche se spesso so che sarà scar-
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tato da me per primo.
Qual è il tuo rapporto con i social?
Ambivalente, so che dovrei dedicarci più tempo per ampliare il mio bacino lavorativo, allo stesso tempo non voglio dedicarmici eccessivamente ma preferisco mantenere attivi altri aspetti lavorativi come le relazioni dal vivo.
Credi che i social per come sono oggi impattino molto su come percepiamo il nostro benessere psicofisico?
Si decisamente. Dirò una banalità però è un problema che la validazione passi attraverso i “mi piace” che riceviamo, tuttavia ci sono strade che ci aiutano ad evitare confronti e ad essere soddisfatti di se stessi prima di tutto.
Cosa pensi sia necessario fare per tutelarsi e ristabilire il nostro equilibrio?
Penso sia differente per ognuno di noi, sicuramente la psicoterapia per me è stata molto importante.
Rappresenti la malattia mentale come piovra che avvolge il viso e le braccia, costringendo a camminare senza una meta: ti sei mai sentito immobilizzato?
Nelle prime fasi della mia depressione, camminavo tantissimo ricordo, 20-30 chilometri al giorno anche. I piedi cercavano una meta che non c’era, una direzione. A posteriori forse, camminare in quel momento era l’unica cosa che mi dava del significato. Ero dimagrito molto e mi sentivo in un abisso, i suoni intorno erano spesso ovattati, come fossi appunto, nell’acqua. Questa illustrazione vorrebbe essere un po’ la metafora di questo. Ci sono stati poi dei momenti dove sono stato molto immobile, dove l’ansia ed i suoi molti tentacoli mi impedivano di prendere una decisione o anche solo di alzarmi dal letto.
Cosa credi sia necessario per rendere la nostra società inclusiva ri-
“Solitamente c’è un momento principale che è creativo e quello dove disegno in formato piccolissimo l’illustrazione o la serie di illustrazioni che dovrò realizzare, sono degli scarabocchi incomprensibili”.
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Marco Leoni.
“Nelle prime fasi della mia depressione, camminavo tantissimo ricordo, 20-30 chilometri al giorno anche.
I piedi cercavano una meta che non c’era, una direzione. A posteriori forse, camminare in quel momento era l’unica cosa che mi dava del significato”.
spetto il tema della salute mentale? Quali sono secondo te i traguardi a cui dobbiamo mirare?
È una questione importante e non sono sicuro di avere le competenze per poterne parlare, sicuramente rendere più sostenibili i percorsi terapeutici mi sembrerebbe essere un buon passo, io sono stato fortunato a poterlo fare ma non sempre c’è la possibilità economica.
In che modo in generale tuteli la tua salute mentale?
Con la terapia, coltivando amicizie che abbiano significato, con la gentilezza credo e con un buon numero di attività ludiche eterogenee.
Come si riflette il tuo stato psicologico sul tuo lavoro?
Purtroppo si rispecchia molto, a volte può essere positivo avere una carica di energia emotiva da impiegare in un lavoro “creativo”, la controparte è non avere la stessa carica per affrontare tutti i lavori, in questo senso credo che bisogna mantenere un po’ di disciplina per ottenere un livello medio che possa andare bene,
immagino che come in tutte le cose serva un buon equilibrio.
Quali sono i tuoi progetti futuri e cosa auguri a te e alla nostra società?
Ad oggi poter lavorare per lo più disegnando ed avere una vita serena è quanto di più bello si possa desiderare, spero che un giorno molte più persone possano ricorrere ad un terapeuta e che lo stigma sul cercare aiuto sia minore.
Le parole di Marco ci ricordano il valore della salute mentale non come un’entità isolata, ma come parte integrante del tessuto della nostra società.
Promuovere una maggiore inclusività nel dialogo sulla salute mentale diventa quindi un contributo essenziale per il benessere dell’intera comunità, ed è proprio quello che la Fondazione BRF Onlus sta cercando di raggiungere con la campagna #Parliamone: ogni illustrazione donata come quella di Marco diventa una t-shirt da indossare con orgoglio per ricordarci l’importanza di costruire un mondo in cui ognuno si senta visto, ascoltato e accettato.
26 Brain Mar 2024
Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale
Visita la pagina
#Parliamone sul sito
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“EMOTION”, L’ARTE CONTEMPORANEA RACCONTA LE EMOZIONI
Il desiderio degli organizzatori: che il pubblico del Chiostro del Bramante prenda tempo per emozionarsi
di Chiara Andreotti
Cos’è che ispira un artista? Quali sono le emozioni che lo attraversano nel momento della creazione? E cosa arriva allo spettatore di quelle emozioni?
È quello che tenta di fare la mostra “Emotion”, visitabile al Chiostro del Bramante a Roma fino al 1° aprile 2024
Un vero e proprio viaggio all’interno della mente e delle emozioni, che prova a coinvolgere lo spettatore, con una particolare attenzione ai più piccoli che si vedono dedicate aree e descrizioni ad hoc, con un linguaggio coinvolgente e semplificato.
Già dal cortile interno accolti dalle alte figure sospese di Luigi Mainolfi e nelle prime sale dalle opere dedicate alla natura che ci circonda: aurora boreale e sottobosco
ci trasportano in una realtà alternativa, dove abbandonare la confusione del mondo esterno.
Da qui in poi le emozioni raggiungono lo spettatore, chiedendogli con forza di scavare dentro di sé.
La paura chiede di scegliere tra cinque diverse porte chiuse, ciascuna delle quali nasconde qualcosa di unico, permettendo allo spettatore di selezionare solo un percorso: una volta scelto non sarà possibile conoscere gli altri.
Ed ecco che l’incertezza di ciò che ci attente e di quello che possiamo perderci fa sorgere l’inquietudine e il timore.
L’ansia diventa un bosco intricato, fatto di cartone e colla, che diventa sempre più complesso e senza fine man mano che lo spettatore si avvicina, perdendosi nell’opera di
28 Brain Mar 2024
MOSTRA
Ancora la gioia sembra una grotta di cristalli a grandezza umana, con immagini di fiori e luci colorate proiettate su di essi nati dalla mente di Kimsooja.
Infine, quasi a chiusura del percorso, una sala ad opera di Annette Messager piena di peluche colorati a forma organi e parti di corpo che pendono dal soffitto ed evocano un groviglio di emozioni che ogni spettatore vivrà in maniera diversa.
Tante sale con installazioni uniche che invitano i visitatori a interagire con l’ambiente e con le proprie emozioni. Così racconta la mostra Natalia De Marco (direzione DART-Chiostro del Bramante):
“Con EMOTION esprimiamo un desiderio: che il pubblico del Chiostro del Bramante prenda tempo per emozionarsi. In un momento come quello che viviamo dove tutto va veloce, dove ogni cosa è consumata con rapidità, questa mostra dedicata ai sentimenti ci piacerebbe fosse un’opportunità per stupirsi e commuoversi, per gioire ma anche un poco per imbarazzarsi, per sentirsi orgogliosi, per provare paura ma anche tranquillità, per essere nostalgici ma anche psichedelici e tornare poi alla felicità e alla pace. Un viaggio grazie all’arte e agli artisti, per entrare in contatto con le tante emozioni che ci permettono di sentire, di capire, di essere.”
Un vero e proprio viaggio all’interno della mente e delle emozioni, che prova a coinvolgere lo spettatore, con una particolare attenzione ai più piccoli che si vedono dedicate aree e descrizioni ad hoc, con un linguaggio coinvolgente e semplificato.
29 Brain Mar 2024
Eva Jospin.
MOSTRA
ORGANOIDI CEREBRALI UNA FINESTRA SUL NEURO-SVILUPPO
Focus sulle interazioni con la psichiatria e le patologie neuro-degenerative
di Alberto Carrara*
*Preside della Facoltà di Filosofia, Direttore del Gruppo di Neurobioetica (GdN) dell’Ateneo Pontificio
Regina Apostolorum, Docente di Antropologia e Neuroetica presso la Facoltà di Psicolofia dell’Università Europea di Roma, Membro della Pontificia Accademia per la Vita, Fellow dell’UNESCO Chair in Bioethics and Human Rights e Presidente dell’Istituto Internazionale di Neurobioetica
Gli organoidi cellulari rappresentano una delle più entusiasmanti innovazioni nel campo della biologia e della medicina rigenerativa: una vera e propria nuova biotecnologia. Queste strutture tridimensionali, coltivate in laboratorio, imitano l’architettura e la funzionalità degli organi reali in modo sorprendentemente dettagliato, offrendo nuove prospettive per lo studio delle malattie, lo sviluppo di farmaci e la medicina personalizzata.
Ma in cosa consiste un organoide?
Un organoide è un modello tridimensionale coltivato in laboratorio che riproduce alcuni aspetti dello sviluppo, della struttura e funzione di un organo vero e proprio. Questi modelli sono derivati da cellule
staminali pluripotenti, progenitrici o differenziate, che hanno la capacità di differenziarsi in vari tipi cellulari e sono capaci di auto-organizzarsi attraverso interazioni cellula-cellula e cellula-matrice dando origine a strutture complesse che assomigliano agli organi da cui derivano. Un organoide, insomma, è una replica di organi e tessuti umani coltivati in vitro. Tre sono le principali tipologie di cellule staminali impiegate: (1) le cellule staminali pluripotenti indotte dette iPSCs; (2) le cellule staminali adulte, note anche come cellule staminali tissutali; (3) le cellule staminali embrionali o ESC che, rispetto alle prime due suscitano evidenti questioni di carattere etico. Attraverso l’impiego di specifici fattori di crescita, queste cellule ripercorrendo il processo di organogenesi
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CONTRIBUTO
differenziandosi in tipologie cellulari concrete: muscolari, cardiache, epatiche, cerebrali.
Il primo articolo indicizzato riguardante gli organoidi, menzionato nel contesto della ricerca su Nature Reviews Molecular Cell Biology, discute la generazione di organoidi a partire da cellule staminali isolate dal tratto gastrointestinale del topo (Sato et al. nel 2009 https://www. nature.com/articles/s41580-0200259-3). Questo studio ha segnato un punto di svolta nella ricerca sugli organoidi, fornendo un esempio pionieristico di come le cellule staminali possano essere utilizzate per costruire strutture organoidi che mimano la microfisiologia specifica degli organi.
Tra gli organoidi, quelli cerebrali costituiscono già una rivoluzione
nella neuroscienza, attirando una grande attenzione. Sono derivati da cellule staminali pluripotenti, sia embrionali che indotte (iPSC), che sotto condizioni di coltura appropriate, si organizzano in strutture che imitano le caratteristiche chiave del cervello umano. Questi “mini-cervelli” (anche se il termine è fuorviate e improprio) possono riprodurre aspetti dell’organizzazione cerebrale, compresa la formazione di diverse regioni cerebrali, offrendo modelli senza precedenti per studiare lo sviluppo del cervello umano, le interazioni farmacologiche e le malattie neurodegenerative.
Il primo articolo indicizzato riguardo agli organoidi cerebrali menzionato nella ricerca è quello di Lancaster et al., pubblicato su Nature nel 2013. Questo studio
Un organoide è un modello tridimensionale coltivato in laboratorio che riproduce alcuni aspetti dello sviluppo, della struttura e funzione di un organo vero e proprio.
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CONTRIBUTO
Il primo articolo indicizzato riguardante gli organoidi, menzionato nel contesto della ricerca su Nature Reviews
Molecular Cell Biology, discute la generazione di organoidi a partire da cellule staminali isolate dal tratto gastrointestinale del topo.
ha segnato una pietra miliare nello sviluppo degli organoidi cerebrali, dimostrando che è possibile modellare la complessità dello sviluppo del cervello umano attraverso organoidi derivati da cellule pluripotenti umane. Il principale studioso degli organoidi cerebrali spesso citato è in effetti Madeline Lancaster. Il suo lavoro presso l’Istituto di Biotecnologia Molecolare dell’Accademia delle Scienze austriaca ha portato alla creazione di uno dei primi modelli di organoidi cerebrali, che ha segnato una svolta nella ricerca sullo sviluppo del cervello umano e le malattie neurologiche.
Ma come si ottengono gli organoidi cerebrali?
La coltivazione di organoidi cerebrali inizia con la programmazione di cellule staminali in un ambiente tridimensionale che simula le condizioni dell’ambiente embrionale. Le cellule si auto-organizzano in strutture che imitano l’architettura del cervello, grazie all’aggiunta di fattori di crescita e alla modifica delle condizioni di coltura. Questo processo richiede tecniche avanzate di coltura cellulare e una comprensione approfondita della biologia dello sviluppo. Lo stesso procedimento può essere fatto con le iPSC senza problemi morali derivanti dalla produzione e distruzione di embrioni umani. Che applicazioni mediche hanno? Gli organoidi cerebrali offrono nuove possibilità per la ricerca medica, inclusa la modellazione di malattie neurologiche come l’Alzheimer, il Parkinson e l’autismo. Forniscono un sistema per testare l’efficacia e la sicurezza di nuovi farmaci in un contesto più vicino a quello umano rispetto ai modelli animali. Inoltre, possono contribuire alla medicina personalizzata, permettendo di testare le risposte di un paziente a trattamenti specifici su
organoidi derivati dalle sue cellule.
Nello specifico quali questioni etiche possono suscitare? L’uso di organoidi cerebrali solleva questioni neuroetiche significative, in particolare riguardo alla loro potenziale capacità di sviluppare forme di coscienza o sensibilità. La comunità scientifica è attenta a definire chiare linee guida etiche per la ricerca su questi modelli, assicurando che vengano trattati con la dovuta considerazione per il loro potenziale e i limiti etici della ricerca.
Inoltre, queste strutture cellulari umane sollevano questioni etiche riguardanti il potenziale per lo sviluppo di una forma di coscienza o percezione del dolore, la gestione del consenso informato nel loro uso per la ricerca, e le implicazioni del loro impiego in studi su malattie e trattamenti. La discussione si concentra sulla necessità di linee guida etiche chiare per regolare la ricerca, assicurando il rispetto della dignità e dei diritti delle persone da cui derivano le cellule. Un articolo recente su PubMed (Brain organoids, consciousness, ethics and moral status, https://pubmed.ncbi.nlm.nih. gov/35339359/) esplora queste preoccupazioni, focalizzandosi sulle implicazioni morali ed etiche legate alla possibilità che gli organoidi cerebrali possano diventare coscienti. La ricerca sugli organoidi cerebrali può offrire un’opportunità per comprendere scientificamente alcune basi neurali della coscienza (i cosiddetti correlati neurali della coscienza), ma solleva anche interrogativi profondi sulla moralità e lo status etico di tali entità biologiche.
Un’altra pubblicazione su Frontiers (Human brain organoid code of conduct, https://www. frontiersin.org/articles/10.3389/ fnins.2021.647675/full) sottolinea la
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CONTRIBUTO
mancanza di una revisione esaustiva nelle letterature che affrontano le preoccupazioni chiave etiche legate alla ricerca sugli organoidi cerebrali, proponendo soluzioni a questioni sia intrinseche che estrinseche. (1) Le considerazioni intrinseche includono temi teorici come la creazione etica e la sperimentazione su chimere uomo-animale e lo sviluppo di organoidi cerebrali coscienti che potrebbero provare dolore e sofferenza. (2) Le considerazioni estrinseche riguardano l’etica della raccolta dei materiali umani e la produzione e commercializzazione dei loro prodotti. La discussione mira a fornire un quadro per un codice di condotta etico nella ricerca sugli organoidi.
Diversi articoli evidenziano l’importanza di un dibattito continuo tra biologi sperimentali, filosofi e neuroeticisti per navigare le complesse questioni etiche sollevate dalla ricerca sugli organoidi cerebrali. Indirizzano la necessità di bilanciare il progresso scientifico con considerazioni etiche profonde per garantire che la ricerca proceda in modo responsabile e rispettoso della dignità umana.
Gli sviluppi futuri degli organoidi cerebrali potrebbero portare a progressi significativi in diversi campi della scienza e della medicina:
1. Modellazione di Malattie e Terapie Personalizzate: Gli organoidi cerebrali potranno essere utilizzati per modellare una vasta gamma di malattie neurologiche con maggiore precisione, permettendo lo sviluppo di terapie personalizzate basate sulle caratteristiche genetiche e cellulari individuali.
2. Ricerca Farmacologica e Test di Sicurezza: La capacità di testare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci direttamente su tessuti umani complessi potrebbe accelerare lo sviluppo di nuovi trattamenti e ridurre la
necessità di sperimentazione animale.
3. Rigenerazione e Riparazione del Tessuto Cerebrale: Gli organoidi cerebrali potrebbero un giorno essere utilizzati per generare tessuto cerebrale per trapianti, offrendo nuove speranze per il trattamento di lesioni cerebrali traumatiche e malattie neurodegenerative.
4. Studio dello Sviluppo Cerebrale Umano: Gli organoidi offrono una finestra unica sullo sviluppo del cervello umano, permettendo agli scienziati di studiare le fasi precoci dello sviluppo neuronale e di comprendere meglio le basi di disturbi dello sviluppo come l’autismo.
5. Integrazione con Tecnologie Avanzate: La combinazione di organoidi cerebrali con tecnologie avanzate come l’ingegneria dei tessuti, la microfluidica (organo-on-a-chip) e l’intelligenza artificiale potrebbe portare a modelli di cervello umano ancora più sofisticati e funzionali.
6. Questioni etiche e filosofiche: Man mano che gli organoidi cerebrali diventano più complessi, sorgono nuove questioni etiche e filosofiche riguardanti il loro status ontologico e morale, soprattutto se dovessero sviluppare caratteristiche associate alla coscienza o alla percezione.
7. Intelligenza Organoidale (IO): Esiste la possibilità teorica che gli organoidi cerebrali possano un giorno essere utilizzati per esplorare o addirittura creare nuove forme di intelligenza, ponendo questioni fondamentali su coscienza, intelligenza e la natura stessa della vita.
Questi sviluppi dipenderanno da progressi tecnologici, approfondimenti scientifici e dibattiti etici continui. La strada è ancora lunga, ma il potenziale degli organoidi cerebrali per trasformare la medicina e la scienza è immenso.
Tra gli organoidi, quelli cerebrali costituiscono già una rivoluzione nella neuroscienza, attirando una grande attenzione. Sono derivati da cellule staminali pluripotenti, sia embrionali che indotte (iPSC), che sotto condizioni di coltura appropriate, si organizzano in strutture che imitano le caratteristiche chiave del cervello umano.
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CONTRIBUTO
BRF NEL PROGETTO GLIDE-19 SULLE EMERGENZE SANITARIE EUROPEE
L’obiettivo del progetto è potenziare le competenze per prepararsi ad affrontare eventuali futuri scenari di emergenza
di Valentina Formica
La Fondazione BRF si impegna attivamente in diverse iniziative volte ad affrontare le sfide cruciali legate alla salute e al benessere mentale della società. Tra le sue molteplici attività, spiccano la ricerca di rilievo su temi come l’infezione da COVID-19, le dipendenze comportamentali e vari aspetti legati al benessere della popolazione, con particolare attenzione a quella giovanile. Inoltre, la Fondazione BRF si occupa della delicata tematica del suicidio, conducendo studi e promuovendo iniziative volte a comprendere l’entità del fenomeno e le sue cause, nonché ridurre lo stigma legato a questo tema ed in generale alla sfera della salute mentale.
Da circa due anni, dedichiamo particolare attenzione al progetto GLIDE-19, finanziato dalla Comunità Europea, incentrato sulle emergenze sanitarie e realizzato
in collaborazione con altri stati dell’Unione. L’obiettivo primario di questo progetto è potenziare le competenze degli operatori sanitari, preparandoli ad affrontare eventuali futuri scenari di emergenza sanitaria. Una componente fondamentale del progetto consiste nello sviluppo di una piattaforma di formazione online, basata sulle ultime evidenze scientifiche e sulle migliori pratiche europee, delineate per gestire situazioni di crisi.
Nella scorsa primavera, abbiamo condotto dei Focus Group coinvolgendo professionisti della salute, al fine di identificare le loro esigenze e individuare le migliori pratiche adottate durante la pandemia da Covid-19. Nel novembre 2023, tutti i partner si sono riuniti a Maastricht per discutere i risultati finora ottenuti, valutando i progressi sia qualitativamente che quantitativamente. Il progetto GLIDE-19 procede con
34 Brain Mar 2024
FONDAZIONE BRF
successo e, attualmente, siamo oltre la metà del percorso. Ci stiamo preparando per la fase di formazione che avrà luogo ad Heidelberg in aprile, ospitata dall’Università Ospedaliera di Heidelberg. In questa occasione, saranno presenti tutti i partner del progetto, tra cui Social IT srl, Fondazione BRF, Università di Maastricht e Fundación INTRAS, tutti attivamente coinvolti nello sviluppo del corso di ap -
prendimento GLIDE-19. Durante la formazione verranno presentati moduli esemplificativi del corso e si terranno sessioni interattive in merito alle strategie di comunicazione. Esploreremo temi quali la comunicazione all’interno di un team, la gestione dei conflitti e la comunicazione del rischio, competenze fondamentali per gestire le complessità dell’assistenza sanitaria, soprattutto durante le situazioni di crisi.
Una componente del progetto consiste nello sviluppo di una piattaforma di formazione online, basata sulle ultime evidenze scientifiche e sulle migliori pratiche europee, delineate per gestire situazioni di crisi.
35 Brain Mar 2024
FONDAZIONE BRF
LA TRASFORMAZIONE SILENZIOSA: IL FUTURO DELLE FAMIGLIE
Uno studio prevede un cambiamento epocale nel modo in cui strutturiamo le nostre relazioni familiari nei prossimi decenni
di Giovanni Pianesi
Nel tessuto intricato della società umana, la famiglia ha da sempre rivestito un ruolo fondamentale. Tuttavia, uno studio recente prevede un cambiamento epocale nel modo in cui strutturiamo le nostre relazioni familiari nei prossimi decenni. Pubblicato alla fine del 2023 sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, il documento offre uno sguardo approfondito sul futuro delle famiglie, basandosi su modelli matematici e dati demografici mondiali. Secondo lo studio, entro il 2100 il numero di parenti per individuo diminuirà significativamente del 38%. Una tendenza principalmente guidata dalla riduzione dei consanguinei più giovani, come cugini e nipoti, e da un aumento notevole dei bisnonni e dei nonni. Questo fenomeno, in corso già da decenni,
avrà impatti profondi su scala globale.
Partendo dai numeri, si prevede che l’età media dei nonni continuerà a salire. In Italia, ad esempio, se nel 1950 l’età media della nonna di una donna di 35 anni era di 77,9 anni, nel 2095 sarà di 87,7 anni. Un’inversione di tendenza che si rifletterà in una diminuzione generale del numero di parenti viventi. Nel 1950, una 65enne aveva in media 41 parenti, mentre entro la fine del secolo, una donna della stessa età avrà mediamente solo 25 consanguinei ancora in vita.
Questo fenomeno sarà globale, con le regioni del Sud America e dei Caraibi che vedranno le diminuzioni più marcate. In Nord America ed Europa, dove le famiglie sono già relativamente più piccole, le trasformazioni saranno meno pronunciate.
Le implicazioni sociali di que -
36 Brain Mar 2024
NEUROSCIENZE
sta trasformazione sono significative e riguardano più aspetti. Dal punto di vista economico, l’invecchiamento della popolazione potrebbe creare uno squilibrio tra il numero crescente di pensionati e la forza lavoro attiva, con conseguenze sul sistema previdenziale. La necessità di garantire un elevato livello di assistenza sociale per gli anziani richiederà, inoltre, un incremento nei servizi di cura forniti da istituzioni ed enti privati.
Diego Alburez-Gutierrez, ricercatore del Max Planck Institute for Demographic Research di Rostock (Germania), sottolinea l’importanza di affrontare queste sfide sociali imminenti. I cambiamenti
nella struttura familiare richiederanno risposte innovative da parte dei decisori politici di tutto il mondo. L’aumento della longevità e la riduzione delle dimensioni familiari richiedono una revisione delle politiche sociali, con un’attenzione particolare agli aspetti economici e assistenziali.
In conclusione, la trasformazione silenziosa delle famiglie è un fenomeno che richiede riflessione e azione. Siamo di fronte a un cambiamento epocale che potrebbe ridefinire il concetto stesso di famiglia e costringerci a riconsiderare il modo in cui sosteniamo le generazioni più anziane della nostra società.
L’aumento della longevità e la riduzione delle dimensioni familiari richiedono una revisione delle politiche sociali, con un’attenzione particolare agli aspetti economici e assistenziali.
37 Brain Mar 2024
NEUROSCIENZE
LUPI MUTANTI DI CHERNOBYL: SPERANZA CONTRO IL CANCRO?
Nel loro DNA una possibile protezione contro il tumore
di Francesco Carta
Nel territorio desolato di Chernobyl, dove il disastro nucleare del 1986 costrinse alla fuga oltre 100mila persone, oggi vagano lupi mutati che potrebbero portare con sé la chiave della resistenza al cancro. Uno studio condotto dall’Università di Princeton suggerisce che questi lupi, esposti a radiazioni sei volte superiori al limite di sicurezza umano, possiedano mutazioni genetiche che li rendono sorprendentemente resilienti al rischio di malattie oncologiche, aprendo la strada a nuove prospettive nella lotta contro il cancro.
La dottoressa Cara Love, biologa evolutiva ed ecotossicologa, ha guidato una squadra di ricercatori nel 2014 attraverso la Zona di Esclusione di Chernobyl (CEZ), applicando radiocollari ai lupi per monitorare la loro esposizione alle radiazioni. I risultati
rivelano che questi lupi sono esposti a una quantità di radiazioni sei volte superiore al limite umano consentito, ma sorprendentemente sembrano sviluppare una resistenza al cancro.
Il team ha approfondito quindi l’analisi del DNA di questi lupi, identificando specifiche regioni genetiche che potrebbero conferire loro una protezione contro il cancro. Mentre molte ricerche umane si concentrano sulle mutazioni che aumentano il rischio di cancro, lo studio di Love ha cercato mutazioni protettive, aprendo una nuova prospettiva nella comprensione della malattia.
I lupi di Chernobyl presentano un sistema immunitario alterato, simile a quello dei pazienti oncologici sottoposti a radioterapia. Questa scoperta potrebbe rivelarsi cruciale nel comprendere come il sistema immunitario reagisce alle radiazioni e sviluppa meccanismi di difesa.
Se confermati, questi risultati potrebbero avere ampie implicazioni per la salute umana. La ricerca suggerisce che le mutazioni genetiche dei lupi potrebbero essere studiate per sviluppare strategie di prevenzione e trattamento del cancro negli esseri umani. Tuttavia, ulteriori ricerche sul campo sono necessarie per confermare e approfondire queste scoperte.
Se quindi Chernobyl è stato in passato luogo di una drammatica storia, oggi potrebbe offrire un terreno di ricerca e una speranza contro il cancro.
38 Brain Mar 2024
NEUROSCIENZE
LA GENERAZIONE Z TRA FIDUCIA IN SÉ E SALUTE MENTALE
Un’indaine offre uno sguardo sulla psiche delle giovani donne
La Generazione Z, composta da giovani tra i 13 e i 20 anni, è da considerare una popolazione rivoluzionaria, in grado di ribaltare le priorità tradizionali, ponendo al centro la salute mentale e la fiducia in sé stessi. Un’indagine condotta su oltre 2.000 ragazze provenienti da: Regno Unito, Italia, Francia e Spagna, evidenzia il desiderio di consapevolezza rispetto al proprio potenziale, ridefinendo il focus dalle ambizioni esterne all’interiorità individuale.
Nata e cresciuta nell’era digitale, la Generazione Z ha sempre avuto accesso a Internet, smartphone e social media, influenzando in modo significativo le loro prospettive e priorità. L’indagine INTIMINA-CensusWide offre uno sguardo approfondito sulle aspettative e le dinamiche psicologiche di queste giovani donne, moderne e digitalmente intraprendenti. Emerge quindi una netta inversione di tendenza, con il 63% delle ragazze che reputano la fiducia in sé stesse come la priorità principale, seguita da una solida percentuale del 62% per la salute mentale. Il focus è proprio sull’esplorazione e lo sviluppo della propria consapevolezza interiore piuttosto che sulle pressioni esterne.
Nonostante l’influenza dei social media sulla percezione dell’immagine corporea, la cerchia di amici e familiari rimane centrale. Alessandra Bitelli, Woman Empowering Coach per INTIMINA, sottolinea che queste ragazze cercano conferme e confronto umano e sociale, mostrando la necessità di mantenere legami saldi con amici e familiari mentre navigano l’oceano digitale.
Per mantenere una salute mentale positiva, le
ragazze della Generazione Z privilegiano il dialogo con amici (60%) e famiglia (51%), esercizio fisico (47%) e attività creative (31%). L’approccio professionale è una risorsa per il 22%, che suggerisce la ricerca di aiuto quando necessario, mentre il 14% si rivolge a insegnanti o consulenti scolastici. Analizzando il modo in cui la Generazione Z affronta il ciclo mestruale, il 22% delle intervistate afferma di parlarne apertamente e sentirsi a proprio agio nel farlo. Tuttavia, l’11% considera ancora le mestruazioni una questione privata, suggerendo spazi per miglioramenti nella rottura del tabù. La metà delle ragazze coinvolge familiari e amici (51%), mentre il 33% trova supporto nelle storie condivise da altri.
La Generazione Z si distingue per la priorità accordata a fiducia in sé e salute mentale. Mentre navigano tra le sfide del mondo digitale, queste giovani donne cercano connessioni umane, affrontano il ciclo mestruale con apertura e stabiliscono un nuovo standard in cui l’empowerment personale è al centro. Il futuro, guidato dalla ricerca della propria autenticità, si prospetta promettente per questa generazione che ridefinisce i canoni di successo e benessere.
Contrariamente alla percezione comune di svogliatezza o mancanza di valori, le ragazze della Generazione Z manifestano un marcato desiderio di focalizzarsi sul loro mondo interiore e sul benessere psicologico. Questi elementi emergono come priorità primarie, fungendo da base su cui poggiare per affrontare la carriera, l’immagine sociale e altri aspetti della vita quotidiana, considerati secondari.
Brain Mar 2024 39
NEUROSCIENZE
di Valerio Rossi
IL SEGRETO DELLA GOMMA DA MASTICARE
Un insospettabile beneficio per la concentrazione
di Federico Malagrinò
In un mondo sempre più frenetico, trovare metodi efficaci per migliorare la concentrazione durante compiti impegnativi diventa una necessità. Secondo uno studio recentemente pubblicato sul British Journal of Psychology un alleato inaspettato potrebbe essere proprio la gomma da masticare. La ricerca ha coinvolto 38 partecipanti divisi in due gruppi e ha esaminato l’impatto della masticazione di gomma sulla capacità di concentrazione in attività che richiedono un monitoraggio continuo.
Per 30 minuti, i partecipanti hanno ascoltato una sequenza casuale di numeri da 1 a 9, guadagnando punti in base alla precisione e alla velocità con cui individuavano sequenze dispari-pari-dispari, come ad esempio 7-2-1. I risultati hanno sorpreso: coloro che masticavano gomma hanno dimostrato tempi di reazione più rapidi e risultati più accurati rispetto ai loro colleghi non masticatori.
Questa differenza è stata particolarmente evidente verso la fine del compito, suggerendo che la gomma da masticare potrebbe essere un valido alleato per mantenere l’attenzione su attività impegnative nel lungo periodo.
Gli studiosi responsabili dello studio hanno commentato che la gomma da masticare sembra avere un impatto positivo su attività che richiedono un monitoraggio continuo prolungato nel tempo. Questo
solleva interrogativi intriganti sull’applicabilità di questo semplice gesto quotidiano nella vita di chi svolge compiti che richiedono concentrazione, come lo studio o il lavoro.
Tuttavia, mentre la scoperta può sembrare rivoluzionaria, è importante considerare alcuni aspetti. Innanzitutto, non tutte le attività potrebbero trarre beneficio dalla masticazione di gomma allo stesso modo. Alcuni potrebbero trovare utile questo gesto durante compiti ripetitivi o di routine, mentre altri potrebbero preferire la quiete per concentrarsi al meglio.
Inoltre, la gomma da masticare non è l’unico fattore da considerare quando si cerca di migliorare la concentrazione. Una dieta equilibrata, un sonno sufficiente e strategie di gestione dello stress giocano anch’essi un ruolo cruciale nel supportare le funzioni cognitive.
Nonostante ciò, la possibilità che un semplice chewing gum possa diventare un alleato nella lotta contro la dispersione mentale è affascinante. Potrebbe rappresentare un’aggiunta piacevole e accessibile alle strategie di miglioramento delle prestazioni cognitive, ma è importante valutare la sua efficacia sulla base delle esigenze e delle preferenze individuali. In un mondo sempre più complesso, ogni piccolo aiuto potrebbe fare la differenza nella nostra ricerca costante di concentrazione e successo
40 Brain Mar 2024
NEUROSCIENZE
IL NEUROTRASMETTITORE
CHE FA “BATTERE” IL CUORE
Mistero Dopamina nei legami amorosi: dalla passione alla rottura
di Carmelo Marini
La dopamina, il neurotrasmettitore associato a piaceri e ricompense, gioca un ruolo cruciale nei complessi meccanismi del cuore. Uno studio su arvicole della prateria (Microtus ochrogaster), pubblicato su Current Biology, ha gettato luce su come questa sostanza chimica del cervello influenzi i legami di coppia, dal momento dell’incontro alla dolorosa separazione.
Il nucleus accumbens, regione cerebrale centrale nella ricerca di ricompense, è al centro dello studio. Le arvicole, tipicamente monogame, sono state osservate mentre cercavano il loro partner. Ogni spruzzo di dopamina veniva rilevato da sensori luminosi, evidenziando la sua abbondanza durante i momenti di intimità e ricongiungimento. Questo rispecchia l’esperienza umana, dove la dopamina alimenta il desiderio e la passione nei primi stadi di una relazione.
Nella seconda fase dello studio, le coppie di arvicole sono state separate per quattro settimane. Al momento del ricongiungimento, sebbene i partner si ricordassero l’uno dell’altro, l’ondata di dopamina era drasticamente diminuita. Questo suggerisce un meccanismo di protezione del cervello, un modo per evitare il persistere di un amore non corrisposto.
L’assenza di dopamina potrebbe fungere da “reset” emotivo, consentendo al cervello di prepararsi per nuove connessioni. Sebbene i risultati siano osservati in arvicole, potrebbero gettare luce su meccanismi simili nei cervelli e nei cuori umani. Questa comprensione neu-
rochimica potrebbe essere cruciale per coloro che lottano con relazioni patologiche o faticano a riprendersi dopo una separazione prolungata.
Mentre l’indagine sulle arvicole offre preziosi spunti, resta un mistero se il complesso cervello umano segua gli stessi schemi. L’analisi neurochimica delle relazioni affettive potrebbe aprire nuove porte per comprendere le dinamiche dell’amore umano, fornendo chiavi per aiutare coloro che incontrano difficoltà nei legami romantici.
In conclusione, la dopamina emerge come la chiave del desiderio amoroso, modellando i legami affettivi dall’inizio alla fine. Comprendere questi intricati processi chimici potrebbe essere fondamentale per navigare nel complicato mare dell’amore umano.
Brain Mar 2024 41
NEUROSCIENZE
NEURALINK E L’INTERFACCIA CERVELLO-MACCHINA
Una tecnologia che può combattere le malattie neurodegenerative
La recente notizia dell’esperimento di Neuralink, la società di Elon Musk, ha sollevato curiosità e preoccupazioni sulla possibilità di una tecnologia che si sovrapponga all’umanità. Il sistema N1 di Neuralink costituisce un’interfaccia bidirezionale per il cervello umano. Composto da tre parti - l’unità impiantabile N1, l’unità esterna di elaborazione dati e il robot di microchirurgia R1 - Neuralink con-
sente di prelevare segnali cerebrali tramite 1024 fili posti dal robot nelle zone cerebrali pertinenti. Questi segnali vengono poi elaborati esternamente e possono essere utilizzati per controllare dispositivi elettronici o stimolare funzioni biologiche, come il movimento degli arti.
Il robot R1 assume quindi un ruolo cruciale nella precisione dell’impianto. Dotato di avanzate telecamere e tomografia OCT, il robot posiziona gli elettrodi con estrema precisione, evitando potenziali danni da microemorragie. Questa tecnologia rappresenta un notevole passo avanti, consentendo applicazioni più flessibili e bidirezionali. Tuttavia, nonostante Neuralink non sembri introdurre innovazioni scientifiche radicali, sfruttando l’avanzamento della microelettronica, il sistema N1 è un esempio di come le tecnologie, una volta concepite solo teoricamente, oggi diventino realtà grazie alla microelettronica moderna.
Le possibilità di applicazione sono ampie e includono miglioramenti delle capacità cognitive, supporto per malattie come Alzheimer e Parkinson, assistenza a persone con disabilità motorie, consentendo loro di comunicare attraverso il pensiero, e facilitando la ricerca sul funzionamento del cervello su larga scala.
Lo sviluppo rapido di tali strumenti può portare ad applicazioni invasive, sottolineando la necessità di norme precise che rispettino l’etica e la sicurezza.
42 Brain Mar 2024
NEUROSCIENZE
di Giovanni Pianesi
EPIPLAFOBIA: LA PAURA INSOLITA DEI MOBILI
Mistero Dopamina nei legami amorosi: dalla passione alla rottura
di Federico Malagrinò
Nel vasto panorama delle fobie umane, emerge una condizione sorprendentemente rara e peculiare: l’Epiplafobia, un disturbo psicologico caratterizzato da un timore irrazionale verso i mobili. Questa particolare forma di ansia può manifestarsi in diverse sfumature, coinvolgendo anche solo specifici tipi di arredamento, come quelli antichi o imponenti scaffali di supermercati.
L’origine del termine “Epiplafobia” deriva dal greco “epipla,” che significa arredamento, e “phobia,” che significa paura, letteralmente: la paura per l’arredamento. Coloro che soffrono di questa fobia possono sperimentare sintomi di angoscia fisica ed emotiva, soprattutto di fronte a mobili di grandi dimensioni. Alcuni psicologi associano l’Epiplafobia all’acrofobia, la paura delle altezze, poiché entrambe le condizioni possono manifestarsi con una generale difficoltà di dirigere lo sguardo verso l’alto.
Non esistono molte evidenze scientifiche su questa fobia, ma sembra che la maggior parte degli individui con Epiplafobia non riesca a tollerare la presenza di mobili alti. In casi più gravi, la paura dei mobili potrebbe portare a una vera e propria incapacità di entrare in luoghi come i supermercati, dove gli scaffali alti possono diventare fonte di ansia incontrollata.
I legami tra l’Epiplafobia e l’acrofobia suggeriscono che questa fobia potrebbe estendersi oltre la sfera dei mobili stessi,
coinvolgendo anche la percezione dello spazio verticale. Questo potrebbe spiegare perché alcune persone con questa fobia evitano non solo mobili imponenti, ma anche luoghi con soffitti alti o architetture che innescano sensazioni di vertigine.
Nonostante la sua rarità, l’Epiplafobia merita attenzione e comprensione: è grazie a fenomeni come questo che gli scienziati possono comprendere sempre meglio il funzionamento della mente umana. L’impatto psicologico di questa fobia, inoltre, può influenzare significativamente la vita quotidiana delle persone coinvolte, limitando le loro interazioni con l’ambiente circostante. L’approccio alla cura potrebbe coinvolgere la terapia cognitivo-comportamentale, mirata a esplorare le radici della paura e a sviluppare strategie per gestirla in modo più efficace.
Brain Mar 2024 43
NEUROSCIENZE
LA SINDROME DA DISTACCO COGNITIVO
Quando il tempo sembra scivolare via velocemente
di Carmelo Marini
Nel vortice incessante degli impegni quotidiani, alcune persone sperimentano difficoltà nel mantenere il passo con la frenetica velocità degli avvenimenti. Questa condizione, che oltrepassando una certa soglia può configurarsi come sindrome da distacco cognitivo, comporta un distacco dell’attenzione dal mondo circostante. Questo disturbo, che può insorgere in età giovanile e persistere nell’età adulta, si manifesta con una difficoltà nel mantenere uno sforzo cognitivo adeguato per processare le informazioni che la realtà ci fornisce giorno per giorno.
La sindrome si manifesta con una sorta di nebbia cognitiva, rendendo la persona estraniata e poco mobile fisicamente. Impegnata in attività mentali di fantasticazione, sembra vivere in un tempo proprio, incapace di seguire il flusso generale degli avvenimenti. Gli specialisti preferiscono ora focalizzarsi sugli aspetti di distacco cognitivo piuttosto che sulla percezione del tempo, suggerendo di abbandonare il vecchio termine “sindrome del tempo cognitivo lento.”
Questa sindrome mostra una relazione con l’ADHD, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. I sintomi della sindrome da distacco cognitivo sono presenti in una percentuale significativa di giovani con ADHD, indicando un’associazione tra i due disturbi. I ragazzi colpiti da questa sindrome mostrano difficoltà a rimanere fermi, sono facilmente distraibili e hanno
problemi di concentrazione, complicando le attività di apprendimento. La sindrome, infatti, si riflette soprattutto nelle difficoltà di apprendimento, con una maggiore probabilità di diagnosi di ritardo nella comparsa del linguaggio, disabilità di lettura e scrittura. I genitori segnalano spesso problemi legati al ritmo sonno-veglia, con eccessiva sonnolenza diurna e una qualità del sonno compromessa. Le performance scolastiche e accademiche di chi vive questa sindrome tendono a essere al di sotto della media, specialmente nelle materie che richiedono un notevole sforzo di concentrazione, come la matematica.
Gli studi suggeriscono che la sindrome da distacco cognitivo potrebbe avere una base genetica, ma fattori ambientali come l’abuso di alcol o fumo durante la gravidanza, traumi cranici e carenze di ferro potrebbero anche giocare un ruolo. Queste ipotesi richiedono ulteriori ricerche per conferme definitive.
Affrontare la sindrome da distacco cognitivo richiede quindi una comprensione approfondita e un approccio multidisciplinare. La consapevolezza di questa condizione potrebbe facilitare la diagnosi precoce e l’implementazione di strategie terapeutiche mirate, contribuendo a migliorare la qualità della vita per coloro che ne sono affetti. La ricerca continua nel settore è essenziale per ampliare la nostra comprensione e fornire soluzioni efficaci per chi vive con difficoltà come questa.
44 Brain Mar 2024
NEUROSCIENZE
IL POTERE TRASFORMATIVO DELLA PAZIENZA
In lodo di una virtù che può cambiare la tua vita
di Federico Malagrinò
La pazienza, spesso invocata ma raramente compresa, è una virtù che riveste un ruolo cruciale nella nostra vita quotidiana. Accettare il fatto che gli sforzi o le decisioni di oggi daranno i loro frutti solo in un futuro lontano è il cuore stesso di questa virtù.
La definizione fornita dallo studioso del Psychoanalytic Center di Philadelphia, Salman Akhtar, ci offre uno sguardo approfondito sulla natura della pazienza. Egli sostiene che essa consista nell’accettazione della realtà interna ed esterna, senza risentimenti, mantenendo la speranza e la capacità di attendere tempi migliori con calma e senza fretta.
La pazienza diventa cruciale in molti aspetti della vita umana. Nell’ambito socio-economico, ad esempio, è necessaria per effettuare transazioni finanziarie, dove aspettare diventa un elemento fondamentale per ottenere la soddisfazione desiderata. Anche la cooperazione tra individui, così come la creatività, richiedono una buona dose di pazienza.
L’esperimento classico del marshmallow, condotto da Walter Mischel negli anni ‘60, dimostra il legame tra pazienza e successo nella vita. I bambini che potevano aspettare per ottenere una ricompensa più grande mostravano una maggiore autocontrollo e, in età adulta, erano meno aggressivi e più soddisfatti.
La pazienza è anche collegata allo stile di pensiero. Le persone con uno “stile comparativo”, che valutano i pro e i contro di ciascuna opzione, sono spesso più pazienti rispetto a co-
loro che adottano uno “stile integrativo”, mettendo insieme tutte le informazioni disponibili.
Tuttavia, la pazienza comporta costi, come l’attesa stessa. Questo può portare a noia e, nel lungo periodo, a rimpianti per le opportunità perse. Inoltre, la nostra tendenza a scontare il valore delle ricompense nel tempo può rendere difficile mantenere la pazienza quando la gratificazione è vicina.
La capacità di immaginare se stessi nel futuro, definita come “connettività psicologica”, gioca un ruolo chiave nella pazienza. Coloro che riescono a identificarsi con il loro io futuro sono più inclini a sacrifici a breve termine per ottenere benefici a lungo termine.
In conclusione, la pazienza è una virtù potente che può plasmare la nostra vita in modi straordinari. Saper aspettare con calma e determinazione può portare a successi duraturi e soddisfazioni profonde. Cultivare la pazienza potrebbe essere la chiave per affrontare le sfide della vita con una prospettiva più equilibrata e costruttiva.
Brain Mar 2024 45
NEUROSCIENZE
“POVERE CREATURE!”
SE CI FOSSE UNA
SECONDA VITA
Ritratto di uno dei personaggi femminili
cinematografici più potenti degli ultimi anni
di Chiara Andreotti
Bella Baxter è curiosa e ingenua, appassionata e intraprendente. È l’audace esperimento dell’eccentrico medico Godwin Baxter in una Londra vittoriana e visionaria.
Inizia così “Povere creature!” di Yorgos Lanthimos che ha incantato il Festival di Venezia.
Dopo aver raccontato l’amore in “The Lobster” e l’ossessione in “La Favorita”, dopo aver sfiorato la follia in “Il sacrificio del cervo sacro”, il regista greco si concentra sul concetto di rinascita.
Bella, che nella sua vita precedente si era suicidata durante la gravidanza, è stata riportata in vita con il suo corpo adulto e il cervello del bambino che portava in grembo. Apprende molto velocemente il mondo che le sta attorno, sapientemente filtrato dal padre/creatore.
Godwin o God, come lo chiama la stessa Bella, è insieme il dr. Fran -
kenstein e la creatura, carnefice per Bella (e per tutti gli strani esseri che concepisce) e vittima di un padre che ha sperimentato sul figlio per il proprio fanatismo scientifico.
Quando Bella scopre il piacere e la sua sessualità per Godwin diventa sempre più difficile tenerla imbrigliata nel mondo controllato e sicuro che aveva previsto per lei, a partire dal matrimonio combinato con il suo assistente.
Il mondo di Bella, fino a quel momento in bianco e nero, diventa a colori, brillanti e accesi, dalle mille sfumature.
Emma Stone (Birdman e La La Land) che oltre a produrre la pellicola porta in vita Bella Baxter con una passione sfrenata, ritrae uno dei personaggi femminili cinematografici più potenti degli ultimi anni.
Insieme a lei, Willem Dafoe (Van Gogh e The Lighthouse) nei panni del grottesco scienziato e
46 Brain Mar 2024
FILM
Mark Ruffalo (Shutter Island e Il caso spotlight) in quelli dell’avvenente quanto ottuso avvocato che accompagna Bella a scoprire il mondo.
Inizia quindi un viaggio dell’eroe in chiave femminista se vogliamo, anche se questa non è l’unica interpretazione che Lanthimos offre. Bella, che ricerca la sua libertà viaggiando, sperimentando, assaporando, lentamente comprende di essere finita in una nuova gabbia, controllata ancora da un uomo che teme profondamente la sua voglia di conoscenza.
Lentamente i suoi abiti da leggeri e colorati diventano pesanti e scuri, come a simboleggiare la fatica dell’ingresso nell’età adulta, il compromesso tra conoscenza e adattamento a una società che pretende omologazione. Bella Baxter, che parla di se stessa in terza persona, che non si vergogna ad esprimer-
si in goffi balli solitari, una volta esplorata a fondo la sua sessualità si concentra sull’evoluzione della sua mente, trovando la strada per ribellarsi nella filosofia e nella medicina, lasciandosi alle spalle tutti coloro che sin dalla sua nascita hanno tentato di tarparle le ali.
Allora chi sono le povere creature del titolo? Sono gli esseri come Bella, gli esperimenti scientifici che Godwin ha creato? Oppure sono coloro che, integrati nella società, vi soccombono a discapito della loro stessa libertà, che li vede ingabbiati in ruoli che si sentono in dovere di portare avanti trascinando con loro anche chi prova a spiccare il volo?
Sono tutte tematiche che Lanthimos racconta in una commedia grottesca, divertente e profonda, un dipinto in eterno movimento che è al tempo stesso un viaggio di crescita e una rivendicazione della libertà per ogni individuo.
Bella, che ricerca la sua libertà viaggiando, sperimentando, assaporando, lentamente comprende di essere finita in una nuova gabbia, controllata ancora da un uomo che teme profondamente la sua voglia di conoscenza.
47 Brain Mar 2024
FILM
Bella Baxter (Emma Stone) in una scena del film.
Libri fuori dal tempo e dalle mode
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