Brain. Dicembre/Gennaio 2024

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Anno IV | N. 11 | Dicembre 2023 | Anno V| N. 1 | Gennaio 2024

CON LA TESTA NEL 2024 Fobia del cambiamento e crescita emotiva Ma la neuropsichiatria è al collasso

Ancora troppi suicidi anche per le donne in gravidanza

Worth wearing regali solidali con idee dei fumettisti

Nella setta Un podcast che indaga l’occulto


Libri fuori dal tempo e dalle mode Giuseppe Quaranta LA SINDROME DI RÆBENSON

Finalista al Premio Calvino 2023

Un esordio coinvolgente e perturbante tra Borges e Labatut Uno psichiatra, nell’aiutare un collega più anziano, Antonio Deltito, che all’improvviso manifesta i sintomi di una strana condizione mentale, viene a conoscenza di un nuovo morbo, che alcuni chiamano la sindrome di Ræbenson. La misteriosa malattia condurrebbe a una sorta di immortalità, impedendo a chi ne viene colpito di morire di morte naturale, ma sviluppando nel malcapitato dei sintomi incompatibili con l’esistenza del resto degli uomini. Il narratore, tra tutti coloro che incrociano le sorti del suo amico e collega, è l’unico che crede all’esistenza di questa malattia e quando il suo amico muore suicida, la sindrome diventa per lui una vera ossessione, che lo porterà a seguire le flebili tracce di chi, come Deltito, potrebbe essere stato un raebensoniano. Le sue ricerche lo condurranno infine a domandarsi però se invece di una “sindrome” da cui sono affetti, i raebensoniani non siano piuttosto una linea finora sconosciuta, o meglio segretamente celata, dell’evoluzione umana... Affascinante e perturbante, idealmente tra Borges, Maurensig ed Eliade, La sindrome di Ræbenson è la straordinaria ed erudita opera prima di un giovane scrittore, psichiatra di professione, che tesse un romanzo usando verità scientifiche e suggestioni filosofiche e post-umane che portano il lettore a chiedersi non solo ciò che è possibile conoscere della mente altrui, ma anche quale sia davvero il significato della nostra vita sulla Terra.

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EDITORIALE

Brain Dic 2023-Gen 2024

Tra incertezza e speranza: navigare le paure del 2023 e le incognite del 2024 di Armando Piccinni

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on la fine del 2023, ci troviamo in un momento di riflessione collettiva. L’anno è stato segnato da sfide globali - dal cambiamento climatico alle tensioni geopolitiche e alle preoccupazioni per la salute pubblica - e le incognite che il 2024 porta con sé sono molteplici, e tutte di grande rilievo. La psiche ovviamente ha profondamente risentito di queste situazioni e ricerche recenti indicano un aumento significativo dei casi di ansia, depressione e disturbo da stress post-traumatico, con una prevalenza particolarmente elevata in aree direttamente colpite dai conflitti. Si tratta di una nota tendenza che riflette l’interazione tra fattori ambientali stressanti e vulnerabilità individuali, e che emerge chiaramente anche nella paura del cambiamento climatico cui abbiamo dedicato il numero di ottobre, in cui abbiamo affrontato con attenzione il fenomeno noto come “eco-ansia”. Da questo punto di vista il 2024 si avvicina portando con sé le sue incognite, tante sfide e tantissime opportunità. Le ricerche ci raccontano come l’essere umano trovi particolarmente difficile gestire l’incertezza, che può portare ad aumentare stati di ansia e comportamenti di evitamento. Ed è per questo che l’incertezza riguardo al futuro può avere un impatto si-

gnificativo sulla salute mentale. Fronteggiare l’incertezza richiede, oggi più che mai, dunque resilienza e adattamento. Ma è essenziale mantenere un senso di speranza. La speranza è stata studiata ampiamente nella psicologia positiva e si è dimostrata cruciale per il benessere psicologico: aiuta non solo a mitigare l’ansia, ma anche a ispirare azioni positive verso il cambiamento personale e sociale. Nei prossimi mesi con “Brain” vi accompagneremo ad adottare un approccio proattivo e positivo, proponendovi studi e ricerche scientifiche, nonché interviste e inchieste. Questo perché siamo certi che l’adozione di strategie di resilienza, l’accettazione dell’incertezza e il nutrimento della speranza non siano solo nevralgici per il benessere individuale, ma anche essenziali per il progresso collettivo. È poi vitale una maggiore consapevolezza dell’impatto degli eventi globali sulla psiche individuale e la necessità di politiche inclusive e di supporto per affrontare le sfide poste da questi tempi senza precedenti. La salute mentale, ora più che mai, deve essere riconosciuta come una priorità nella salute pubblica globale. Serve uno sforzo da parte di tutti, ed è quello che numero dopo numero cercheremo di fare insieme.

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Anno IV | N. 11 | Dicembre 2023 | Anno V| N. 1 | Gennaio 2024

CON LA TESTA NEL 2024

SOMMARIO

Fobia del cambiamento e crescita emotiva Ma la neuropsichiatria è al collasso

Ancora troppi suicidi anche per le donne in gravidanza

EDITORIALE

3 Tra incertezza e speranza:

navigare le paure del 2023 e le incognite del 2024 di Armando Piccinni

10 PRIMO PIANO

Viaggio nella neuropsichiatria al collasso di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni

12 Nuovo anno e metathesiofobia: la fobia del cambiamento di Valentina Formica

Worth wearing regali solidali con idee dei fumettisti

Nella setta Un podcast che indaga l’occulto

Brain Anno IV-V | N. 12 e N. 1 | Dic 2023 Gen 2024 Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca Diffusione: www.fondazionebrf.org Direttore responsabile: Armando Piccinni Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca

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6 Brain Dic 2023-Gen 2024

16 Crescita emotiva nel nuovo anno: ecco come fare di Valentina Formica

20 Prepararsi mentalmente al 2024? È possibile

di Giovanni Saraff L’APPROFONDIMENTO/1

23 Suicidi, anche il 2023 è stato un anno nero di Chiara Andreotti

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L’APPROFONDIMENTO/2

24 Il suicidio materno durante il periodo della gravidanza di Cristi Marci #PARLIAMONE

30 Worth wearing: un’ottima

- e solidale - idea di regalo di Chiara Andreotti

34 Giuliaeffe.art. “Così faccio fiorire i miei pensieri” di Chiara Andreotti NEUROSCIENZE

36 Il cervello inizia a ripararsi dopo 7 mesi senza alcol di Alberto Volpi

37 Maggior rischio di demenza per gli adulti con ADHD di Alessia Vincenti

38 Le persone creative si annoiano di meno di Antonio Acerbis

39 Nuove prospettive nella diagnosi della schizofrenia di Francesco Carta

40 Obesità e cervello: la sfida cerebrale della sazietà di Alessia Vincenti

41 Il deterioramento cognitivo che simula la demenza di Alessio Righi

42 Compagnia: un antidoto

sociale contro le demenze di Alberto Volpi

43 Il cervello del bomber

Le alterazioni nei calciatori di Francesco Carta

44 Allarme sharenting: troppe foto di bambini sui social di Antonio Acerbis PODCAST

46 Dentro la setta

del diavolo di Montemurlo

LIBRI 49 RIMANERE SENZA PAROLE ALL’IMPROVVISO di Flavia Piccinni


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VIAGGIO NELLA NEUROPSICHIATRIA AL COLLASSO Letti che mancano, personale carente e famiglie allo sbando di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni


PRIMO PIANO

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iamo al collasso. Letteralmente. L’altro giorno ho dovuto dimettere un sedicenne perché mi serviva il letto. Era ancora fuori controllo, lo abbiamo sedato e con il segno della croce lo abbiamo rimandato a casa». A parlare così è L.D., neuropsichiatra emiliana con un’esperienza ventennale nel servizio pubblico. Le fa eco la cronaca: a Chioggia un ragazzo di 13 anni autistico è stato ricoverato, per oltre un mese e mezzo, nel reparto di psichiatria con gli adulti per assenza totale di spazi e di organico. Intanto in tutta Italia - dalla Sicilia all’Abruzzo, dalla Toscana al Veneto - si manifesta per l’adeguamento dei servizi sanitari alla luce di una carenza di personale ormai strutturale, che non riesce più a far fronte all’esponenziale aumento dei casi. I dati parlano chiaro: in Italia quasi due milioni di bambini e ragazzi tra i 0 e i 17 anni sono colpiti da disturbi neuropsichici, e in meno di dieci anni sono raddoppiati gli utenti seguiti dai servizi di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, con una prevalenza di accesso 4 volte superiore a quella dei servizi di salute mentale degli adulti e 8 volte superiore a quella dei servizi per le dipendenze patologiche. La Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile e dell’adolescenza denuncia come al moltiplicarsi delle patologie non corrisponda un allineamento dei servizi: mancano neuropsichiatri specializzati nella cura (e ne vengono formati troppo pochi rispetto alle esigenze) e posti letto nelle strutture. Sono solo 395 su tutto il territorio nazionale a fronte di un fabbisogno di almeno 700. A tal proposito, appare ancora più allarmante l’ultima recente indagine di Telefono Azzurro, che ha evidenziato una pre-

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I dati parlano chiaro: in Italia quasi due milioni di bambini e ragazzi tra i 0 e i 17 anni sono colpiti da disturbi neuropsichici, e in meno di dieci anni sono raddoppiati gli utenti seguiti dai servizi di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

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occupante tendenza tra i giovani italiani: il 21% si sente ansioso e la metà vede il futuro come incerto e oscuro. Solo 4 adolescenti su 10 hanno ammesso di essersi sentiti felice nelle ultime due settimane. Ma quali sono i problemi principali che vengono denunciati? Al primo posto c’è la dipendenza da internet e social media (52%), poi la scarsa autostima (41%), la difficoltà nelle relazioni con gli adulti (40%), e a seguire ansia/attacchi di panico (30%). «Viviamo in un tempo in cui le patologie cambiano rapidamente, mentre spesso le teorie e le pratiche cliniche non si evolvono», spiega Giorgio Nardone, pedagogo e psicoterapeuta, fondatore del Centro di Terapia Strategica. Fra i vari sentimenti che colonizzano gli animi dei nostri ragazzi c’è la paura, che spesso non riesce a essere canalizzata e neanche tradotta in parole. «Si tratta della prima attivazione percettiva dell’essere umano, un vero e proprio sistema di allarme che scatta in millesimi di secondo e che innesca a livello paleoencefalico, ovvero nella parte più antica del nostro cervello, la risposta di “lotta o fuga” o, se la situazione non è particolarmente pericolosa, di una gestione del rischio», riflette lo specialista, che ha dedicato al tema il suo ultimo libro, appena uscito, «Il libro delle fobie e la loro cura» (Ponte alle Grazie, pp. 160). La paura si adegua ai tempi, e spesso si fa patologia durante l’adolescenza, quando i timori diventano vere e proprie fobie. La dismorfofobia non esisterebbe, per esempio, se non ci fosse la chirurgia estetica. Ma anche la FOMO (Fear of Missing Out), ovvero la paura e l’ansia sociale di essere esclusi da esperienze ed eventi, è legata esclusivamente a internet e al flusso costante di informa-

zioni che transitano sui social e sulle vite degli altri. «Dopo la pandemia anche fra i giovanissimi si sono molto diffuse le patofobie, ovvero il timore di contrarre malattie fulminanti. Le maggiori conoscenze apportate dagli avanzamenti della medicina e il formidabile sviluppo delle metodiche diagnostiche hanno creato l’illusione del controllo totale delle malattie e l’idea della diagnosi precoce come salvavita. Ma se questa è fondamen-


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tale per alcune patologie, come per esempio i tumori, appare ben poco efficace nei casi di infarto, ictus e talune patologie respiratorie», aggiunge Nardone. Di certo c’è che il Covid-19 ha contribuito a un ulteriore incremento di disturbi neuropsichici tra i minori, tanto che l’UNICEF denuncia come 1 minore su 7 al mondo presenti oggi disagi mentali. In Italia i dati confermano la tendenza globale, e ad oggi il 70% dei pazienti tratta-

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ti da neuropsichiatri infantili è sotto i 18 anni, con il 40% delle patologie che coinvolgono il sistema nervoso. Purtroppo permangono criticità sistemiche e culturali che favoriscano una diagnosi precoce e un intervento tempestivo. Da evidenziare come le chiamate d’emergenza al Telefono Azzurro siano aumentate significativamente, con oltre 1.400 casi di problemi di salute mentale gestiti nel 2022 soprattutto relative a disagio emotivo psicologico (58%), pensieri suicidari (17%) e autolesionistici (14%). Il conflitto in Medio Oriente ha anche influito negativamente sulla salute mentale dei giovani, con molti che provano rabbia (49%), tristezza (59%) e angoscia (39%). «Solo il 20% delle persone soffrono di una fobia a seguito di un evento traumatico, spesso invece è legata a un evitamento che si cronicizza. Ed è per questo che servono delle strategie, non di rado creative, per trovare una soluzione e così aiutare il paziente prima che si disamori», aggiunge Nardone. Non è forse un caso che - sempre secondo il Telefono Azzurro, promotore della guida finalizzata al sostegno “E Tu, Stai Bene con te?” - molti potenziali pazienti siano riluttanti a cercare aiuto professionale, con solo il 39% che vede utili i colloqui con uno psicologo e il 22% che preferirebbe modalità anonime come le chat. «Non dimentichiamo che chi lavora nel servizio pubblico non è sottoposto ad alcun controllo, al contrario di quello che viene implicitamente messo in atto nel mercato del lavoro, dove viene premiato solo chi sa aiutare le persone. Bisognerebbe - prosegue Nardone imparare a curare meglio, mettendo in atto le terapie psicologiche adeguate al soggetto e alle sue necessità, evitando di sposare una teoria come una religione». Per il benessere del paziente, e della collettività.

La Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile e dell’adolescenza denuncia come al moltiplicarsi delle patologie non corrisponda un allineamento dei servizi: mancano neuropsichiatri specializzati nella cura (e ne vengono formati troppo pochi rispetto alle esigenze) e posti letto nelle strutture.

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NUOVO ANNO E METATHESIOFOBIA: FOBIA DEL CAMBIAMENTO Esploriamone le cause e le strategie per affrontarla in modo efficace

di Valentina Formica

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olti di noi si trovano a riflettere sul passato e a progettare il futuro. Questo periodo di transizione può essere fonte di eccitazione, ma allo stesso tempo, generare ansie legate a una serie di aspettative e incertezze. Esploriamo le cause di queste ansie e le strategie per affrontarle in modo efficace. Le ansie connesse al cambio dell’anno possono scaturire da diversi fattori. La pressione sociale di fissare obiettivi ambiziosi può generare ansie legate al timore di non raggiungerli. La riflessione sulle esperienze passate, specie se negative, può portare a un senso di apprensione nei confronti del futuro. È un momento in cui siamo più portati a pensare agli obiettivi che abbiamo raggiunto, e soprattutto a quelli che

non abbiamo raggiunto. L’incertezza sui cambiamenti imminenti può anch’essa contribuire al manifestarsi di ansie. L’inizio di un nuovo anno può essere il principio da cui far partire i nostri progetti, le nostre speranze, i nostri desideri, nel mese di gennaio si ripongono probabilmente più speranze, ma anche maggiori ansie: il mese del cambiamento, della svolta, del nuovo, del diverso. Quando l’incertezza fisiologica diventa paura disadattiva e limitante, influendo sul nostro stile di vita e compromettendo il nostro funzionamento abituale, portandoci a mettere in atto comportamenti di evitamento possiamo parlare di metathesiofobia. La metathesiofobia è un tipo di fobia specifica che si manifesta con la percezione di un forte stato di stress quando un individuo deve far fronte


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a dei cambiamenti nella propria vita quotidiana. Questa fobia è caratterizzata da una profonda paura dell’incertezza e un timore del futuro e delle scelte che esso potrebbe presentarci. Chi ne soffre spesso sperimenta un senso di inadeguatezza e resistenza al nuovo, percependo le novità come errate e desiderando che tutto rimanga invariato. Questa fobia è intimamente legata alla paura dell’ignoto, agendo come un blocco per ogni istinto di trasformazione. Ciò che incide in modo significativo è il livello di autostima di un individuo, poiché questo determina la percezione delle scelte. Individui con una bassa autostima tendono a vedersi come carenti nell’affrontare decisioni anche apparentemente meno complesse, soprattutto quando manca la conoscenza della nuova stra-

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da da intraprendere. Questa mancanza di chiarezza rende il processo decisionale ancora più difficile, intricato e suscettibile di generare ansia. È importante però ricordare che il Capodanno non è altro che una data, il momento in cui si cambia la pagina del calendario e non rappresenta il punto di partenza per una corsa a ostacoli lunga 365 giorni. Per affrontare al meglio l’inizio del nuovo anno è fondamentale non enfatizzare in maniera eccessiva gli impegni, fare i conti con le proprie capacità e godere delle piccole conquiste. La psicoterapia cognitivo-comportamentale ha dimostrato ampiamente e scientificamente la propria efficacia per aiutare a gestire il proprio tempo e la propria consapevolezza. Definire un obiettivo in modo

Quando l’incertezza fisiologica diventa paura disadattiva e limitante, influendo sul nostro stile di vita e compromettendo il nostro funzionamento abituale, portandoci a mettere in atto comportamenti di evitamento possiamo parlare di metathesiofobia.

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chiaro porta ad una maggiore conoscenza delle emozioni e dei sentimenti attivati, diventando consapevoli del comportamento e della reazione fisiologica dell’emozione che stiamo vivendo. Alcune strategie efficaci per gestire le ansie legate al nuovo anno possono essere:

Navigare le ansie del nuovo anno richiede consapevolezza, azione e supporto. Integrare queste strategie nella propria vita può trasformare le ansie in opportunità di crescita e benessere, permettendo di affrontare con successo le incertezze e le sfide che il futuro può portare.

1. Meditazione: La meditazione regolare offre uno spazio per rallentare e sperimentare il momento presente, riducendo così la tensione mentale. L’inserimento della meditazione nella propria vita quotidiana può aiutare quindi a mitigare l’ansia. 2. Diventare consapevoli di ciò che possiamo controllare: Quando l’incertezza ci circonda, abbiamo la sensazione che tutto stia crollando sotto i nostri piedi. Ma non è così. Concentriamoci su quegli aspetti della vita su cui abbiamo il controllo e ricordiamo che l’incertezza è parte integrante della nostra esistenza ed è qualcosa che dobbiamo accettare e sulla quale non possiamo agire. 3. Obiettivi Realistici e Flessibilità: Evitare di impostare obiettivi irrealistici è essenziale. Inoltre, non confondiamo l’avere obiettivi ambiziosi con l’avere elevate aspettative. L’obiettivo ci aiuta a tracciare la direzione da perseguire con volontà, l’aspettativa innesta in noi stessi l’ansia del fallimento. È utile suddividere gli obiettivi in passi più piccoli, raggiungibili nel tempo, questo può promuovere un senso di successo. Infine, la flessibilità nell’adattare gli obiettivi alle mutevoli circostanze della vita è altrettanto importante. 4. Riflessione Positiva e Gratitudine: Invece di concentrarsi solo sugli

aspetti negativi, dedicare del tempo alla riflessione positiva può contribuire a generare un atteggiamento ottimista. La pratica della gratitudine, focalizzandosi su ciò che è positivo nella propria vita, può essere particolarmente benefica. Inoltre, valutiamo attentamente l’opportunità di imparare dalle difficoltà e dagli errori per migliorare concretamente il nostro futuro 5. Supporto Sociale e Comunicazione Aperta: Condividere le proprie preoccupazioni con amici, familiari o, in caso di necessità, con un terapeuta può offrire prospettive preziose e un sostegno emotivo. La comunicazione aperta è fondamentale per mantenere relazioni sane durante periodi di ansia. 6. Attività Ricreative e Autocura: Dedicare del tempo alle attività che ci appassionano, coinvolgerci in hobby e interessi personali agisce come una valvola di sfogo per lo stress. L’autocura, che può includere il riposo adeguato, una dieta equilibrata e l’esercizio fisico, contribuisce al benessere generale. 7. Terapia Psicologica e Supporto Professionale: La consulenza psicologica fornisce uno spazio sicuro per esplorare le radici dell’ansia e sviluppare strategie personalizzate per affrontarla. L’assistenza professionale può essere fondamentale per affrontare le sfide specifiche legate al cambio dell’anno. In conclusione, navigare le ansie del nuovo anno richiede consapevolezza, azione e supporto. Integrare queste strategie nella propria vita può trasformare le ansie in opportunità di crescita e benessere, permettendo di affrontare con successo le incertezze e le sfide che il futuro può portare.



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CRESCITA EMOTIVA NEL NUOVO ANNO: ECCO COME FARE Autostima e autocompassione come chiavi per una salute mentale robusta

di Valentina Formica

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on l’arrivo del nuovo anno, molti di noi si pongono obiettivi di crescita personale e benessere mentale. In questo contesto, esplorare concetti quali l’autostima e l’autocompassione diventa cruciale per sviluppare una solida base emotiva. In questa ricerca di equilibrio, è essenziale comprendere in modo approfondito cosa significhi avere autostima e autocompassione, come influenzino la nostra salute mentale e quali pratiche le possano favorire. Partiamo dall’autostima, intesa come un viaggio tra il Sé Reale e Sé Ideale. L’autostima si presenta come un concetto complesso da definire chiaramente. In una definizione basilare proposta da Burns nel 1979, l’autostima è descritta come “un’immagine com-

posita di ciò che pensiamo di essere, ciò che pensiamo di poter realizzare, ciò che pensiamo gli altri pensino di noi e ciò che vorremmo essere.” Secondo William James, l’autostima è il risultato del confronto tra i successi ottenuti e le aspettative legate a essi. Cooley e Mead, invece, la definiscono come un prodotto che scaturisce dalle interazioni sociali, una valutazione riflessa di ciò che le altre persone pensano di noi, che si sviluppa nel corso della vita. Il processo di formazione dell’autostima ruota attorno a due componenti principali: il sé reale e il sé ideale. Il sé reale rappresenta una visione oggettiva delle proprie abilità, corrispondendo a ciò che siamo veramente. Al contrario, il sé ideale è la visione di come vorremmo essere. L’autostima nasce dalla comparazione


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tra i risultati delle nostre esperienze e le aspettative ideali. Una discrepanza significativa tra questi due elementi può influenzare la stima che abbiamo di noi stessi. Possedere un’alta autostima, quindi, deriva da una limitata differenza tra il sé reale e il sé ideale. Questo implica il riconoscimento realistico dei propri pregi e difetti, che ci conduce a impegnarci per migliorare le nostre debolezze e apprezzare i nostri punti di forza. Un’autostima elevata promuove maggiore apertura all’ambiente, autonomia e fiducia nelle proprie capacità. Inoltre, coloro che hanno un’alta autostima dimostrano perseveranza nelle attività che amano, affrontando gli insuccessi con resilienza e cercando nuove opportunità. Al contrario, coloro con una bassa autostima possono mostrare scarsa

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partecipazione, demotivazione e tendono a concentrarsi solo sulle proprie debolezze, evitando situazioni per timore del rifiuto. Ed ecco l’altro polo di questo ragionamento: l’autocompassione. In un mondo che spesso ci spinge a cercare l’autostima come fonte principale di valutazione personale, l’autocompassione potrebbe essere non solo altrettanto efficace, ma addirittura superiore. A differenza dell’autostima, l’autocompassione non cerca di definire il nostro valore attraverso un giudizio o un’etichetta. Al contrario, accettando il fatto che siamo un insieme complesso di aspetti positivi e negativi. Riconosce la presenza sia di forze che di debolezze, sottolineando che successi e fallimenti sono esperienze che vanno e vengono, ma non defini-

Il processo di formazione dell’autostima ruota attorno a due componenti principali: il sé reale e il sé ideale.

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Per coltivare autostima e autocompassione sviluppare la consapevolezza di sé stessi è fondamentale. L’autosviluppo richiede la capacità di osservarsi senza giudizio, accettando le proprie esperienze senza cercare la perfezione.

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scono la nostra essenza né misurano il nostro valore. L’autocompassione si distingue dall’autostima nel generare sentimenti positivi che non dipendono dall’essere considerati speciali, migliori o raggiungere un obiettivo. Invece, deriva dal prendersi cura di sé stessi esattamente come si è, senza confronto o competizione. L’autocompassione implica il trattare sé stessi con gentilezza, specialmente durante momenti di difficoltà. Contrariamente all’autocritica, l’autocompassione riconosce che l’essere umano è imperfetto e può commettere errori. Invece di valutarsi severamente, chi pratica l’autocompassione si concede comprensione e sostegno. La ricerca mostra che l’autocompassione è associata a una maggiore resilienza emotiva, riduzione dello stress e una migliore gestione delle emozioni negative. Quindi, mentre l’autostima si basa sul confronto tra il sé reale e il sé ideale, l’autocompassione si concentra sul trattare sé stessi con gentilezza, indipendentemente dalle proprie prestazioni. Mentre l’autostima può essere influenzata dal giudizio degli altri e dai successi raggiunti, l’autocompassione è intrinseca e non dipende dall’esterno.

Per coltivare autostima e autocompassione sviluppare la consapevolezza di sé stessi è fondamentale. L’autosviluppo richiede la capacità di osservarsi senza giudizio, accettando le proprie esperienze senza cercare la perfezione. Inoltre, riconoscere i propri pregi e difetti è il primo passo verso una sana autostima. Imparare ad accettare le proprie imperfezioni contribuisce a coltivare un atteggiamento di autocompassione. La pratica della mindfulness e della meditazione possono aiutare nello sviluppare autostima e autocompassione. Queste tecniche insegnano a essere presenti nel momento attuale e ad osservare i propri pensieri e emozioni senza identificarsi completamente con essi. Accogliere la critica costruttiva come opportunità di crescita anziché vederla come un attacco personale può contribuire a sviluppare sia l’autostima che l’autocompassione. In conclusione, il nuovo anno offre l’opportunità di coltivare una crescita emotiva attraverso l’autostima e l’autocompassione. Accogliere sé stessi con gentilezza, apprezzare i propri pregi e lavorare per migliorare le debolezze sono passi cruciali verso una salute mentale robusta e un benessere duraturo.


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PREPARARSI MENTALMENTE AL 2024? È POSSIBILE Ecco la guida di Brain per un inizio consapevole

di Giovanni Saraff

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a fine dell’anno è sempre un momento propizio per la riflessione e l’autovalutazione. È un’occasione per fare il punto su tutto ciò che è accaduto, riconoscere le realizzazioni, il proprio sviluppo personale e imparare dalle sfide affrontate. Questa introspezione non solo consente di guardare al passato con gratitudine, ma fornisce anche una solida base per affrontare il futuro con consapevolezza e determinazione. Riflettere sulle esperienze dell’anno che sta per concludersi offre un’opportunità unica di crescita personale. Non è solo un momento per riconoscere le vittorie, anche quelle piccole, analizzando come ci si è avvicinati agli obiettivi prefissati, ma è anche una finestra sulle sconfitte che permette di comprendere le ragioni dei fallimenti e da lì riorganizzarsi per un cambiamento efficace. Se gli obiettivi

prefissati non sono stati raggiunti, è l’occasione di rivalutarli e comprendere cosa potrebbe essere stato fatto in modo diverso o di fissarne altri di nuovi. Questa pratica infatti non solo favorisce la consapevolezza di ciò che è stato realizzato ma permette anche di identificare le lezioni apprese dalle sfide affrontate. Ecco quindi che analizzare l’anno trascorso fornisce anche la base per definire gli obiettivi futuri. Chiedersi cosa avrebbe potuto essere fatto in modo diverso o migliorato apre la strada per un’autentica crescita. Questa analisi critica non è solo un esercizio di autovalutazione ma funge da guida per il futuro. Identificare le aree della propria vita che richiedono miglioramenti fornisce una chiara direzione su cui concentrarsi nel nuovo anno. È l’opportunità di definire obiettivi significativi, allineati con i propri valori e la propria visione di vita.


PRIMO PIANO

La riflessione di fine anno agisce così come uno specchio su cui guardare la propria crescita personale. Riconoscere ciò che è stato fatto di buono, anche se gli obiettivi non sono stati completamente raggiunti, è fondamentale. Questo processo offre una prospettiva chiara su come ci si è evoluti nel corso dell’anno. Ecco quindi alcuni consigli pratici per prepararsi al meglio per l’anno che verrà. 1, Focus su cosa Migliorare Intraprendere una riflessione profonda significa anche valutare le proprie azioni alla luce degli obiettivi prefissati, il cambiamento parte sempre dalla consapevolezza. Se gli obiettivi non sono stati raggiunti, analizzare cosa è andato storto offre preziosi insegnamenti. Questo processo aiuta a identificare le abitudini o le strategie che potrebbero

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essere migliorate. La riflessione non deve mai essere un processo punitivo o giudicante ma piuttosto un’opportunità di apprendimento. Chiedersi cosa avrebbe potuto essere fatto diversamente e come migliorare consente di affrontare il futuro con una mentalità più resiliente e orientata al successo. 2. Inventario dell’anno scorso E’ importante analizzare al meglio l’anno trascorso su più fronti. Sfide affrontate: quali sono state le principali sfide incontrate? Come le hai gestite e cosa hai potuto imparare da esse? Cose migliori: quali sono stati i momenti più significativi e gratificanti dell’anno? Realizzazioni: elenca tutto ciò che hai realizzato durante l’anno. Crescita personale: in che modo sei cresciuto come persona? Cerca

Riflettere sulle esperienze dell’anno che sta per concludersi offre un’opportunità unica di crescita personale.

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Per intraprendere una riflessione completa, è essenziale dedicare del tempo in tranquillità e senza distrazioni, sedersi con un diario può facilitare il processo.

PRIMO PIANO

di notare le differenze tra l’inizio e la fine dell’anno che sta per concludersi. Felicità: ci sono aree della tua vita di cui sei particolarmente felice? Modi per migliorare: cosa posso fare per migliorare gli aspetti più critici? Raggiungimento degli obiettivi: hai raggiunto gli obiettivi prefissati? Se no, cosa è andato storto? Decisioni diverse: c’è qualcosa che avresti voluto o potuto fare in modo diverso? Miglioramenti desiderati: quali aree della tua vita vorresti migliorare e come potresti farlo? Aspettative per il futuro: come vorresti che fosse la tua vita tra un anno? Cambiamento desiderato: qual è il cambiamento più grande che vorresti vedere accadere l’anno prossimo? Aree di concentrazione: su quali aree della tua vita vorresti concentrarti nel prossimo anno? Dopo aver risposto a queste

domande, sarà più facile fissare gli obiettivi futuri. Attraverso questo strumento si mette in risalto la complessità di noi stessi evidenziando i punti di forza e quelli di debolezza. Celebrare le vittorie, imparare dalle sfide e guardare al futuro con determinazione sono i pilastri di una preparazione mentale efficace per l’anno che verrà. 3. Il Focus del Prossimo Anno La parte finale di questo processo è orientata al futuro. Definire come si vorrebbe che fosse la propria vita tra un anno implica la creazione di una visione chiara e ispiratrice. Identificare il cambiamento più grande desiderato per l’anno successivo offre una bussola per le azioni future. La chiave è fissare piccoli obiettivi realistici che siano significativi e allineati con la propria visione a lungo termine. Questo è essenziale per mantenere viva la motivazione e creare un piano d’azione tangibile. Ma qual è il modo migliore per fare una riflessione di fine anno? Per intraprendere una riflessione completa, è essenziale dedicare del tempo in tranquillità e senza distrazioni, sedersi con un diario può facilitare il processo; approcciare la riflessione con una mentalità aperta e curiosa, anziché giudicante, favorisce certo una valutazione più obiettiva. In conclusione, la riflessione di fine anno è molto più di un esercizio di bilancio; è un processo che apre le porte a nuove possibilità e offre una guida chiara per il percorso futuro. Prepararsi mentalmente al nuovo anno è un atto di auto-amore e crescita continua. Che il prossimo anno sia ricco di realizzazioni e nuove avventure!


L’APPROFONDIMENTO/1

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SUICIDI, ANCHE IL 2023 È STATO UN ANNO NERO L’Osservatorio BRF: da gennaio 821 suicidi e 763 tentativi di Chiara Andreotti

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dicembre si tirano le somme e anche questa volta i dati dell’Osservatorio Suicidi della Fondazione BRF sono una fonte di riflessione per iniziare il nuovo anno con una consapevolezza maggiore su ciò che la nostra società va sperimentando. L’Osservatorio Suicidi, nato durante la pandemia, è divenuto permanente dopo aver constatato che i dati forniti dall’ISTAT non restituivano una fotografia pressoché immediata dello stato del nostro Paese. I ricercatori dell’Osservatorio analizzano e registrano le notizie di cronaca dei quotidiani locali e nazionali relative a casi di suicidi e per la prima volta anche di tentati suicidi, un dato che fino alla nascita dell’Osservatorio Suicidi era rimasto totalmente inascoltato. Ovviamente si parla di numeri che emergono dalla sola osservazione delle notizie di cronaca e che sono solo una parte dei numeri reali, ma l’Osservatorio Suicidi della Fondazione BRF, sostenuto e lodato anche dalle Istituzioni, è la dimostrazione della necessità di un monitoraggio costante della situazione in Italia. Da gennaio 2023 sono stati registrati 821 casi di suicidio e 763 tentativi di suicidio. A marzo si registra un aumento significativo dei casi di suicidio, con una media di quasi tre casi al giorno. Gli uomini rappresentano l’80% dei casi di suicidio in Italia, e nonostante il tasso di

mortalità sia più alto tra gli anziani, il suicidio risulta essere la principale causa di decesso tra i giovani. Ancora una volta la categoria più colpita risulta essere quella dei detenuti: i numerosi casi di suicidio e tentativi di suicidio che si verificano nelle carceri italiane fotografano una situazione in estrema crisi: il sovraffollamento e le condizioni precarie si sono acutizzate durante e dopo la pandemia, facendo sentire i detenuti ancora più isolati dal mondo esterno e non permettendo un vero reinserimento nella società. Anche le forze dell’ordine rimangono una categoria da attenzionare in questo ambito: lo stress lavoro correlato e la pressione portano a gesti disperati. Giunti alla fine dell’anno, diventa evidente la scarsa attenzione del governo verso questo preoccupante fenomeno in aumento. Dai dati drammatici emerge la necessità di avviare un percorso di rieducazione, facendo della salute mentale della popolazione il fulcro su cui si fonda questo cambiamento.


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IL SUICIDIO MATERNO DURANTE IL PERIODO DELLA GRAVIDANZA Una dimensione spesso poco approfondita e dalle sfumature incerte di Cristi Marcì* *Psicologo Specializzando in Psicoterapia Psicosomatica Operatore Perinatale


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ur trattandosi di un fenomeno assai raro, il suicidio materno rappresenta in concomitanza con il figlicidio una delle manifestazioni più gravi della psicopatologia della maternità. Spesso accompagnata da variegate e imprevedibili conseguenze pronte a ripercuotersi sulla prole e sul resto dei familiari. È possibile stilare una classificazione? La mortalità materna (MM) rispecchia un importante e per nulla trascurabile, indicatore di salute della popolazione femminile di un paese, nello specifico essa viene anche definito evento sentinella capace di evidenziare sia l’efficacia che l’appropriatezza delle cure perinatali. Nonché la qualità dell’assistenza che viene fornita dal sistema sanitario di riferimento, durante il percorso nascita (Paxton, Wardlaw, 2011). Comunemente risulta difficile immaginare il suicidio materno come una delle cause principali presenti sul territorio nazionale, poiché fenomeni come l’aborto, il parto distocico o l’emorragia hanno sempre descritto un quadro che per anni ha rischiato di mettere da parte una dimensione psicologica da non sottovalutare. In accordo con la psichiatra e analista junghiana Jean Bolen (1991) la dimensione del femminile spesso e volentieri viene “assoggettata a quei ruoli unilaterali” che non solo vengono imposti dall’esterno ma che al contempo ne limitano il potenziale espressivo. Facendo del suicidio e della morte le uniche strade possibili per tornare ad essere libere, abbattendo quei paradigmi storico culturali che hanno reso la donna una semplice figura incapace di dar voce al proprio dolore. Pertanto se il suicidio rischia di assumere il volto di un quotidiano

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poco indagato, viceversa una maggiore sensibilizzazione sotto il profilo medico-psicologico, dovrebbe riflettere la nuova norma: una linea guida a supporto di chi ogni giorno sceglie di offrire il proprio aiuto.

La mortalità materna (MM) rispecchia un importante e per nulla trascurabile, indicatore di salute della popolazione femminile di un paese, nello specifico essa viene anche definito evento sentinella capace di evidenziare sia l’efficacia che l’appropriatezza delle cure perinatali.

Il suicidio durante il periodo della gravidanza Nel panorama contemporaneo sono pochi gli studi capaci di analizzare più da vicino questo fenomeno, poiché le ricerche si sono focalizzate prevalentemente sul periodo postpartum (Anniverno, R., Bramante, A., 2015). Tuttavia se quest’ultimo descrive una finestra temporale di grande valore per la ricerca non si può escludere come effettivamente rispecchi soltanto la punta di un iceberg; di fronte alla quale viene percepita esclusivamente una minima porzione di un intero processo. Pertanto ciò che si dovrebbe promuovere è una riflessione più accurata sul Prima, cioè su tutte quelle dinamiche intrapsichiche e relazionali, che se non indagate e approfondite tempestivamente possono sfociare in qualcosa di irreversibile. Tra i principali fattori di rischio emergono: una gravidanza non desiderata, l’abbandono del partner, la morte di un precedente figlio e l’aborto spontaneo e/o involontario. Secondo Hensaw (2007), nel loro insieme questi fattori rappresentano un indice di rischio suicidario abbastanza elevato da compromettere lo stato di salute psicofisico della donna, durante il delicato periodo della gravidanza. Nondimeno grazie al contributo di ulteriori studi presenti in letteratura, sono stati evidenziati altri fattori che dalla mancanza di una valida rete di supporto chiamano in causa anche la presenza di un precedente disturbo psichiatrico.

In accordo con i contributi di Appleby (1991) e Gausia (2009) è fondamentale tenere conto sia dell’età che dei rispettivi vissuti esperienziali, in quanto nella maggior parte dei casi tanto le adolescenti quanto le giovani donne portano con sé vissuti traumatici circoscritti ad una o più psicopatologie psichiatriche, che se non approfondite e monitorate possono inficiare per sempre la loro vita. Studiare questo fenomeno dunque dovrebbe voler dire identificare e indagare tempestivamente quelle radici intrapsichiche e interpersonali che col tempo potrebbero determinare una fioritura dai fatali risvolti. Nello specifico andrebbe posta maggiore attenzione circa quei comportamenti definiti para-suicidari, i quali durante questa delicata fase di transizione non sempre vengono veicolati nel migliore dei modi.


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I cambiamenti socio-culturali nel triennio 2020-2023 Come accennato in precedenza sono molteplici i fattori che concorrono al suicidio in gravidanza eppure analizzando più da vicino il periodo storico culturale che stiamo vivendo, personalmente una riflessione più accurata dovrebbe convergere verso tre ulteriori cause da non sottovalutare: il periodo pandemico Covid-19, la crisi economica e i casi di violenza domestica. Secondo la mia visione questa struttura e/o suddivisione tripartita ha innescato lungo una finestra temporale, dal 2020 ad oggi, un effetto domino che ha portato sia ad una metastatizzazione che ad un ingigantimento di quelle dinamiche silenti sopra le quali il rumore di un gesto è capace di porre la parola Fine.

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Se quindi in passato le cause erano circoscritte ad una problematica famigliare, ad una relazione disfunzionale e/ tossica con il proprio partner oppure ancora un’interruzione di gravidanza, nel panorama contemporaneo quanto invece possono aver contribuito gli ultimi cambiamenti storico culturali? Personalmente ritengo che nel loro insieme abbiano legittimato in maniera del tutto disadattiva e disfunzionale una moltitudine di comportamenti che hanno fatto della violenza e dell’aggressività l’unica norma attraverso la quale poter esprimere le proprie emozioni a discapito di chi abbiamo di fronte. Determinando a propria insaputa la nascita e la diffusione di nuovi fattori di rischio, di fronte ai quali la donna è costretta a scegliere l’unica via di uscita. Sarebbe dunque opportuno interrogarsi sui volti e la funzione che la gravidanza ha assunto e continua ad assumere all’interno di una cornice culturale che anziché focalizzarsi sul Dopo dovrebbe al contrario interrogarsi sul Prima, ma ancor più sul Presente. Provando a rapportare il fenomeno suicidario con la dimensione neurobiologica è interessante sottolineare alcuni studi condotti negli anni novanta, grazie ai quali si è reso possibile evidenziare validi cambiamenti che sembrerebbero anticipare l’atto finale. La neurobiologia del comportamento suicidario in gravidanza Uno studio promosso da Marzuk (1997) ha esaminato diversi referti autoptici delle morti per suicidio di donne negli Stati Uniti, a New York, dal 1990 al 1993. Secondo i dati emersi sono stati esaminati i cambiamenti ormona-

Nel panorama contemporaneo sono pochi gli studi capaci di analizzare più da vicino questo fenomeno, poiché le ricerche si sono focalizzate prevalentemente sul periodo postpartum (Anniverno, R., Bramante, A., 2015).

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Provando a rapportare il fenomeno suicidario con la dimensione neurobiologica è interessante sottolineare alcuni studi condotti negli anni novanta, grazie ai quali si è reso possibile evidenziare validi cambiamenti che sembrerebbero anticipare l’atto finale.

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li durante la gravidanza, rispetto ai quali ad un basso livello di serotonina corrispondeva un maggior rischio di suicidio. Ad un livello microscopico e sotto un profilo più olistico in grado di promuovere nuovi studi sulla fase prenatale e non solo su quella successiva, gli studi di epigenetica ad oggi dovrebbero delineare nuovi spunti di riflessione e tracciare nuovi orizzonti di pensiero. In quanto in accordo con i dati emersi dalla ricerca il feto risulta il maggiore produttore di questo ormone (serotonina) e che attraverso un meccanismo evolutivo di autoprotezione sembrerebbe prevenire i futuri comportamenti distruttivi della madre, producendo un abbassamento dei livelli ormonali serotoninergici. Un altro studio americano condotto da Palladino (2011), ha preso in considerazione le morti materne “violente” verificatesi in 17 Stati tra il 2003 e il 2007, rispetto alle quali la conflittualità con il proprio partner rientrava tra le cause principali ne 45% dei casi. Nondimeno come riportato da Appleby è di cruciale importanza considerare l’età della donna che si trova a vivere questo momento di transizione. Nello specifico uno studio condotto nel 1991 in Inghilterra e in Galles ha evidenziato come le adolescenti gravide riscontrino un tasso di rischio suicidario più elevato rispetto alle donne più adulte, poiché non sono da escludere tutti quei processi evolutivi che fanno dell’adolescenza stessa un periodo complicato e non sempre lineare. Inquadrare i fattori di rischio Nella pratica clinica se prevenire il suicidio può essere di sicuro un valido indice di successo indagarlo precocemente dovrebbe consentire più

approfondimenti che tengano conto sia del periodo gravidico sia di quello successivo al parto. Considerando quanto introdotto in precedenza sarebbe opportuno indagare questo fenomeno tenendo sensibilmente conto delle conseguenze spesso invisibili determinate dai cambiamenti storico culturali degli ultimi tre anni: durante e dopo la pandemia Covid-19. In modo tale da non inquadrare più l’evento suicidario quale singolo fenomeno circoscritto solamente a due o tre fattori, bensì connotato da una moltitudine di sfumature che spesso e volentieri si rivelano difficili da cogliere. Ciò che dunque è interessante valorizzare è proprio la mutevolezza di quegli aspetti che se in passato sembravano stabili nella loro manifestazione, oggi viceversa presentano un ventaglio e uno stile espressivo dalle numerose sfumature.


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Nel loro insieme i seguenti fattori delineano dei parametri di riferimento connotati da caratteristiche che non possono prescindere le dinamiche del panorama contemporaneo. Tra questi si annoverano: i pensieri suicidari la pianificazione la letalità i mezzi lesivi Sotto un profilo psicosomatico è interessante tenere conto di come spesso e volentieri il corpo sia il canale preferenziale attraverso il quale viene esperita ed espressa una sofferenza psichica capace di evidenziare uno stato della mente a rischio (Siegel, D, J., 2021) Durante l’anamnesi pertanto è opportuno tenere conto non solo della forte unione tra la mente e il corpo e/o tra la psiche e il soma, bensì del forte valore simbolico che il corpo stesso cerca di esprimere tramite un linguaggio che non sempre

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è possibile riconoscere nell’immediato (Morelli, R., Marafante, D., 2012). Tuttavia ulteriori aspetti in grado di guidare il clinico nella comprensione del disagio psichico sono: la presenza di fattori di rischio e di fattori protettivi lo stato mentale della donna un’eventuale storia di comportamento suicidario rete di supporto i punti forza della donna. Nondimeno è importante principalmente valutare il grado di rischio suicidario strutturato nella seguente tripartizione: rischio basso, medio ed elevato. Ciascuno dei quali presenta una dinamica intrapsichica e interpersonale del tutto differenti: rischio basso: i pensieri di farsi del male o di suicidio sono transitori e non accompagnati da pianificazione e scelta di un metodo rischio medio: sono presenti pensieri di morte associati a intenzionalità e dalla presenza di un piano e/o di mezzi immediati rischio alto: si caratterizza per la costante presenza di continui e specifici pensieri suicidari, intenzionalità, pianificazione e scelta di un metodo. Il quadro sopradescritto se da un lato si prefigura quale possibile liea guida dall’altro non si prefigge l’obiettivo di rappresentare un qualcosa di esaustivo, in quanto il suicidio spesso e volentieri assume tante forme quanti sono i modi di sentirlo, pensarlo e attuarlo. Specialmente durante il periodo della gravidanza che non può essere definito come un fattore protettivo ma al contrario una fase di delicata transizione dove il proprio background esperienziale rischia di far nascere qualcosa che non si pensava potesse venire al mondo.

Uno studio condotto nel 1991 in Inghilterra e in Galles ha evidenziato come le adolescenti gravide riscontrino un tasso di rischio suicidario più elevato rispetto alle donne più adulte, poiché non sono da escludere tutti quei processi evolutivi che fanno dell’adolescenza stessa un periodo complicato e non sempre lineare.

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WORTH WEARING: UN’OTTIMA - E SOLIDALE IDEA DI REGALO Felpe, t-shirt e borse. E ancora tazze in ceramica e quaderni Tutti oggetti con disegni di alcuni grandi fumettisti internazionali di Chiara Andreotti

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iritti umani e salvaguardia del pianeta. Sensibilizzazione verso l’abbandono degli animali e sostegno a chi soffre di malattie rare. Posso avere tutti questi temi qualcosa in comune? Sì. Worth Wearing è una piattaforma che nasce con l’obiettivo di sostenere idee e progetti attraverso la vendita di t-shirt e gadget. Alla base di tutti i progetti sostenuti da Worth Wearing c’è infatti il cambiamento: tutte le campagne proposte hanno lo scopo di sensibilizzare e avvicinare più persone possibili a temi spesso sconosciuti o sottovalutati. Quale modo migliore infatti di sostenere un’iniziativa in cui si crede e diffonderla se non indossandola sulla propria pelle? Anche la Fondazione BRF Onlus ha deciso di partecipare a questo grande progetto con la campagna

#PARLIAMONE. Tra gli obiettivi che la Fondazione BRF porta avanti c’è quello di abbattere lo stigma legato ai disturbi di ordine psichiatrico, che ad oggi rimane un peso che portano coloro che soffrono di queste patologie e i loro familiari. Uno dei problemi principali che sente chi soffre disturbi mentali è legato al pregiudizio e alla rappresentazione sociale che si ha della malattia. L’unica arma che abbiamo per abbattere una volta per tutte questo pregiudizio è parlarne. Chi soffre di un disturbo mentale, spesso, si sente solo e abbandonato nella propria sofferenza: è quindi di massima importanza far sapere a queste persone che non è così, che non sono sole. L’OMS infatti riporta che ogni anno una persona su quattro ha avuto esperienza di disturbi della salute


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mentale, e oggi come mai prima d’ora siamo davanti a una svolta. La pandemia ci ha messi di fronte al fatto che la buona salute passa anche da quella mentale e non deve essere sottovalutata. Allora #PARLIAMONE non è più solo un progetto ma anche un imperativo morale per accogliere e sostenere tutti coloro che ne sentono il bisogno. Per portare avanti questo impegno la Fondazione BRF ha deciso di farsi aiutare da illustratori e fumettisti che possono portare il loro contributo, condividendolo in questo percorso. Si sa che le immagini hanno il potere di raccontare qualcosa che a parole risulterebbe incomprensibile e con il sostegno di questi artisti il compito sarà più semplice. L’ansia con Carlotta Scalabrini diventa un gioco a premi e la depressione un lupo cattivo che ha bisogno

di parlare con Cappuccetto Rosso grazie alla mano di Mario Natangelo. E ancora paure, fragilità e dipendenze affettive con Fabio Magnasciutti e Yao Xiao. L’insonnia diventa una realtà ovattata fatta di pesci fluttuanti con Giulia Pex e l’abbraccio disegnato da Luchadora un punto di partenza per ricordare l’importanza di ascoltare. Per celebrare la giornata mondiale contro la violenza sulle donne si sono uniti al team di #PARLIAMONE anche Ilaria Urbinati, Valentina Merzi e Giacomo Marguglio . E allora perché non approfittare di questo periodo di feste per fare o, perché no, farsi un regalo. Sul sito www.worthwearing.org potrete trovare lo store della Fondazione BRF dove acquistare i prodotti della campagna #PARLIAMONE per sostenere questo progetto. Tutti i prodotti seguono un’etica

Quale modo migliore di sostenere un’iniziativa in cui si crede e diffonderla se non indossandola sulla propria pelle?

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Per portare avanti questo impegno la Fondazione BRF ha deciso di farsi aiutare da illustratori e fumettisti che possono portare il loro contributo, condividendolo in questo percorso.

sostenibile con 100% cotone biologico, commercio equo e solidale e una notevole riduzione nelle emissioni. La sostenibilità ritorna anche nel packaging: ogni pacco infatti viene realizzato con plastica riciclata e con carta compostabile che potrà essere utilizzata come fertilizzante per le piante. Insomma un vero e proprio inno al cambiamento e alla sostenibilità. Felpe, t-shirt e borse di tela. E ancora tazze in ceramica e quaderni. Il tutto con le splendide grafiche e illustrazioni che i nostri artisti

hanno donato per una causa in cui credono: perché il benessere mentale è importante, parlarne è importante affinché chi sta soffrendo si ricordi di non essere solo, che potrà sempre trovare sostegno e appoggio. Anche se si tratta di indossare una maglietta o bere da una tazza. Visita il sito www.worthwearing. org e cerca la campagna #Parliamone: troverai tanti preziosi regali. Un piccolo gesto per aiutare anche la ricerca sulla salute mentale. Per maggiori informazioni: www.fondazionebrf.org


Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale

Visita la pagina #Parliamone sul sito www.fondazionebrf.org per acquistare i gadget della campagna e sostenere la ricerca


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GIULIAEFFE.ART “COSÌ FACCIO FIORIRE I MIEI PENSIERI” Intervista all’ultima new entry di #Parliamone, l’illustratrice Giulia Ferrero di Chiara Andreotti

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inque anni fa è nata la campagna #Parliamone per provare ad abbattere il muro che si innalza davanti alle patologie di ordine psichiatrico. L’unica arma contro i taboo della nostra società è iniziare a parlarne, e allora illustratori, fumettisti e grafici di fama nazionale e internazionale hanno deciso di partecipare a questo progetto proprio per non far sentire soli e abbandonati tutti coloro che nella vita soffrono o hanno sofferto di patologie legate alla psiche, per sostenere le famiglie dei pazienti che spesso si trovano isolate. #Parliamone raccoglie così tutte le illustrazioni che negli anni sono state donate alla Fondazione BRF Onlus per sensibilizzare riguardo al tema della salute mentale. Oggi al team di #Parliamone si unisce Giulia Ferrero, sui social

GiuliaEffe.art. Giulia racconta di essersi appassionata al disegno già da piccola: “È sempre stato il mio passatempo preferito. Quando gli altri bambini giocavano a nascondino, a pallone o a mosca cieca, io... disegnavo”. La sua tecnica è ciò che la distingue: osservando le sue illustrazioni è possibile imbattersi in un fiore, un frutto, un pezzo di pasta, una conchiglia. Così Giulia racconta come è nata la sua idea: “L’utilizzo degli oggetti nelle mie illustrazioni è nato puramente per caso circa cinque anni fa, in un contesto molto buffo! Un giorno stavo facendo un’insalata e avevo in mano qualche foglia di rucola, così mentre preparavo l’insalata ho preso in mano alcune foglie e ho pensato ‘perché non farle diventare la gonnellina di una bimba’ e da li ho abbozzato quella che sarebbe stata la mia


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prima illustrazione con gli oggetti.” Giulia riesce a far diventare arte tutto quello che quotidianamente maneggiamo: una manciata di bottoni si trasformano i palloncini, una fetta di cocomero in una vela che salpa. “Solitamente prediligo animali, elementi naturali e piccoli e simpatici personaggi quasi sempre femminili” racconta Giulia raccontando il suo processo creativo. Ad oggi, gran parte del lavoro dell’illustratore passa dai social, ed è lì che Giulia ha raggiunto migliaia di persone. Così esplora questo mondo: “Il mio rapporto con i social è un rapporto amore/odio. Amore perché grazie ai social mi sono fatta conoscere e sono arrivati molti lavori e collaborazioni, odio perché spesso sembra che si lavori molto ma si ottengano pochi risultati. In questo momento sto investendo molto tempo per imparare ad utilizzarli al meglio”. Ci spiega che sono i suoi followers a spingerla a pubblicare nuovi contenuti e ad ampliare le idee, anche se ogni tanto capita di sentire il bisogno di staccare dai social per allentare la pressione. È chiarissimo, davanti le opere di Giulia, che il mondo che la ispira è gioioso e spensierato, fatto di sogni e ricordi felici. Certo, come ci racconta, a volte capita che siano emozioni comunemente ritenute negative a darle l’ispirazione per un nuovo mondo da esplorare. Di fronte a questa prospettiva, Giulia ci spiega che il suo rapporto con la sua salute mentale è molto importante, da curare quotidianamente come farebbe con un fiore: “Significa coltivare le proprie emozioni ed i propri pensieri, farli fiorire in modo positivo”.

Quando le chiedo in che modo la salute mentale influisce sul suo lavoro, mi risponde al contrario: “La creatività secondo me aiuta a fare fiorire i propri pensieri”, ed è il motto giusto per una creativa di professione che ha fatto dei fiori la sua firma quasi ufficiale. Così se l’idea di affrontare l’inverno con lo sguardo già alla primavera può aiutare a far fiorire i nostri pensieri, la t-shirt che è nata dalla collaborazione con la piattaforma worthwearing.org può essere un primo passo per parlarne insieme. Sul sito www.worthwearing.org è possibile trovare tanti gadget l’illustrazione creata da Giulia e tutte le grafiche di #Parliamone, perché anche indossando una t-shirt possiamo creare consapevolezza.

Giulia ci spiega che il suo rapporto con la sua salute mentale è molto importante, da curare quotidianamente come farebbe con un fiore.

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IL CERVELLO INIZIA A RIPARARSI DOPO 7 MESI SENZA ALCOL Ecco i risultati di un’ultima ricerca sul tema di Alberto Volpi

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astano poco più di 7 mesi di astinenza dall’alcol per permettere al cervello di riprendersi quasi completamente dai danni strutturali causati dal suo abuso. Il disturbo da uso di alcol (alcohol use disorder, AUD) è caratterizzato, a livello neurologico, da un assottigliamento in alcune regioni della corteccia cerebrale, cruciale per l’adempimento delle funzioni cognitive. Aspetto, questo, che potrebbe rappresentare il substrato neurale delle al-

terazioni cognitive riscontrate dopo lunghi periodi di assunzione ripetuta di alcool. Lo studio americano, condotto all’Università di Standford su 88 partecipanti con AUD, ha dimostrato che dopo 7,3 mesi di astinenza da alcol vi era un ispessimento statisticamente significativo nella maggior parte delle regioni corticali indagate e che queste tornavano ad avere un spessore paragonabile al normale. Tra queste anche la corteccia prefrontale, deputata al decision making e alla pianificazione. Quando il suo spessore è ridotto dall’abuso di alcol può risultare più difficile prendere le decisioni quotidiane utili per una vita autonoma ed efficace, ma anche prendere la decisione di smettere di bere o di resistere alle ricadute qualora vi si riuscisse. Far tornare questa porzione di corteccia nello stato tipico può a sua volta rappresentare un prezioso alleato nell’uscire dalla dipendenza da alcol evitando di tornare nuovamente a bere. Sebbene questo studio offra risultati molto incoraggianti e rappresenti una spinta motivazionale per coloro che decidono con sacrificio e dedizione di guarire dalla dipendenza da alcol, Durazzo e colleghi affermano che le loro evidenze non permettono ancora di dedurre considerazioni sul recupero della funzionalità cognitiva e che futuri studi con campioni più ampi e test più approfonditi saranno necessari.


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MAGGIOR RISCHIO DI DEMENZA PER GLI ADULTI CON ADHD Ecco i risultati di un’ultima ricerca sul tema di Alessia Vincenti

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econdo questa ricerca, gli adulti affetti da disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) potrebbero avere un rischio maggiore di sviluppare demenza in età avanzata, a dirlo un recente studio condotto sinergicamente tra America e Israele. L’ADHD è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da disattenzione, iperattività e impulsività, che origina in età infantile ma può mantenersi a livelli clinicamente significativi fino all’età adulta. Analizzando i dati di oltre 100.000 persone anziane e confrontando l’incidenza delle diagnosi di demenza nei partecipanti che avevano o che non avevano ricevuto, anche una diagnosi di ADHD, i ricercatori israeliani hanno riscontrato che l’ADHD risulta essere associato in modo significativo a un rischio aumentato di demenza e quindi a un lento e progressivo declino delle funzioni cognitive. La correlazione osservata, tuttavia, non indica il fatto che l’ADHD sia diretta causa della demenza, specificano gli studiosi, che hanno ipotizzato però da un lato che l’ADHD possa rappresentare un meccanismo cerebrale che impedisce al cervello della persona di compensare il declino cognitivo in età avanzata; dall’altro che l’esposizione ripetuta a livelli massicci di neurotrasmettitori a cui è sottoposto il cervello della persona con ADHD possa giocare un ruolo nel maggior rischio di demenza. Nello stesso studio è stato osservato come non risultino associazioni chiare tra l’ADHD e

il rischio demenza in coloro che assumono psicostimolanti per il trattamento dell’ADHD. Un interrogativo per studi futuri è quindi se proprio la terapia farmacologica dell’ADHD giochi un ruolo protettivo per il rischio di demenza. Alcuni elementi, infine, potrebbero aver influito sui risultati dello studio, tra cui l’aumentata frequenza di visite neuropsicologiche che le persone con ADHD hanno rispetto ai coetanei neurotipici. Questo potrebbe aver aumentato la probabilità di valutazioni per condizioni come la demenza in questo gruppo di individui, aumentando i tassi di demenza osservati nelle persone con ADHD.


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LE PERSONE CREATIVE SI ANNOIANO DI MENO Studio americano rivela il potere dei momenti di pausa di Antonio Acerbis

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na ricerca americana ha chiesto a 81 persone di trascorrere dieci minuti da sole in una stanza, escludendo l’uso di dispositivi digitali, mentre esprimevano i propri pensieri. Sono stati quindi indagati i livelli di creatività dei partecipanti mediante test psicologici e quello che i ricercatori hanno potuto osservare è che proprio coloro che risultavano più creativi erano quelli che facevano fluire in modo più libero i pensieri, permettendo libere associazioni tra di loro, riportando frasi come: “questo mi fa venire in mente” o “a proposito di”. Hanno anche riportato più parole (e

quindi pensieri), suggerendo un’attività più ricca oltre che più dinamica e, infine, si sono sentiti meno annoiati. Questo suggerisce che abbracciare i “momenti morti”, lasciando spazio alla mente per vagare liberamente, non solo è un antidoto alla noia, ma funge anche da catalizzatore per stimolare la creatività. Risultati analoghi sono arrivati anche dalla seconda parte dello studio che ha coinvolto un campione molto più ampio (2600 individui). Qui, i soggetti sono stati intervistati durante la pandemia da Covid-19, periodo che per molti è risultato a ridotto carico di impegni e ricco di momenti di ozio. Anche in questo caso, coloro che risultavano più creativi riportavano livelli minori di noia percepita. Questo studio apre certamente a nuove prospettive, sottolineando l’importanza dei “momenti morti” come minuti per lasciare la nostra mente a viaggiare tra i pensieri che fluiscono liberi. Concedersi spazi di libertà mentale, abbassando le stimolazioni ambientali, non sarebbe affatto tempo perso, bensì un potente motore di creatività che permette di arricchire le prospettive sulla vita garantendosi un maggior benessere psicologico. In un’epoca in perseguiamo l’ossessione della produttività e la noia può sembrare inevitabile, liberare i propri pensieri nei momenti di inattività può essere la chiave per un benessere mentale più profondo.


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NUOVE PROSPETTIVE NELLA DIAGNOSI DELLA SCHIZOFRENIA Interessanti evidenze nella morfologia della corteccia cerebrale di Francesco Carta

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n fondamentale progresso nella comprensione e diagnosi della schizofrenia emerge da un ambizioso studio coordinato dal Laboratorio di Neuropsichiatria della IRCCS Fondazione Santa Lucia, coinvolgendo 1500 pazienti e volontari sani. Questa ricerca ha rivelato nuovi indizi nella morfologia della corteccia cerebrale dei pazienti schizofrenici, aprendo la strada a possibili esami diagnostici strumentali. L’analisi condotta su immagini di risonanza magnetica ha confermato una significativa riduzione dello spessore della corteccia cerebrale in entrambi gli emisferi, comune a tutti i disturbi dello spettro schizofrenico, rispetto ai soggetti sani. Tuttavia, è emerso che nella Sindrome Deficitaria della Schizofrenia, specifico disturbo appartenete allo spettro schizofrenico e caratterizzato primariamente da sintomi negativi persistenti, come appiattimento affettivo, interessi ridotti e povertà dell’eloquio, la riduzione dello spessore è più accentuata in specifiche aree dell’emisfero destro, distinguendola così dalla sindrome non-deficitaria, dove le anomalie erano più evidenti nella parte superficiale del mantello corticale. I risultati di questo studio aprono quindi a nuovi campi di ricerca e pratica clinica con l’obiettivo di anticipare e personalizzare il trattamento prima che

insorgano i sintomi clinici ad oggi utilizzati per la diagnosi. È dunque anche la ricerca dei biomarcatori dei disturbi mentali che permette di aprire la strada a miglioramenti significativi nel processo di cura e prevenzione.


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NEUROSCIENZE

OBESITÀ E CERVELLO: LA SFIDA CEREBRALE DELLA SAZIETÀ Così grassi e zuccheri influenzano le aree cerebrali di Alessia Vincenti

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obesità non è solo una questione di volontà, ma anche di alterazioni permanenti nel cervello che compromettono la capacità di percepire la sazietà. Uno studio condotto dall’Università di Yale ha rivelato che il cervello delle persone con obesità risulta meno sensibile alla sensazione di sazietà dopo l’assunzione di cibo, e questo fenomeno persiste anche dopo la perdita di peso. La ricerca ha approfondito come grassi e zuccheri influenzino le aree cerebrali legate al piacere associato al cibo, come il senso di sazietà, di ricompensa e in generale di benessere. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), i ricercatori si sono concentrati sullo striato, una regione cerebrale coinvolta nei

circuiti della ricompensa e del piacere, che regola i comportamenti di ricerca dei cibi che ci piacciono ed agisce anche nella formazione delle abitudini. L’attività dello striato è inibita dal rilascio di dopamina, che solitamente aumenta dopo l’assunzione di cibi zuccherini e grassi. Durante l’esperimento, sono stati infusi glucosio e grassi direttamente nello stomaco di partecipanti normopeso e con obesità. Nei soggetti normopeso, come ci si aspettava, dopo l’infusione è aumentato il rilascio di dopamina ed è diminuita l’attività dello striato, indicando una sensazione di sazietà. Il circuito della ricompensa aveva così funzionato normalmente: la persona si sentiva sazia e soddisfatta, senza più il bisogno di cercare cibo. Nei partecipanti con obesità, invece, l’attività dello striato è rimasta invariata, suggerendo una mancata registrazione del senso di sazietà. I ricercatori hanno poi sottoposto i partecipanti con obesità a una dieta dimagrante. Nonostante la perdita di peso, il cervello non ha mostrato miglioramenti nella risposta ai nutrienti. Questa scoperta potrebbe spiegare la sfida che le persone con obesità affrontano nel mantenere il peso dopo una dieta. Ecco quindi che le differenze nelle risposte cerebrali all’assunzione di cibo, riscontrate nei due gruppi, potrebbero spiegare il consumo eccessivo di cibo che caratterizza l’obesità, sfatando l’idea comune che quest’ultima sia semplicemente una questione di forza di volontà.


NEUROSCIENZE

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IL DETERIORAMENTO COGNITIVO CHE SIMULA LA DEMENZA È la pseudodemenza. Ecco perché è un legame spesso ignorato di Alessandro Righi

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ifficoltà di concentrazione, deficit cognitivi e ritardo psicomotorio possono spesso essere fraintesi come segnali di Alzheimer, ma esiste una condizione chiamata pseudodemenza che può simulare questi sintomi, portando a una confusione diagnostica con la vera demenza e talvolta anche con la depressione. Pur non essendo un termine ufficialmente riconosciuto nei sistemi nosografici, la pseudodemenza rappresenta una realtà clinica in cui il deterioramento psichico è reversibile con il trattamento adeguato. A differenza della demenza tradizionalmente conosciuta che fino ad oggi non risulta essere trattabile, i sintomi della pseudodemenza risultano andare in remissione se trattati adeguatamente. La confusione diagnostica, però, si può avere anche con la depressione, che spesso può condividere alcuni sintomi cognitivi con la demenza. Tra questi: il declino delle funzioni cognitive, mnesiche, le difficoltà attentive, il ritardo psicomotorio e problemi decisionali. La diagnosi di pseudodemenza in persone anziane è complicata da diversi fattori. Il processo naturale di invecchiamento comporta certamente cambiamenti cognitivi e psicomotori, rendendo difficile distinguere tra segni legati all’età e sintomi di depressione o demenza. Per riconoscere la pseudodemenza, è

importante prestare attenzione a segnali come la perdita di interesse nelle attività, l’isolamento sociale, la mancanza di energie e i pensieri negativi. La diagnosi richiede una valutazione attenta, e la differenziazione tra pseudodemenza e vera demenza può essere facilitata trattando inizialmente lo stato depressivo sottostante. Inoltre, le principali differenze tra Pseudodemenza e demenza includono un inizio brusco e rapida progressione nei casi di Pseudodemenza, mentre la demenza mostra un inizio lento e graduale. Nella Pseudodemenza, i sintomi tendono a peggiorare al mattino, mentre nella demenza, il declino è più evidente durante la notte. L’umore della persona con pseudodemenza è spesso depresso, mentre nella demenza tende più ad essere labile. I trattamenti per la Pseudodemenza si concentrano quindi su una gestione della depressione attraverso interventi psicoterapici e farmaci antidepressivi. Un trattamento efficace della depressione può anche aiutare la diagnosi differenziale tra pseudodemenza e demenza, oltre che migliorare possibili sintomi cognitivi associati a un’eventuale depressione. In conclusione, riconoscere la pseudodemenza è un passo cruciale per avviare il trattamento appropriato e distinguere questa condizione reversibile dalla vera demenza, al fine di migliorare la qualità di vita delle persone coinvolte.


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NEUROSCIENZE

COOMPAGNIA: UN ANTIDOTO SOCIALE CONTRO LE DEMENZE Abitudini quotidiane e funzioni cognitive: la chiave del segreto di Alberto Volpi

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no studio pubblicato su Lancet Healthy Longevity ha confermato ciò che molti sospettavano da tempo: condividere la vita quotidiana con qualcuno e partecipare attivamente a progetti comunitari sono due potenti antidoti contro il rischio di demenze. Il legame tra interazioni sociali e salute mentale è riconosciuto nel senso comune ed è stato a lungo oggetto di studio scientifico, ma questa ricerca ha portato a risultati significativi. Gli scienziati hanno indagato il rapporto tra le abitudini quotidiane e le funzioni cognitive, analizzando una vasta gamma di parametri della rete di relazioni sociali di 40.000 persone, grazie a più studi distribuiti in sei continenti. I risultati sono chiari: vivere con qualcuno e partecipare regolarmente ad attività comunitarie sono i fattori sociali più fortemente correlati a un rallentamento del declino cognitivo.

L’isolamento sociale è stato a lungo identificato come un fattore di rischio significativo per il declino cognitivo. Questo studio, tuttavia, si distingue per la sua ampiezza, esplorando diversi tipi di connessioni sociali e identificando chiaramente quali comportamenti sono più efficaci nella prevenzione delle demenze. In particolare, la condivisione della casa e della vita con altre persone è emersa come un potente alleato contro il declino cognitivo. L’impegno settimanale in attività comunitarie è stato anch’esso associato a una significativa riduzione del tasso di cambiamento annuale nelle funzioni cognitive. È interessante notare, quindi, che il semplice fatto di non sentirsi mai soli sia stato collegato a un invecchiamento cerebrale più lento e graduale. Non è certo l’unico fattore ad influenzare in positivo o in negativo un fenomeno così complesso come la perdita delle capacità cognitive, ma tale studio sottolinea ancora una volta l’importanza di sviluppare connessioni significative e mantenere una rete di supporto sociale robusta per preservare la salute mentale nel corso degli anni. Prendersi cura delle proprie connessioni sociali già dalla giovane età potrebbe essere non solo una ricetta per una vita più felice, ma anche un modo efficace per salvaguardare la salute mentale nel tempo e proteggere il cervello dagli effetti debilitanti delle demenze.


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IL CERVELLO DEL BOMBER LE ALTERAZIONI NEI CALCIATORI Ecco i rischi per la salute cerebrale legati ai colpi di testa di Francesco Carta

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l calcio, uno degli sport più amati e praticati a livello mondiale, potrebbe celare rischi significativi per la salute cerebrale dei suoi atleti, soprattutto quelli che colpiscono troppo di testa. Questo è quanto riportano due recenti studi condotti dalla Columbia University e presentati all’incontro annuale della Società Radiologica del Nord America a Chicago. Il primo studio, che ha coinvolto 148 calciatori con un’età media di 27 anni, ha esaminato gli effetti a breve termine dei colpi di testa, rilevando cambiamenti nella microstruttura cerebrale in un arco temporale di due anni. In particolare, i giocatori che hanno effettuato più di 1.500 colpi di testa in questo periodo hanno mostrato modifiche nelle aree profonde del cervello, simili a quelle riscontrate nelle lesioni cerebrali traumatiche lievi. Il secondo studio ha ampliato la prospettiva, coinvolgendo 353 calciatori dilettanti per un anno e concentrandosi sul confine tra materia bianca e materia grigia nelle regioni più superficiali del cervello, che sono anche quelle a maggior rischio di lesione. I risultati hanno rivelato che i colpi di testa ripetuti alterano il confine solitamente definito tra queste due materie cerebrali, rendendolo meno netto e più confuso. Questa sfocatura, tipica di molte patologie cerebrali, è associata a un impatto negativo sulle prestazioni cognitive. Entrambi gli studi hanno sollevato pre-

occupazioni sulla sicurezza a lungo termine dei giocatori di calcio, specialmente se esposti a colpi di testa frequenti fin dalla giovane età. Nel lungo termine, infatti, sono state documentate alterazioni sia micro-anatomiche che funzionali (in particolare nelle abilità di apprendimento verbale). I ricercatori suggeriscono che tali cambiamenti potrebbero aumentare il rischio di neurodegenerazione e demenza nel corso della vita. Queste scoperte sollevano importanti domande etiche e pratiche nel mondo dello sport, portando ad una riflessione sulla necessità di regolamentazioni più stringenti e misure preventive per proteggere la salute mentale dei giocatori. Mentre il calcio continua a incantare gli appassionati di tutto il mondo, la comunità sportiva deve affrontare la realtà che il gioco potrebbe avere conseguenze a lungo termine per i suoi sportivi in campo.


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NEUROSCIENZE

ALLARME SHARENTING: TROPPE FOTO DI BAMBINI SUI SOCIAL I pericoli dietro questa “innocente” pratica di Antonio Acerbis

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a pratica diffusa dello “sharenting”, ovvero la condivisione online di foto e dettagli riguardanti i propri figli, è al centro di un dibattito che coinvolge genitori, esperti e istituzioni. Dietro a questa pratica apparentemente innocua si celano rischi di cui molti genitori sono spesso inconsapevoli. Questi riguardano la tutela dell’immagine del minore, la riservatezza dei dati personali, la sicurezza digitale e possono persino esporre i bambini a fenomeni come la pedopornografia. Uno studio condotto dall’European Pediatrics Association, esplora questi rischi in modo approfondito. Il dibattito si concentra sulla necessità di bilanciare il desiderio dei genitori di condividere i momenti significativi della vita dei propri figli con la responsabilità di proteggere la loro privacy e sicurezza, oltre che la loro futura volontà di essere o meno esposti sui social media. Mentre la condivisione di foto può essere un modo per i genitori di connettersi e condividere gioie ed emozioni familiari, è importante considerare gli impatti a lungo termine su bambini che non hanno ancora la ca-

pacità di comprendere appieno le conseguenze di questa esposizione online. Da questo studio emerge che ogni anno i genitori condividono una media di 300 foto dei propri figli sui social media, raggiungendo le 1.000 immagini prima del quinto compleanno del bambino. Mentre questa abitudine sembra innocua, la Società Italiana di Pediatria (Sip) lancia un’allerta sui rischi connessi a questo fenomeno. Un dato in aumento è rappresentato dalle foto prima della nascita, con un quarto dei bambini che hanno una qualche forma di presenza online già prima di venire al mondo. Negli Stati Uniti, infatti, il 34% dei genitori condivide regolarmente ecografie online, mentre in Italia questa percentuale si attesta al 15%. In Francia, è in discussione una proposta di legge che mira a limitare la condivisione di foto dei figli online. In Italia, la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, Carla Garlatti, ha già sollecitato l’applicabilità delle disposizioni contro il cyberbullismo per affrontare il fenomeno dello sharenting, consentendo ai minorenni di richiedere direttamente la rimozione dei contenuti. Queste evidenze sottolineano quindi la necessità di educare i genitori sulle potenziali implicazioni dello sharenting. In un’epoca in cui la privacy e la sicurezza digitale sono temi cruciali, trovare un equilibrio tra condivisione e tutela diventa fondamentale per garantire un ambiente digitale sicuro per le future generazioni.


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PODCAST

DENTRO LA SETTA DEL DIAVOLO DI MONTEMURLO Il nuovo podcast che guida dentro l’occulto italiano

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o hanno battezzato come il diavolo di Montemurlo. La sua storia è scandita da ragù di carne umana. Spezzatino di carne di cinesi. Patti con il demonio. Denti aguzzi e lacrime di sangue. La promessa di saper uccidere, e resuscitare. Ma nella sua storia c’è soprattutto una sordida, cieca violenza. Strumentalizzazioni fisiche, e abusi psicologici. Una spirale di ferocia e crudeltà in cui reincarnazione, sesso e abusi si fondono in un magmatico inferno. Al centro di tutto un ragazzo bellissimo, con dei grandi occhi azzurri e il fisico da modello. Questo ragazzo si chiama Matteo Valdambrini, e la sua storia inizia nel 2015 nella provincia toscana, a Nord di Prato. Parla di demoni e di vampiri, e porta con sé qualcosa di molto significativo: Valdambrini infatti nel giugno 2023 è stato condannato per riduzione in schiavitù. Erano quasi vent’anni che non si registrava una condanna del genere nel nostro Paese rispetto al mondo settario. Ed è per questo - perché è

uno dei rari casi in cui la giustizia, che soffre di un inquietante vuoto normativo, è riuscita a condannare la sottomissione di un gruppo di persone a un’altra - che la sua storia è così importante. Ma cominciamo dall’inizio. Questa storia si dipana nella campagna fra Prato e Pistoia, in un paese che si chiama Montemurlo e che ha appena ventimila abitanti. I co-protagonisti, tutti nati fra la fine degli anni Novanta e Duemila, ruotano intorno a un giovane appassionato di esoterismo e di magia. Un giovane che agli amici più fidati confida di essere il diavolo, spiega di essere l’anello di congiunzione fra mondi diversi, in modo seducente racconta di vite passate, discute di presenze invisibili, si mostra in quelli che spiega essere dei poteri sovrannaturali. Si infila, per esempio, un dito nell’orbita di un occhio senza procurarsi alcun danno. Con un pezzo di vetro si taglia il braccio, mostrando che non esce neanche una goccia di sangue, quasi la sua pelle reagisse a comando. Gira il collo al


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contrario, come fosse snodabile. E, ancora, si trasforma in altre creature attraverso una pratica che battezza shifting, cambiando voce e comportamenti a seconda dell’identità che interpreta: può diventare un licantropo, ma anche una persona morta o un vampiro. L’entità preferita è Omen. La sua vera intuizione pare però essere il retinaggio, cui obbliga a sottoporsi tutti gli appartenenti al gruppo di sesso maschile. Il fine del retinaggio è nobile: quello di decifrare la vera entità del diretto interessato. Il rito consiste nell’inviare al numero telefonico di Valdambrini attraverso Whatsapp le fotografie da nudi, con il pene in erezione, dei diretti interessati. Il ragazzo garantisce che un’entità cibernetica di nome Hydra - ovvero un computer con intelligenza artificiale, capace di funzionare esclusivamente con l’ausilio del Wi-Fi - avrebbe poi rintracciato la loro essenza: chi erano stati nelle vite precedenti, e quali poteri avrebbero dovuto “sbloccare” grazie a lui. Attraverso, naturalmente, delle mirate pratiche sessuali. Ma non è tutto. Nella dottrina che mette insieme esoterismo d’accatto, film e libri fantastici, Valdambrini forgia anche la triskele che, come spiega una delle vittime durante l’incidente probatorio, è una pratica sessuale che consiste nel creare una coppia, finalizzata al sesso, con tre membri. Ma le pratiche sono tante, e comprendono anche rapporti orali nei pressi di cimiteri, violenze carnali, abusi psicologici. Il tutto su giovanissimi che, attirati da Valdambrini e dalle sue presunte competenze esoteriche, vengono prima bombardati d’amore (la nota pratica del love bombing, comune alla maggior parte delle organizzazioni settarie), dunque trascinati in un incubo. “a

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me sembrava di vivere in Twilight o in Harry Potter”, dirà una vittima durante un interrogatorio. Come emerge dalle sentenze e ancora di più dalle confessioni degli abusati, il cerchio magico del diavolo di Montemurlo era scandito da minacce e violenze di ogni tipo. Valdambrini sosteneva che se non fossero state fatte le sue volontà le sue volontà avrebbero perso la vita amici e parenti degli adepti, e ovviamente loro stessi. Non c’era niente di innocente. Solo una puntuale manipolazione, nutrita da trucchi cinematografici (come le capsule che mordeva, che rilasciavano del liquido simile a sangue), riti inventati a base di incensi e promesse di immortalità.

Questa storia si dipana nella campagna fra Prato e Pistoia, in un paese che si chiama Montemurlo e che ha appena ventimila abitanti.

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Apparentemente, questa storia può sembrare assurda e impossibile. Una storia unica. Ma non è così. È una delle centinaia di vicende che ogni giorno vanno in scena nel nostro Paese, e che toccano - più o meno direttamente - circa cinque milioni di italiani. Restando nell’ombra.

PODCAST

Si sa, il male attrae altro male. E il circolo vizioso che viene prodotto dai fattacci difficilmente riesce ad essere arginato. In questa storia - che abbiamo raccontato dopo mesi di lavoro, incontrando vittime e avvocati, andando nei luoghi della setta e in quelli tanto cari a Valdambrini - fra esorcisti, aiutanti di esorcisti, atti di pedofilia e casi di omonimia, si arriva a dei paradossi inaspettati, avvitandosi in dettagli che lasciano senza parole. Come una ragazza che arriva a dare a Valdambrini 100 euro con la promessa che questo avrebbe fatto un rituale per far morire la madre. O come la giovane che cede alle avance sessuali perché teme per la vita della sorella minore. Apparentemente, questa storia può sembrare assurda e impossibile. Una storia unica. Ma non è così. È una delle centinaia di vicende che ogni giorno vanno in scena nel nostro Paese, e che toccano - più o meno direttamente - circa cinque milioni di italiani. Restando nell’ombra. A rivelare l’organizzazione è il 19 marzo 2019 una donna che si rivolge alla Squadra Mobile della Questura di Firenze preoccupata perché i suoi due figli, Matteo che ha 17 anni e Domenico che è un anno più grande, sono cambiati: non sono più loro, vanno nei boschi, sono diventati aggressivi e ostili. E tutto è cominciato quando hanno conosciuto un giovane un poco più grande, che si chiama anche lui Matteo. Matteo Valdambrini. Cominciano le indagini, e gli interrogatori. Il gruppo si sfalda. Iniziano a venire fuori i dettagli sempre più inquietanti. A giugno 2023 la Corte d’assise d’appello di Firenze condanna Valdambrini a 10 anni e quattro mesi di reclusione. I suoi avvocati ci hanno fatto sapere che ricorreranno in Cassazione.

UN’INCHIESTA A PUNTATE

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inque milioni di italiani ogni mattina si alzano, e hanno un segreto: sono membri di un’organizzazione settaria o silenziosi adepti di cartomanti, invisibili guru e fantomatiche associazioni. Con il podcast “Nella Setta” (Fandango Podcast) la scrittrice Flavia Piccinni e il giornalista Carmine Gazzanni accompagneranno ogni 15 del mese gli ascoltatori nell’occulto italiano. Racconteranno attraverso testimonianze inedite, documenti esclusivi e rivelazioni le organizzazioni settarie che si muovono del nostro Paese. I due autori sono autori, fra l’altro, di “Nella Setta” (Fandango, 2018) vincitore di numerosi premi fra cui il Premio Piersanti Mattarella e il Premio Europeo di giornalismo giudiziario e investigativo.


LIBRI

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RIMANERE SENZA PAROLE ALL’IMPROVVISO Il nuovo libro della scrittrice coreana Han Kang di Flavia Piccinni

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erdere l’uso della parola, in modo improvviso. Perdere se stessi, e non sapere che senso restituire al proprio profilo, al proprio ricordo, alla propria aspirazione. E poi cercare - secondo uno schema noto - di tornare ad appartenersi. Utilizzando un lessico smarrito e mai conosciuto, e ritrovando il filo di se stessi utilizzando l’antico greco. È questo - e naturalmente molto altro - lo straordinario romanzo di Han Kang, appena edito da Adelphi, “L’ora di Greco” (pp.163, Euro 10.90). Si tratta di un romanzo originalissimo, pubblicato per la prima volta in Sud Corea nel 2011, che si discosta fortemente dai suoi lavori “L’ora di greco” precedenti, entrando Han Kang in una dimensione più Adelphi, 2023 contemplativa e meno 163 pagine, 18 euro narrativa. L’autrice, già nota per il best-seller internazionale “La vegetariana”, si avventura in un territorio che mescola il filosofico con il quotidiano, offrendo al lettore un

tessuto di riflessioni intorno al concetto di tempo e mortalità, di coerenza personale e di rinuncia contemplativa. Il romanzo si sviluppa attraverso una serie di meditazioni che sfiorano il monologo interiore, struttura che ricorda quella molto cara a Virginia Woolf. Tuttavia, a differenza di Woolf, Kang predilige una narrazione più distaccata, meno immersiva nelle profondità dei personaggi. I riferimenti all’arte ricorrenti in tutte le opere dell’autrice - si trasformano in metafore per esplorare la fluidità del tempo e la percezione della realtà. Il linguaggio utilizzato è sobrio e misurato, ma l’autrice non manca di evocare immagini potenti che si affiancano a descrizioni che appaiono come pennellate impressioniste. In conclusione, “L’ora di Greco” si presenta come un’opera che esplora temi universali con una prospettiva originale, accompagnando il lettore in una Seoul anomala che freme di sensualità malcelata e di limiti inaspettati.


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