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COME NASCE NEL CERVELLO IL SENTIMENTO DELL’AMORE
from Brain. Febbraio 2023
by Brain
Fin dove possiamo riuscire a comprendere razionalmente le nostre emozioni?
di Donatella Marazziti*
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*Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sezione di Psichiatria Università di Pisa, Saint Camillus- Unicamillus University of Medical Sciences, Roma
“Gli uomini devono sapere che dal cervello e solo dal cervello derivano piacere, gioia, riso, scherzo, così come tristezza, pena, dolore e paure. Grazie al cervello noi possiamo pensare, vedere, sentire”. (Ippocrate, V sec. A.C) chiaramente implicito in questa
Senza dubbio l’affermazione di Ippocrate, uno dei medici più famosi dell’antichità ed a cui si attribuisce il giuramento tuttora declamato dai neolaureati in Medicina, può sembrare confortante, perché fa pensare che praticamente da sempre si sapesse che il cervello è la sede delle emozioni, in effetti non è così: per lungo tempo, emozioni e pensiero sono stati a lungo considerati espressioni di processi diversi, localizzati in organi distinti e, quindi, profondamente antitetici.
Per quanto riguarda l’amore, gli antichi greci ritenevano che fosse necessario l’intervento di un dio, Eros, che si divertiva a scagliare le sue frecce sui miseri mortali, rendendoli schiavi della passione, come se l’amore dipendesse da un fattore esterno all’uomo, in grado di soggiogarlo contro la sua volontà. Eros è un dio antichissimo, la cui creazione sarebbe contemporanea a quella della terra, emergendo entrambi dal caos primordiale, oppure la sua origine viene fatta risalire all’uovo primitivo le cui metà danno origine alla terra ed al cielo: anche nel mito, si sottolinea che l’amore è una forza fondamentale del mondo, che nasce con esso, che serve ad assicurare non solo la continuità della specie, ma la coesione e l’armonia dell’universo intero. Col passare del tempo, Eros viene rappresentato con le sembianze di un bambino, eppure, sotto l’aspetto innocente, nasconde un’estrema crudeltà che si manifesta con le ferite laceranti delle sue frecce che non risparmiano né dei, né uomini.
Gli antichi greci ritenevano che fosse necessario l’intervento di un dio, Eros, che si divertiva a scagliare le sue frecce sui miseri mortali, rendendoli schiavi della passione, come se l’amore dipendesse da un fattore esterno all’uomo, in grado di soggiogarlo contro la sua volontà.
Primo Piano
concezione un giudizio negativo sul sentimento amoroso, che si estende anche alle altre emozioni, considerate di gran lunga inferiori al pensiero logico. Platone, così come tanti altri filosofi e poeti, si scaglia contro Eros nel “Convivio” e lo considera un demone nato da povertà ed espediente, sempre agitato ed insoddisfatto.
Anche Lucrezio, così come i seguaci di Epicuro, dà un giudizio negativo della passione amorosa, ma nello stesso momento, ce ne offre una descrizione altamente poetica e struggente.
Cartesio localizza la sede delle passioni nella ghiandola pineale o epifisi, quindi si assiste a un ritorno al cervello che da allora non è stato più messo in discussione.
Dalla Filosofia Alla Scienza
Se prima il dibattito era di competenza filosofica, nell’ultimo secolo si è andato progressivamente spostando in ambito scientifico e poi neuroscientifico, fino ai nostri giorni, in cui vediamo che la ricerca biologica non fa che aggiungere tasselli al complesso mosaico dei meccanismi nervosi delle emozioni.
A questo si é affiancata la consapevolezza moderna che il corpo è il teatro dove le emozioni si manifestano e che nessun stato d’animo può estrinsecarsi senza la stretta collaborazione tra sistema nervosa centrale, sistema nervosa autonomo e organi periferici. Ad esempio, sappiamo di essere innamorati perché ce lo dice la corteccia cerebrale che è in grado di interpretare nella maniera giusta il batticuore e la sensazione di svenimento che ci prende quando incontriamo il nostro partner e che sa distinguere benissimo che questo stato d’animo, pur presentandosi con le stesse modalità, non è la reazione da paura che proviamo quando siamo spaventati da qualcosa o qualcuno. Anche se l’amore nasce nel cervello, senza sintomi periferici non ci sarebbe nulla da inter- pretare: questo vuol dire che il corpo è il teatro delle emozioni.
Quindi, solo dalla perfetta armonia ed integrazione delle varie componenti del nostro organismo derivano le emozioni ed i sentimenti e solo la corretta interpretazione che ne dà il nostro cervello ne rende possibile la consapevolezza, acquisizione umana che, a sua volta, è alla base della progettualità, della pianificazione delle strategie ed anche del controllo delle emozioni troppo dolorose, come avviene nel caso dell’ amore quando il sentimento non è ricambiato.
Come facciamo a dire che certe aree cerebrali e i neurotrasmettitori sono coinvolti nel sentimento amoroso?
Esiste tutta una serie di osservazioni che derivano da studi di lesione o rimozione chirurgica compiuti su animali, o effettuate su pazienti con gravi danni neurologici, dovuti a traumi cranici, interventi neurochirurgici per tumori estesi o ictus cerebrali.
Molto recentemente, i possibili substrati anatomici dell’amore sono stati esplorati con le più moderne tecniche di indagine della funzionalità cerebrale, quali la tomografia ad emissione di positroni (PET), ma siamo in una fase molto iniziale, anche se promettente. Sono stati comunque effettuati diversi esperimenti mostrando a soggetti innamorati la fotografia del partner o immagini neutre: non si può ancora concludere molto dai risultati di questi studi che non sono univoci, ma, senza dubbio, in futuro, assisteremo ad un uso sempre più ampio della PET in ambito sia di ricerca che clinico.
Esperimenti E Ricerca
Mettendo insieme tutti i dati attualmente disponibili, possiamo dire che strutture come i lobi frontali, il lobo limbico e, in particolare, l’amigdala, l’ippocampo e le aree del setto, sem- brano svolgere un ruolo fondamentale nell’ elaborazione delle emozioni legate alla passione amorosa, anzi, qualche neuroscienziato parla di un vero e proprio circuito dell’amore che coinciderebbe con quello del cervello sociale. Non tutto il lobo frontale, però, sembra così importante, ma solamente le parti più anteriori, poste davanti all’ area che regola il movimento volontario, e che si chiamano prefrontale ed orbito-frontale. Individui con lesioni circoscritte in queste zone mostrano, infatti, un’ intelligenza normale, memoria e linguaggio immodificati, raziocinio pressoché intatto, ma una ridotta capacità di prendere una qualsiasi decisione, insieme ad un appiattimento delle emozioni e dei sentimenti. Anche i pazienti con depressione possono presentare un appiattimento affettivo, ma soffrono immensamente per questa condizione che si definisce “mancanza dei sentimenti” al punto che alcuni scelgono di suicidarsi piuttosto che sentirsi “già morti dentro”, come “gusci vuoti”, senza più affetto per i loro cari, come loro stessi riferiscono; al contrario, i pazienti con lesioni prefrontali non se ne preoccupano affatto ed appaiono fatui, leggeri, senza nessuna risonanza o vibrazione emotiva.
Il ruolo dell’amigdala nell’elaborazione delle emozioni è emerso fin dai primi esperimenti compiuti su scimmie a cui venivano asportati chirurgicamente i due lobi temporali in cui sono contenuti appunto amigdala e ippocampo. Le scimmie apparivano docili, tendevano a toccare ogni oggetto visibile e a non riconoscerlo, mostravano un aumento della sessualità ed anche tendenze omosessuali e mangiavano in continuazione cibi anomali. Lesioni più circoscritte hanno evidenziato che la docilità sembra una caratteristica della distruzione di tutte e due le amigdale, la cui stimolazione provoca, invece, reazioni intense di paura e rabbia, associate a numerose modificazioni viscerali, come variazioni del battito cardiaco, della respirazione, della pressione arteriosa, identiche a quelle che si verificano in numerosi stati emozionali. Esistono descrizioni di pochi pazienti con lesioni limitate dell’amigdala che però sono molto interessanti: tali individui mostrano disturbi del comportamento emozionale e sociale ed, in particolare, manifestano una profonda alterazione della capacità di valutare gli aspetti più sottili e qualitativi delle emozioni ed il significato affettivo di quanto accade intorno a loro: si parla a questo proposito di “cecità affettiva”. Alcuni di questi pazienti non sanno distinguere i familiari dagli sconosciuti, non riescono a capire il significato delle espressioni facciali e restano indifferenti di fronte a fatti spiacevoli; inoltre sembra compromesso più il riconoscimento delle espressioni negative rispetto a quelle positive. Se il danno è più ampio e coinvolge la vicina corteccia del giro del cingolo, questi pazienti, oltre ai sintomi appena menzionati, non riescono più a piangere, un comportamento presente solo nella nostra specie, ma non se ne preoccupano, visto che non trovano mai nulla per cui piangere.
Se prima il dibattito era di competenza filosofica, nell’ultimo secolo si è andato progressivamente spostando in ambito scientifico e poi neuroscientifico, fino ai nostri giorni, in cui vediamo che la ricerca biologica non fa che aggiungere tasselli al complesso mosaico dei meccanismi nervosi delle emozioni.
L’amore, dunque, è un processo complesso da un punto di vista neurobiologico con specifiche caratteristiche emozionali, comportamentali e cognitive, alcune delle quali sono presenti anche nei mammiferi.
La prima tappa dell’amore è l’innamoramento che è una specie di improvviso diluvio biochimico nel cervello con modificazioni drastiche dei neurotrasmettitori, quali serotonina, dopamina, nordrenalina e oppioidi endogeni.
Oltre alla riduzione dei sistemi dell’ansia e delle paura, nonchè alla disattivazione delle aree che regolano il raziocinio e la logica, nell’estrinsecazione dell’amore entrano in gioco anche la motivazione e il piacere. Nel nostro cervello esistono però dei centri che sembrano coinvolti quasi esclusivamente nella regolazione del piacere e della gratificazione: si tratta delle aree del setto. Negli animali da esperimento la stimolazione di queste aree con elettrodi evoca le cosiddette reazioni da piacere: gli animali, inoltre, se liberi di autostimolarsi, trascurano ogni altro attività, perfino di mangiare e bere. Nell’ uomo non sono stati ancora trovati dei centri specifici del piacere, anche se le prime indagini effettuate con la PET, peraltro molto eterogenee, sembrano evidenziare che le emozioni positive possono attivare numerose aree cerebrali, oltre alle “classiche” aree del setto e del lobo limbico già menzionate, e in particolare il circuito dopaminergico che dai nuclei tegmentali va al nucleo accumbens e alla corteccia cerebrale.
La Paura Senza Paura
L’amore, dunque, è un processo complesso da un punto di vista neurobiologico con specifiche caratteristiche emozionali, comportamentali e cognitive, alcune delle quali sono presenti anche nei mammiferi. La prima tappa dell’amore è l’innamoramento che è una specie di improvviso diluvio biochimico nel cervello con modificazioni drastiche dei neurotrasmettitori, quali serotonina, dopamina, nordrenalina e oppioidi endogeni. Si tratta di una vera e propria reazione di allarme che diventa invece piacevole per l’intervento dei circuiti del piacere descritti poco sopra e che può durare a lungo grazie a una piccoola molecola che si chiama ossitocina. Potremmo quindi definire l’amore una paura senza paura.
È senza dubbio affascinante, e non fantascientifico, come qualcuno potrebbe pensare, sostenere che certe emozioni, come l’innamoramento e l’amore, vengano ricercate spontaneamente perché attivano dei circuiti cerebrali in grado di suscitare sensazioni positive che sono in grado di modulare anche il sistema immunitario e di promuovere il benessere e la salute dell’individuo.
Ancora più affascinante è constatare che si tratta di una ricerca spontanea: non ce lo deve insegnare nessuno che amare ed essere riamati rappresenta la gioia più grande della vita, superiore ad ogni gratificazione economica o successo personale, è una consapevolezza iscritta da sempre nella nostra memoria umana. A questo punto sorge spontanea una domanda: l’amore appartiene a quella piccola percentuale di geni che ci differenziano dagli altri mammiferi? Oppure è stato acquisito con l’evoluzione a partire dai primi umanoidi? O ancora è una proprietà che è emersa quando il nostro cervello ha raggiunto il suo attuale sviluppo?
Sviluppi Futuri
Non possiamo rispondere a queste domande in maniera esauriente: secondo noi, però, l’amore si manifesta quando appare la corteccia cerebrale che suscita la consapevolezza dell’esistenza dell’individuo come essere in grado di provare sentimenti e di discernerli qualitativamente gli uni dagli altri. La corteccia può, inoltre, mobilitare energie e meccanismi per attuare e far sviluppare l’ amore ed evocare la gioia che riesce a dispiegarsi quando questo sentimento si realizza pienamente, così come può suscitare il dolore dovuto alla sua mancanza o incompletezza. La gioia, o la sofferenza legata all’ amore, è così profonda e coinvolge così tante strutture cerebrali che può assorbire tutte le nostre energie psichiche e fisiche e penetrare così tanto il nostro essere che traspare dal nostro sguardo e dai nostri gesti: si può fingere di amare, ma non si può fingere di non amare o di non soffrire per amore.
Chissà che prima o poi con la PET non si riesca a capire se amiamo o meno per davvero, in base a quante e quali zone del cervello sono coinvolte: potremmo evitare molti equivoci o sofferenze inutili. Non è così lontana da noi questa possibilità: pensate che già siamo in grado di poter distinguere un sorriso vero, dovuto cioè, ad un’emozione realmente provata, da uno simulato (tranne che nei grandi attori che riescono a provare realmente un’ emozione), in quanto i due tipi di sorrisi coinvolgono muscoli diversi, la cui attività si può registrare.
O forse, nel caso dell’amore è comunque preferibile affidarci alle sensazioni soggettive: non crediamo, infatti, che compito della scienza sia quello di sostituirsi all’ individuo nelle sue scelte personali, ma solo di aiutarlo a comprendersi meglio affinché possa realizzarsi completamente e dispiega- re appieno le sue capacità, non solo quelle intellettive che possono avere un’immediata ricaduta nella vita del singolo, ma anche quelle emozionali e sociali. Oggi sappiamo, infatti, che le prime sono strettamente legate alle seconde, anzi sono inscindibili: un individuo senza sentimenti, l’abbiamo già visto, pur apparentemente normale, normale non lo è affatto e, quindi, una conoscenza più approfondita dei meccanismi delle emozioni non potrà che arricchirci come individui e migliorare anche la nostra società. Se le implicazioni legate alle emozioni “negative”, come l’aggressività o la violenza sono evidenti, può risultare difficile individuare l’impatto sociale dell’amore. Eppure, il rapporto di coppia è la cellula fondamentale della società e rappresenta il microcosmo di ogni altra aggregazione sociale.
Come scrive lo scrittore Sandor Marai, da un lato “dobbiamo ammettere che se amiamo qualcuno non è per le sue caratteristiche individuali, bellezza o capacità, …ma solo perché nell’universo c’è una volontà che non possiamo comprendere nella sua reale natura, e che si svela in forme casuali per rinnovare il mondo in una perenne rotazione, una forza che tocca gli animi e i nervi secondo criteri incomprensibili, e stimola gli ormoni al punto da offuscare anche le menti più brillanti.” Dall’altro non siamo d’accordo con la sua affermazione che “noi esseri umani siamo qui a cercare di capire questa forza misteriosa, incapaci di decodificare i suoi intenti”, perché, al contrario, la ricerca scientifica sta svelando non solo le basi neurobiologiche dell’amore, ma i suoi scopi primari che non sono solo la perpetuazione della vita individuale, ma la gioia più piena della nostra esistenza che deriva dalla vicinanza, intimità e comunione con un altro essere umano.
È senza dubbio affascinante, e non fantascientifico, come qualcuno potrebbe pensare, sostenere che certe emozioni, come l’innamoramento e l’amore, vengano ricercate spontaneamente perché attivano dei circuiti cerebrali in grado di suscitare sensazioni positive che sono in grado di modulare anche il sistema immunitario e di promuovere il benessere e la salute dell’individuo.