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LA CURA DEI DISTURBI MENTALI È PER SEMPRE?
from Brain. Febbraio 2023
by Brain
Una domanda che non è semplice curiosità e a cui ogni specialista dovrebbe dare una risposta
*Istituto di Psicopatologia - Roma
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So per esperienza che, quando visito per la prima volta una persona, dopo aver chiarito la diagnosi e spiegato la terapia, mi sentirò chiedere “dottore, ma per quanto tempo dovrò prendere questi farmaci?”. Questa domanda nasce spesso dal bisogno di avere maggiori informazioni sul proprio disturbo e sulle sue terapie, un atteggiamento positivo che facilita il processo terapeutico, e dare una risposta è importante per creare un rapporto di fiducia con la persona.
Per quanto ogni caso sia a sé e una risposta precisa possa venire solo osservando l’evoluzione del quadro clinico nel tempo, è possibile fare una previsione di massima facendo riferimento alle linee guida scientifiche, all’esperienza personale e tenendo conto del tipo di disturbo, della sua gravità e durata e del rischio di ricaduta una volta risolta la fase acuta.
Per il lettore interessato riassumerò i tempi previsti e le modalità di uscita dalla cura per le patologie più comuni.
LA DURATA DELLE CURE PER I DISTURBI D’ANSIA
Nel caso del disturbo di panico sono necessari circa 1 mese per bloccare gli episodi acuti e altri 1-2 mesi per superare la paura della paura (“ansia anticipatoria”) e la perdita di autonomia (“evitamento”). Per “consolidare” il risultato ottenuto si prosegue la terapia a dosaggio pieno per ulteriori 8-12 mesi e poi si procede alla sua graduale riduzione fino alla totale sospensione. In caso di ricaduta, che può non avvenire mai oppure dopo molti mesi o anni, si ripete lo stesso percorso terapeutico. Se si verificano ricadute multiple la terapia deve essere proseguita a lungo termine ma ad un dosaggio molto basso.
Per il disturbo ossessivo compulsivo il tempo solitamente necessario per ottenere una riduzione dei sintomi e, possibilmente, la loro completa scomparsa, è di 2-3 mesi. Sono necessari ulteriori 6 mesi per stabilizzare i risultati prima di cominciare a ridurre fino a dimezzare il dosaggio del farmaco. Da questo punto in poi la decisione su come procedere varia di caso in caso. Se si è trattato di un episodio non grave e/o di breve durata si sospende gradualmente la cura, altrimenti si prosegue a dose ridotta per tempi più lunghi e, talvolta, a tempo indeterminato.
Nel caso del disturbo di panico sono necessari circa 1 mese per bloccare gli episodi acuti e altri 1-2 mesi per superare la paura della paura (“ansia anticipatoria”) e la perdita di autonomia (“evitamento”).
Per “consolidare” il risultato ottenuto si prosegue la terapia a dosaggio pieno per ulteriori 8-12 mesi e poi si procede alla sua graduale riduzione fino alla totale sospensione.
La durata del trattamento farmacologico per l’ansia sociale e per l’ansia generalizzata varia in genere da 8 a 12 mesi.
Per tutti i disturbi sopra menzionati integrare la cura medica con una terapia cognitivo comportamentale e/o un percorso di mindfulness, oltre ad aiutare a risolvere prima e meglio la fase acuta, riduce il rischio di ricaduta e quindi aumenta la possibilità di continuare a stare bene senza farmaci.
I DISTURBI DELL’UMORE E LA SCHIZOFRENIA
Più complicato è decidere se e quando ridurre o sospendere la cura nel caso dei disturbi dell’umore (depressione, disturbo bipolare) e della schizofrenia perché sono condizioni con un alto rischio di ricaduta e ogni ricaduta, oltre a causare una grande sofferenza personale, ha pesanti ripercussioni sulla vita sociale, lavorativa e familiare.
Se si tratta di un primo episodio depressivo o di una depressione sporadica, se cioè in passato ci sono stati pochi episodi depressivi separati da anni di benessere, la durata prevedibile del trattamento farmacologico è di 7-10 mesi e, come per i disturbi d’ansia, associare una terapia cognitivo comportamentale (anche basata sulla mindfulness) può ridurre il rischio di ricadute.
Se si tratta invece di una depressione ricorrente, se cioè gli episodi sono stati molti o ravvicinati nel tempo, per prevenire ulteriori ricadute bisogna considerare un trattamento a lungo termine che, nelle forme più gravi, può essere anche a tempo indeterminato. Durante la fase preventiva, anche se la persona sta bene da molto tempo, non si dovrebbe ridurre il dosaggio dei farmaci per non perdere l’effetto protettivo.
Per chi soffre di un disturbo bipolare un trattamento a lungo termine è la regola perché, in assenza di cure, tende facilmente a ripresentarsi e ogni ricaduta riduce la risposta alla terapia e aumenta il rischio di ulteriori episodi. In situazioni ben selezionate è comunque possibile limitare la terapia ai soli stabilizzatori dell’umore e, eccezionalmente, sospenderla dopo anni di benessere.
Un trattamento a tempo indeterminato è previsto anche per la maggior parte delle persone che soffrono di schizofrenia, un disturbo particolarmente grave e che si riattiva facilmente in assenza di una terapia di mantenimento. Ma persino in questa patologia si può considerare un’eventuale riduzione e/o sospensione della cura dopo 2 anni di benessere, se si è trattato di un primo episodio non grave, o dopo 5 anni di benessere se in passato ci sono stati pochi episodi non gravi.
I Dubbi
Una volta date le informazioni relative al singolo caso osservo che la maggior parte delle persone si tranquillizza all’idea che nel momento in cui prescrivo la cura ho già in mente un preciso percorso terapeutico. Un percorso che prevede, se ci saranno le condizioni, la sospensione o quanto meno la riduzione del dosaggio del farmaco assunto.
Vale per la maggior parte ma non per tutti.
Qualcuno, infatti, è spaventato dall’idea di non poter sospendere la terapia appena scomparsi i sintomi per potersi considerare “definitivamente guarito” e con questo allontanare le paure che ancora oggi evocano i disturbi psichiatrici (follia, vergogna, inaffidabilità) e i farmaci che li curano (sedazione, danni fisici, dipendenza).
In questo caso cerco di aiutare la persona a comprendere che il suo ragionamento inverte il rapporto causa effetto. In psichiatria come nel resto della medicina, non è l’assunzione di un farmaco a “certificare” la presenza di un disturbo ma viceversa, cioè è la presenza di un disturbo che rende necessario assumere un farmaco. Quindi non seguire le cure non significa non stare male ma anzi peggiorare il proprio stato.
Altri, delusi, osservano “Ma allora, se devo prendere un farmaco per tanto tempo, e forse a vita, significa che non è curativo ma è un semplice palliativo”.
Si tratta di una considerazione legata ad una concezione di cura non aderente alla realtà attuale.
L’idea che una terapia per essere considerata “curativa” debba risolvere definitivamente un disturbo deriva da quello che accade nelle malattie infettive. Un agente esterno, per esempio un batterio, causa un’alterazione nell’organismo, per esempio un’infiammazione della gola, per cui si assume un antibiotico che dopo aver eliminato il batterio può essere sospeso.
Ma le malattie infettive sono una piccola area della medicina, nella maggior parte degli altri casi modalità e tempi di cura seguono regole ben diverse. Per rimanere alle patologie più comuni, come per esempio l’ipertensione, l’ipercolesterolemia, il reflusso gastro-esofageo, il diabete, l’ipotiroidismo (e l’elenco sarebbe lunghissimo), è necessario proseguire a lungo le terapie anche quando la persona sta bene per evitare la ricomparsa dei sintomi. Esattamente quello che accade per i disturbi psichiatrici più importanti, come la depressione con frequenti ricadute o i disturbi bipolari. Questo significa che i farmaci utilizzati in psichiatria sono “curativi” tanto quanto quelli usati nel resto della medicina come gli anti-ipertensivi, le statine, gli ormoni tiroidei ecc… In altre parole, gli strumenti terapeutici oggi a disposizione dello psichiatra hanno una capacità curativa simile a quella degli strumenti che hanno a disposizione gli altri medici, sono cioè in grado di risolvere un disturbo e di evitare che si ripresenti ma non sempre di “eliminarlo definitivamente” tanto da poter fare a meno delle cure.

Una Riflessione Finale
In genere concludo le mie riflessioni su questo argomento ricordando alla persona che il nostro obiettivo comune è recuperare il benessere e mantenerlo nel tempo. Se questo, per i limiti delle terapie oggi disponibili, significa dover prendere a lungo una pillola, per quanto sia una seccatura è sempre meglio di ulteriori ricadute con tutta la sofferenza e le pesanti conseguenze che queste comportano.
Per chi soffre di un disturbo bipolare un trattamento a lungo termine è la regola perché, in assenza di cure, tende facilmente a ripresentarsi e ogni ricaduta riduce la risposta alla terapia e aumenta il rischio di ulteriori episodi.