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spazio dalladonna scuola
LA FORZA DELLA FRAGILITÀ
La fragilità è una condizione universale a cui nessuno può sottrarsi, sarebbe più conveniente accettarla, riconoscerla e trattarla come parte inscindibile dall’essere umano
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Eva Bandini
uante volte ci è capitato di leggere su un imballaggio la parola “fragile”? Essa lascia subito intendere che il contenuto ha biso‐ gno di un’attenzione maggiore, bisogna maneggiarlo con cura. Ciò che è fragile si rompe o si spezza facilmente, ma si può anche riparare. E se siamo noi a essere fragili? Magari per una malattia, una sofferenza o anche solo per un momentaneo disagio. Troviamo negli altri cura e attenzio‐ ne? Non sempre. Nella società moderna per “andare avanti” bisogna essere indistruttibili e tutti d’un pezzo, altrimenti si viene schiacciati, perché la fragi‐ lità è come una sanguinosa ferita che attira gli squali e se siamo vulnerabili, troviamo chi se ne approfitta. Non bisogna pensare che questa visione sia del tutto nuova. Verso i primi anni dell’Ottocento, Georg Büchner scriveva “Woyzeck“, la vicenda di un soldato po‐ vero, ignorante e con una famiglia sulle spalle, di cui alcuni scienziati si approfit‐ tano e, in cambio del denaro di cui ha bisogno, lo riducono ad una cavia da labora‐ torio. È una storia che può essere ancora molto attuale. Chiunque mostri fragilità o è in una condizione di bisogno è esposto al rischio che gli altri lo sfruttino o prevari‐ chino a suo danno. Per questo motivo la fragilità viene spesso nascosta, ma celare qualcosa non la fa smettere di esistere. Nel suo saggio “L’uomo di vetro. La forza della fragilità”, lo psichiatra Vittorino An‐ dreoli offre un punto di vista alternativo che ribalta la convinzione secondo la quale la fragilità sia una manifestazione di debolezza; anzi, secondo Andreoli dalla consapevo‐ lezza della nostra fragilità possono nascere rapporti umani più veri. Lo studioso dichiara che “la fragilità è all’origine della comprensione e della sensibilità per capire in quale modo aiutare ed essere aiutati.” Se ci si pensa attentamente, è vero. La fragilità è una condizione universale a cui nessuno può sottrarsi, nonostante gli innumerevoli difficili tentativi. Sarebbe più conveniente accet‐ tarla, riconoscerla e trattarla come parte inscindibile dall’essere umano. Così facendo, risul‐ terebbe più semplice instaurare rapporti con le altre persone, perché troveremmo proprio nel‐ la fragilità un punto in comune e potremmo trasformarla in una forza capace di donare sere‐ nità e “momenti persino di ebbrezza.” “Ma se ti svegli e hai ancora paura, ridammi la mano”, così dice Fabrizio De André nella sua canzone “Hotel Supramonte” per invitarci a non temere di mostrare una nostra fragilità e a fi‐ darci dell’altro. Per cambiare la visione della società sulla fragilità, però, bisogna smascherare la prospettiva con cui ci viene presentata la vita attraverso i media, i social e la televisione. Essi ci vogliono perfetti sotto ogni punto di vista e “performanti” e molti si adeguano, dando di sé un’immagine falsa: appa‐ riamo forti, sicuri e determinati, ma anche in competizione con gli altri. Riflettiamo su come ciò ci stia trasformando in una società nevrotica e in costante apprensione per essere qualcosa che non si è. Se volgiamo lo sguardo al passato, troviamo qualche spunto interessante di riflessione. Gli eroi non erano “perfetti”, ma avevano elementi di debolezza che li rendevano più simili all’uomo. Eroi come Achille o Ulisse non sono infatti privi di punti deboli. Achille aveva il tallone, l’unica parte del corpo che non era invulnerabile e che per una ferita sarà la causa della sua morte. Ulisse d’altro canto mostra numerose fragilità emotive che lo rendono umano. Egli soffre per la nostalgia della patria quando è bloccato sull’isola con la ninfa Calipso. Prova paura di fronte al Ciclope e al rischio di essere ucciso, si dispera per la perdita dei compagni a causa di Scilla e Cariddi, sente il terrore durante i naufragi. Emo‐ zioni che proviamo anche noi senza essere eroi. Ma queste emozioni arricchiscono la nostra vita, ci iden‐ tificano, ci fanno vivere da esseri umani e non come robot. Nel film “Il cigno nero” il regista Darren Aronofsky affronta il tema della fragilità raccontando la storia di una ballerina che ottiene il tanto ambito ruolo da protagonista. Il suo maestro per farle dare il meglio di sé, la porta ad uno stato di stress che intacca la fragile mente già alla ricerca ossessiva della perfezione. Nessuno sembra comprenderla e la disperazione aumenta, al punto che alla fine dello spettacolo muore. Questo film può farci sorgere una domanda: la debolezza della protagonista è comprensibile, ma se qualcuno l’avesse ascoltata, sarebbe morta? Siamo tutti fragili; forse se lo riconoscessimo, si vedrebbe uno spiraglio di luce nella costruzione di una so‐ cietà più solidale e attenta ai bisogni di tutti.
Le B U R RIC HE