Afghanistan ultimo atto
La parola d'ordine della comunità internazionale in Afghanistan all'inizio del 2010 fu surge. Ossia il rafforzamento della presenza militare ed, in qualche misura, anche civile, in conformità con quanto scaturito dalla nuova politica dell'amministrazione USA e, in particolare, del suo presidente Barack Obama. Una volontà di alzare la posta in gioco, seguita dall'annuncio di un'ipotetica data d'inizio rientro delle truppe: estate 2011. Una contraddizion~? Può sembrare. Ma i vari attori si precipitarono a spiegare che i soldati extra sarebbero serviti per un'offensiva in grande scala nelle aree del sud controllate dai talebani. Ossia, per finire il lavoro, in vista di un disimpegno. La prima azione concreta del nuovo ciclo, forte dei primi ventimila soldati americani giunti di rinforzo, fu l'attacco sferrato a Marjah. Per settimane il distretto ribelle della provincia di Helmand fu messo a ferro e fuoco, con l'intendimento di riconsegnarlo agli amministratori legati al governo centrale. I risultati di quell'operazione non sono stati del tutto chiari. A prescindere dagli scontati successi militari dell'Alleanza, non si è mai compreso bene se gli uomini di Karzai siano poi stati in grado di esercitareil governo. Secondo alcuni giornalisti anglosassoni che osarono avventurarsi in quel remoto sud, dei talib non vi era traccia durante il giorno, ma col calare delle tenebre rispuntavano porta a porta, per ricordare alla disorientata popolazione locale chi erano i veri padroni e lanciare sinistri messaggi contro eventuali collaboratori degli occidentali e dei loro luogotenenti locali. Di Marjah non si parlò più dopo il 20 giugno. Da quel giorno la stampa di tutto il mondo focalizzò il suo interesse su un lungo articolo che la rivista americana di musica, politica e cultura «Rolling Stone>>, aveva dedicato al comandante ISAF Stanley McChrystaL Un 123