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Ritorno alla grande attualità
from SENZA PACE
sei imborghesito anche tu? Era ora - mi disse. Scossi la testa: non proprio, Gigi, vado a Kabul. E te pareva, fu la risposta.
In aeroporto fummo prelevati da Uberto Incisa, un amico artigliere approdato anche lui alla UE. Ci portò dritti in uno dei pochi ristoranti della capitale belga ancora aperti, dove ci aspettava Michael Giffoni, ascoltato consigliere di Javier Solana e oggi ambasciatore a Pristina. Rimanemmo a parlare a lungo dopo cena, in pratica fino a quando non fummo cacciati dall'ultimo cameriere rimasto.
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Buona parte della mattinata dedicata ai briefing la trascorsi con Giovanni Manione, un generale degli alpini talmente innamorato dell'Afghanistan (e ottimista) che alla fine del periodo di comando ITALFOR aveva comprato una casetta in un piccolo villaggio fuori Kabul. Poi una lunga chiacchierata con Cristina Gallach e via all'aeroporto, destinazione Dubai.
Ritorno alla grande attualità
Gli occidentali che arrivano al mattino nella capitale afghana con il volo da Dubai sono di due tipi: quelli dalle facce stralunate e quelli dai volti straniti. I primi, per la notte insonne dopo il volo intercontinentale che li ha scaricati prima dell'alba negli Emirati, gli altri -i nuovi arrivati - assai preoccupati per quello che li attende. Io, una cosa a metà: detesto i voli notturni, ma avevo dormito tutto il tempo, salito a bordo semidistrutto, dopo il tour de force italobelga-americano. Quanto a quello che mi attendeva più o meno lo sapevo, se non era una Baghdad, poco ci mancava; e poteva anche diventare peggio.
Il gelido inverno di Kabul mi fece rimpiangere l'equatore di Diii. Tuttavia ero passato da zero press alla postazione che più conta per gli inviati di tutto il mondo. Tornavo nel grande giro della stampa internazionale. Bastava vedere l'apertura e chiusura dei servizi delle grandi agenzie internazionali. Iniziavano e finivano con l'Afghal)istan; un numero di lanci quotidiani che batteva notevolmente ogni altra zona di crisi. Vi stazionavano giovani freelance ed inviati di prima nomina, ma anche un buon numero di acclamati reporter. I.:ufficio dell'Associated Press di Baghdad trasferito in blocco a Kabul,
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con Bob Reid e Fisnik Abrashi, sempre a scrivere come forsennati. Tener dietro a tutto quello che accadeva in ogni angolo del Paese era )• un impresa.
Nel quinquennio precedente, l'attenzione dei media era stata relativa sia per la maggiore gravità del conflitto iracheno che per l'apparente tranquillità dell'Afghanistan. Apparente, appunto. Nel corso del 2007, calato il sipario su Baghdad, l'ombra di Kabul si avvicinava sempre più minacciosamente.
Un primo segnale in realtà lo avevo registrato, casualmente, l'anno prima a New York. Linviato ONU in Georgia, Jean Arnault, nonché capo delle Nazioni Unite a Kabul nel biennio '04-05, si era riunito alla delegate's lounge del Palazzo di Vetro con un gruppo di ex della missione. Mi trovavo anch'io lì e andai a salutarlo. Non vedevo Jean - francese di grande comunicativa - dai tempi della Namibia; mi chiese di rimanere con loro, cosa che feci volentieri prendendo posto vicino all'amica Shayma. Ascoltai in silenzio cose di cui sapevo poco o niente. Tutti o quasi convenivano sul fatto che alcuni errori della comunità internazionale in Afghanistan nei primi anni post intervento armato sarebbero stati pagati cari e in un futuro neanche troppo lontano. Se non avessi conosciuto il rigore intellettuale di Arnault - in seguito nominato vice direttore politico all'ONU - avrei forse dubitato di previsioni così fosche. Tornandomi alla mente quella riunione di due anni prima realizzai che sapevano bene di cosa stessero parlando
Anche in Italia il risveglio del fronte afghano era stato brusco e soprattutto tragico. Sul finire del 2007 i talebani avevano sferrato nei confronti del nostro contingente uno degli attacchi più odiosi mai registrati. In occasione della inaugurazione alla periferia di Kabul di un ponte costruito dai genieri di Piacenza, un attentatore suicida si era fatto esplodere, lasciando sul terreno il maresciallo leccese Daniele Paladini e nove afghani. Che le cose non stessero andando per il verso giusto lo cominciarono a capire anche a Roma. Tuttavia non tutti ebbero la percezione che la situazione si sarebbe progressivamente deteriorata.
D'altronde, anche per il governo di centro-sinistra non c'erano molte alternative. Nonostante la coalizione includesse elementi fortemente critici, la solidarietà atlantica su quella missione non si
