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Dolce Skopje
from SENZA PACE
L'avventura, al termine del mandato dell'Autorità di coalizione a Nassiriyah, si sarebbe dovuta concludere conflùendo nella missione delle Nazioni Unite; questo almeno Giandomenico Picco ed altri osservatori avevano ipotizzato quando m'imbarcai nella spedizione a guida anglo-americana del dopoguerra iracheno.
Così non fu. L'ONU dopo l'attentato che decapitò i vertici della missione - tra cui lo stesso rappresentante speciale Sergio Vieira de Mello - disorientata dal tragico fatto, per un certo tempo si tenne alla larga dal Paese. Non mi restò che tornare a New York e presentarmi col cappello in mano al Palazzo di Vetro per farmi perdonare il fatto di aver preso parte ad una missione non autorizzata dal Consiglio di sicurezza, perorando un rientro in tempi brevi nell'organizzazione.
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Questi in realtà erano i miei piani. Tuttavia accadde qualcosa d'inatteso; infatti, non feci in tempo ad atterrare al JFK che giunse da Bruxelles una telefonata da parte di Francesco Bruzzese del Pozzo, un ufficiale dei carabinieri da parecchio distaccato all'ufficio operazioni dell'Unione europea. Anche se non lo sentivo da una decina d'anni, lo ricordavo benissimo quale comandante del contingente déll'Arma di supporto all'Amministrazione europea di Mostar, una presenza internazionale che aveva evitato il peggio nel capoluogo erzegovese durante l'ultima fase della guerra.
Ciao Andrea, ti ho seguito nelle varie peripezie balcaniche - esordì - ho apprezzato l'equilibrio con cui hai gestito l'informazione da Nassiriyah, abbiamo un posto vacante di addetto stampa nella nostra missione a Skopje e volevo sapere se la posizione poteva interessarti.
Lasciando Pristina, nell'autunno del 2003, pensai che l'esperienza nella ex Jugoslavia sarebbe terminata definitivamente. A distanza di
tempo, una certa nostalgia per luoghi e persone era rimasta. Non mi sembrò vero sentire che c'era una possibilità di ritorno oltre Adriatico. Misi da parte gli svantaggi derivanti da una prolungata uscita dai ranghi delle Nazioni Unite ed accettai, seduta stante.
Dovrai superare due colloqui - aggiunse il colonnello UE - se selezionato, sarai infatti alle dipendenze del rappresentante speciale dell'Unione e del comandante della missione di polizia. E sopratutto, dovrai arrivare là più veloce del vento; è previsto che il prescelto prenda servizio lunedì prossimo, improrogabilmente. Good luck.
All'indomani fui svegliato alle sette dalla telefonata di Michael Sahlin, diplomatico di rango che da un anno sovrintendeva all'attuazione degli Accordi di Ohrid, una brillante mediazione graziealla quale proprio la UE era riuscita a mettere fine alla rivolta armata della consistente minoranza albanese nella più meridionale delle ex repubbliche jugoslave.
Aveva il mio cv davanti agli occhi. Tuttavia, invece della classica domanda di routine sulle prime esperienze di un qualsiasi candidato, iniziò dall'ultima pagina, dove nella terna delle referenze era citato Carl Bildt,former High Representative in Bosnia-Herzegovina. Conosci bene Mr. Bildt? Mi chiese subito. Spiegai che in realtà lo avevo incontrato prima che assumesse, nel dopoguerra, l'incarico di alto rappresentante. La nostra più assidua frequentazione risaliva all'ultimo semestre del conflitto bosniaco, periodo in cui con Richard Holbrooke era impegnato nella shuttling diplomacy che mise fine a tre anni di guerra. Insieme all'inviato USA, da Sarajevo atterrava ogni settimana all'aeroporto di Spalato, dove io ero di base e spettava a me organizzargli l'incontro stampa.
Lintervista - brevissima - finì lì; seppi dopo che Sahhn era stato vice ministro della Difesa nel quadriennio del gabinetto Bildt ed immagino che abbia preferito chiamare il suo ex primo ministro, per saperne di più.
Il giorno successivo fu la volta di un generale della Polizei. Bruzzese mi aveva brevemente accennato al carattere piuttosto duro del capo tedesco della componente di polizia. Dal tono della prima domanda compresi che non gradiva una pubblica informazione aggressiva. Lo assecondai, affermando che i rapporti con la stampa nelle aree balcaniche erano tutt'altro che semplici (cosa peraltr:o '

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piuttosto vera) e che occorreva muoversi con cautela. Andò tutto liscio e ventiquattro ore dopo dall'ufficio del personale di Bruxelles mi comunicarono l'avvenuta selezione, ricordandomi la disponibilità data to report on duty lunedì mattina.
Ritorno nei Balcani

Da giorni bufere di neve spazzavano sia la costa orientale USA che l'intera Europa. Era solo giovedì: in qualche modo sarei arrivato a destinazione. Gli aeroporti, seppure a singhiozzo, rimanevano operativi. Assai più arduo era arrivarci in auto, cosa che mi prefiggevo di fare, per avere poi la mia autonomia e portare al seguito più agevolmente quello che mi sarebbe servito in una permanenza di dodici mesi.
Nonostante il caos riuscii ad imbarcarmi la sera stessa nell'unico AZ in partenza dal Kennedy. L'alba di Roma era gelida e nei titoli dei giornali campeggiava il maltempo. Di Skopje e dintorni sapevo che erano in una morsa di ghiaccio; decisi di avventurarmi lo stesso. Preferii una vettura che tenevo custodita nelle Marche, in qualche modo - pensai - ci sarei arrivato al porto di Ancona e da lì, mal di mare a parte, avrei raggiunto l'altra sponda dell'Adriatico; già un pezzo avanti quindi. Tuttavia non potevo immaginare che anche il viaggio in treno sarebbe stato alquanto travagliato. Il diretto si fermò per un'ora buona, causa neve, in prossimità del valico della Somma, nello spoletino, e ancor di più, lungo la salita che da Fossato di Vico conduce a Fabriano. Ci volle quasi una giornata, ma alla fine arrivai a destinazione.
Salutai mia madre, chiedendo di poter cenare più tardi. Volevo dare una riassettata all'auto ferma da un anno e riempirla alla bell'e meglio di effetti personali per la nuova missione. Naturalmente mamma non capì quale fosse il senso di un'andata-ritorno così fulminea da New York. Tantomeno comprese bene dove mi sarei avventurato l'indomani con strade piene di neve su una fragile Panda dell'87 con 200.000 km alle spalle. Non perse tempo a chiedermelo: dopo vent'anni di vita disordinata oltre confine non era il primo viaggio sconsiderato che intraprendevo, né sarebbe stato l'ultimo.
Sabato mattina m'infilai dal primo gommista di campagna, il quale tirò fuori da un soppalco una coppia di vecchie chiodate. Non aveva di meglio e non c'era tempo da perdere. Provvidenzialmente era in servizio al porto dorico un finanziere italo-americano compagno di svariate missioni. Where the hell are you going with this weather? Mi disse ridendo Paul Giaquinto, davanti al portellone della Minoan Lines in partenza per Igoumenitsa. Non era il momento per le spiegazioni; occorreva scegliere subito destinazione e traghetto. In realtà a Skopje ci si va sbarcando a Durazzo e risalendo verso il lago di Ohrid, ma immaginavo che il passo fosse chiuso - cosa che mi venne confermata senza indugio dai camionisti in sosta. Gli stessi mi dissero che, anche passando dalla Grecia, non sarebbe stato agevole. A causa del mare mosso, la partenza slittò di qualche ora e con l'amico finanziere ce ne andammo in una fumosa bettola sopra il porto, dove si mangia il miglior stoccafisso all'anconetana. Con Paul il saluto fu un arrivederci; di lì a poco mi raggiunse, tornando per la terza volta con la polizia ONU in Kosovo.
Il maltempo non diede tregua. rattraversamento della Grecia settentrionale, come preannunciato, fu assai travagliato: neve ovunque. La vecchia Panda che per dieci anni aveva arrancato sulle peggiori strade balcaniche non tradì. Al di là della nota affidabilità dell'utilitaria torinese, dovevo ringraziare il meccanico semi-autorizzato Fiat Ghani di Pristina. Seppur scassata, la presenza in officina della Pandina targata Roma di un funzionario ONU era un buon biglietto da visita: voleva dire che era un vero servizio Fiat. Nei quattro anni trascorsi in Kosovo fu trattata con le premure degne di una Ferrari. Prova ne è che ancora circola.
Al tramonto raggiunsi l'autostrada Salonicco-Skopje: era fatta! Non c'erano più valichi da superare. Varcato il confine m'infilai in uno di quei motel, in puro stile socialista, che ancora s'incontrano in quell'angolo di ex Jugoslavia e dove il tempo sembra essersi fermato. Fu il primo cibo della giornata; ingurgitai anche un bicchierino di slivovica - cosa che mi capita raramente - per scaldarmi, dopo tanto freddo accumulato.
Bravo, gliel'hai fatta, non l'avrei detto, siamo semi-isolati da una settimana. Con queste parole mi accolse a casa sua, prima della mezzanotte, Alessio Zuccarini, un brillante poliziotto italiano in forza

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