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Da Casal di Principe a Kabul

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Voli ITALFOR

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grammi tv notturni (litigando con chi ne voleva vedere altri ancora peggio). All'alba quattro strillacci avvisavano che in quindici minuti si doveva essere pronti. Altro appello e via assonnati sul c-130, sperando di riaddormentarsi in volo.

Questo se tutto andava bene. Se saltavano uno o più incastri, si arrivava ... quando si arrivava, due o tre giorni dopo, bivaccando qua e là.

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Quello è il bello, se vogliamo, del volo militare. Non c'è nulla di scontato, raramente ci si annoia. Non sai mai chi incontri, a bordo, ma puoi stare certo che qualche veterano di altra missione sarà sullo stesso aereo, le rimpatriate sono assicurate. Anche i contrattempi hanno lati positivi: aiutano a socializzare, i compagni di voli senza fine diventano fratelli.

Nei prossimi anni i contingenti raggiungeranno i teatri operativi molto più rapidamente. Entreranno in servizio i quattro nuovi Boeing da trasporto KC767 A, ordinati da qualche tempo dall'aeronautica, con prestazioni e capacità d'impiego assai superiori. Tutto filerà liscio. Nessuno recriminerà niente. Ma i più anziani, forse, ripenseranno con un po' di nostalgia ai mitici voli di una volta. Magari diranno che si stava meglio quando si stava peggio.

Da Casal di Principe a Kabul

L'addestramento delle forze di sicurezza, all'indomani della caduta dei talebani, fu un punto cardine dell'impegno internazionale per la ricostruzione del Paese. Alla conferenza di Bonn del dicembre 2001, vennero assegnate le competenze settoriali. Gli americani presero l'esercito, alla Germania toccò la polizia.

Per cinque anni il German police project office ( GPPO) si dedicò, con grande dispendio di fondi e risorse umane, alla formazione della polizia afghana, con risultati non del tutto soddisfacenti. L'addestramento del poliziotto in un Paese uscito da trent'anni di conflitti è oggettivamente più complesso di quello di un soldato. L'Afghan National Police era l'anello debole fra gli uomini in divisa, più vulnerabile agli attacchi dei talebani contro i rappresentanti delle autorità centrali. Nel 2007 fu l'Unione europea a rilevare l'intero programma,

lanciando la missione EUPOL, cui presero parte fin dall'inizio una ventina di Paesi.

Si trattava di una soluzione ponte. Nonostante il rinnovato impegno, rimanevano molti punti interrogativi sulla effettiva capacità della polizia di operare efficacemente sul territorio. Al Pentagono erano al vaglio alcune proposte per potenziare l'assistenza alla polizia afghana. In particolare, il nuovo capo di CENTCOM, David Petraeus, spingeva per ripresentare nel teatro afghano la NATO Training Mission che lui stesso, come capo delle truppe USA in Iraq,· aveva visto all'opera. La NTM-1 era contraddistinta da una forte componente italiana, in gran parte carabinieri e alcuni elementi di supporto dell'esercito. Già nella primavera del 2008, su richiesta USA, i generali responsabili della proiezione all'estero dei carabinieri, Michele Franzè e Leonardo Leso, fecero una prima ricognizione a Kabul per studiare la riedizione della fortunata iniziativa irachena. Ne seguirono altre per mettere a punto il sistema.

La pressione sui Paesi fornitori di truppe era già forte; un'ulteriore richiesta di addestratori sarebbe stata accolta con freddezza in varie capitali. Ci vollero mesi prima che maturassero i tempi per la creazione di una nuova missione.

Nella discussione sulla formazione delle forze di sicurezza afghane s'inserì prepotentemente il capo della diplomazia francese. In occasione di una riunione comunitaria nella primavera del 2009 Bernard Kouchner propose di inviare la gendarmerie européenne.

La gendarmeria europea, anche detta EUROGENDFOR o EGF, è un'organizzazione di recente istituzione. Ne fanno parte sei nazioni dotate di polizie a status militare (Francia, Italia, Olanda, Portogallo, Romania e Spagna) ed ha come sede l'ex scuola sottufficiali dei carabinieri di Vicenza. È stata impiegata per la prima volta nel 2007 in Bosnia, sotto la guida dell'allora comandante italiano Pietro Barbano.

L'attivismo francese, in realtà, mirava a conquistare propri spazi in ambito NATO, a seguito del rientro di Parigi nel comando integrato dell'Alleanza. Oltretutto EGF, essendo struttura operativa, non poteva che avere un ruolo sussidiario in una missione a carattere addestrativo.

Alla fine dell'estate si formalizzò la proposta definitiva: veniva creata una NTM anche in Afghanistan, con al suo interno una com-

ponente EUROGENDFOR.

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Alcuni Paesi, nonostante l'impegno sotto bandiera UE, avevano mantenuto programmi bilaterali di assistenza alla polizia. Molti confluirono nella NTM-A; tra questi quello italiano. Quaranta carabinieri si trovavano all'interno della base afghana di Adraskan, a sud di Herat. Una sorta di Fort Apache dove i nostri ogni giorno tenevano lezioni a vari battaglioni della polizia afghana. La missione era stata aperta ai primi del 2008 da Antonio Frassinetto, un ex capo della sezione operazioni speciali del GIS che Francesco Cossiga aveva voluto con sé una volta salito al Quirinale, lo stesso peraltro che aveva guidato la prima NTM-I.

Il premier Berlusconi aveva messo sul piatto duecento carabinieri (l'anno dopo al vertice di Lisbona raddoppierà l'offerta). Anche per quello, da subito si parlò di un ruolo di primo piano dell'Italia nella nascitura missione. Ne ebbi conferma una mattina di ottobre all'aeroporto di Fiumicino. Ero atterrato da New York all'alba e mi apprestavo a prendere il volo militare. Al gate, in fila c'era Carmelo Burgio; immaginai subito che sarebbe stato lui l'uomo chiave di NTM-A. All'interno dell'Arma si contavano su una mano gli elementi in grado di ricoprire un incarico di così alto livello. Fuori gioco Leonardo Leso, che pure l'aveva pianificata (ed era stato il fondatore ·dell'unità d'élite all'estero, la MSU), nel frattempo nominato consigliere militare a New York; impegnato al comando della regione Sicilia Vincenzo Coppola, l'ex capo della missione UE in Bosnia: la scelta era caduta su di lui.

Burgio è da sempre uno degli ufficiali di punta dell'Arma nelle operazioni oltreconfine. Ha salito tutti i gradini del reggimento carabinieri paracadutisti, fino a quello più alto. Con-loro è stato in prima linea nelle principali spedizioni. Gli intimi lo chiamano Zapata, un soprannome affibbiatogli amichevolmente per la sua irruenza. Molti addetti ai lavori ancora se lo ricordano, immortalato dalla troupe del TG3 di Santo Della Volpe, quando nel '97 si frappose al capo della gang di Valona, il famigerato Zani, che voleva scortare il premier Prodi in visita nel sud dell'Albania. Lasciami passare fratello - disse il boss facendosi largo. Burgio lo stoppò con forza, replicandogli secco di essere figlio unico.

Nel '99 aveva guidato la MSU a Sarajevo. Poi ufficiale di collegamento al comando USA di Tampa ( verrà scelto per Kabul anche sulla

base di quella preziosa esperienza). Ma il test più impegnativo della sua vita fu guidare i carabinieri a Nassiriyah, all'indomani dell'attacco del 12 novembre 2003. Era arrivato in Iraq pochi giorni prima; stava affiancando il parigrado uscente di Pauli, in attesa di assumere il comando, il 13. Un inizio missione che richiedeva il massimo dei nervi saldi. Superò la prova, la MSU tenne. Con il dolore profondo per i compagni scomparsi, i quattrocento carabinieri tennero fede all'impegno assunto. L'esperienza irachena ebbe, tuttavia, uno spiacevole strascico per Burgio, a causa di un'intervista rilasciata a Marco Nese del «Corriere».

Poco dopo il suo rientro dall'Iraq era scoppiata una polemica su presunti abusi delle guardie carcerarie nelle prigioni dell'area di competenza italiana. Lo aveva rivelato ( con parziale retromarcia successiva) la vedova del maresciallo Massimiliano Bruno, un biologo bolognese del RIS caduto nell'attentato. La sinistra, in Italia, aveva accusato i nostri di aver chiuso gli occhi sulle palesi violazioni dei diritti umani da parte della nuova polizia locale. Da destra si sosteneva invece che gli italiani non avessero nulla a che fare con le galere irachene. Burgio rappresentò le cose esattamente come stavano: i carabinieri mantenevano, secondo il mandato, solamente una generica supervisione delle prigioni, non una presenza fissa e, di conseguenza, non un controllo diretto sull'attività quotidiana. La verità stava nel mezzo. Ma non tutte le verità di Nassiriyah erano gradite nei palazzi romani.

Al rientro, lasciato il Tuscania, era stato assegnato al provinciale di Caserta. Prima linea ancora, questa volta in patria.

Nonostante i lunghi periodi all'estero e con le forze speciali, non era a digiuno di territoriale. Aveva retto Trapani, sapeva fare blitz per liberare ostaggi, ma anche combattere la malavita. Ne diede prova nel quadriennio nel casertano: 2161 arresti nel solo 2005, cifra destinata a salire nel successivo triennio. I vari colpi mortali assestati ai casalesi portarono la sua firma. La stampa locale lo definisce il Joe Petrosino del litorale domizio. Il ministro Maroni, poco avvezzo a facili trionfalismi, lo ricevette al Viminale insieme ai tre più stretti collaboratori, ali' indomani dell'arresto attraverso cunicoli fognari del superlatitante Giuseppe Setola (detto 'a puttana, capo dell'ala stragista del clan campano, accusato di 18 omicidi). Al termine del

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quadriennio casertano la giunta di Casal di Principe lo nomina cittadino onorario. Così anche Aversa ed altri comuni del circondario.

Tranquillo mai, eh? Gli dissi salendo la scaletta dell'aereo. E perché tu? Replicò. Io non avevo scelta Carmelo, neanche io Andrea. Beh, allora siamo sulla stessa barca - conclusi.

La «barca» era il DC9, praticamente vuoto, che faceva rotta su Alghero, dove avremmo caricato quelli del 152° della Sassari. Con noi viaggiava solo il capo degli osservatori italiani OSCE alla vigilia della guerra in Kosovo, Mario Righele, nel frattempo divenuto generale d'armata e responsabile della logistica dell'Esercito.

Non incontravo~ntrambi gli alti ufficiali dalla fine delle rispettive esperienze vissute insieme. La vita in missione è così: per mesi ti senti tutti i giorni; accadono eventi a volte epocali tutt'attorno, l'amicizia si cementa. Poi ognuno per la propria strada, spesso senza neanche il tempo per salutarsi. Così era stato con tutti e due.

In quell'ora di volo cercammo di riassumere tutte le cose che ci saremmo voluti dire anni prima: aneddoti, interrogativi, curiosità e quant'altro. La hostess Meridiana Fly rimase a bocca aperta nel sentir parlare tutto il tempo di bombardamenti NATO su Pristina e battaglie dei ponti a Nassiriyah.

Nello scalo sar~o imbarcammo un centinaio di fanti dimonios, destinati alla base avanzata di Farah. Con loro c'era anche il comandante Raccampo. Fu l'occasione per ringraziare chi, cinque anni prima, aveva strenuamente difeso la palazzina della coalizione di Nassiriyah dove, insieme agli altri civili, ero rimasto asserragliato per settimane. Venne a salutarci anche l'intrepido cappellano padre Mariano, simbolo di tante missioni difficili del passato.

La NTM- A era stata fatta partire alla garibaldina, senza che ci fosse tempo sufficiente per preparare l'arrivo dello staff. Burgio, nel frattempo nominato generale di brigata, si dovette arrangiare. Come il braccio destro Guido Caponetto ed il capo segreteria Di Stefano, per un paio di settimane dorme sdraiato sulla scrivania. Niente di strano per un ex GIS. Lo seguono presto i fedelissimi baschi amaranto Olobardi, Venesio, Degli Esposti e Bonifazi.

Dopo consultazioni tra le capitali, viene definito l'organigramma della missione. La guida un three stars generai, William Caldwell. Burgio è il vice, incaricato del training. Il comando dell'Arma, no-

nostante l'instabilità crescente in Afghanistan, intuisce le potenzialità dell'impegno settoriale e fa gli ultimi ritocchi alla struttura da inviare. La crema dei veterani di passate spedizioni era già adeguatamente allertata.

Accettando la missione, a Roma si assumono la responsabilità di un prolungato impiego del personale fuori dalla base, con tutti i rischi che comporta operare con pattuglie miste in mezzo alla gente. Il ministro La Russa crede ciecamente nei carabinieri e non farà mai mancare il suo sostegno. L'esercito assegna alcuni elementi con particolari qualifiche a NTM-A.

All'indubbia difficoltà di formare adeguatamente la polizia locale si aggiunge il delìcato compito di ridimensionare le attività dei contractors DYNCORP: un folto gruppo di diversa estrazione che non ha dato grande prova di sé negli anni precedenti. Sono gli stessi vertici militari USA che prima li hanno mandati, a chiedere ora a Burgio & C. di riportarli all'ordine.

Se ne incarica una vecchia gloria, Max Deiana. Con tatto e pazienza - ha avuto molto a che fare con gli americani vent'anni prima a Mogadiscio - il colonnello ligure s'installa nella base dei DYNCORP e, gradualmente, riesce a far prevalere le nuove tecniche addestrative studiate da Burgio. Qualche muso lungo iniziale da parte di un paio di ex sceriffi del Midwest, ma nulla di più. Il nuovo corso è partito.

A Herat mette in piedi il distaccamento con due fidati tenenti colonnello, Ruggeri e Facciorusso, entrambi ex Iraq. NTM-A diventa presto operativa anche nella regione ovest dove può contare sulla preziosa logistica della Sassari. Si raccorda con la tc,1sk force Grifo, un'unità scelta della Guardia di Finanza presente da vari anni. Insieme al comandante Stefano Izzo coordinano le rispettive attività di training della border police. Ottimo gioco di squadra.

Nel giro di poche settimane NTM-A è a pieno regime. La missione europea, sebbene inizialmente un po' recalcitrante, viene a patti con gli addestratori dell'Alleanza; si decide così una ripartizione di compiti. In EUPOL peraltro continuano ad operare una decina di carabinieri e finanzieri.

Conoscevo Burgio come uomo d'azione, ma scopro che anche dietro la scrivania se la sa cavare. Più a suo agio con la pratica, ma non allergico alla teoria. Ricordo di aver accompagnato un parla-

mentare europeo ad un briefing da lui. Il neo generale si presentò con un librone di 2.220 pagine, pieno di post-it colorati in corrispondenza delle parti più rilevanti. Il povero onorevole, pur abituato alle maratone oratorie di Strasburgo, fu messo ko dalla parlantina di Burgio. In poco tempo aveva assimilato il manualone US-NATO.

Tutta quest'attenzione internazionale attorno alla formazione della polizia afghana incuriosisce la stampa. Molti media vogliono saperne di più. Escono i primi pezzi, ma il clamore arriva quando il più autorevole settimanale americano, «Newsweek», pubblica un impietoso reportage di sette pagine nel quale si descrive assai dettagliatamente il fallimento di DYNCORP e l'arrivo salutare dei carabinieri.

È lo stesso generale Caldwell, in realtà, ad ammetterlo senza giri di parole. In videoconferenza con la Casa Bianca, a metà marzo, lascia di stucco il presidente Obama: it's inconceivable, but in fact for eight years we weren't training the police. All we did was give them a uniform. Oltre alle inefficienze, la rivista USA solleva dubbi anche sulla trasparenza di DYNCORP; le ingenti spese legate al programma polizia della società della Virginia sono passate al setaccio. Ci sono ombre. L'unico aspetto positivo - sempre secondo «Newsweek» - è il cambio di rotta imposto con l'inserimento degli ltalian carabinieri.

A viale Romania gongolano, anche se le rinnovate richieste NATO-USA di personale aggiuntivo creano qualche grattacapo allo Stato maggiore. Bene gli allori all'estero, ma la priorità assoluta per l'Arma è e rimane il dispositivo di sicurezza interno.

Caldwell riconosce che è più facile operare con paramilitary police units, come quelle italiane e francesi, che affidarsi a contractors. The gendarmerie farce are ready to go and take instructions well - annota il generale americano. Noi gli insegniamo anche a rispettare e ad interfacciarsi con la popolazione - dice il giovane tenente triestino Rolando Tommasini. «Newsweek» conclude che, se i carabinieri dovessero riuscire a inculcare nella polizia afghana quei valori, nel lungo termine ciò risulterebbe ben più importante che saper sparare diritto.

La definitiva consacrazione dei carabinieri afghani avviene in occasione dell'arrivo a Roma di Caldwell, prima dell'estate. Altermine dell'incontro con il ministro della Difesa, al microfono RDS di Lao Petrilli non ha esitazioni: carabinieri are making an enor-

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