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Grandi leader per un piccolo Paese
from SENZA PACE
Nonostante i timori della vigilia, le tlezioni presidenziali a Timor Est si svolsero in relativa tranquillità. Qualche preoccupazione la causò Alfredo Reinado, un maggiore rinnegato dell'esercito, caporione della rivolta antigovernativa del 2006. Da allora si era rifugiato nella provincia più ostile - Maubisse -e da lì minacciava sfracelli . .Cesercito regolare e la polizia, dopo alcuni tentativi falliti, non osarono più arrestarlo (si presentò anche spavaldamente al seggio elettorale). In cambio, lui rimandò a tempi migliori il desiderio di sovvertire la coalizione governativa, cosa che, in effetti, poi fece - disastrosamente, lasciando così una lunga scia di sangue - nel 2008.
Vinse, come da previsioni, l'ex primo ministro e premio Nobel per la pace ]osé Ramos-Horta. Non si trattò, tuttavia, di un plebiscito. Solo al secondo turno fu proclamato presidente con il 75 per cento dei voti. Persona d'indubbio valore, conosciuto e apprezzato dalle cancellerie di mezzo mondo, uomo simbolo della lotta dei timorensi e tuttavia con l'handicap domestico di essere un mestiço, ossia con sangue portoghese nelle vene (frequenti erano i matrimoni misti all'epoca della colonizzazione). I timorensi «puri» hanno sempre guardato con diffidenza i mezzi-europei dalla pelle più chiara. Ad allargare il solco tra i due gruppi si è aggiunto l'orientamento politico generalmente più a sinistra degli autoctoni. Ci sono zone ad est e sud del Paese dove i mestiços, specie se governativi, sono praticamente banditi. Il tour elettorale del candidato di punta a Suai, provincia in parte ostica, non fu una passeggiata. Nella notte uno striscione pro Ramos-Horta nel vialone principale sparì. Il comizio sulla spianata della cattedrale fu carico di tensione.
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Tutto andò liscio anche nelle parlamentari, che si svolsero due mesi dopo. Prevalsero i social-comunisti del Frente Revolucionaria de Timor-Leste Independente, storico partito dei combattenti per l'indipendenza (finanziato un tempo dai cinesi). Non senza polemiche, tuttavia, il neo presidente affidò la formazione del governo al suo predecessore Xanana Gusmao, ex uomo forte del FRETILIN, passato su posizioni più moderate e giunto secondo con una coalizione di centro. Il tentativo andò in porto e il risultato finale fu che i due
uomini di punta si scambiarono le cariche che avevano ricoperto quasi ininterrottamente dall'indipendenza.
Entrambi i leader quando vennero a Suai, pernottarono nell'albergo dove alloggiavo anch'io - non essendoci di meglio. Stavo prendendo un caffè col colonnello Rosas nella capanna-bar quando fece il suo ingresso Ramos-Horta. Rispettosamente ci alzammo per andarlo a salutare. Avevo peraltro già conosciuto il candidatopresidente nel '97 a Tuzia. Era stato invitato ad un anno dal Nobel per una conferenza sulla democrazia dal responsabile regionale oscE Ilario Ciardi, un generale della riserva con lunghi trascorsi nell'organizzazione per la sicurezza paneuropea. Parlammo per un po' del suo tour balcanico, per passare poi alla situazione attuale nel sud del Paese. Intellettuale raffinato, ci intrattenne per un paio d'ore buone. Fu un piacere ascoltarlo, un vero paladino della pace. Si parlò di lui, infatti, anche come possibile segretario generale ONU nell'ultima elezione.
Poco chiaro, invece, fu ciò che accadde all'altro simbolo della lotta timorense, il vescovo Carlos Filipe Ximenes Belo, co-prerniato Nobel insieme a Ramos-Horta. Ebbe un ruolo di primissimo piano dalla metà degli anni Ottanta. Si poteva ipotizzare per lui un ruolo quantomeno onorifico, una volta conquistata l'indipendenza. Ed invece a sorpresa si trasferì prima a Lisbona, per presunti motivi di salute, e quindi in Mozambico come missionario. Ogni volta che chiedevo lumi sull'assenza continuata dell'alto prelato, notavo una certa reticenza, sia da parte di laici che di religiosi.
L'arrivo a Suai di Xanana Gusmao fu più rumoroso, come da personaggio. Teorico disarmato dell'indipendenza Horta, ex combattente (ma anche poeta) Gusmao, peraltro anche lui mestiço. Che ci fa un romano sperduto quaggiù? Mi accolse così, in un discreto italiano. Gli avrei voluto rispondere che me lo chiedevo tanto anch'io, ma dovetti fare la parte del bravo burocrate-peacekeeper, illustrando le attività de!Ja missione UN a Suai e dintorni.
Uomo di grande simpatia a prima vista e spiccata comunicativa, il comandante Xanana volle subito che io e gli altri osservatori militari delle Nazioni Unite rimanessimo con lui nel bar dell'hotel. Alternò incontri con notabili locali a conversazioni con noi. A me chiese della situazione in Europa, Italia inclusa. Ricordava bene An-

dreotti, naturalmente. E guardava con molta curiosità a Berlusconi. Aveva un buon feeling con l'ambasciatore italiano in Indonesia Roberto Palmieri, accreditato anche a Timor. Palmieri, diplomatico allergico ai palazzi romani - una vita tra Cina.i. Giappone e Nuova Zelanda - faceva il possibile per stringere i rapporti, ma i duemila chilometri tra Giacarta e Dili non erano poca cosa.
A sorpresa - era già passata la mezzanotte, il cameriere non abituato a ore piccole si era addormentato con la testa sul tavolo - mi chiese se fosse finalmente stato trovato il corpo di Enzo Baldoni, il pubblicìtario-pubblicista milanese rapito a Falluja ed in seguito assassinato. Rimasi colpito dal fatto che conoscesse un episodio, trattato come minore della tragedia irachena. Gli raccontai ciò che sapevo, spiegando che avevo lasciato l'Iraq un paio di mesi prima del tragico fatto di sangue.
Enzo era un caro amico di famiglia - mi disse ricordandolo affettuosamente - la prego di portare i miei saluti ai suoi, se ha modo. Cosa che riuscii a fare all'indomani, comunicando con l'inviato del TG1 Pino Scaccia, testimone oculare del sequestro, rimasto poi sempre in contatto con la famiglia Baldoni, a Preci, in Umbria.
Appresi dopo che Baldoni era stato uno dei pochi, se non l'unico, ad intervistare Gusmao, rifugiatosi semiclandestinamente a Giacarta durante i disordini di Timor nel '99. Uno dei vari reportage di guerre dimenticate che avevano costellato la carriera del giornalista part-time.
Le tornate elettorali marcarono un punto a favore per la spedizione delle Nazioni Unite. Le grandi potenze riconobbero il contributo della missione per la stabilizzazione del Paese ed il consolidamento della democrazia. Nei mesi successivi iniziò il progressivo· disimpegno di buona parte del personale internazionale, me compreso.
Ma il capitolo non era chiuso. Agli inizi dell'anno successivo, un commando guidato dall'indomito maggiore Reinado fece fuoco contro la residenza privata di Ramos-Horta, lasciando in fin di vita il neo presidente. I sanitari dell'ospedale australiano di Darwin riuscirono miracolosamente a salvarlo e con lui i sogni del suo Paese. Xanana Gusmao invece uscì indenne da un simultaneo attacco. Vari colpi s'infransero sulla sua automobile, ferendo solamente il caposcorta. Timor Est tornò così in bilico.

I problemi del primo nuovo Stato sovrano del terzo millennio sono ancora tutti lì: divisioni etniche, sottosviluppo, piccole dimensioni, isolamento. Un peso sul futuro di Timor avrà sicuramente lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi off-shore. Dopo la ridefinizione dei confini marittimi, un buon numero di concessioni sono state date a varie compagnie, tra cui anche l'ENI. Ma ci vorranno degli anni prima che l'oro nero produca introiti per le casse statali, sperando poi che la classe dirigente sappia amministrarli con saggezza. La vera sfida di Timor Est è solo all'inizio.
