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La ·dolce vita di Skopje
from SENZA PACE
di Bruxelles si apriranno solo se e quando ci sarà una denominazione concordata. Un cruccio questo per Prodi. Avrei voluto fare di più per la Macedonia - disse l'illustre professore bolognese in un incontro cui ero presente anch'io - purtroppo non ne ho avuto il tempo. Ma a Skopje lo slancio europeistico dell'ex capo della Commissione di Bruxelles non l'hanno mai dimenticato.
La dolce vita di Skopje
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Le prime settimane in ogni missione sono come il decollo di un aereo: si spinge forte sull'acceleratore, per raggiungere la velocità di crociera. Un po' di full immersion per mettersi al pari con colleghi già presenti. Dopo nove anni di ex Jugoslavia ed uno di Albania l'apprendistato fu breve. Dato il lungo periodo trascorso in Kosovo, molte problematiche mi erano piuttosto note. Anche se, in realtà, non si finiJce mai di scoprire le tante complessità balcaniche. Non avrei, ad esempio, mai immaginato che fosse inopportuno chiamare slavi i macedoni dell'etnia maggioritaria, esattamente come si fa in altre zone dell'ex Jugoslavia. Invece no: ethnic macedonian era il termine da usare. Per fortuna, non ho mai avuto la cattiva abitudine di chi, per aver fatto un annetto in una qualsiasi missione, ripete con sicurezza e di continuò: perché a Sarajevo si faceva così, perché a Baghdad era quello il modo, ecc. Salvo rendersi conto dopo, spesso troppo dopo, delle inevitabili diversità tra conflitti, anche se relativi a Paesi vicini.
Una volta avviato il lavoro, mi diedi da fare per impostare una vita regolare: avevo una voglia arretrata di normalità. Skopje e la UE facevano proprio al caso mio. Casa in centro, ufficio in cinque minuti a piedi, pasti regolari, alle cinque e mezzo del pomeriggio libertà .. Può forse suonare strano che uno trovi la normalità a Skopje, eppure!
Avevo già una discreta schiera di amici in loco. Nel quadriennio trascorso in Kosovo le puntate nel Paese confinante erano state parecchie. Lo spumeggiante ambasciatore Antonio Tarelli aveva ceduto il posto al più compassato Giorgio Marini; l'atmosfera nella rappresentanza d'Italia restava sempre di grande armonia. La squadra era rimasta di prim'ordine, con le meravigliose Diana e Martina sempre impeccabili e at the centre of things. Il prestigio delf ambasciata e le
ottime relazioni tra i due Paesi venivano da lontano ed erano anche frutto del gran lavoro di Faustino Troni, il diplomatico che assistette ai primi sconvolgimenti in quella parte dell'ex Jugoslavia e che riuscì come dicono gli americani ad entrare negli hearts and minds dei macedoni in una fase così delicata. I successori fecero il resto.
Furono gli anni in cui si svilupparono notevolmente gli scambi commerciali e gli investimenti, facendo diventare l'Italia uno dei principali esportatori in Macedonia. Non ininfluente fu il richiamo del premier Berlusconi - con interim agli Esteri - ad una maggiore coesione fra ambasciate e rappresentanze dell'Istituto per il commercio estero. L'ambasciatore Marini, peraltro assai attento alle questioni economiche, aveva sempre al suo fianco il direttore ICE Rocchelli.
Villa Skaperda, mirabile edificio liberty e già comando delle truppe di occupazione bulgare durante la Seconda guerra mondiale, si trovava nel tragitto casa-ufficio. Era una famiglia: la mattina ci si salutava, andando al lavoro; la sera mi fermavo dai carabinieri Dino e Lorenzo a far due chiacchiere, ma anche per alleggerire il pacco giornali, che quotidianamente arrivava. Il caposcalo Alitalia Petraroli ogni pomeriggio dall'aeroporto portava all'addetto amministrativo Francesco Recchioni, non quattro/cinque quotidiani come talvolta capita, ma un blocco intero di quelli d'aereo, legati con fustella metallica. I due erano buoni amici, ma c'era anche un certo timore reverenziale del giovane uomo AZ nei confronti di uno dei cancellieri decani della Farnesina. Non contento della mazzetta degna di un ministro, recapitata su vassoio d'argento, Recchioni talvolta aveva addirittura da ridire perché mancava il prediletto «Il Tempo».
I bar erano tra i pezzi forti di Skopje. Spariti quasi del tutto, almeno dal centro, quelli di stile socialista, i nuovi punti di aggregazione non avevano nulla da invidiare ai caffè delle blasonate capitali europee. C'era sempre una gran vita e buona musica a tutte le ore. Di locali vuoti ne ho sempre visti raramente a Skopje. Al tramonto, attorno al corso principale, la Marsal Tito, un fiorire di gioventù e, fino a tarda notte, il movimento non mancava.
Punto d'incontro fisso serale era da Gino, che per me era di solito proprio Gino stesso, ovvero Gino Guazzini, dato che spesso e volentieri mangiavo al suo tavolo. Toscano, proprietario di altri

ristoranti ma sopratutto di alcuni calzaturifici, Gino aveva scelto un largo spazio con ampia terrazza all'interno del centro commerciale nel cuore della città. I camerieri alla sola vista di una faccia latina scattavano sull'attenti, azzardavano qualche frase in italiano e, ad ogni richiesta, anche se non comprendevano bene tutto, dicevano puntualmente di sì.
Più pretenzioso e formale il Mulino, molto apprezzato dall' establishment e dai manager rampanti della capitale. Piatto forte: brodetto alla vastese. Ci andavo ogni tanto per salutare Stojan Filipovski, un macedone più marchigiano di me, avendo passatQ 30 anni a due passi dalla Rotonda di Senigallia. Era molto orgoglioso di poter vantare l'onoreficenza di cavaliere al merito della Repubblica italiana, incorniciato ad arte ed appeso in sala. Per pochi intimi invece la Taverna Toscana, localino sul parco dove lo chef e proprietario Vlado scodellava solo piatti super ricercati, roba da veri gourmet. Era talmente ferrato in materia che, a volte, metteva in difficoltà l'avventore italico. Dava per scontato che noi espatriati sapessimo tutto di cucina e delle varie ricette regionali. Figuriamoci con me, andato avanti per anni con riso in bianco e patate alla schipetara. Mi parlava di cose mai assaggiate, né tantomeno sentite. Gli davo ben poca soddisfazione.
Ma le serate più divertenti erano a casa del primo segretario della nostra legazione Maurizio Antonini e della futura moglie Liljana. Aveva una collezione musicale tra le più assortite della capitale. Grazie a lui, Skopje, in quegli anni, è stata il crocevia di numerosi artisti italiani di calibro: da Mauro Pagani a Gianluigi Trovesi, da Enrico Rava a Paolo Fresu. Ospiti fissi: Alessandro Tedesco e Angela Bargellini dell' oscE, l'avvenente producer Rai Natasha Sardzovzki, l'ex console a Vienna passato anche lui alla UE Francesco di Majo, il geologo romagnolo Pierpaolo Leoni, il capo della cooperazione Aloisio Sciortino e chiunque altro fosse in visita dall'Italia.
Della Skopje by-night facevano parte anche i militari dei vari contingenti presenti in Macedonia. Una volta tanto non dovevano fare fughe di mezzanotte, ma potevano godere di regolare libera uscita (e in borghese). Graduati inclusi.
Un giorno incontrai un gruppetto di giovani italiani che marcavano stretto un trio di donzelle in fiore lungo la Marsal Tito. Erano
