Professione Sanità. Maggio 2021

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Anno II | N. 3 | Maggio 2021

PROFESSIONE SANITÀ

BABY COVID

La didattica a distanza e l’isolamento minano la salute mentale dei più giovani. Triplicate le segnalazioni a Telefono Azzurro

Successo per la lettera aperta della Fondazione BRF

Intervista a Lazzari presidente Ordine Psicologi

La pandemia ha cambiato le abitudini a tavola


Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale

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EDITORIALE

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Non esiste salute senza salute mentale di Armando Piccinni

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siste un fil-rouge che lega la pandemia alla nostra dimensione psicologica e psichiatrica di questo periodo. I lavori scientifici della letteratura internazionale che hanno il loro focus su pandemia e salute mentale sono ad oggi appena meno di 8.000 e sono stati pubblicati poco dopo l’inizio della pandemia e quindi in un lasso di tempo di circa un anno. Nessuna categoria considerata per età e sesso è esente dal coinvolgimento nei problemi della salute mentale. L’impatto del Covid-19 sulla salute mentale dei giovani e giovanissimi è attualmente fonte di grande preoccupazione. La malattia e le misure di contenimento come l’allontanamento sociale, la chiusura delle scuole e l’isolamento hanno avuto un impatto negativo sull’equilibrio mentale e sulla maturazione di bambini e adolescenti. Ansia, depressione, disturbi del sonno e dell’appetito, compromissione delle interazioni sociali ed incremento dei gesti autolesivi e dei tentativi di autosoppressione sono manifestazioni riportate quotidianamente dalle cronache.

Le previsioni degli esperti su questo tema sono che le condizioni ambientali verificatesi durante la pandemia avranno conseguenze negative a lungo termine sulla salute mentale di bambini e adolescenti. È necessario ed urgente mettere a punto metodi di protezione e sostegno per aiutare i ragazzi a superare questa difficile fase della loro vita. È fondamentale che i clinici ed i ricercatori mettano a punto strategie di approccio efficaci ed adatte ai bisogni di questa fascia di età. È indispensabile che queste misure vengano adottate nell’ambito di servizi di salute mentale per bambini e adolescenti che al momento appaiono gravemente deficitari per la loro scarsa presenza sul territorio e per il numero insufficiente di operatori impiegati. Nonostante i dati allarmanti, la condizione della salute mentale continua a essere sottovalutata nel nostro Paese. Benché sia un elemento centrale capace di condizionare in modo significativo l’economia nazionale e nel contempo di influenzare la vita di milioni di italiani – e degli individui a questi vicini – questo argomento in Italia continua


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EDITORIALE

ad essere considerato in modo molto marginale. La spesa sanitaria destinata alla salute mentale nel nostro Paese è una delle più basse in Europa. I dati Eurostat attestano che i letti per le cure psichiatriche in UE nel 2018 erano in media 73 ogni 100.000 abitanti (erano nel 2004 79). Al primo posto il Belgio con 135 posti, seguito dalla Germania con 128. L’ultimo gradino della classifica era occupato dall’Italia con 9 letti ogni 100.000 abitanti (dietro Cipro con 18, e l’Irlanda con 34), a certificare l’effettivo problema nazionale relativo all’assistenza ai malati psichiatrici. Stando ai più recenti dati dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), l’emergenza coronavirus ha interrotto o fermato i servizi fondamentali per la salute mentale

nel 93% dei paesi del mondo, mentre la richiesta di supporto per la salute mentale è in aumento esponenziale. È indispensabile che tutti gli operatori della salute mentale sentano la necessità di esprimere il disagio che proviene dall’insufficenza delle strutture e dei mezzi attualmente a disposizione. La lettera aperta della Fondazione BRF (che leggerete più avanti nel mensile), che ha espresso la necessità che urgenti provvedimenti vengano adottati, ha trovato ampissimo consenso in brevissimo tempo. Questo significa che il problema è profondamente sentito ed i tempi sono maturi per cercare soluzioni rapide e radicali per portino al miglioramento dell’organizzazione e dei mezzi a disposizione della salute mentale in Italia.


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Anno II | N. 3 | Maggio 2021

PROFESSIONE SANITÀ

SOMMARIO BABY COVID EDITORIALE

3 Non esiste salute senza salute mentale di Armando Piccinni

La didattica a distanza e l’isolamento minano la salute mentale dei più giovani. Triplicate le segnalazioni a Telefono Azzurro

Successo per la lettera aperta della Fondazione BRF

Intervista a Lazzari presidente Ordine Psicologi

La pandemia ha cambiato le abitudini a tavola

PRIMO PIANO

10 Salute mentale e covid. Successo per la lettera aperta della Fondazione BRF di Carmine Gazzanni L’INTERVISTA

14 La battaglia della Lorenzin:

“istituzioni si occupino del disagio mentale” di Carmine Gazzanni

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L’INCHIESTA

Baby Covid di Stefano Iannaccone

Professione Sanità Anno II | N. 3 | Maggio 2021 Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca Diffusione: www.fondazionebrf.org Direttore responsabile: Armando Piccinni Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca


L’INTERVISTA

22 La salute mentale è da considerare un investimento, non una spesa di Carmine Gazzanni

26 “Benessere Italia” una cabina di regia per investire sulla salute di Massimiliano Coccia PRIMO PIANO

30 Alimentazione e Covid

di Tiziana Stallone e Serena Capurso ZOOM

36 Nobel per la Pace a chi combatte una “guerra”

44 54 Pubertà precoce. Casi più che raddoppiati durante il lockdown di Francesco Carta

di Andrea Zanotto L’INTERVISTA

40 Oncologia e Covid. Nessun paziente è stato abbandonato

56 Le cellule 2.0 ora crescono e si replicano di Mario Bucci

di Carmine Gazzanni

L’AUTORE

#PARLIAMONE

44 La battaglia social contro lo stigma della psichiatria

58 Le “Due vite” di Emanuele Trevi in corsa allo Strega di Flavia Piccinni

di Nicola Pela

L’AUTRICE

62 Valentina Mira, una “X” sulla violenza alle donne di Flavia Piccinni IL DIRETTORE RISONDE

30 PROFESSIONI

46 L’insonnia raddoppia le probabilità di contrarre il Covid di Antonio Acerbis

48 Anziani nella morsa

65 Perché mia figlia ha smesso di mangiare? di Armando Piccinni TITOLI DI CODA

66 Ai giovani: la donna non è un possesso

di Pietro Pietrini

dell’ipocondria digitale di Francesco Carta

50 Daltonismo a raggi X disinformazione sulla radiologia medica di Alessandro Righi

52 Leucemia. Serve sostegno psicologico

di Antonio Acerbis

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PRIMO PIANO

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SALUTE MENTALE E COVID. SUCCESSO PER LA LETTERA APERTA DELLA FONDAZIONE BRF Oltre 200 sottoscrizioni tra psichiatri e psicologi Ora è la politica a farsene carico

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na lettera aperta inviata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al presidente del Consiglio Mario Draghi e al ministro della Salute Roberto Speranza per denunciare la grave emergenza psichiatrica e psicologica cui si sta andando incontro ad oltre un anno dalla pandemia. L’iniziativa promossa dalla Fondazione BRF – Istituto per la Ricerca in Psichiatria e Neuroscienze ha già raccolto oltre 200 adesioni tra autorevoli psicologi e psichiatri (in fondo l’elenco dei firmatari). Un numero che dimostra come la questione sia più sentita di quel che si possa pensare: l’emergenza psichiatrico-psicologica dopo più di un anno di pandemia non è più rinviabile.

«In questo ultimo anno – spiega non a caso il professor Armando Piccinni, presidente della Fondazione BRF (Brain Research Foundation) e promotore della lettera aperta – i disturbi più frequentemente riscontrati sono i disturbi d’ansia, la depressione, i sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo, l’ipocondria e il disturbo post-traumatico da stress. La nostra attenzione deve essere però soprattutto puntata verso quello che potrà accadere nei prossimi mesi. Le conseguenze di cambiamenti così radicali nelle abitudini di vita, nei comportamenti, nelle certezze economiche e nei rapporti affettivi saranno valutabili solo nel lungo periodo». Un cambiamento epocale che ha travolto anche e soprattutto gli anziani, spesso abban-


PRIMO PIANO

donati a loro stessi, ma anche adulti, vittime molto spesso del burn-out da smart-working, e gli adolescenti (ai quali Professione Sanità dedica un’inchiesta più avanti). Per queste ragioni psichiatri e psicologi chiedono ora finanziamenti ad hoc anche per sostenere «nuove ricerche sul rapporto salute mentale-Covid-19». E poi, ancora, «il monitoraggio continuo dei gesti suicidari correlati al Covid -19» e «azioni di formazione e prevenzione» rivolte anche agli stessi operatori sanitari. Al momento né Draghi né Mattarella né Speranza hanno risposto alle richieste dei professionisti della salute mentale. Il tema, però, ha spinto l’ex ministra Beatrice Lorenzin a presentare una mozione che impegni il governo proprio ad affrontare quelle tematiche sollevate nella lettera. Proprio per questa ragione occorre ancor di più far circolare questo appello e raccogliere adesioni. Quantomeno per ottenere una risposta alle domande poste dagli operatori della salute mentale. (C. G.)

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ECCO DI SEGUITO LA LETTERA E I FIRMATARI Ill.mo Presidente della Repubblica, prof. Sergio Mattarella, Ill.mo Presidente del Consiglio, prof. Mario Draghi, Ill.mo Ministro della Salute, dott. Roberto Speranza,

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uesta lettera è stata scritta da un gruppo di psichiatri e psicologi italiani per sottoporre alla Vostra attenzione una problematica di salute che ci sta particolarmente a cuore, che riguarda la pandemia da Covid-19 e che interessa milioni di italiani. Il coronavirus può determinare danni in tutto il nostro organismo, alcuni immediatamente visibili, altri che si manifestano col passare del tempo. Si tratta di danni importanti e pericolosi che riguardano anche il nostro cervello e la nostra condizione mentale.

“In questo ultimo anno i disturbi più frequentemente riscontrati sono i disturbi d’ansia, la depressione, i sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo, l’ipocondria e il disturbo post-traumatico da stress”.


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“Ad oggi si contano nella letteratura internazionale 6.401 lavori riguardante il rapporto tra Covid-19 e salute mentale (risultato PubMed aggiornato al 17/03/2021) a testimoniare l’importanza del fenomeno. Notizie che riguardano l’incremento della patologia psichiatrica e della violenza domestica, dell’aumento dei tentativi di suicidio e dei suicidi a termine, sono ormai all’ordine del giorno”.

PRIMO PIANO

Ad oggi si contano nella letteratura internazionale 6.401 lavori riguardante il rapporto tra Covid-19 e salute mentale (risultato PubMed aggiornato al 17/03/2021) a testimoniare l’importanza del fenomeno. Notizie che riguardano l’incremento della patologia psichiatrica e della violenza domestica, dell’aumento dei tentativi di suicidio e dei suicidi a termine, sono ormai all’ordine del giorno. Lo stato di apprensione e di ansia nella popolazione generato dalla preoccupante situazione economica sta contribuendo a sua volta ad incrementare il numero di soggetti potenzialmente bisognosi di aiuto. Il disagio mentale deve essere affrontato nei suoi differenti versanti: psicologico, psichiatrico e sociale. Tale azione non può essere ulteriormente rimandata. Questa lettera aperta ha il valore di un appello alle Vostre Persone come massimi Esponenti dello Stato impegnati nella lotta alla pandemia. È importante che i professionisti della salute mentale vengano agevolati nel loro lavoro con programmi e finanziamenti ad hoc. È necessario organizzare e sostenere nuove ricerche sul rapporto salute mentale-Covid-19, specie nello studio delle sequele a lungo termine della malattia. È indispensabile avere il monitoraggio continuo dei gesti suicidari correlati al Covid -19 e al tempo stesso mettere in campo azioni di formazione e prevenzione. La telemedicina in questo ambito potrà avere di certo un compito rilevante. Affinché tutto questo si realizzi nel migliore dei modi possibili, è indispensabile rinsaldare, mediante azioni speciali di coordinamento, connessioni strette tra i differenti ambiti dell’assistenza sanitaria, degli organismi di sostegno sociale, del volontariato e degli enti del terzo settore.

Ci appelliamo, dunque, alla lungimiranza del nostro Presidente della Repubblica, professor Sergio Mattarella, all’autorevolezza del Presidente del Consiglio, professor Mario Draghi, e alla competenza del Ministro della Salute, dottor Roberto Speranza, affinché quella che rischia, giorno dopo giorno, di trasformarsi in una pericolosa emergenza sociale e umana, diventi una delle priorità dell’operato di questo governo.

I FIRMATARI Nicole Adami, Tiziana Agazzi, Amalia Angelino, Daniele Andrian, Nicola Armenise, Maria Teresa Avella, Olivia Bacci, Silvia Bacciardi, Margherita Barbuti, Natalia Bartolommei, Barbara Baudissard, Donatella Belardi, Iacopo Belcari, Franco Bellato, Serena Belletti, Francesco Benedetti, Cristina Bergia, Alessandro Bertolino, Sonia Bertinat, Bonizzi Elisa Chiara, Stefania Borgo, Ubaldo Bonuccelli, Francesca Bressan, Federica Bruno, Francesca Cafarella, Ernesto Caffo, Antonio Calamo Specchia, Calogera Calà, Raffaella Calati, Alba Calderone, Angelita Cantanna, Maria Anna Carbotti, Claudio Cargioli, Alberto


PRIMO PIANO

Carrara, Dora Castigliego, Maria Grazia Catania, Giulia Cavallari, Riccardo Cecchetti, Maria Rosita Cecilia, Daniela Cesari, Antonella Centonze, Vincenzo Ciampa, Agnese Ciberti, Giuseppe Ciriello, Silvia Colombo, Sara Colognesi, Sebastiana Collura, Roberto Comunale, Martina Corsi, Luca Cosentino, Armando Cozzuto, Angela D’Angelo, Angela D’Agostino, Rossella Dartizio, Giovanni De Girolamo, Lucia Caterjna Maria Del Freo, Daniela De Lucia, Karin De Maggio, Davide Dettore, Mariano De Vincenzo, Tania De Santis, Elisa Diadema, Carlo Di Berardino, Federica Dima, Ilaria Di Noi, Guido Di Sciascio, Andrea Fagiolini, Elisa Faretta, Raffaele Farina, Antonietta Filippo, Maria Fiore, Cosimo Fraccascia, Caterina Franceschini, Anna Francioso, Roberto Fui, Aldo Gabriele, Giuseppe Gagliardi, Jessica Galanti, Anna Gallani, Monica Gervasoni, Raffaella Giannattasio, Antonello Giannelli, Ilenia Giannetta, Michela Giorgi, Giovanna Giuliani, Elena Iannelli, Dimitra Kakaraki, Laura Jardella, Victor La Forgia, Roberto Landi, Cristina La Stella, Valentina Libra, Antonella Liguori, Immacolata Lirer, Antonella Litta, Manuela Lorio, Fulvia Marchetti, Alice Mariani,

Alessandra Mariotti, Manuela Mastrapasqua, Enrica Marchione, Angelo Giovanni Maremmani, Icro Maremmani, Milena Martin, Isabella Masci, Mauro Mauri, Donatella Marazziti, Alessandra Mariotti, Annalicia Mastrosimini, Sergio Merlino, Leonardo Miscio, Marilena Minei, Ilenia Moroni, Laura Morgilli, Alessia Muscarella, Roberta Necci, Daniela Neglia, Anna Oppo, Nicola Origlia, Ginevra Orsolini, Riccardo Osini, Giovanni Pagni, Adriano Pagnini, Stefano Pallanti, Alessandro Pallucchini, Alessandra Parisi, Marco Pelagalli, Giulio Perugi, Alberto Petracca, Eleonora Petri, Armando Piccinni, Florenza Prete, Sara Proietti, Luigi Pulvirenti, Emanuela Quarticelli, Umberto Quiriconi, Sara Raffaele, Angelo Rega, Nicolò Renda, Cristian Romaniello, Ivana Romanello, Carlo Romano, Elisabetta Sarco, Chiara Santi, Doriana Santoro, Cinzia Scalia, Antonino Serio, Gerardo Settanni, Antonio Signoretta, Enza Sirugo, Vincenza Spera, Tiziana Stallone, Eleonora Tauro, Lorita Tinelli, Silvia Trotto, Sara Tonini, Chiara Tursini, Felice Damiano Torricelli, Vittorio Uva, Cristina Vacchini, Nadia Valentini, Antonello Veltri, Federica Vero, Giuseppe Vinci, Alessia Zaccaria. Chi volesse ancora sottoscrivere la lettera può inviare una mail con la sua adesione all’indirizzo appelloadraghi@ fondazionebrf.org scrivendo “Condivido l’iniziativa e sottoscrivo l’appello al Prof. Draghi” e indicando: nome, cognome, città di residenza, professione, eventuale ruolo istituzionale. ATTENZIONE: è necessario aggiungere la clausola di consenso al trattamento dei dati. Si può fare incollando la frase “Acconsento al trattamento dei miei dati qui riportati per le finalità di diffusione pubblica della lettera appello a Draghi”.

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“Ci appelliamo, dunque, alla lungimiranza del nostro Presidente della Repubblica, professor Sergio Mattarella, all’autorevolezza del Presidente del Consiglio, professor Mario Draghi, e alla competenza del Ministro della Salute, dottor Roberto Speranza, affinché quella che rischia, giorno dopo giorno, di trasformarsi in una pericolosa emergenza sociale e umana, diventi una delle priorità dell’operato di questo governo”.


L’INTERVISTA

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LA BATTAGLIA DELLA LORENZIN: “ISTITUZIONI SI OCCUPINO DEL DISAGIO MENTALE” L’ex ministro della Salute ha presentato una risoluzione e una mozione sul tema. L’obiettivo: un Piano strategico sulla psichiatria con interventi mirati

di Carmine Gazzanni

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n Piano piano strategico “sulla salute mentale con interventi mirati, da quelli prettamente sanitari, a quelli di potenziamento delle reti sociali specie per i giovani, finanziati con degli stanziamenti ad hoc del fondo sanitario e con degli investimenti sulle regioni, dove per altro ci sia una misurazione puntuale degli interventi fatti”. Questa è la richiesta che ormai da settimane avanza l’onorevole Beatrice Lorenzin, parlamentare del Pd ed ex ministro della Salute, protagonista di una crociata su cui si batte da tempo in prima linea: quella per

la tutela della salute mentale del cittadino, come ribadisce anche a Professione Sanità. “A riguardo abbiamo appena presentato un’importante risoluzione sulla neuropsichiatria infantile in Commissione Affari sociali della Camera e abbiamo chiesto la calendarizzazione di una mozione in Parlamento con tutta una serie di impegni che riguardano più in generale la salute mentale della popolazione”. Cosa prevede questa mozione? Chiediamo innanzi tutto al governo un piano strategico sulla salute mentale con interventi mirati, da quelli prettamente sanitari, a quelli


L’INTERVISTA

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Beatrice Lorenzin.

di potenziamento delle reti sociali specie per i giovani, finanziati con degli stanziamenti ad hoc del fondo sanitario e con degli investimenti sulle regioni, dove per altro ci sia una misurazione puntuale degli interventi fatti. Prevenzione, intercettazione del disagio e della malattia, formazione del personale non solo sanitario, ma anche la scuola e le reti assistenziali In questo modo possiamo lavorare sul medio periodo, prevenire il cronicizzarsi di situazione che ora sono ancora prevedibili. Ansia, depressione, dipendenze sono statisticamente già in aumento.

Cos’altro? Proponiamo incentivi alla telemedicina, telepsichiatria, chiediamo di aumentare i fondi stanziati sulla ricerca in salute mentale ma anche sulla parte neuropsichica, del long covid, e di potenziare le reti di assistenza e di urgenza. Un altro tema importante inoltre è l’osservatorio sui suicidi, fenomeno di grande allarme che va monitorato. Ma è soprattutto importante lavorare sui dati perché la loro raccolta sulla salute mentale è frammentata e in molti casi ferma al 2018 noi ad ora facciamo delle indagini epidemiologiche e degli interven-

“Chiediamo innanzi tutto al governo un piano strategico sulla salute mentale con interventi mirati, da quelli prettamente sanitari, a quelli di potenziamento delle reti sociali”.


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“Proponiamo incentivi alla telemedicina, telepsichiatria, chiediamo di aumentare i fondi stanziati sulla ricerca in salute mentale ma anche sulla parte neuropsichica, del long covid, e di potenziare le reti di assistenza e di urgenza. Un altro tema importante inoltre è l’osservatorio sui suicidi, fenomeno di grande allarme che va monitorato”.

L’INTERVISTA

ti in base a dati difficili da raccogliere e molto frammentati. La sua attenzione, negli ultimi mesi, è stata focalizzata anche in particolare sul dramma vissuto soprattutto dai minori. Perché? Varie ricerche ci dicono che gli alti livelli di stress e isolamento possono influenzare lo sviluppo psico-fisico di bambini e adolescenti, anche a lungo termine, pesando maggiormente su coloro che si trovano in situazioni di povertà economica, sociale, educativa. Aggiungo che probabilmente questa è solo la punta dell’iceberg, sono quelle situazioni eclatanti e chiaramente “visibili” che si riesce a intercettare. Si stima che un bambino su sei in Italia abbia un probabile problema di salute mentale e il numero di bambini indirizzati ad un aiuto assistenziale è in continuo aumento. Cosa bisognerebbe fare?

Occorre porre in essere scelte di indirizzo chiaro che mettano la salute sia fisica che mentale dell’infanzia e dell’adolescenza al centro delle politiche socio-sanitarie del paese e dei singoli territori, coinvolgendo i neuropsichiatri infantili, gli psicologi, i servizi educativi e quelli sociali, il terzo settore, oltre ai pediatri. Occorre rafforzare la medicina territoriale di neuropsichiatria e quella preventiva, a partire dall’ambulatorio del pediatra di famiglia, orientare nuovamente i servizi sui bisogni di salute mentale dei giovani, incrementare il numero di posti letto dedicati alla neuropsichiatria infantile al fine di potenziare la risposta ai casi acuti e più gravi di tipo neuropsichiatrico con la possibilità di ricovero in centri specialistici. Dai disturbi alimentari ai problemi del linguaggio, del comportamento, l’offerta è troppo differenziata tra regioni e tra nord e sud.


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nuovo coronavirus

Consigli sulle terapie in corso Titolo Non trascurare le tue patologie croniche. Continua ad assumere i farmaci che ti sono stati prescritti seguendo sempre le raccomandazioni del tuo medico. Le tue patologie non aspettano la fine della pandemia! Contatta il tuo medico per chiedergli consiglio, se hai qualche dubbio sulla terapia che stai assumendo. Il medico può fornirti telefonicamente il numero della ricetta con il quale ritirare i medicinali di cui hai bisogno presso la farmacia. Informati su quando potrai riprendere i tuoi controlli medici periodici. Non sospendere le terapie in corso senza aver consultato il tuo medico, in caso di positività al COVID-19. Ricordati di riferire al medico se stai assumendo integratori alimentari.

Chiedi conferma degli appuntamenti per le vaccinazioni dei tuoi bambini e cerca di non saltarli. Non esiste solo il COVID-19!

A cura del Gruppo ISS “Comunicazione Nuovo Coronavirus” 13 maggio 2020


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BABY PANDEMIA Comportamenti aggressivi e casi di fragilità. Triplicate le segnalazioni a Telefono azzurro


L’INCHIESTA

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di Stefano Iannaccone

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assenza di contatti con i propri coetanei, l’abitudine a seguire le lezioni attraverso un monitor, con l’ormai nota didattica a distanza, e l’incombente minaccia sulla salute dei familiari. Anche se la pandemia, da un punto di vista epidemiologico, ha risparmiato bambini e adolescenti, l’impatto da un punto di vista psichico è stato notevole. I primi mesi della prima ondata sono stati assorbiti anche bene. Il problema è un altro: sono trascorsi mesi e quella situazione diversa, anomala, si è trasformata in una “nuova normalità”. «In questi mesi stanno esplodendo delle situazioni che prima erano compensate dalle attività svolte dai ragazzi con i loro coetanei», spiega Ernesto Caffo, psichiatra e fondatore di Telefono Azzurro, a Professione Sanità. Cosa significa tutto questo? «C’è - aggiunge Caffo - un evidente aumento della fragilità, come testimonia il fatto che sono triplicate le chiamate a Telefono Azzurro». Le richieste di aiuto variano dallo stato d’ansia agli sbalzi di umore. Fino al pericolo di possibili atti suicidari. Un’osservazione preoccupante, anche perché le statistiche fanno scattare l’allarme: tra il 2014 e il 2015, un milione e 200mila ragazzi in Europa sono state vittime di comportamenti a rischio. E avveniva ben prima della pandemia, quando i problemi erano ordinari per quella fascia d’età. Difficile immaginare cosa possa provocare un evento così dirompente come il Covid. Giovanni Biggio, docente dell’Università di Cagliari e autore di decine di pubblicazioni scientifiche, evidenzia la dinamica psicosociale in atto: «Da marzo 2020, con il lockdown, bambini e adolescenti non sono andati più a scuola. In questo


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Si manifesta una forma di isolamento, soprattutto per quei giovani meno attenti all’istruzione. La scuola in presenza per loro è paradossalmente fondamentale: anche se non hanno un rendimento ottimale nei voti, usufruiscono della possibilità di interazione con i coetanei e con i docenti. Si mette in moto, spiegano gli esperti, un meccanismo di maturazione e di crescita, al di là del risultato in pagella.

L’INCHIESTA

c’è un aspetto fondamentale: la socializzazione che è venuta meno. Oltre alla scuola, non è stato più possibile trovarsi con gli amici al campo di calcetto, in palestra, in piscina. Sono questioni fondamentali». Il motivo è profondo: «Le interazioni sociali - osserva Biggio - consentono lo sviluppo evolutivo. Noi umani siamo più sviluppati perché siamo gli esseri viventi che socializziamo di più. Per esempio, tra le scimmie, i macachi hanno il cervello più sviluppato, perché hanno una forma di struttura sociale». Una questione evolutiva, quindi. E, per quanto utile, la tecnologia non riesce a sostituire il contatto diretto. «Oggi - dice Caffo - i ragazzi usano ampiamente la navigazione in Rete per avere altre forme di contatto. Ma è un uso spesso solitario». Un esempio è proprio la dad: «È preziosa per seguire le lezioni, ma allo stesso tempo è uno strumento che provoca una difficoltà cognitiva, perché è assente una modalità di interazione, di confronto e quindi di sviluppo del pensiero critico. Ci sono dei casi significativi: studenti che non frequentano nemmeno la dad: spariscono con la scusa di non potersi connettere». Si manifesta una forma di isolamento, soprattutto per quei giovani meno attenti all’istruzione. La scuola in presenza per loro è paradossalmente fondamentale: anche se non hanno un rendimento ottimale nei voti, usufruiscono della possibilità di interazione con i coetanei e con i docenti. Si mette in moto, spiegano gli esperti, un meccanismo di maturazione e di crescita, al di là del risultato in pagella. «I bambini e gli adolescenti prosegue Biggio - oggi hanno un’area limbica sviluppatissima. Signifi-

ca che hanno bisogno di emozioni e senza di esse, il danno è notevole». Così, secondo l’analisi del docente, si viene a creare «una situazione di stress per la chiusura nei pochi metri quadri della propria casa. Lo sviluppo degli ormoni dello stress, in particolare il cortisolo, è bloccato: manca la sincronizzazione del ritmo circadiano». Una conseguenza diretta è l’incremento di comportamenti aggressivi verso gli altri. Ma anche verso se stessi: da qui si verifica l’aumento di casi di bullismo, di cyberbullismo come dei tentativi di suicidio. Lo stress impatta in maniera diretta sulla regolarità del sonno. «L’aggressività è legata alla deprivazione del sonno. Questo fenomeno colpisce non solo gli adolescenti, ma anche i bambini», rimarca il docente di Cagliari. La preoccupazione sulla tenuta mentale è condivisa anche dalla Società italiana di medicina di emergenza e urgenza pediatrica (Simeup): «Questa pausa prolungata è vissuta dai bambini come vera e propria “sparizione” di presenze affettive e può generare angoscia e sensi di colpa. I bambini si rispecchiano nello sguardo e negli affetti di chi si prende cura di loro: sarà dunque lo stato psichico ed emotivo dei genitori a rappresentare fonte di sicurezza o insicurezza». In questa direzione si verifica l’aumento della preoccupazione. Spiega ancora Caffo: «I ragazzi stanno affrontando il tema del lutto, vivono con la paura della morte, che può riguardare un familiare. Un nonno, uno zio, ma anche un genitore. I giovani sembrano dei supereroi, ma nelle loro chat emerge una grande preoccupazione rispetto alla situazione attuale». E cresce la pre-


L’INCHIESTA

occupazione verso il futuro, come il calo del reddito e della qualità della vita, legato all’incertezza lavorativa di madri e padri. In alcuni casi va anche peggio: «Stando a casa, limitando le uscite, abbiamo registrato un numero crescente di problemi in famiglia. Questo ha provocato più liti, più separazioni. E per i bambini è un trauma enorme assistere a queste dinamiche», afferma Biggio. Per Caffo c’è una responsabilità a monte: «Il tema dei giovani è centrale, per troppo tempo è stato ignorato». Cosa bisogna fare allora? «È necessario aumentare la capacità di ascolto, perché i ragazzi sono alla

ricerca di qualcosa di contatti. In quella fase la corporeità è necessaria. L’assenza di servizi in presenza ha portato i ragazzi a delle difficoltà. C’è una richiesta maggiore di aiuto, ma mancano i canali giusti». Certo, la questione non è solo italiana: il problema è globale, in tutti i Paesi sviluppati è forte l’allarme per i disagi psichici dei più giovani. E il fondatore di Telefono Azzurro chiude con un messaggio significativo: «Parliamo di una generazione che ha perso una fase fondamentale dello sviluppo, l’età dei primi affetti. Questo, purtroppo, lascerà una ferita a lungo».

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“È necessario aumentare la capacità di ascolto, perché i ragazzi sono alla ricerca di qualcosa di contatti. In quella fase la corporeità è necessaria. L’assenza di servizi in presenza ha portato i ragazzi a delle difficoltà. C’è una richiesta maggiore di aiuto, ma mancano i canali giusti”.


L’INTERVISTA

22 PS Mag 2021

LA SALUTE MENTALE È DA CONSIDERARE UN INVESTIMENTO, NON UNA SPESA Lazzari (presidente Ordine Psicologi): «Bene l’appello della Fondazione BRF. Per anni sottovalutata l’importanza dei servizi psichiatrici e psicologici»

di Carmine Gazzanni

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ervizi di psicologia scolastica; specialisti presenti anche nelle cure primarie «per affiancare i medici e pediatri di famiglia»; esperti di salute mentale anche «nei servizi sociali, dove le tematiche di interesse psicologico sono enormemente aumentate». Poi ovviamente «occorre ristrutturare i servizi sanitari e potenziare il territorio, quasi abbandonato in questi anni». Si potrebbe partire da qui per ridare forza vitale e priorità alla categoria degli psicologi, specie in un periodo - quello della pandemia che ha mostrato come fondamentale

debba essere l’attenzione alla salute mentale per il benessere del singolo e della comunità tutta. A illustrare le priorità a Professione Sanità per affrontare quella che potrebbe presto trasformarsi in una seconda emergenza, è David Lazzari, presidente dell’Ordine degli Psicologi. Partiamo da principio, presidente. A più di un anno dalla pandemia quali sono i rischi psicologici cui la popolazione, nelle sue diverse sfaccettature, potrebbe andare incontro? Sono molti anni che la ricerca scientifica ha documentato gli effetti dello


L’INTERVISTA

stress psicologico prolungato. A partire dagli anni ’70 del 900 abbiamo studi sia di laboratorio che dati epidemiologici su milioni di persone. Io mi sono occupato di questa letteratura scientifica in diversi libri, il primo dei quali è Mente & Salute del 2007 e l’ultimo La Psiche tra Salute e Malattia: evidenze ed epidemiologia del 2020. Sappiamo che un disagio psicologico prolungato altera in vario modo i processi fisiologici dell’organismo, anche mediante l’azione epigenetica del DNA e l’attività dei mitocondri del nucleo cellulare. In sostanza l’equilibrio corporeo e mentale si sposta dalla salute al malessere e alla malattia. Sappiamo che aumenta di molto il rischio di ammalarsi, sia di patologie fisiche che mentali. Inoltre lo stress psicologico impatta sui compor-

tamenti, le relazioni, le capacità lavorative, compromettendo la performance delle persone. In sostanza lo stress psicologico prolungato ha dei costi enormi per gli individui e la società nel suo complesso. Cosa crede che le istituzioni debbano ancora fare per evitare una seconda emergenza, questa volta di tipo psichiatrico-psicologica? Ci sono due tipi di azioni: una è imperniata sulla filiera prevenzione/ promozione/sostegno ed è di tipo psicologico. Attivare reti e programmi, che facciamo perno sui servizi sanitari, la scuola, il welfare e il mondo del lavoro, per azioni collettive e individuali in grado di dare risposte efficaci al disagio e potenziare la resilienza delle persone, dei gruppi e delle organizza-

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“L’equilibrio corporeo e mentale si sposta dalla salute al malessere e alla malattia. Sappiamo che aumenta di molto il rischio di ammalarsi, sia di patologie fisiche che mentali. Inoltre lo stress psicologico impatta sui comportamenti, le relazioni, le capacità lavorative, compromettendo la performance delle persone”.


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David Lazzari.

“L’appello della Fondazione BRF è assolutamente condivisibile. In Italia abbiamo due gravi problemi: un uso solo privatistico della Psicologia, mentre serve un uso sociale e pubblico come negli altri Paesi europei, e non solo in campo strettamente sanitario; e una sottovalutazione dei servizi di salute mentale per l’infanzia e gli adulti”.

L’INTERVISTA

zioni. Il secondo livello è più clinico, ed è destinato alle situazioni più gravi, i disturbi psichici più severi, ed è imperniata sui servizi sanitari specialistici. Quindi va di fatto creata la rete psicologica di primo livello e potenziata quella multiprofessionale (psichiatrica e psicologica) di secondo livello. Lei ha firmato anche la lettera che la Fondazione ha promosso. Crede che possa essere un buon punto di partenza per cominciare a ragionare su dei punti concreti di intervento? Penso che ogni iniziativa sia utile e significativa. Questo appello è assolutamente condivisibile. In Italia abbiamo due gravi problemi: un uso solo privatistico della Psicologia, mentre serve un uso sociale e pubblico come negli altri Paesi europei, e non solo in campo strettamente sanitario; e una sottovalutazione dei servizi di salute mentale per l’infanzia e gli adulti. La mancanza di una rete psicologica ingolfa questi servizi di secondo livello che non riescono a seguire come meritano le situazioni più gravi, che finiscono per avere una contenzione soprattutto farmacologica anziché un intervento psichiatrico ma anche psicologico/psicoterapico e sociale. Quali sono secondo lei le categorie più a rischio in questa fase? È problematico dare delle priorità perché, in vario modo, tutte le fasce d’età sono a rischio. Si pensi all’infanzia e all’adolescenza e alla mancanza della scuola. Ai sopravvissuti al Covid, ai tanti in lutto complicato per aver perso delle persone care senza aver avuto la possibilità di salutarle, a coloro che sommano la sofferenza psicologica a cambiamenti importanti di tipo sociale ed economico.

Quali sono, invece, le azioni a suo modo di vedere prioritarie di intervento? Il fatto di avere pochissimi psicologi, che sono anche psicoterapeuti, nel pubblico – ricordo che sono 5 mila in tutta Italia e devono occuparsi di un fronte vasto di situazioni non solo nella salute mentale – mi ha portato un anno fa a lanciare la proposta dei voucher psicologici, per dare un aiuto immediato alle situazioni più fragili. Il Governo preferì attivare un Numero verde per il sostegno psicologico, ma è durato solo tre mesi e ora siamo completamente scoperti. Le nostre proposte sono quelle di attivare subito i servizi di psicologia scolastica, gli psicologi nelle cure primarie per affiancare i medici e pediatri di famiglia e inserire gli psicologi nei servizi sociali, dove le tematiche di interesse psicologico sono enormemente aumentate. Poi ovviamente, occorre ristrutturare i servizi sanitari e potenziare il territorio, quasi abbandonato in questi anni. La salute è stata vista come una spesa e non un investimento. Ultima domanda: qual è il ruolo che potrebbero svolgere oggi gli psicologi per evitare appunto di vivere una nuova emergenza? Gli ambiti della Psicologia sono molti, perché noi ci occupiamo di sostegno e terapia ma soprattutto di prevenzione, sviluppo e promozione delle risorse e competenze di vita, di relazione, di buon adattamento di autorealizzazione. Ecco perché la società ha bisogno di un uso pubblico della Psicologia, è necessario per lo sviluppo del capitale umano e dell’economia. Le emergenze, di vario tipo, sono ormai strutturali, viviamo un mondo complesso e interconnesso. Per affrontarlo adeguatamente c’è bisogno di una psiche aperta e accesa.



26 PS Mag 2021

L’INTERVISTA

“BENESSERE ITALIA” UNA CABINA DI REGIA PER INVESTIRE SULLA SALUTE Colloquio con Filomena Maggino, Presidente della Cabina di regia della Presidenza del Consiglio dei Ministri “Benessere Italia”

di Massimiliano Coccia

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n centro di coordinamento ma anche un pensatoio sui temi del benessere dei cittadini, un braccio operativo e un ponte tra istituzioni e mondo delle imprese. In queste poche righe si potrebbe descrivere la cabina di regia “Benessere Italia” presieduta dalla Professoressa Filomena Maggino, un ente che ha dovuto riscrivere le proprie linee di programmazione per l’emergenza Covid-19, ma che in questi mesi ha iniziato a strutturare il post pandemia. Presidente Maggino, in questo anno di attività la Cabina di Regia Benessere Italia si è trovata ad affrontare molteplici sfide. Che bilancio sente di fare dopo questi mesi e quali sfide attendono la struttura che coordina?

L’epidemia è cominciata quando l’attività della Cabina di regia Benessere Italia era già avviata da molti mesi durante i quali avevamo discussi e individuati i punti di fragilità del nostro paese che si sono mostrati tragicamente veri in conseguenza della gravità e dell’emergenza che ne sono scaturite. È sicuramente necessario procedere ad una rigenerazione equa e sostenibile di tutto il territorio, con particolare attenzione alle aree interne (e non solo alle aree urbane che l’emergenza sanitaria ha rivelato essere non adeguate ad una vita sana). Ciò richiede, per esempio, una rimodellazione dei servizi territoriali (sanitari e sociali) alla persona, finora considerati un peso per la spesa pubblica (si pensi solo ad un dato emerso tra


L’INTERVISTA

i dati nell’ultimo rapporto BES, il quasi dimezzamento del numero di posti letto in rapporto alla popolazione negli ultimi 10 anni). Occorre ripensare la mobilità con nuove fonti energetiche coniugando accessibilità e tutela ambientale. La sfida che nell’immediato la Cabina sta affrontando è legata all’emergenza sanitaria che sta sempre più emergendo, ovvero quella non-covid, dovuta ai

Filomena Maggino.

mancanti interventi, alle mancate terapie, alle mancate diagnosi precoci di tante patologie (oncologiche, cardiache, oculistiche, nefrologiche, ecc.) che stanno mettendo a rischio la salute di milioni di italiani. Stiamo lavorando con reti di Comuni (principalmente delle aree interne) accogliendo l’offerta di supporto che sta provenendo da tutte le società mediche scientifiche e che rin-

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“Occorre ripensare la mobilità con nuove fonti energetiche coniugando accessibilità e tutela ambientale”.


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“L’epidemia ci ha fatto capire, per esempio, quanto sia importante alimentarsi in maniera corretta. Tale azione parte sicuramente dalla decisione dei singoli ma deve trovare anche sistema disponibile ad accogliere le richieste dei cittadini e viceversa il sistema alimentare deve anche incoraggiare l’adozione di corretti stili di vita”.

L’INTERVISTA

graziamo per la grande sensibilità e competenza con le quali si stanno proponendo in questo contesto. La cabina di regia nasce con l’intento di coordinare vaste aree del “benessere”, un concetto distante dalla percezione degli italiani che sono portati a pensare alla salute solo in ottica medicalizzante. Che idea si è fatta del lavoro da intraprendere socialmente e culturalmente nella popolazione? Io penso che la nozione di benessere non sia lontana dalla sensibilità della popolazione. Occorre però far emergere maggiormente il ruolo che le istituzioni hanno per promuoverlo ma anche il ruolo che ciascun cittadino può avere. L’epidemia ci ha fatto capire, per esempio, quanto sia importante alimentarsi in maniera corretta. Tale azione parte sicuramente dalla decisione dei singoli ma deve trovare anche sistema disponibile ad accogliere le richieste dei cittadini e viceversa il sistema alimentare deve anche incoraggiare l’adozione di corretti stili di vita. La cabina di regia nasce per trovare anche sinergie tra pubblico e privato, per sostenere enti locali e azioni mirate, quali sono i soggetti coinvolti in questa sorta di circuito positivo di solidarietà e cura comune in questi mesi? Il benessere di un paese è multidimensionale e multilivello e richiede, non solo per essere monitorato, un approccio sistemico che rispetti la complessità. La complessità richiede relazioni ed è nemica della settorialità. Un tale luogo finisce per essere inevitabilmente un punto di riferimento anche per gli altri attori, imprese, aziende, fondazioni, associazioni che la cabina è riuscita a mettere in rete anche e soprattutto in questo momento difficile. Il caso

delle società mediche scientifiche e i comuni ne è un esempio. La condizione del lockdown è di fatto permanente, scale e valori delle giornate sono cambiati, la concezione di benessere psicofisico rimodulata. Che società uscirà a suo avviso da questa pandemia e come possiamo invertire costumi e abitudini errati?


L’INTERVISTA

L’epidemia e la conseguente emergenza sanitaria rappresentano una lezione per tutti noi, sia a livello individuale che a livello di comunità. Non dobbiamo nasconderci due semplici verità: la prima è che non aver messo al centro delle decisioni (individuali, aziendali, istituzionali, ecc.) il benessere dei cittadini ha creato una grande condizione di fra-

gilità nel nostro Paese. L’epidemia ha fatto da cassa di risonanza. Tutto ciò rappresenta una grande lezione per tutti. La seconda è che l’epidemia, incrociando fattori diversi che esprimevano conclamate disuguaglianze, ha finito per non colpire tutti nello stesso modo. È per questo che si parla di sindemia, invece che di epidemia. Dobbiamo ritornare a mettere al centro dei nostri interessi e delle nostre decisioni, a tutti i livelli, il benessere integrale. Oltre alla piaga del Covid-19 questa emergenza ha aperto una grande questione relativa alla salute mentale. Sono sempre di più le situazioni in cui giovani e meno giovani chiedono aiuto, quali azioni avete in programma per coprire anche questo versante dell’emergenza? L’emergenza sanitaria e le misure che conseguentemente sono state prese hanno richiesto delle misure restrittive che hanno, senza alcun dubbio, prodotto dei disagi in molte fasce della popolazione ma soprattutto dei giovani. È il classico esempio di come un intervento in situazione di complessità provoca conseguenze sistemiche. Nell’intervento territoriale precedentemente descritto abbiamo previsto di inserire un supporto psicologico. Ne stiamo parlando anche con l’Ordine degli Psicologi. Quale appello si sente di rivolgere ai professionisti della sanità e ai medici impegnati in questo anno complesso e difficile? Credo che gli operatori sanitari non abbiamo bisogno dei miei consigli e del mio incoraggiamento: hanno dimostrato di essere competenti e forti. Il consiglio lo rivolgo a tutti noi, dai semplici cittadini a chi opera ai vertici delle istituzioni: operare mettendo al centro l’umanità.

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“L’epidemia, incrociando fattori diversi che esprimevano conclamate disuguaglianze, ha finito per non colpire tutti nello stesso modo. È per questo che si parla di sindemia, invece che di epidemia. Dobbiamo ritornare a mettere al centro dei nostri interessi e delle nostre decisioni, a tutti i livelli, il benessere integrale”.


30 PS Mag 2021

ALIMENTAZIONE E COVID Come sono cambiate le nostre abitudini alimentari

di Tiziana Stallone Biologa nutrizionista, Presidente Enpab

di Serena Capurso Biologa nutrizionista, Vice-presidente Enpab


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ra i tanti cambiamenti in epoca Covid ci sono anche lo stile di vita e le scelte alimentari. Siamo tutti stati in qualche modo costretti bruscamente a cambiare il nostro assetto per ritrovare un nuovo equilibrio. Se questo nuovo stato sia migliorativo o meno del nostro modo di nutrirci dipende anche dalla nostra serenità e dal nostro stato psichico. Famiglie che prima si incontravano poche ore al giorno, hanno dovuto rieducarsi alla convivialità. Hanno dovuto riorganizzare spazi e tempi per il “nuovo nucleo” che condivide il quotidiano. Diametralmente opposta la condizione di individui che si sono trovati soli nella quotidianità. Coloro che per scelta o condizione vivono da single. Per loro gli spazi e probabilmente anche i tempi si sono dilatati. Tra le poche concessioni di questi mesi di domiciliazione forzata, di fatto il cibo ha costituito l’unica deroga. I supermercati e gli alimentari, distributori di generi di prima necessità, l’unica via di uscita necessaria. Di qui, dimostrato dalla scomparsa dagli scaffali di lievito e farina divenuti ad un certo punto introvabili, la necessita e la voglia di ristoro attraverso il cibo. L’atto nutritivo per tanto è divenuto un riempitivo, un passatempo, un modo per consolarsi e gratificarsi, per ritrovarsi e per evadere. Il tempo dedicato in casa alla cucina è aumentato e con questo la complessità della preparazione dei pasti. Si sperimentano ricette e si attinge alla tradizione. Diminuisce l’utilizzo di cibo precotto a favore del fatto in casa. Anche il modo in cui si fa la spesa è mediamente più abbondante, con maxi-scorte di fatto ingiustificate. L’immagine di ritorno è quello di un nuovo equilibrio ritrovato con un ef-


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Il tempo dedicato in casa alla cucina è aumentato e con questo la complessità della preparazione dei pasti. Si sperimentano ricette e si attinge alla tradizione. Diminuisce l’utilizzo di cibo precotto a favore del fatto in casa.

PRIMO PIANO

fetto boomerang importante. L’incremento di sovrappeso e obesità indotto da iperalimentazione e ridotto accesso alle strutture sportive e talvolta agli stessi parchi. Non va tuttavia trascurata anche la maggiore cura che alcune persone hanno riposto nel loro stile di vita. Per loro il freno imposto ai ritmi incalzanti è stato occasione di miglioramento della loro alimentazione. In questi casi i centri sportivi chiusi sono stati rimpiazzati da sedute on line con personal trainer o da pacchetti per l’allenamento acquistati attraverso i social o in rete. Si tratta di persone che solitamente hanno ritmi di vita frenetici, pranzano spesso fuori, non potendo quindi gestire al meglio porzioni e condimenti, quando sono a casa hanno poco tempo per cucinare o per fare una spesa sana, e non riescono a ritagliarsi il giusto tempo per fare attività fisica. Ora, con più ore a disposizione decidono di avere una vita più attiva, e dedicano più tempo alla preparazione dei pasti, magari organizzando un menù settimanale vario e bilanciato. Lo scenario descritto, fatto di farina lievitata, di ricette scoperte o ritrovate o di maggior cura dello stile di vita, di fatto, è un aspetto dell’alimentazione in epoca Covid, che rischia di coprire un sommerso di comportamenti in disequilibrio più severi. Le difficoltà economiche legate alla crisi, hanno probabilmente influenza-

to l’acquisto di prodotti palatabili, e contestualmente hanno accentuato il craving di alimenti ricchi in zuccheri, grassi e sale che sono stati utilizzati forse anche per anestetizzare le forti emozioni negative scatenate dalla pandemia: ansia, stress, depressione, paura, solitudine. Preoccupa inoltre il fenomeno in crescita dei disturbi del comportamento alimentare nei giovanissimi. Diamo ora uno sguardo di sintesi a quanto ritrovato in letteratura sul cambiamento delle abitudini alimentari nell’epoca Covid nel panorama internazionale. Siamo certi che la piena ripresa dalla pandemia da Covid 19 in termini di miglioramento dello stato di salute globale dipenderà anche dal miglioramento dello stato nutrizionale. Martinez-Ferran M, et al Nutrients 2020 Una condizione spesso riscontrata durante questi mesi di pandemia riguarda la riduzione dell’attività fisica e il peggioramento delle abitudini alimentari. L’impatto sulla salute di questo bilancio energetico positivo riguarda l’insorgenza di sindrome metabolica con comparsa o peggioramento di insulino-resistenza, un aumento del grasso corporeo totale e del grasso viscerale e delle citochine pro-infiammatorie. Tutte condizioni che aumentano il rischio di patologie croniche come ipertensione, diabete e malattie cardiovascolari, che sono a loro volta identificati come potenziali fattori di rischio per i pazienti gravi covid positivi. Per questo motivo un controllo adeguato dei disordini metabolici dovrebbe essere auspicabile come conditio sine qua non per ridurre il rischio di affezione particolarmente grave di covid-19.


PRIMO PIANO

Mattioli et al Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2020 La quarantena imposta da diversi governi per contrastare la pandemia globale è associata a stress e depressione che portano ad una dieta malsana e a una ridotta attività fisica. Durante l’isolamento si riscontra spesso una dieta povera di frutta e di verdura, con conseguente basso apporto di antiossidanti e vitamine, micronutrienti con azione protettiva nel contrastare le infezioni virali. Proprio per questo motivo l’OMS ha elaborato una guida per le persone in quarantena, con consigli pratici su come rimanere attivi durante questa pandemia. Allo stesso modo si renderà necessaria un’azione globale a sostegno di una dieta sana e dell’attività fisica per incoraggiare le persone ad orientarsi nuovamente verso un corretto stile di vita.

di malattie degenerative come obesità, diabete e patologie cardiovascolari. Uno studio sulle nuove abitudini di vita condotto in Italia, Spagna, Cile, Colombia e Brasile, ha mostrato come a causa della reclusione forzata, le famiglie abbiano avuto più tempo per cucinare e prestato maggiore attenzione all’assunzione di legumi, frutta e verdura, anche se questo, a quanto pare, non abbia migliorato la qualità generale della dieta. Gli adolescenti hanno mostrato un maggior consumo di cibi dolci, probabilmente a causa della noia e dello stress prodotti dal confinamento.

Laura Di Renzo et al J Transl Med. 2020 Italiano è lo studio preliminare che ha indagato l’impatto immediato della pandemia sulle abitudini alimentari e sui cambiamenti dello stile di vita tra la popolazione italiana di età superiore ai 12 anni. La percezione dell’aumento di peso è stata osservata nel 48,6% della popolazione; il 3,3% dei fumatori ha deciso di smettere di fumare; il 38,3% degli intervistati ha segnalato un lieve aumento dell’attività fisica soprattutto a corpo libero; il 15% si è rivolto ad agricoltori o a produttori biologici, acquistando frutta e verdura, soprattutto al Nord e centro Italia, dove i valori di bmi erano più bassi.

Sidor et al Nutrients. 2020 Un sondaggio polacco su poco più di mille individui ha mostrato come siano cambiate le abitudini alimentari della popolazione durante la quarantena. Il 43% dei soggetti intervistati ha riferito di mangiare di più e il 52% di fare più spuntini; il 30% ha evidenziato un aumento di peso, con una buona associazione ad un consumo meno frequente di verdura, frutta e legumi a favore di un maggior consumo di carne, latticini e cibi da fast food. Solo il 18% ha invece riscontrato una perdita di peso; questa tendenza alla diminuzione di peso nei soggetti sottopeso deve comunque essere presa in considerazione e ulteriormente approfondita, in quanto preoccupante e probabilmente significativa di un disagio interiore. Il 14,6% degli intervistati ha consumato più alcol e il 45% ha fumato di più.

Ruiz-Roso et al. Nutrients. 2020 Il confinamento dovuto alla pandemia può influenzare le abitudini dietetiche in particolare degli adolescenti, decisamente più suscettibili all’acquisizione di cattive abitudini alimentari, che possono aumentare il successivo rischio

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Tra le poche concessioni di questi mesi di domiciliazione forzata, di fatto il cibo ha costituito l’unica deroga. I supermercati e gli alimentari, distributori di generi di prima necessità, l’unica via di uscita necessaria.


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Uno studio spagnolo ha evidenziato come il confinamento legato alla quarantena in questa fase pandemica abbia portato la popolazione all’adozione di abitudini alimentari più sane, correlate ad una maggiore aderenza alla Dieta Mediterranea: meno cibi fritti, snack, pasti precotti, carni rosse, dolci e bevande zuccherate e un aumento di alimenti caratteristici della dieta mediterranea come olio di oliva, verdura, frutta e legumi.

PRIMO PIANO

Ingram et al Front Psychol. 2020 Situazioni stressanti e stile di vita malsano (maggior consumo di alcol, dieta sbilanciata, peggiore qualità del sonno, sedentarietà) sono spesso collegati a una cattiva “salute mentale”. Lo studio britannico ha esaminato i cambiamenti nei comportamenti in relazione all’umore durante questa pandemia. Una dieta più povera è stata collegata a un umore peggiore e ai cambiamenti nell’attività lavorativa. Una cattiva qualità del sonno risulta essere collegata sia ad un umore peggiore che a un abbassamento delle difese immunitarie. Anche la riduzione dell’attività fisica risulta essere collegata ad un peggioramento del tono dell’umore. Invece un aumento del consumo di alcol risulta legato alla convivenza con i bambini invece che allo stato emotivo. Rodríguez-Pérez et al Nutrients. 2020 Uno studio spagnolo ha evidenziato come il confinamento legato alla quarantena in questa fase pandemica abbia portato la popolazione all’adozione di abitudini alimentari più sane, correlate ad una maggiore aderenza alla Dieta Mediterranea: meno cibi fritti, snack, pasti precotti, carni rosse, dolci e bevande zuccherate e un aumento di alimenti caratteristici della dieta mediterranea come olio di oliva, verdura, frutta e legumi. Questo miglioramento nelle abitudini di vita, se sostenuto a lungo termine, potrebbe avere un impatto positivo sulla prevenzione delle malattie croniche e delle complicanze legate al Covid-19. Marty et al. Appetit. 2021 La quarantena in Francia è stata correlata a una diminuzione della qualità della dieta, che potrebbe in parte essere spiegata dai cambiamenti legati alle motivazioni con cui è stata

fatta la spesa o sono stati scelti alcuni alimenti invece che altri. Il prezzo e la convenienza hanno perso di importanza, mentre il 48% degli intervistati hanno dichiarato di aver correlato l’assunzione di cibo ai cambiamenti nel tono dell’umore, il 26% ha fatto scelte alimentari legate al miglioramento della salute, il 21% per motivi etici, suggerendo anche una crescente consapevolezza dell’importanza di scelte alimentari sostenibili in alcuni partecipanti. Butler et al. Brain Behav Immun. 2020 L’elevato consumo di grassi saturi, zuccheri e carboidrati raffinati contribuisce in tutto il mondo alla prevalenza di obesità e diabete di tipo 2 e potrebbe anche esporre queste popolazioni ad un rischio maggiore di contrarre una forma grave di Covid-19, o una prognosi peggiore. Questo tipo di alimentazione malsana per altro attiva anche il sistema immunitario innato e altera l’immunità adattativa, portando a infiammazione cronica e ad un abbassamento delle difese nei confronti del virus. L’infiammazione periferica inoltre causata dal covid-19 potrebbe anche avere conseguenze a lungo termine in quei soggetti guariti, ma che potrebbero sviluppare condizioni croniche come demenza e malattie neurodegenerative probabilmente attraverso meccanismi neuroinfiammatori che possono essere peggiorati proprio da abitudini alimentari scorrette. Per questo ora più che mai, mantenere uno stile di vita sano compiendo scelte alimentari adeguate dovrebbe essere una priorità assoluta e la popolazione dovrebbe essere consapevole di quanto la dieta corretta potrebbe essere utile per ridurre la suscettibilità e le complicanze a lungo termine legate all’affezione da covid.


PS Gen 2021

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NOBEL PER LA PACE A CHI COMBATTE UNA “GUERRA” I nostri medici e infermieri candidati all’ambito riconoscimento a più di un anno dalla pandemia da Covid-19

di Andrea Zanotto

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oberto Stella era un medico di medicina generale e presidente dell’Ordine di Varese. È morto a 67 anni, l’11 marzo dello scorso anno: il primo sanitario italiano ucciso dal Covid19. È passato poco più di un anno e la FNOMCeO (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) conta, tra i medici, 342 decessi causati dal virus: un elenco purtroppo costantemente aggiornato. Altro triste conteggio è tenuto dalla FNOPI (Federazione nazionale degli ordini delle professioni

infermieristiche). Dai loro dati emerge come gli infermieri siano la categoria professionale che ha subito il maggior numero di contagi: a dicembre 2020 l’84,4% di tutti gli operatori sanitari; in numeri assoluti, tra dipendenti e liberi professionisti, quasi 20mila contagiati. Tanti morti, tantissimi contagiati, e per tutti la fatica di lavorare fino a sfiorare il limite delle proprie forze. La foto simbolo della lotta dei sanitari italiani contro il Covid19 è stata scattata all’ospedale di Cremona, alle


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sei di mattina, da un medico. Ritrae un’infermiera crollata, esausta, la testa appoggiata alla scrivania, dopo una notte di lavoro, senza neppure avere avuto il tempo di togliersi il camice, la mascherina, i guanti in lattice. Il sacrificio dei sanitari italiani sarà forse premiato con il Nobel per la Pace. La candidatura è stata proposta dalla Fondazione Gorbachev di Piacenza (https://gorbachevfoundation.it/), di cui è presidente ono-

rario è proprio Mikhail Gorbachev, ultimo segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Marzio Dallagiovanna, presidente della Fondazione, spiega come «alla base della richiesta di candidatura vi è il fatto che il personale sanitario italiano è stato il primo nel mondo occidentale a dover affrontare una gravissima emergenza sanitaria, nella quale ha ricorso ai possibili rimedi di medicina di guerra, combattendo in trincea per salvare vite e spesso perdendo la propria». La proposta, per essere accettata, doveva essere sottoscritta anche da una persona o un’associazione che in passato avesse vinto il Nobel per la pace. L’ha firmata Lisa Clark, in qualità di co-presidente dell’International Peace Bureau, cui è stata conferita l’onorificenza nel 2017 per la lotta a favore del disarmo nucleare. Statunitense trapiantata in Toscana, in questi mesi Clark ha guidato le ambulanze della Croce Rossa di Bagno a Ripoli, come volontaria. «L’abnegazione – dice – è stata commovente. Qualcosa di simile a un libro delle favole, da decenni non si vedeva niente del genere. Il personale sanitario non ha più pensato a sé stesso ma a cosa poteva fare per gli altri con le proprie competenLa foto simbolo. ze». «L’Italia – continua Clark – ha reagito in modo diverso dagli altri

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Il sacrificio dei sanitari italiani sarà forse premiato con il Nobel per la Pace. La candidatura è stata proposta dalla Fondazione Gorbachev di Piacenza. La proposta, per essere accettata, doveva essere sottoscritta anche da una persona o un’associazione che in passato avesse vinto il Nobel per la pace. L’ha firmata Lisa Clark, in qualità di co-presidente dell’International Peace Bureau, cui è stata conferita l’onorificenza nel 2017 per la lotta a favore del disarmo nucleare.


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Il personale sanitario italiano è quindi ufficialmente uno dei 329 candidati – tra singole personalità, associazioni e istituzioni – al Nobel per la pace 2021.

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paesi. L’utopia del più forte che aiuta il più debole non è stata più un’utopia, è diventata realtà. E anche se questa candidatura riguarda il corpo sanitario, in quel momento tutti gli italiani hanno dato il meglio di sé». Testimonial della candidatura è Luigi Cavanna, primario di oncoematologia all’ospedale di Piacenza, e proponente – figura anch’essa prevista dal protocollo – ne è Mauro Paladini, professore di Diritto privato all’università di Brescia. Il personale sanitario italiano è quindi ufficialmente uno dei 329 candidati – tra singole personalità, associazioni e istituzioni – al Nobel per la pace 2021.

Forse non lo vincerà. Ma se a Oslo decideranno che medici e infermieri italiani meritino il premio, tutti vorranno appuntarsi la medaglia sul petto. Un riconoscimento collettivo dato a una categoria non può distinguere tra chi ha combattuto in prima linea, ha dato supporto, ha garantito gli approvvigionamenti e chi invece si è nascosto nelle retrovie, non distingue tra i coraggiosi e i pavidi. Ma per la stragrande maggioranza varrà la frase detta a un collega da Roberto Stella, pochi giorni prima di essere ricoverato nella terapia intensiva dove morì: «Abbiamo finito le mascherine, ma non ci fermiamo. Stiamo attenti e andiamo avanti».



L’INTERVISTA

40 PS Mag 2021

ONCOLOGIA E COVID NESSUN PAZIENTE È STATO ABBANDONATO Intervista al dottor Carmine Pinto: «Oggi molti tumori sono curabili. Abbattiamo l’alone di morte e sofferenza che avvolge questa malattia»

di Carmine Gazzanni

«U

n punto deve oggi essere chiaro: nessuno è stato lasciato indietro. Nonostante le tante difficoltà dovute alla pandemia, il modello clinico dell’oncologia italiana ha retto e ha retto bene». Può dirsi soddisfatto Carmine Pinto, direttore dell’Oncologia Medica dell’Ausl IRCCS di Reggio Emilia, uno dei più autorevoli oncologi italiani. «Più di altri Paesi - continua Pinto intervistato da Professione Sanità - l’Italia è riuscita a garantire la sicurezza dei pazienti e la continuità delle cure». Cosa certamente non facile vista la crisi che gli ospedali e le strutture sanitarie hanno vissuto soprattutto durante il primo lockdown, e che in parte continuano a vivere ancora oggi.

Restano però delle criticità. Quali sono oggi le principali difficoltà per chi opera nel campo dell’oncologia? Sicuramente la prima ondata ha portato ampie criticità i cui effetti li vedremo anche nei prossimi anni. Il blocco degli screening per i tumori della mammella, del colon retto e della cervice uterina è stato, ad esempio, molto pesante. Ora, c’è da dire che molte Regioni hanno già recuperato questo gap, ma altre, quelle meno dotate e preparate in campo oncologico, potrebbero avere più problemi. Poi c’è tutto il problema, inevitabile, del ritardo delle diagnosi. Tenga conto che nei primi sei mesi del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, ci sono state 30-35% di diagnosi in meno di malattie tumorali. E questo non per-


L’INTERVISTA

ché non ci fossero, ma proprio perché non abbiamo potuto diagnosticarle. C’è da dire, però, che questo è un dato che non vale solo per l’Italia: è più o meno comune a tutta l’Europa. Crede che il ritardo nelle diagnosi porterà a problematiche negli anni prossimi? Guardi, come dicevo il sistema ha retto e ora sta recuperando questo ritardo. Certo è che gli effetti del blocco di screening e diagnosi li vedremo spalmati nei prossimi 2-3 anni. Pensi allo screening: molto spesso effettuare uno screening in una fase primordiale o iniziale di un tumore ci permette di intervenire e portare a una guarigione immediata del paziente. Questo, soprattutto per quanto riguarda alcune tipologie di tumori, non è avvenuto in alcuni casi. Crede che i pazienti si siano sentiti abbandonati? Non credo. Le parlo della mia esperienza: siamo stati sempre a diretto contatto con i nostri pazienti, se non fisicamente quantomeno al telefono. E quando abbiamo potuto riprendere cure e trattamenti, grazie soprattutto all’immane abnegazione di medici e operatori sanitari, abbiamo recuperato i ritardi accumulati col primo lockdown.

Spesso si associa, nell’immaginario collettivo, il cancro alla morte certa. È davvero così? Assolutamente no. Oggi per la maggior parte di tumori c’è ampia possibilità di sopravvivenza Carmine Pinto. e guarigione. Nell’85-86% dei casi si può sopravvivere al tumore alla mammella, stesso per quanto riguarda la prostata. Ovviamente in questo una diagnosi precoce, ancora una volta con lo screening, aiuta molto, anzi può essere fondamentale. Per quanto riguarda altre tipologie di tumori le cure sviluppate nel tempo, come ad esempio le terapie molecolari, possono dare risultati fino a pochi anni fa insperati. Faccio un esempio: se un decennio fa con un melanoma metastatico le percentuali di sopravvivenza già dopo un anno erano intorno al 30%, oggi anche dopo cinque anni si sopravvive. Crede che un giorno potremmo arrivare al punto di non temere più le malattie tumorali? Guardi, il tumore è un elemento naturale, c’è sempre stato, dai tempi dei tempi. Ciò che è cambiato, invece, è il progresso scientifico. Oggi abbiamo strumenti fondamentali per la cura e, ancora più determinante, per la prevenzione. Con la giusta prevenzione oggi possiamo ridurre se non azzerare il rischio di particolari malattie

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“La prima ondata ha portato ampie criticità i cui effetti li vedremo anche nei prossimi anni. Il blocco degli screening per i tumori della mammella, del colon retto e della cervice uterina è stato, ad esempio, molto pesante. Ora, c’è da dire che molte Regioni hanno già recuperato questo gap, ma altre, quelle meno dotate e preparate in campo oncologico, potrebbero avere più problemi”.


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“Il cancro oggi è una malattia come tante altre: ci sono ampi margini di guarigione. Sono molto più pericolose malattie neurodegenerative per le quali la ricerca scientifica ancora deve percorrere una lunga strada, nonostante i risultati già ottenuti”.

L’INTERVISTA

tumorali. Penso alle sigarette per il tumore al polmone. O, ancora, al paptest al divieto di utilizzo di amianto. In più abbiamo strumenti tecnologici che permettono di intervenire chirurgicamente in molti casi. Ovvio: ancora c’è molta strada da fare soprattutto su alcune tipologie, penso ad esempio al tumore al pancreas. Ma la strada intrapresa è quella giusta. Immagino che non ci sia notizia più devastante come quella di avere un tumore. Come si fa a non cadere nel cinismo dinanzi a pazienti a cui dev’essere comunicata una notizia di questo tipo?

La cosa fondamentale è essere sinceri e molto chiari per quanto riguarda cura e trattamento. Il cancro oggi è una malattia come tante altre: ci sono ampi margini di guarigione. Mi creda: sono molto più pericolose malattie neurodegenerative per le quali la ricerca scientifica ancora deve percorrere una lunga strada, nonostante i risultati già ottenuti. Il problema è proprio questo: ciò che bisogna ora abbattere è quell’alone che avvolge la malattia tumorale, un alone per il quale il cancro è solo sofferenza e morte. Oggi, per fortuna, non è più così.


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Usare non significa abusare. Specialmente quando si parla di farmaci. NUMERO VERDE

800-571661 I farmaci sono importanti per la tua salute ma usati in maniera sbagliata o in dosi errate possono essere dannosi. Segui sempre le indicazioni del medico o del tuo farmacista di fiducia e non fare inutili scorte di medicinali. federfarma

FEDERCONSUMATORI

FEDERAZIONE NAZIONALE CONSUMATORI E UTENTI


#PARLIAMONE

44 PS Mag 2021

LA BATTAGLIA SOCIAL CONTRO LO STIGMA DELLA PSICHIATRIA Charity Stars e #Parliamone, le campagne della Fondazione BRF per abbattere il tabù dei disturbi psichiatrici

di Nicola Pela

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a Fondazione BRF Onlus ha tra i suoi obiettivi quello di combattere lo stigma legato alle patologie di ordine psichiatrico, uno stigma che pesa soprattutto sul malato. Il pregiudizio sui disordini mentali porta alla condanna sociale alla colpevolizzazione della persona, che penserà quindi di dover nascondere il suo disturbo e, nei casi peggiori, di isolarsi dal suo contesto sociale per vergogna. Lo “stigma” non sarebbe tale se a definirlo non fosse un’insegna impressa, o, meglio, un marchio. Nel caso dello stigma di tipo “sociale” questo marchio viene forgiato e impresso dalla comunità cui si appartiene (o, meglio, si dovrebbe appartenere). L’onta porta ad escludere - oggigiorno potremmo dire a “bannare” - l’individuo semplicemente perché

lo reputa l’eccezione, qualcosa di pericoloso e limitativo. Dunque proprio lui, questo soggetto, va portato fuori dalla vista o, peggio ancora, va messo in evidenza perché per qualche ragione diverso e fuori dai canoni tradizionali e accettabili. Per questa ragione la Fondazione BRF Onlus da novembre scorso si è fatta carico di due azioni di sensibilizzazione su due piattaforme diverse. La prima è #Parliamone. Su www.worthwearing. org la campagna ha l’obiettivo di lanciare un messaggio chiaro e deciso, cercando di abbattere i pregiudizi che si portano dietro i disagi mentali. L’obiettivo è chiaro: avere un disturbo mentale non è una vergogna; parlarne, al contrario, è fondamentale per intraprendere un percorso di cura e di accettazione personali,


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rompendo così il silenzio assordante che ingloba chi soffre di depressione, ansia, panico, disturbi alimentari. Importanti firme del fumetto italiano, ma anche internazionale, tra cui Yao Xiao, Carlotta Scalabrini, Alessandro Baronciani, Fabio Magnasciutti e Mario Natangelo, hanno donato una loro opera a favore della campagna. Questo poiché siamo convinti che le immagini abbiano il potere formidabile di suggestionare e far riflettere le persone in questa vita dai ritmi frenetici. Le vignette di questi grandi artisti hanno una potenza fenomenale, capace di farci fermare e rimanere in contemplazione. E questo è senz’altro un primo passo verso la comprensione della sofferenza, del disagio e, più in generale, delle emozioni. Gli artisti hanno così deciso di realizzare delle illustrazioni che oggi personalizzano t-shirt, felpe, taccuini, shopper e tazze. Ecco il link in cui potrete visualizzare lo store online della campagna #Parliamone: www.worthwearing.org/store/fondazione-brf-brain-research-foundation/ parliamone L’altra azione di assoluta rilevanza è la campagna di fundraising che ha visto la Fondazione BRF Onlus coinvolgere attivamente alcuni personaggi famosi del panorama musicale del calibro di La Rappresentante di lista e di Vinicio Capossela, ma anche dell’ambiente sportivo come, per esempio, il portiere dell’Empoli F.C., Alberto Brignoli. Costoro si sono messi in gioco in aste soli-

dali sulla piattaforma www.charitystars. com. In questo portale no-profit i vip hanno spontaneamente scelto di sostenere in prima persona la nostra campagna di sensibilizzazione e corretta informazione rispetto alle malattie mentali, per abbattere lo stigma sociale e la scarsa conoscenza dei disturbi psichiatrici, ponendosi in prima linea per aiutare chi ha scoperto una nuova fragilità o ha visto compromesso il suo delicato equilibrio psicofisico. Su Charity Stars, dunque, si svolgono vere e proprie aste solidali online in cui il personaggio famoso mette a disposizione dell’associazione un suo oggetto identificativo che verrà poi bandito a partire da un’offerta base. Nel caso della Fondazione BRF Onlus, Vinicio Capossela ha scelto di mettere a nostra disposizione un suo vinile autografato, mentre La Rappresentante di Lista un suo CD ed Alberto Brignoli, il portiere dell’Empoli F.C., ha deciso di donare una sua maglietta ufficiale con dedica personalizzata. E siamo solo all’inizio. La Fondazione si sta prodigando per coinvolgere ancora più persone famose che possano essere un bacino di risonanza per abbattere lo stigma che pesa come un macigno su chi soffre di disturbi legati alla salute mentale. Insomma, come afferma a gran voce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non si può parlare di salute dell’essere umano trascurando quella di uno dei suoi organi imprescindibili: il cervello.

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Il pregiudizio sui disordini mentali porta alla condanna sociale alla colpevolizzazione della persona, che penserà quindi di dover nascondere il suo disturbo e, nei casi peggiori, di isolarsi dal suo contesto sociale per vergogna. Lo “stigma” non sarebbe tale se a definirlo non fosse un’insegna impressa, o, meglio, un marchio. Nel caso dello stigma di tipo “sociale” questo marchio viene forgiato e impresso dalla comunità cui si appartiene (o, meglio, si dovrebbe appartenere).


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46 PS Mag 2021

L’INSONNIA RADDOPPIA LE PROBABILITÀ DI CONTRARRE IL COVID Studio sui rapporti tra stress e coronavirus: il burn-out indebolisce il sistema immunitario

di Antonio Acerbis

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embrerebbe uno scherzo ma non lo è. Che il rispetto dell’orario sonno-veglia sia importante è cosa risaputa. Fa bene al corpo ma anche e soprattutto alla ritmicità del nostro cervello. Uno studio appena pubblicato, però, rivela anche altro: non dormire aumenta le possibilità di contrarre il Covid-19. Chi soffre di insonnia, infatti, potrebbe avere il doppio delle probabilità di contrarre l’infezione da nuovo coronavirus, ma ogni ora di sonno sembra ridurre i rischi del 12%. A rivelarlo è uno studio, pubblicato sul British Medical Journal Nutrition Prevention & Health, condotto dagli scienziati della Johns Hopkins University Bloomberg School of Public Health, a Baltimora, nel Maryland, che hanno


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valutato il legame tra sonno e rischio di positività al Covid-19 tra gli operatori sanitari di diversi Paesi. Ebbene, gli scienziati hanno scoperto che chi soffre della sindrome da burn-out, una condizione di stress che determina un logorio psicofisico ed emotivo, erano significativamente più a rischio di contrarre la malattia. Gli autori sospettano che queste condizioni possano indebolire il sistema immunitario, aumentando la suscettibilità ad agenti patogeni come SARS-CoV-2. In altre parole, stress e sonno ci espongono ai virus in generale, indebolendo il nostro sistema immunitario. Favorendo, dunque, guardando alla pandemia in corso, l’eventuale infezione da Covid. Studi precedenti, infatti, avevano già suggerito il legame tra sonno insufficiente e un rischio più elevato di infezioni virali e batteriche, ma non era ancora stata dimostrata la stessa associazione con Covid-19. Il team ha considerato i dati ottenuti da un sondaggio somministrato dal 17 luglio al 25 settem-

bre 2020 a 2.884 operatori sanitari in Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, a cui è stato chiesto di riportare dettagli sulla propria vita, sulle proprie condizioni di salute, e sulle proprie abitudini di sonno. Stando ai dati raccolti dal gruppo di ricerca, 568 operatori sanitari hanno riferito di aver contratto Covid-19, e circa il 24% di questi soggetti ha dichiarato di aver avuto difficoltà a dormire. Gli studiosi riportano anche una curiosa stima statistica: ad ogni ora di sonno guadagnata durante la notte, le probabilità di risultare infetti calano mediamente del 12%. E ancora: circa il 5,5% degli operatori sanitari che avevano avuto la malattia aveva inoltre segnalato episodi di burn-out, contro il 3% di chi non aveva avuto Covid-19. “La biologia alla base del motivo per cui l’insonnia e il burnout aumentino il rischio di infezione resta poco chiara - afferma Hyunju Kim, della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health - ma è probabile che si tratti di condizioni che indeboliscono il sistema immunitario. Il nostro studio suggerisce che il burn-out può prevedere direttamente o indirettamente il rischio di insorgenza di malattie dovute allo stress lavorativo”. “Abbiamo scoperto - conclude Casey Rebholz, collega e coautrice di Kim - che la mancanza di sonno durante la notte e lo stress a livelli elevati possono rappresentare fattori di rischio per Covid-19. I nostri risultati evidenziano l’importanza di garantire il benessere degli operatori sanitari durante la pandemia”. Non resta, dunque, che uscire dal tunnel di stress e disagio psicologico per tornare a una condizione di normalità di modo ancora una volta - di ridurre il rischio di contrarre il virus.

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Stress e sonno ci espongono ai virus in generale, indebolendo il nostro sistema immunitario. Favorendo, dunque, guardando alla pandemia in corso, l’eventuale infezione da Covid. Studi precedenti, infatti, avevano già suggerito il legame tra sonno insufficiente e un rischio più elevato di infezioni virali e batteriche, ma non era ancora stata dimostrata la stessa associazione con Covid-19.


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di Francesco Carta

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nziani ipocondriaci e però al passo con i tempi con i sistemi di autocontrollo. Ecco un’altra - inaspettata - conseguenza del Covid-19 su una delle categorie che, come abbiamo imparato a un anno e più di pandemia, è senz’altro più esposta. Tra timori e solitudine, sempre più anziani - spinti anche dai familiari preoccupati - si rifugiano nel controllo ossessivo dei propri parametri vitali, sfruttando tecnologie sempre più diffuse e lowcost come smart-watch e misuratori di pressione e ritmo cardiaco, col rischio di disturbi d’ansia o, peggio ancora, diagnosi sbagliate. Con il nuovo lockdown che coinvolge quasi tutto il Paese, è dunque ipocondria digitale per molti anziani italiani. Nell’anno della pandemia in Italia la spesa per questi strumenti ha toccato mezzo miliardo circa (il mercato globale per gli strumenti che servono a controllare da soli tutte le patologie ammonta a un miliardo e duecentomila euro) con una spesa pro capite di

circa 40 euro, sostenuta spesso dai figli preoccupati per la salute dei genitori anziani. A mettere in guardia dai rischi derivanti dall’ossessione digitale, anche alla luce del recente documento della Società Europea di Cardiologia, sono gli esperti della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe), che sottolineano come sotto la spinta dell’emergenza Covid si sia passati dalla consultazione compulsiva di Google all’automisurazione di tutti i parametri corporei. “Tutte le tecnologie digitali a partire dagli smartphone, possono rappresentare un volano per la prevenzione cardiovascolare e lo conferma il boom delle vendite di apparecchi per il monitoraggio della funzione cardiaca: dai braccialetti elettronici alle App, agli smartwatch per la trasmissione dell’elettrocardiogramma - dichiara Alessandro Boccanelli, presidente della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe) -. È giunto il tempo di lavorare su un percorso di cura che inizia dall’interazione del paziente da


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ANZIANI NELLA MORSA DELL’IPOCONDRIA DIGITALE Nell’era Covid boom di strumenti di autocontrollo per chi ha una certa età

remoto. Ma non bisogna confondere l’automonitoraggio con la diagnosi che deve essere sempre eseguita dal medico, indipendentemente dal dato tecnico che non si può sostituire all’operatore sanitario. Invece, c’è la convinzione che usandoli si possa scavalcare il professionista sanitario che deve sempre suggerire il loro utilizzo, altrimenti il rischio è di far sentire tutti un po’ malati. Ciò vale soprattutto per gli anziani che vivono a casa, vittime spesso inconsapevoli di un ossessivo controllo ‘fai da te’, e più esposti al rischio di un eccesso di medicalizzazione e di sofferenza e inquietudini crescenti. Non è infrequente, ad esempio, che l’apparecchio per la pressione invii un messaggio di allerta di una presunta fibrillazione atriale, ma se il paziente non è a rischio non deve preoccuparsi. Bisogna dunque parlare con il proprio medico utilizzando sempre l’operatore sanitario come filtro, capire se si è una persona a rischio, se è opportuno utilizzare la tecnologia

digitale e condividere i dati”, precisa ancora Boccanelli. L’emergenza Covid, dunque, ha dato una spinta rilevante e messo in luce il ruolo chiave della tecnologia digitale soprattutto applicata alla cardiologia. Il monitoraggio continuo dei parametri vitali e la raccolta dei relativi dati che in questi mesi di isolamento e distanziamento hanno subito un’impennata, hanno però sconvolto l’equilibro del rapporto tra medico e paziente, soprattutto per gli anziani. In altre parole, bene il controllo dei propri parametri vitali, ma no all’ossessione digitale spinta dal desiderio di autocontrollo. Il ruolo del medico (nella fattispecie del cardiologo) non può ovviamente essere sostituito da uno smart-watch. “La riprogettazione dell’assistenza sanitaria deve tenere conto delle opportunità che la rivoluzione digitale offre, ma in questo contesto la gestione della diagnosi e della cura deve essere affidata al medico e non al cittadino che rischia di sentirsi malato e ipermedicalizzarsi”, conclude l’esperto.

Tra timori e solitudine, sempre più anziani - spinti anche dai familiari preoccupati - si rifugiano nel controllo ossessivo dei propri parametri vitali, sfruttando tecnologie sempre più diffuse e low-cost come smart-watch e misuratori di pressione e ritmo cardiaco, col rischio di disturbi d’ansia o, peggio ancora, diagnosi sbagliate.


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50 PS Mag 2021

DALTONISMO A RAGGI X DISINFORMAZIONE SULLA RADIOLOGIA MEDICA Studio shock: scarse conoscenze e poca comunicazione tra pazienti e sanitari

di Alessandro Righi

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ltre il 60% degli italiani considera abbastanza o molto pericolose le radiazioni ionizzanti (raggi X) della diagnostica medica, anche se il 44% dichiara di non aver conoscenze sufficienti sui rischi. In media ognuno ha effettuato 4 esami di questo genere nella vita. Eppure, è diffuso quello che i ricercatori chiamano “daltonismo radiologico”, ossia, l’incapacità di distinguere le procedure in cui si usano radiazioni ionizzanti da quelle che ne fanno a meno, fenomeno che riflette una scarsa informazione e una carenza di comunicazioni fra sanitari e pazienti. Circa il 60% riferisce di non aver ricevuto informazioni prima di sottoporsi a esami radiologici o di imaging diagnostico come la Risonanza magnetica nucleare (RM). Ecco perché non stupisce che il 43% non sappia che la RM sia priva di radia-

zioni ionizzanti e che il 15% abbia le stesse lacune rispetto all’ecografia. Al contrario, rispettivamente il 30% e il 46% è convinto che la tomografia computerizzata e la mammografia non espongano a radiazioni. A queste lacune si aggiunge l’incapacità di una gran parte dei pazienti di associare la corretta quantità di radiazioni alle diverse procedure: per esempio, solo il 45% degli interpellati è stata in grado di indicare la TC (tomografia computerizzata)


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come quella a più alto dosaggio, mentre dell’altra metà il 27,5% pensa che la quantità di radiazioni sia maggiore nella radiografia. Sono i dati raccolti nello studio RadIoPoGe-Radiazioni ionizzanti, popolazione generale, promosso dall’Istituto di fisiologica clinica del Cnr di Pisa e coordinato dall’Azienda ospedaliero universitaria Pisana, cui hanno partecipato presidi sanitari di nove regioni: Toscana, Sardegna, Emilia-Romagna, Lazio, Veneto, Puglia, Campania, Marche e Sicilia. Solo 1,5% degli intervistati non si è mai sottoposto a esami di imaging diagnostico. Negli altri casi è la radiografica (90,8%) l’esame effettuato con più frequenza, seguita dall’ecografia (81,9%), mentre oltre il 50% si è sottoposto almeno una volta nella vita alla cosiddetta “panoramica”, la radiografia dentale (74%) o alla risonanza magnetica (53,4%). Meno diffusi sono, invece, la TC (39%) e la medicina nucleare (Pet, 14%). Alla mammografia risulta esser-

si sottoposto il 52,5% delle donne. La ricerca RadIoPoGe, durata alcuni anni, si proponeva, innanzitutto, di stabilire il grado di conoscenza della popolazione italiana sulle radiazioni ionizzanti impiegate nella diagnostica medica. Il secondo obiettivo era fornire agli operatori sanitari gli strumenti - spiega Davide Caramella, ordinario di Radiologia all’università di Pisa - “per demistificare idee preconcette e informare in modo mirato i pazienti” ed evitare che le persone, se senza una comunicazione adeguata su rischi e benefici, abbandonino percorsi terapeutici corretti”. Con un questionario di 24 domande, somministrato con un’intervista guidata e da cui sono stati esclusi gli operatori sanitari, sono state raccolte le risposte di un campione di 1.531 donne (pari al 53,4%) del totale e 1.335 maschi (46,65). La gran parte ha dichiarato di aver avuto informazioni sui rischi delle radiazioni ionizzanti in campo medico attraverso tv e radio (oltre il 27%), riviste e quotidiani (15,6%) e soprattutto attraverso internet, Facebook e altri social (25,3%). Ma quando è stato chiesto agli intervistati da quali fonti vorrebbero essere informati, l’80% ha indicato il personale sanitario: nel dettaglio, il 68% il medico radiologo e oltre il 53% il medico di medicina generale, seguiti dal tecnico di radiologia (preferito dal 52%) e dal fisico sanitario (circa il 13%). Il 90%, inoltre, vorrebbe ricevere informazioni chiare sulla dose di radiazioni ricevuta e il 40% chiede che gli venga comunicata con un’unità di misura specifica. Ma il resto degli intervistati vorrebbe un’indicazione del rischio “equivalente”, cioè semplificato e associato, per esempio, al numero di giorni corrispondente all’esposizione a radiazioni naturali (lo chiede il 34%), al numero di sigarette fumate (oltre il 33%) o al numero di chilometri percorsi in auto (15%).

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È diffusa l’incapacità di distinguere le procedure in cui si usano radiazioni ionizzanti da quelle che ne fanno a meno, fenomeno che riflette una scarsa informazione e una carenza di comunicazioni fra sanitari e pazienti. Circa il 60% riferisce di non aver ricevuto informazioni prima di sottoporsi a esami radiologici o di imaging diagnostico come la Risonanza magnetica nucleare (RM).


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52 PS Mag 2021

LEUCEMIA SERVE SOSTEGNO PSICOLOGICO Criticità e soluzioni di un male che colpisce 2mila persone ogni anno

di Antonio Acerbis

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n Italia vivono quasi 19.400 persone dopo la diagnosi di Leucemia mieloide acuta. E, ogni anno, si stimano poco più di 2.000 nuovi casi di questo tumore del sangue, che ha origine nel midollo osseo e che progredisce velocemente. Vanno risolte quanto prima le criticità nel percorso di cura: è cruciale il nodo dei test genetici da effettuare non solo al momento della diagnosi, ma in tutto il percorso di malattia; va potenziato il modello di gestione basato su centri di riferimento (Hub) intorno a cui “ruotano” i centri periferici (Spoke) superando le attuali difformità territoriali; e deve essere implementato il sostegno psicologico, visto che ben il 64% dei pazienti non ha mai ricevuto assistenza di questo tipo, anche se può dare importanti benefici. La presa in carico del paziente, la diagnosi molecolare, il percorso di cure

integrate e l’assistenza psicologica sono i temi su cui vuole indagare il progetto HemaNet, promosso ed organizzato da ISHEO (Integrated Solutions of Health Economics and Organizations) con la partecipazione di F.A.V.O. (Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) Gruppo Neoplasie Ematologiche, e con il contributo incondizionato di Astellas Pharma. I progressi della ricerca hanno reso disponibili nuovi approcci terapeutici mirati che rappresentano opportunità di cura preziose per i pazienti colpiti forme neoplastiche particolarmente aggressive come la Leucemia mieloide acuta. Le mutazioni a carico del gene FLT3 sono tra le più comuni alla base della Leucemia mieloide acuta, perché sono riscontrate in circa il 30% dei casi. Per garantire la migliore presa in carico del paziente è importante che i centri


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siano adeguatamente attrezzati e dotati delle tecnologie necessarie. Vi è però una grande difformità tra le Regioni e a livello territoriale, perché non tutti i centri hanno la possibilità di effettuare gli esami diagnostici e molecolari richiesti. “È il motivo per cui - afferma la senatrice Maria Domenica Castellone, Membro della 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato - il Decreto Ristori del 24 Dicembre 2020 ha istituito un fondo di 5 milioni di euro per il potenziamento dei test di Next Generation Sequencing per consentire il miglioramento dell’efficacia degli interventi di cura e delle relative procedure, anche alla luce degli sviluppi e dei progressi della ricerca scientifica applicata con specifico riguardo alla prevenzione e alla terapia delle alterazioni molecolari che originano i tumori”. L’istituzione di questo fondo, anche se rappresenta un segnale important, non risulta sufficiente ed è evidente la necessità di centralizzare la gestione della malattia. “È importante affidare la gestione dei pazienti con Leucemia mieloide acuta ai centri Hub - spiega il Prof. Gianluca Gaidano, Professore Ordinario di Ematologia, Direttore Divisione di Ematologia, Dipartimento di Medicina Traslazionale Università degli

Studi del Piemonte Orientale, Novara -, definendo un modello di stretta collaborazione e co-gestione con i centri Spoke presenti sul territorio per garantire continuità assistenziale al paziente”. È necessario inoltre potenziare il modello Hub&Spoke per consentire ai centri Hub di accogliere tutti pazienti che ne hanno bisogno ed “educare” allo stesso tempo i centri Spoke alla gestione di alcuni aspetti della terapia da espletare localmente. Altro aspetto fondamentale riguarda la cura della sfera psicologica del paziente, sempre più parte integrante e indispensabile del percorso terapeutico. Ad oggi, però, il sostegno psicologico ai pazienti oncoematologici rappresenta una realtà frammentata in Italia. In alcuni centri è presente un servizio strutturato di psicologia clinica ed uno psiconcologo dedicato, mentre in altre strutture questo aspetto è demandato alle associazioni di pazienti che non riescono a soddisfare la richiesta, data la sua entità. Da uno studio effettuato dalla F.A.V.O. il 64% degli intervistati ha dichiarato di non aver ricevuto alcuna proposta di assistenza psicologica, e coloro che ne avevano usufruito hanno dichiarato di averne tratto grandi benefici. La diagnosi oncoematologica rappresenta un evento estremamente stressante per paziente e caregiver ed è spesso seguita da un periodo di instabilità emotiva, caratterizzato da un aumento dello stato ansioso, depressivo e da una diminuzione delle attività quotidiane. La presenza dello psicologo nel team di cura al fianco del paziente e dei familiari è quindi indispensabile, come affermano gli stessi clinici che durante la pandemia si sono dovuti confrontare ancor più con l’aspetto comunicativo verso i pazienti che, mai come in questo periodo storico, hanno dovuto affrontare la malattia in completa solitudine.

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Ad oggi il sostegno psicologico ai pazienti oncoematologici rappresenta una realtà frammentata in Italia. In alcuni centri è presente un servizio strutturato di psicologia clinica ed uno psiconcologo dedicato, mentre in altre strutture questo aspetto è demandato alle associazioni di pazienti che non riescono a soddisfare la richiesta, data la sua entità. Da uno studio effettuato dalla F.A.V.O. il 64% degli intervistati ha dichiarato di non aver ricevuto alcuna proposta di assistenza psicologica, e coloro che ne avevano usufruito hanno dichiarato di averne tratto grandi benefici.


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54 PS Mag 2021

PUBERTÀ PRECOCE CASI PIÙ CHE RADDOPPIATI DURANTE IL LOCKDOWN Osservati 224 casi della malattia rara nel 2020 contro i 93 del 2019 I risultati di uno studio pubblicato sull’Italian Journal of Pediatrics

di Francesco Carta

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ono più che raddoppiati, durante il lockdown del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019, i casi di pubertà anticipata o precoce registrati all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. La rilevazione è contenuta in uno studio osservazionale condotto dagli specialisti del reparto di Endocrinologia, guidato dal prof. Marco Cappa, che è stato pubblicato sull’Italian Journal of Pediatrics. La seconda fase della ricerca, già avviata, ha l’obiettivo di accertare le cause di questo fenomeno. Ma di cosa parliamo? La pubertà precoce consiste nella maturazione sessuale che inizia prima degli 8 anni nelle bambine e prima dei 9 anni nei maschi. Rientra nell’ambito delle malattie rare, con un’incidenza di 0,1-0,6% della popolazione (in Ita-


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lia da 1 a 6 nati ogni 1000). Il corpo del bambino inizia a trasformarsi in adulto troppo presto, con un’accelerazione dello sviluppo dei caratteri sessuali e una rapida chiusura delle cartilagini di accrescimento osseo: per effetto di questo processo, i bambini crescono velocemente in altezza, ma poi il picco si esaurisce e da adulti hanno una statura inferiore alla media. Se la diagnosi interviene precocemente – prima degli 8 anni – è possibile usare dei farmaci per rallentare la pubertà. È la sproporzione dei numeri ad aver suscitato l’attenzione degli endocrinologi del Bambino Gesù. Nel periodo marzo-settembre 2019 i pazienti che presentavano un anticipo puberale o una pubertà precoce sono stati 93 (87 femmine e 6 maschi); nello stesso periodo del 2020 sono stati rilevati, invece, 224 pazienti (215 femmine e 9 maschi). Si tratta, ovviamente, in base alla definizione

di pubertà precoce, di bambini di età inferiore agli 8 anni. Per la precisione, nel 2019, l’età media si è attestata per le bambine a 7,51 anni e a 7,97 nei maschi. Nel 2020, invece, le rilevazioni hanno segnato un’età media di 7,33 anni nelle bambine e di 8,14 nei maschi. L’indagine è stata estesa anche agli anni 2017 e 2018: nel periodo considerato, la pubertà anticipata o precoce ha interessato un numero tra gli 80 e i 90 pazienti. L’ipotesi dei ricercatori è che alla base del fenomeno ci sia stata una combinazione di fattori coincidenti durante il lockdown: modifiche dello stile di vita (scarsa attività fisica), modifiche dell’alimentazione (è stato il momento in cui tutti si sono cimentati ai fornelli) e l’uso prolungato di Pc e tablet (per seguire la scuola a distanza). Intanto è iniziata la seconda fase della ricerca alla quale partecipano anche i Centri di Endocrinologia pediatrica di Genova, Cagliari e Napoli. Attraverso interviste telefoniche ai pazienti del 2019 e del 2020 verranno raccolti dati da confrontare con un punteggio preparato appositamente per valutare i possibili fattori predisponenti. La raccolta dei dati dovrebbe terminare entro marzo 2021. “Durante il lockdown – afferma Cappa – i bambini hanno subito dei cambiamenti che hanno influito sul normale timing della crescita. Lo abbiamo rilevato tramite gli accessi ai nostri ambulatori, ma sicuramente ci sono casi che ci sfuggono e il numero di bambini con pubertà precoce può essere ancora maggiore. Si tratta di un fenomeno il cui impatto è tutto da valutare. È probabile, ad esempio, che il trend d’incremento staturale a cui assistiamo di anno in anno potrebbe avere un significativo arresto legato al fenomeno della pubertà rapida”.

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La pubertà precoce consiste nella maturazione sessuale che inizia prima degli 8 anni nelle bambine e prima dei 9 anni nei maschi. Rientra nell’ambito delle malattie rare, con un’incidenza di 0,1-0,6% della popolazione (in Italia da 1 a 6 nati ogni 1000). Il corpo del bambino inizia a trasformarsi in adulto troppo presto, con un’accelerazione dello sviluppo dei caratteri sessuali e una rapida chiusura delle cartilagini di accrescimento osseo: per effetto di questo processo, i bambini crescono velocemente in altezza, ma poi il picco si esaurisce e da adulti hanno una statura inferiore alla media.


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56 PS Mag 2021

LE CELLULE 2.0 ORA CRESCONO E SI REPLICANO In futuro potremmo avere “colonie tuttofare” per la creazione di farmaci, vaccini e cibi

di Mario Bucci

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e cellule progettate al computer e nate in provetta adesso sono in grado di crescere e replicarsi in copie fedeli, dalle quali potrebbero nascere potenzialmente vere e proprie colonie tuttofare capaci di produrre farmaci o vaccini, oppure bonificare suoli e acqua contaminati, o ancora diventare fabbriche di carburanti e perfino di cibi del futuro. Una potenziale rivoluzione di cui si dà conto sulla rivista Cell con la ricerca nata dalla collaborazione fra il J. Craig Venter Institute (JCVI) fondato dal pioniere della biologia sintetica Craig Venter, il National Institute of Standards and Technology (NIST) e Massachusetts Institute of Technology (MIT). Chiamato JCVI-syn3A, il nuovo batterio segna il terzo capitolo della storia della vita sintetica cominciata

nel 2010. Allora era stato annunciato l’arrivo del primo batterio progettato su misura, come fosse stato una sorta di software della vita; nel marzo 2016 è stata la volta di JCVI-syn3.0, il batterio con un genoma minimale in 473 geni: dieci volte di meno rispetto a quelli di un batterio naturale. Eppure in quei geni aveva tutto il necessario per vivere, o quasi. Non riusciva infatti a replicarsi perché le copie di se stesso che produceva avevano forme molto irregolari e dimensioni


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diverse. Di conseguenza nessuna di esse riusciva a sopravvivere. “Adesso è arrivato il terzo passo, fondamentale, con un batterio capace di replicarsi”, osserva il genetista Giuseppe Novelli, dell’Università di Roma Tor Vergata. Il segreto di questo successo è in sette geni, che il vecchio JCVI-syn3.0 non aveva, ed è solo da questi che dipende la capacità di replicarsi. Di almeno cinque di essi i ricercatori ignorano ancora la funzione, ma ormai siamo ad un passo dall’importante scoperta.

“Sono questi i geni che regolano e controllano il processo di divisione. Questo significa che il nuovo batterio sintetico vive e si riproduce, di conseguenza può formare colonie e aprire la strada a farmaci e vaccini prodotti da fabbriche viventi”, osserva Novelli. Rispetto al suo predecessore JCVI-syn3A ha ben 19 geni in più, ma sono solo sette quelli che gli permettono di replicarsi. Sono la chiave sia per capire da vicino alcuni processi fondamentali alla base della vita, sia per aprire la strada alle applicazioni della vita sintetica, come cellule che possono essere modificate per produrre a comando farmaci, cibo e carburanti; si potrebbero ottenere anche sensori programmati come circuiti genetici per riconoscere malattie e consegnare farmaci direttamente all’interno dell’organismo, recapitandoli dover servono, o ancora organismi con genomi interamente ricodificati per eseguire compiti che i batteri naturali non sono in grado di svolgere, per esempio bonificare terreni e acque contaminati; fra le possibili applicazioni ci sono anche cellule sintetiche ibride, costruite a partire da elementi non viventi. La ricerca in questo campo si annuncia come un gigantesco puzzle, nel senso che per progettare e costruire una cellula mai vista in natura e che esegua dei compiti ben precisi significherà avere una lista di componenti di base da assemblare per ottenere cellule diverse, come fossero mattoncini delle costruzioni. Sono già pronte decine di varianti di JCVI-syn3A, ottenute aggiungendo e togliendo mattoncini genetici. Sembra uno scenario fantascientifico ma in realtà - forse - più prossimo di quanto si possa pensare. E che, soprattutto, potrebbe aprire ora importanti strade ai progressi scientifici.

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Con le opportune precauzioni, dicono gli esperti, la mamma positiva al Covid-19 può abbracciare il suo piccino appena nato e vivere l’esperienza del contatto pelle a pelle, «che favorisce il bonding», la creazione del legame, «e il buon avvio dell’allattamento». La mamma ha la possibilità, dunque, di attaccare subito il bimbo al seno e procedere anche nei giorni successivi con l’allattamento a richiesta.


L’AUTORE

58 PS Mag 2021

LE “DUE VITE” DI EMANUELE TREVI IN CORSA ALLO STREGA L’amicizia, la solitudine, il tormento. Lo scrittore romano guarda alle vite degli altri e giudica la propria, alla ricerca di se stesso

di Flavia Piccinni

“C’

è sempre qualcosa di assente che mi tormenta, diceva Camille Claudel, l’allieva di Rodin, malata cronica di nervi”. E c’è qualcosa di assente e allo stesso tempo presentissimo, come un ologramma che si fa contatto e vuoto contemporaneamente, nell’ultimo, splendido, libro di Emanuele Trevi “Due vite” (Neri Pozza, pp. 144), che racconta la storia di Pia Pera e Rocco Carbone - due scrittori amici dell’autore, prematuramente scomparsi. Narrando di loro, Trevi firma una riflessione allargata sull’amicizia, sulla solitudine, sul cercare se stessi e sul tormentarsi. Si tratta di un libro prezioso per la densità delle riflessioni e il distillato di riferimenti culturali – che abbracciano adesso Jung, ora Jack London – messi a modellare le storie dei due protagonisti, e quella di Trevi stesso, che è narratore e parte in causa, sguardo sulle vite degli altri e silenzioso

giudicatore della propria. “Tutti questi ricordi – mi racconta Trevi - sono riemersi quando, mettendo in ordine un armadio, ho trovato delle fotografie che mi raccontavano il tempo che con Pia Pera e Rocco Carbone avevo condiviso. In quel momento ho pensato che noi viviamo nel tempo, che il tempo è irreversibile, che perdiamo le cose, ma anche che da qualche parte quella serata esiste”. Qual era il rapporto che legava il vostro trio? C’era una complicità disinteressata. La capacità di volere il bene dell’altro senza condizioni. Anche nel momento in cui ciò che l’altro desiderava non coincideva alla propria visione della vita. Ci sono tante persone generose, ma sono poche quelle che ti seguono anche quando pensano che il bene per te sia un altro. Cosa l’ha attirata verso Pia Pera ai tempi della vostra amicizia? Era incantevole. Una persona con


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Emanuele Trevi.

cui passavo un tempo bello. Scrivere di lei ha rallentato il libro, perché il femminile è più complesso per un maschio. Era un’incarnazione particolarissima della femminilità. Sentivo questa sua presenza che mi diceva sempre, come quando eravamo ragazzi, che io arrivavo a delle conclusioni affrettate. La relazione con Rocco Carbone appare più conflittuale. Il nostro era un legame fortissimo. Era diventato amico di Chiara Gamberale, mia moglie. Lui aveva dei tratti insopportabili, ma fra di noi si era sviluppata una cosa che non mi capita mai: una competizione virile. Con Rocco facevi il gioco che lui ti invitava a fare, e quindi era divertente. Ma creava anche dei malumori. Lei è stato il primo candidato in ordine temporale al Premio Strega. E per molti, dopo il secondo posto nel 2012 con “Qualcosa di Scritto” a soli due voti dal vincitore Alessandro Piperno, quest’anno è il favorito.

Senza ipocrisia, non immaginavo di correre da favorito. La cosa che mi entusiasma è partecipare con un libro ibrido, che contiene tanti generi fra di loro diversi. Amo forse prima leggerli che scriverli, libri così. Libri in cui riversi tutto quello che hai imparato nella vita. Come il Dora Bruder di Patrick Modiano, che parte da un ritaglio di giornale letto dall’autore e lo conduce nel passato di Parigi, a fare i conti con il nazismo. Amo i libri che non vivono sulla trama, non sul personaggio votato a creare identificazione, ma si snodano su più piani narrativi e stilistici. Non scelgo mai un genere letterario, ma cerco la contaminazione. Vuoi che sia con le lettere che un tempo si scrivevano a mano, vuoi con le email, vuoi con WhatsApp che, come in questo libro, è una delle mie fonti. In che modo? Per raccontare di Pia Pera ho riletto tutte le nostre conversazioni, e così mi sono preparato a scrivere di lei. Ma in

“Due vite” Emanuele Trevi Neri Pozza 144 pagine 12,50 euro


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“Lo Strega? Senza ipocrisia, non immaginavo di correre da favorito. La cosa che mi entusiasma è partecipare con un libro ibrido, che contiene tanti generi fra di loro diversi. Amo forse prima leggerli che scriverli, libri così. Libri in cui riversi tutto quello che hai imparato nella vita. Come il Dora Bruder di Patrick Modiano, che parte da un ritaglio di giornale letto dall’autore e lo conduce nel passato di Parigi, a fare i conti con il nazismo”.

L’AUTORE

questo libro ho riversato tutto quello che ho imparato dalla letteratura e dal giornalismo. Con gli anni mi sono reso conto che, per me, la scrittura sui giornali è stata una grande palestra: ho imparato dagli articoli quello che sono. In modo molto colpevole, negli anni non ho mai tenuto un diario. Un giorno lo dissi a Marco Belpoliti, e lui mi rispose che sbagliavo: il mio diario erano i miei articoli. A proposito di Pia Pera, a un certo punto nota come ci siano periodi in cui non facciamo che “fuggire da ciò che i nostri genitori hanno desiderato per noi”. Le è mai capitato? Penso di sì. Quando finii di fare il dottorato, avevo già vinto un concorso per la scuola. I miei genitori pensavano che dovessi continuare a studiare. Ma non mi interessava. Mi interessava di più fare l’avventuriero, inseguire cose infantiloidi, cose che mi tenessero più libero. Ho fatto degli errori, ma mi sono sempre guadagnato la vita. E poi ho avuto un dono dalla sorte. Quale? La capacità precoce di adattarmi. Il mio talento non è scrivere, ma l’adattamento nel senso darwiniano. Questo mi ha portato sempre a guardare ai miei personaggi come persone più autentiche di me, in quanto più restie o incapaci ad adattarsi. E questo, allo stesso tempo, l’ho sempre sentito come una specie di senso di colpa. Perché? Perché non voglio guai, perché sono sempre docile alle pressioni del mondo. E perché non ho un sentimento tragico dell’esistenza. La mia storia è una galleria di disadattati. Ma questa cosa, che all’inizio ho vissuto come un limite, mi ha permesso di creare uno spazio narrativo. L’adattato guarda al disadattato. Il mio limite umano è diventato un problema di tecnica narrativa. Anche da ragazzino stavo dietro a

degli amici coraggiosi, ma poi il sasso, io, non lo tiravo. Non ha mai pensato che le sarebbe piaciuto invece lanciarlo? Che fine fa Lucignolo? È meno adattato di Pinocchio, e per questo non riesce a uscire dal Paese dei Balocchi. L’adattato ha una possibilità ulteriore di avventura. Forse anche per questo la mia letteratura è un inno ai Lucignoli. A quelli che vanno fino in fondo. Questo mi ha portato lontano anche nella vita. La prima donna con cui ho vissuto era una ribelle perché già allora, come adesso, amavo le persone che mettevano in atto dei processi di contestazione del reale. Con gli anni, questa cosa qui alla fine è diventata la mia maniera di descrivere il mondo. E se quello che scrivo è efficace credo lo sia perché io non sono come loro. E non è neanche, naturalmente, come Pia Pera e Rocco Carbone. Sì, ma quando ho trovato quelle foto la domanda che mi sono fatto è stata un’altra. È stata: perché io sono vivo? Cosa si è risposto? Io sono vivo perché ho resistito alla sirena che fa dell’artista un disadattato. La mia vocazione è stata quella di fare il critico, la posizione di chi è un compagno di strada con un margine garantito di sicurezza. Mentre leggevo Freud, ho pensato a Rocco. La letteratura è quando sconfini dal generale al particolare. La cattiva letteratura è quella dove ci sono dosi di generali. Anche nel modo in cui noi presentiamo i libri, la letteratura si occupa di singole persone. Perché il singolo può rovesciare le versioni del mondo, può sbagliare, può trionfare. Oggi la retorica del politically correct è di imposizione dal generale al particolare: il mondo anglosassone è devastato, il problema è l’autocensura. Forse è per questo che cerco di fuggire dal generale, perché ho una certezza: l’individuo è la misura delle cose.


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VALENTINA MIRA, UNA “X” SULLA VIOLENZA ALLE DONNE “Tu gli dici di no e lui lo fa lo stesso”. Travolgente esordio letterario nel libro-lettera in cui c’è la testimonianza di uno stupro subito

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a banalità dello stupro non è fatta di mostri, né di pazzi, né di vergini, né di sante. È fatta delle cosiddette persone perbene. Lo stupro di cui parlo non ha una pistola puntata addosso a qualcuna. Semplicemente, tu gli dici di no e lui lo fa lo stesso”. Parla così – con quella semplicità disarmante che ti mette al muro – Valentina Mira, giornalista, che arriva in libreria con il suo travolgente esordio “X” (Fandango, pp. 190). Scrive della banalità dello stupro, lei che ne è stata vittima undici anni fa. Lo fa firmando una straziata e necessaria lettera al fratello (che probabilmente non la leggerà mai), raccontandogli della violenza e dei postumi, di quando assisti alla “vittoria del silenzio sul rumore” e di come da quel baratro impara a costrursi. Con una prosa schietta e incessante, Mira è brava a smarcarsi dalla bieca narrazione egoriferita e riesce a trasformare, con un incessante lavoro di riflessione, la sua storia personale come la storia di molte altre. Non mancano i riferimenti letterari (“Roxane Gay, Ali-

ce Sebold, Chanel Miller sono autrici che ti fanno sentire meno sola”), e le riflessioni trasversali. “Vedi – mi spiega lei - io sono nata nel 1991, e da allora mi sembra di poter rilevare almeno due momenti importanti. Il primo è stato giuridico, un passaggio fondamentale con la legge 66 del 1996, quando lo stupro è passato da reato contro la morale a reato contro la persona. Un altro cambiamento epocale credo sia stata la nascita di Non una di meno, movimento transnazionale che ha finalmente dato una dimensione collettiva a un problema che era solo apparentemente individuale. Se fosse esistita quando avevo 19 anni, nel 2010, sono certa che avrei avuto qualche strumento in più per affrontare lo stupro”. Partiamo dall’inizio: perché hai scritto X? Perché ne avevo bisogno. Avevo una spina che era entrata troppo a fondo e se non me la toglievo non so che fine facevo. La scrittura per me è da sempre cura, leccarsi le ferite, dare loro un senso. Volevo elaborare le mie ferite perché ho capito che erano mol-


L’AUTRICE

to comuni; volevo farlo in un modo da permettere la catarsi anche ad altre. Racconti di un episodio di violenza di undici anni fa, a dimostrazione che per metabolizzare serve molto tempo. Come è stato farlo? Ho riscritto quella scena diverse volte, la voce narrante inizialmente mi usciva fuori fredda, lontana. Incredibile gli effetti che ha la dissociazione sulla memoria, anche dopo tanti anni. Alla fine sono tornata lì. Mi ha aiutata la forma epistolare che ho scelto, il sapere che erano confidenze, un segreto che posso affidare a un “tu” che può decidere se ascoltare o meno. Ogni giorno in Italia vengono denunciati 11 stupri. Il 90% però resta non denunciato. Tu perché non lo hai fatto? La mia risposta è nel libro. Diciamo che dentro di me lo chiamavo stupro, ma era come con gli incubi brutti, mi vergognavo di dirlo ad alta voce. Poi visto che stavo male, ho capito che

Valentina Mira.

dovevo provare a dirlo. Ci ho provato con un’amica, che mi ha chiesto: ma sei sicura?. Ci ho provato con mio fratello, che però non ha avuto alcuna reazione. La verità è che viviamo in un sistema sessista, e rimangono tutti molto sbigottiti se una di noi alza la testa e dice: Mi hanno stuprata. Figuriamoci denunciare, considerata anche la difficoltà a reperire prove e testimoni, che di solito non ci sono. Chi subisce un furto non è costretto a sopportare le domande: “ha bevuto?”, “com’eri vestita?”. Perché questo accade a chi subisce uno stupro? Dalla culla alla tomba ci insegnano a giustificare gli uomini e a iper-responsabilizzare le donne. Sono sciocchezze retoriche quelle sull’alcol o su com’eri vestita, non c’è una situazione in cui i sessisti non riescano a rigirare la frittata. Un esempio: quando, a inizio marzo di quest’anno, una 21enne è stata violentata a villa Gordiani, Roma Est, da un italiano sconosciuto e ancora non trova-

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“X” Valentina Mira Fandango 190 pagine 15 euro


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“Dalla culla alla tomba ci insegnano a giustificare gli uomini e a iper-responsabilizzare le donne. Un esempio: quando, a inizio marzo di quest’anno, una 21enne è stata violentata a villa Gordiani, Roma Est, da un italiano sconosciuto e ancora non trovato dalla polizia, stava facendo jogging. Non aveva bevuto ed è evidente che non correva in minigonna. Eppure, nei commenti all’articolo c’era gente che diceva che bisogna stare attente quando si corre”.

L’AUTRICE

to dalla polizia, stava facendo jogging. Non aveva bevuto ed è evidente che non correva in minigonna. Eppure, nei commenti all’articolo c’era gente che diceva che bisogna stare attente quando si corre. Addirittura dicevano che bisogna andare a correre accompagnate! La verità è che a loro fa più comodo proporre alle donne di smettere di vivere che immaginare di smettere di violentare. Questa infantilizzazione dell’uomo - “sono dei coglioni”, per fare una citazione - è davvero inquietante. Anche perché la controparte è accollare ogni responsabilità, anche e soprattutto quelle che non sono nostre, a noi. Nella narrazione i ruoli sono mobili: vittime e carnefici si alternano. Nella vita i ruoli non sono mai fissi. La protagonista è una persona che è stata vittima di stupro, che a sua volta a un certo punto diventa complice di un sistema sessista - andando a letto col capo - e poi, infine, smette di essere vittima e reagisce. Non faccio spoiler, ma sono abbastanza sicura che per i fautori del decoro a tutti i costi quel tipo di reazione, illegale ma mai e poi mai quanto quello che le hanno fatto, renderebbe la protagonista una carnefice. Una che passa dalla parte del torto. Niente che la protagonista del mio libro non rivendicherebbe. In questi giorni, dopo il video di Beppe Grillo, c’è una grande polemica rispetto allo stupro. Qual è il tuo punto di vista? Mi fa orrore il circo mediatico intorno a una vicenda così delicata, per cui posizionarsi nel senso di dire sono colpevoli o sono innocenti non è quello che mi interessa, né che mi compete. Sulla storia degli otto giorni, mi sembra sensato combattere quella che non è altro che una bugia misogina con dei dati. La legge 69 del 2019 prevede che uno stupro si possa denunciare entro 12 mesi. E comunque, come dicevamo,

solo il 10% delle donne violentate denuncia. Grillo ha dato delle bugiarde a milioni di donne che sono stata stuprata lo hanno solo rivelato alle loro persone di fiducia, altro che otto giorni. Ma i tempi stanno cambiando. Che al peggior patriarcato con la bava alla bocca piaccia o meno. Il libro è uscito da una settimana e sta alimentando un dibattito importante. È cambiata la percezione delle persone che avevi intorno? I miei amici strettissimi sono sempre qui; sono le mie rocce, la mia ciurma, la mia certezza. Quello che è cambiato sono quelli che in questi anni di precariato e fallimento erano spariti e che ora a quanto pare si sono ricordati che esisto. Insomma, alcune persone si rivelano splendide, altre si confermano piuttosto meschine. Ho letto di quell’editor che ti ha detto “lo stupro non vende” per rifiutare il libro. Al netto dell’assenza di umanità, mi ha sorpresa l’ignoranza. Letterariamente infatti non è vero che lo stupro non vende. C’è uno stupro nel più grande successo internazionale degli ultimi anni partito dall’Italia, la saga di Elena Ferrante. “La ciociara” di Moravia parla di stupro ed è un classico della letteratura. Hai dichiarato: “L’ideale sarebbe non fondare chi sei su una ferita, ma neanche campare di rimozione o negazione”. E tu? Mica ci sono riuscita. Per molto tempo sono stata rimozione che cammina. Poi c’è l’altro pericolo: fondare chi si è su una ferita. Ora che ho scritto X il rischio è che i media mi prendano per stuprologa. Per fortuna in questi anni di precariato lavorativo ed emotivo ho accumulato un sacco di cose da dire, storie mie e di altri, e spero proprio di avere adesso e finalmente l’opportunità di raccontarle. (F. P.)


IL DIRETTORE RISPONDE

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Perché mia figlia ha smesso di mangiare? D

a quando è iniziata la pandemia mia figlia, che già aveva da tempo un complesso rapporto con il cibo, ha smesso completamente di mangiare. Ci siamo rivolti a una struttura ospedaliera per farla accogliere e monitorarla. Siamo molto preoccupati. Secondo lei perché si è ammalata? Marta, Milano

L

a pandemia si è rivelata una bomba sulle nostre esistenze, e negli ultimi mesi all’emergenza sanitaria legata al primo soccorso se ne sta affiancando una altrettanto preoccupante e dolorosa: quella della nostra psiche. La storia di sua figlia è un doloroso esempio di un’altra epidemia. Si tratta di un’epidemia sociale legata ai disturbi alimentari che coinvolge 3 milioni di italiani, soprattutto giovani donne e ragazze. Secondo delle recenti stime, 10 adolescenti su 100 hanno un problema del comportamento alimentare; l’anoressia è senz’altro il disturbo più conosciuto, ma anche la bulimia e il disturbo da alimentazione incontrollata sono in aumento. Pensare di trovare una sola causa co-

mune è impossibile. Si tratta infatti di disturbi multifattoriali che partono da una predisposizione genetica, ma che possono svilupparsi per motivi differenti. Secondo alcuni studiosi si tratta di una forma

di depressione legata al rifiuto di vivere; in questo caso il rapporto con il cibo diviene lo strumento per produrre un teatro della propria sofferenza. Di certo, siamo di fronte alla manifestazione di un disagio che molti giovani affrontano in silenzio e che non sono capaci di definire. Un tratto spesso condiviso fra chi soffre di questi disturbi è la ricerca di un corpo perfetto, ma anche il tentativo di comunicare con i propri genitori, di creare un dialogo interrotto che produce, soprattutto nei più giovani, un senso di isolamento e di incomprensione. Un rilievo centrale è poi legato all’affermazione di modelli culturali e fisici in cui il corpo riveste un ruolo fondamentale. In questo caso, l’imperativo diventa quello di rispondere a dei canoni e a dei modelli molto rigidi, irraggiungibili, che producono delusione e frustrazione in chi li insegue pedissequamente. Grande ruolo in questa corsa alla perfezione impossibile è quello giocato dal web e dai social media, che diffondono in modo prepotente e rapidissimo un campionario di inarrivabili fisicità. Maggiore è il disagio, l’insicurezza, il senso di vuoto che i ragazzi vivono, più elevata è la rigidità con cui aderiscono a questi stereotipi e la forza con cui li inseguono.

Hai domande da rivolgere al comitato scientifico della Fondazione BRF? Scrivi a stampa@fondazionebrf.org. Nel prossimo numero pubblicheremo le tue domande e le risposte fornite da uno specialista o direttamente dal direttore Armando Piccinni.


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TITOLI DI CODA

Ai giovani: la donna non è un possesso di Pietro Pietrini

U

Professore Ordinario, Direttore Scuola IMT Alti Studi Lucca

n recente caso di cronaca ha suscitato grande clamore nell’opinione pubblica, data la notorietà - e il ruolo pubblico - del personaggio protagonista di un video-monologo in difesa del giovane figlio e di alcuni suoi coetanei accusati di violenza sessuale nei confronti di una ragazza conosciuta in vacanza. Premettiamo che non intendiamo minimamente affrontare qui i fatti contestati: cosa sia accaduto quella notte lo stabilirà il procedimento penale che si svolge in Tribunale e non sui mezzi di informazione, per quanto purtroppo televisione e stampa cerchino da tempo di convincerci del contrario. È bene infatti aver presente che i gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento penale sono tre, con buona pace di Quarti Gradi e consimili, avvezzi a catodico sentenziare frammisto a consigli per gli acquisti. Ma veniamo alla questione che ci interessa: il video. No, non quello paterno, ma quello realizzato dalla giovanil combriccola, che l’abbagliante fragore suscitato dal primo ha inopinatamente relegato nell’oscurità. Pare infatti essere sempre più comune tra i maschietti l’abitudine di immortalare

le proprie imprese sessuali, per poi condividerle con altri quando non addirittura con l’intero pianeta, in quella nobile arte che prende il nome di revenge porn, pubblicazione di immagini porno per ‘vendicarsi’ di un abbandono. Cosa sottende questo agire se non la convinzione, più o meno consapevole, che la donna è oggetto di possesso, è un bene che ci appartiene e del quale possiamo disporre come vogliamo? In che cosa è diverso dalle foto trofeo delle battute di caccia grossa che così tanta indignazione e unanime condanna oggi suscitano? Non è mai troppo presto per insegnare ai nostri figli che la propria dignità è inscindibile dal rispetto dell’altra persona, maschio o femmina che sia. Ne Il Segreto di Luca, immortale capolavoro di Ignazio Silone, il protagonista, incolpato di un omicidio che non ha commesso, viene liberato solo quaranta anni più tardi quando il vero assassino, in punto di morte, confessa la sua colpa. La notte dell’omicidio Luca era tra le braccia della donna che amava follemente, una donna sposata. Rivelare il suo alibi avrebbe significato disonorare la donna. Altro che video.



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