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NOBEL PER LA PACE A CHI COMBATTE UNA “GUERRA”

I nostri medici e infermieri candidati all’ambito riconoscimento a più di un anno dalla pandemia da Covid-19

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di Andrea Zanotto

Roberto Stella era un medico di medicina generale e presidente dell’Ordine di Varese. È morto a 67 anni, l’11 marzo dello scorso anno: il primo sanitario italiano ucciso dal Covid19. È passato poco più di un anno e la FNOMCeO (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri) conta, tra i medici, 342 decessi causati dal virus: un elenco purtroppo costantemente aggiornato.

Altro triste conteggio è tenuto dalla FNOPI (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche). Dai loro dati emerge come gli infermieri siano la categoria professionale che ha subito il maggior numero di contagi: a dicembre 2020 l’84,4% di tutti gli operatori sanitari; in numeri assoluti, tra dipendenti e liberi professionisti, quasi 20mila contagiati.

Tanti morti, tantissimi contagiati, e per tutti la fatica di lavorare fino a sfiorare il limite delle proprie forze. La foto simbolo della lotta dei sanitari italiani contro il Covid19 è stata scattata all’ospedale di Cremona, alle

sei di mattina, da un medico. Ritrae un’infermiera crollata, esausta, la testa appoggiata alla scrivania, dopo una notte di lavoro, senza neppure avere avuto il tempo di togliersi il camice, la mascherina, i guanti in lattice.

Il sacrificio dei sanitari italiani sarà forse premiato con il Nobel per la Pace. La candidatura è stata proposta dalla Fondazione Gorbachev di Piacenza (https://gorbachevfoundation.it/), di cui è presidente onorario è proprio Mikhail Gorbachev, ultimo segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica.

Marzio Dallagiovanna, presidente della Fondazione, spiega come «alla base della richiesta di candidatura vi è il fatto che il personale sanitario italiano è stato il primo nel mondo occidentale a dover affrontare una gravissima emergenza sanitaria, nella quale ha ricorso ai possibili rimedi di medicina di guerra, combattendo in trincea per salvare vite e spesso perdendo la propria». La proposta, per essere accettata, doveva essere sottoscritta anche da una persona o un’associazione che in passato avesse vinto il Nobel per la pace. L’ha firmata Lisa Clark, in qualità di co-presidente dell’International Peace Bureau, cui è stata conferita l’onorificenza nel 2017 per la lotta a favore del disarmo nucleare.

Statunitense trapiantata in Toscana, in questi mesi Clark ha guidato le ambulanze della Croce Rossa di Bagno a Ripoli, come volontaria. «L’abnegazione – dice – è stata commovente. Qualcosa di simile a un libro delle favole, da decenni non si vedeva niente del genere. Il personale sanitario non ha più pensato a sé stesso ma a cosa poteva fare per gli altri con le proprie competen ze».

«L’Italia – continua Clark – ha reagito in modo diverso dagli altri

La foto simbolo. Il sacrificio dei sanitari italiani sarà forse premiato con il Nobel per la Pace. La candidatura è stata proposta dalla Fondazione Gorbachev di Piacenza. La proposta, per essere accettata, doveva essere sottoscritta anche da una persona o un’associazione che in passato avesse vinto il Nobel per la pace. L’ha firmata Lisa Clark, in qualità di co-presidente dell’International Peace Bureau, cui è stata conferita l’onorificenza nel 2017 per la lotta a favore del disarmo nucleare.

Il personale sanitario italiano è quindi ufficialmente uno dei 329 candidati – tra singole personalità, associazioni e istituzioni – al Nobel per la pace 2021. paesi. L’utopia del più forte che aiuta il più debole non è stata più un’utopia, è diventata realtà. E anche se questa candidatura riguarda il corpo sanitario, in quel momento tutti gli italiani hanno dato il meglio di sé».

Testimonial della candidatura è Luigi Cavanna, primario di oncoematologia all’ospedale di Piacenza, e proponente – figura anch’essa prevista dal protocollo – ne è Mauro Paladini, professore di Diritto privato all’università di Brescia. Il personale sanitario italiano è quindi ufficialmente uno dei 329 candidati – tra singole personalità, associazioni e istituzioni – al Nobel per la pace 2021.

Forse non lo vincerà. Ma se a Oslo decideranno che medici e infermieri italiani meritino il premio, tutti vorranno appuntarsi la medaglia sul petto. Un riconoscimento collettivo dato a una categoria non può distinguere tra chi ha combattuto in prima linea, ha dato supporto, ha garantito gli approvvigionamenti e chi invece si è nascosto nelle retrovie, non distingue tra i coraggiosi e i pavidi. Ma per la stragrande maggioranza varrà la frase detta a un collega da Roberto Stella, pochi giorni prima di essere ricoverato nella terapia intensiva dove morì: «Abbiamo finito le mascherine, ma non ci fermiamo. Stiamo attenti e andiamo avanti».

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