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Daltonismo a raggi X disinforma zione sulla radiologia medica

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DALTONISMO A RAGGI X DISINFORMAZIONE SULLA RADIOLOGIA MEDICA

Studio shock: scarse conoscenze e poca comunicazione tra pazienti e sanitari

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di Alessandro Righi

Oltre il 60% degli italiani considera abbastanza o molto pericolose le radiazioni ionizzanti (raggi X) della diagnostica medica, anche se il 44% dichiara di non aver conoscenze sufficienti sui rischi. In media ognuno ha effettuato 4 esami di questo genere nella vita.

Eppure, è diffuso quello che i ricercatori chiamano “daltonismo radiologico”, ossia, l’incapacità di distinguere le procedure in cui si usano radiazioni ionizzanti da quelle che ne fanno a meno, fenomeno che riflette una scarsa informazione e una carenza di comunicazioni fra sanitari e pazienti. Circa il 60% riferisce di non aver ricevuto informazioni prima di sottoporsi a esami radiologici o di imaging diagnostico come la Risonanza magnetica nucleare (RM).

Ecco perché non stupisce che il 43% non sappia che la RM sia priva di radiazioni ionizzanti e che il 15% abbia le stesse lacune rispetto all’ecografia. Al contrario, rispettivamente il 30% e il 46% è convinto che la tomografia computerizzata e la mammografia non espongano a radiazioni. A queste lacune si aggiunge l’incapacità di una gran parte dei pazienti di associare la corretta quantità di radiazioni alle diverse procedure: per esempio, solo il 45% degli interpellati è stata in grado di indicare la TC (tomografia computerizzata)

come quella a più alto dosaggio, mentre dell’altra metà il 27,5% pensa che la quantità di radiazioni sia maggiore nella radiografia.

Sono i dati raccolti nello studio RadIoPoGe-Radiazioni ionizzanti, popolazione generale, promosso dall’Istituto di fisiologica clinica del Cnr di Pisa e coordinato dall’Azienda ospedaliero universitaria Pisana, cui hanno partecipato presidi sanitari di nove regioni: Toscana, Sardegna, Emilia-Romagna, Lazio, Veneto, Puglia, Campania, Marche e Sicilia.

Solo 1,5% degli intervistati non si è mai sottoposto a esami di imaging diagnostico. Negli altri casi è la radiografica (90,8%) l’esame effettuato con più frequenza, seguita dall’ecografia (81,9%), mentre oltre il 50% si è sottoposto almeno una volta nella vita alla cosiddetta “panoramica”, la radiografia dentale (74%) o alla risonanza magnetica (53,4%). Meno diffusi sono, invece, la TC (39%) e la medicina nucleare (Pet, 14%). Alla mammografia risulta essersi sottoposto il 52,5% delle donne. La ricerca RadIoPoGe, durata alcuni anni, si proponeva, innanzitutto, di stabilire il grado di conoscenza della popolazione italiana sulle radiazioni ionizzanti impiegate nella diagnostica medica.

Il secondo obiettivo era fornire agli operatori sanitari gli strumenti - spiega Davide Caramella, ordinario di Radiologia all’università di Pisa - “per demistificare idee preconcette e informare in modo mirato i pazienti” ed evitare che le persone, se senza una comunicazione adeguata su rischi e benefici, abbandonino percorsi terapeutici corretti”.

Con un questionario di 24 domande, somministrato con un’intervista guidata e da cui sono stati esclusi gli operatori sanitari, sono state raccolte le risposte di un campione di 1.531 donne (pari al 53,4%) del totale e 1.335 maschi (46,65). La gran parte ha dichiarato di aver avuto informazioni sui rischi delle radiazioni ionizzanti in campo medico attraverso tv e radio (oltre il 27%), riviste e quotidiani (15,6%) e soprattutto attraverso internet, Facebook e altri social (25,3%). Ma quando è stato chiesto agli intervistati da quali fonti vorrebbero essere informati, l’80% ha indicato il personale sanitario: nel dettaglio, il 68% il medico radiologo e oltre il 53% il medico di medicina generale, seguiti dal tecnico di radiologia (preferito dal 52%) e dal fisico sanitario (circa il 13%).

Il 90%, inoltre, vorrebbe ricevere informazioni chiare sulla dose di radiazioni ricevuta e il 40% chiede che gli venga comunicata con un’unità di misura specifica. Ma il resto degli intervistati vorrebbe un’indicazione del rischio “equivalente”, cioè semplificato e associato, per esempio, al numero di giorni corrispondente all’esposizione a radiazioni naturali (lo chiede il 34%), al numero di sigarette fumate (oltre il 33%) o al numero di chilometri percorsi in auto (15%).

È diffusa l’incapacità di distinguere le procedure in cui si usano radiazioni ionizzanti da quelle che ne fanno a meno, fenomeno che riflette una scarsa informazione e una carenza di comunicazioni fra sanitari e pazienti. Circa il 60% riferisce di non aver ricevuto informazioni prima di sottoporsi a esami radiologici o di imaging diagnostico come la Risonanza magnetica nucleare (RM).

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